Agenzia Alcatraz – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 18 Dec 2024 21:16:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Ethel Mannin tra gotico marxista e femminismo luciferiano https://www.carmillaonline.com/2021/08/20/ethel-mannin-e-il-femminismo-luciferiano/ Thu, 19 Aug 2021 22:01:27 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=67592 di Walter Catalano

Ethel Mannin, Lucifero e la bambina, Agenzia Alcatraz, trad. Stefania Renzetti, pp. 448, 16,00 €.

Ethel Mannin, (1900/1984), scrittrice nata in un sobborgo di Londra da famiglia irlandese, è praticamente sconosciuta in Italia. Delle sue oltre cento opere – fra romanzi, autobiografie, libri per bambini, saggi, diari di viaggio – solo il romanzo del 1948 Tardi ti ho amato era stato finora pubblicato nel 1952 da un editore legato all’Arcidiocesi di Milano e all’Azione Cattolica. Titolo ispirato a Sant’Agostino e Bildungsroman kierkegaardiano sul trapasso [...]]]> di Walter Catalano

Ethel Mannin, Lucifero e la bambina, Agenzia Alcatraz, trad. Stefania Renzetti, pp. 448, 16,00 €.

Ethel Mannin, (1900/1984), scrittrice nata in un sobborgo di Londra da famiglia irlandese, è praticamente sconosciuta in Italia. Delle sue oltre cento opere – fra romanzi, autobiografie, libri per bambini, saggi, diari di viaggio – solo il romanzo del 1948 Tardi ti ho amato era stato finora pubblicato nel 1952 da un editore legato all’Arcidiocesi di Milano e all’Azione Cattolica. Titolo ispirato a Sant’Agostino e Bildungsroman kierkegaardiano sul trapasso dalla vita estetica verso la fede da parte di un dandy e giovane intellettuale di successo nella Parigi tra le due guerre, il testo aveva avuto una qualche risonanza perché citato da Jorge Mario Bergoglio come uno dei suoi libri più amati. Per questo motivo Il Corriere della sera lo aveva ripubblicato nel 2014 come primo volume della collana «La biblioteca di Papa Francesco» e Castelvecchi lo aveva riproposto due anni dopo.

Improbabile però che anche il recente recupero da parte di Agenzia Alcatraz nella sua bella collana Bizarre del romanzo uscito nel 1945, Lucifer and the child, possa subire la stessa sorte: dopo l’acqua santa infatti, questa volta tocca al diavolo. Il libro, decisamente eretico, venne ritirato dalla distribuzione in Irlanda alla sua uscita perché ritenuto pericoloso e diseducativo, e non venne mai tradotto all’estero se non dalla Marabout nel 1974, numero 486 della storica collezione belga Marabout Fantastique, diretta da Jean-Baptiste Baronian ed illustrata da Henri Lievens, di cui l’edizione italiana della Alcatraz mantiene la veste grafica, compresa la splendida copertina di Lievens.

La Mannin in realtà non era esattamente una beghina o un’educanda: agnostica; antifascista; anticolonialista; femminista; dichiaratamente bisessuale; socialista militante dell’Independent Labour Party, e, dopo un deludente viaggio nell’URSS di Stalin, anarchica; amica e collaboratrice di Emma Goldman, sulla quale scrisse una delle biografie romanzate più appassionanti, Red Rose; pacifista; antisionista e filopalestinese. Sposata due volte, ebbe almeno due love-affair extraconiugali molto pubblicizzati, con William Butler Yeats e con Bertrand Russell. I suoi modelli letterari furono, per sua stessa ammissione, W. Somerset Maugham e Aldous Huxley. Decisamente una donna interessante, forse troppo: “spirito indomabile e controcorrente lanciato contro le ingiustizie della sua epoca” – come la definisce Max Baroni, in Ethel Mannin, una voce dimenticata, dettagliata introduzione al volume di Alcatraz – tanto acuta la sua intelligenza da ferire come una lama, così che si è preferito, negli anni seguenti alla morte, ringuainarla nell’oblio.

La metafora della strega al rogo, più volte evocata nel romanzo, non è dunque affatto peregrina: Ethel aveva intuito e prefigurato il suo destino letterario.

Il fascino particolare di Lucifero e la bambina, un unicum per prospettiva e atmosfera in tutta la produzione narrativa dell’autrice, consiste nell’essere contemporaneamente romanzo realistico dalla forte carica di denuncia sociale e narrazione fantastica sul soprannaturale stregonesco. I due piani non si escludono a vicenda ma sono complementari, l’ambiguità dell’interpretazione resta intatta fino alla fine: utilizzando le categorie di Todorov sulla letteratura fantastica, potremmo sostenere che la storia si muove tra lo strano e il meraviglioso aderendo al fantastico puro. Fra le molteplici possibilità di lettura del testo c’è anche l’ipotesi che la Mannin abbia prodotto il primo e forse l’unico romanzo gotico marxista mai scritto.

Lo spazio e il tempo della trama sono ben determinati: i sobborghi portuali di Londra lungo il Tamigi, quartieri dove Ethel era nata e che conosceva bene, nel periodo compreso tra i primi anni Trenta ed i bombardamenti nazisti della Battaglia d’Inghilterra del 1940. Altrettanto vividi sono i protagonisti, quasi tutti membri della classe operaia britannica, ritratta fin nei minimi dettagli quotidiani come sempre dignitosa nella sua miseria. Jenny Flower, bambina “problematica” nata la notte di Hallowe’en del 1924 e probabilmente discendente da una famiglia di streghe bruciate sul rogo nel ‘600; Nellie Flower, la madre naturale che la bambina crede essere sua zia, cameriera in un pub, donna attraente e di facili costumi: ha cercato di abortire Jenny, avuta da padre ignoto, ma la pozione preparata da Ma’Beadle, la vecchia strega e indovina del quartiere che inizierà poi la bambina alle arti oscure, non ha avuto effetto e la ragazza ha affidato la piccola alla famiglia del fratello, Joe Flower, scaricatore di porto e uomo inerte e anaffettivo; Ivy, la madre adottiva, avendo avuto solo figli maschi ha accolto a cuore aperto la neonata ma è stata poi delusa da tutti gli affetti: è una donna infelice, imprigionata dalle convenzioni sociali nel suo ruolo di moglie, madre e casalinga e non riesce ad accettare la diversità e la stranezza della piccola che ha adottato e che non corrisponde in niente alle sue amorevoli aspettative di quel che avrebbe dovuto essere una bambina; la giovane maestra Marian Drew, figlia di un parroco di campagna, intelligente e progressista ma in fondo a suo modo controparte piccolo-borghese della matrigna Ivy per Jenny:  usa la dolcezza invece delle botte ma non accetta ugualmente comportamenti che siano sanzionati dalla Chiesa d’Inghilterra o dal suo tendenziale perbenismo. Infine il tenebroso Straniero, che appare alla bambina come l’Uomo con le corna, che la saluta sempre chiamandola “Ciao, strega!” e si ripresenta solo nelle notti delle feste pagane – Hallowe’en (la Mannin non usa mai in questo caso il nome celtico Samhain), 31 ottobre; Imbolc, 2 febbraio, Candelora; Beltane, 1 maggio, Calendimaggio; Lammas, 1 agosto – ha l’aspetto di un misterioso e affascinante marinaio di età indefinibile e dal volto lupesco, ma sostiene elusivamente di essere Lucifero.

Uno dei più evidenti aspetti politici – non sempre in linea con la visione ufficiale della sinistra dell’epoca – sapientemente tratteggiati nelle pagine del romanzo è l’intersezione tra lotta di classe e femminismo: ad esempio le femministe londinesi di classe borghese, colleghe della maestra Marian Drew, hanno un atteggiamento paternalistico verso le operaie che vorrebbero aiutare e sostenere – la Mannin non risparmia loro il suo sarcasmo: “Per la signorina Hawkins e la signorina Pritchett ‘i poveretti’ erano per molti aspetti un vero spasso. Ne parlavano con affettuosa ironia, imitando i loro accenti […] non ne avrebbero mai parlato male, dicevano – ma li trovavano comunque divertenti. ‘Come certe specie di animali in uno zoo’, pensava Marian con rabbia. […] Marian non si faceva illusioni. Era ben consapevole di come, per via del suo ruolo di maestra […] le madri dei bambini la considerassero completamente diversa da loro […] Il massimo che poteva sperare era che l’apprezzassero, che si fidassero di lei e la considerassero un’amica”.

Tutti i personaggi, quelli femminili in particolare, sono tratteggiati sempre con finezza psicologica straordinaria: tra il positivo e il negativo esiste un’infinità di sfumature che rende impossibile assolvere i presunti angeli e condannare i pretesi diavoli. Ognuno ha un ruolo in cui il determinismo sociale lo ha incastonato e un peso assai relativo hanno le inclinazioni personali: Joe Flower, stremato dal lavoro nell’abulia e nell’indifferenza; Nellie Flower, abbandonata al superficiale edonismo della cocotte; Ma’Beadle, confinata al rango marginale di semifolle fattucchiera di periferia; la piccola Jenny Flower, bimba ribelle, che cerca disperatamente di sfuggire al grigio mondo che la circonda attraverso il mito e la magia, attraverso l’incanto oscuro e trasgressivo dello Straniero; la povera Ivy, “donna di casa” che vorrebbe essere soprattutto madre e moglie ed è ignorata dal marito Joe e rifiutata dalla figliastra Jenny; l’angelica Marian, maestra e “assistente sociale”, che cerca invano di aiutare Jenny e perde tardivamente la verginità conoscendo carnalmente lo Straniero senza mai riuscire tuttavia ad amarlo davvero, ma scatena così la spietata e fatale gelosia della piccola strega: “Laggiù nell’oscurità stellata, oltre questo inferno, oltre il tentacolare puttanaio di questa città, le volpi si chiamano l’un l’altra nei boschi di noccioli – chiaro come un flauto il richiamo di accoppiamento dei maschi, e carica di una timorosa pulsione la risposta delle femmine; e l’aria è pulita e fresca, con il fugace odore delle primule…ma ti sei rifiutata di credere nella magia, Marian, Maria, insistendo con le tue etichette, chiedendo un’abiura impossibile, e così rimaniamo separati, ognuno nel proprio inferno…’Oh, tu sei più dolce dell’aria della sera…’, ma se insisti a voler rimanere rigidamente chiusa nella tua moralità protetta dagli angeli, cosa può fare un povero Diavolo ?”.

Anche il femminismo di Ethel Mannin si articola in modo tortuosamente profondo e non convenzionale: la storia di Jenny, strega reale o immaginaria poco importa, è in fondo quella di una giovane donna che rifiuta la Madre – madre carnale Nellie, madre sociale Ivy, madre surrogata Marian, madre stregonica Ma’Beadle – per ritrovare infine il Padre – padre carnale, lo Straniero o padre metafisico, Lucifero. E l’agnizione estrema avverrà all’Inferno, anzi all’inferno: Londra in fiamme sotto i bombardamenti nazisti.

 

 

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Le cronache marxiane di Bogdanov https://www.carmillaonline.com/2021/04/26/le-cronache-marxiane-di-bogdanov/ Sun, 25 Apr 2021 22:01:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=65999 di Walter Catalano

Aleksadr Bogdanov, Su Marte ! : L’opera narrativa completa, Agenzia Alcatraz, pp. 376, €. 16,00.

Aleksandr Aleksandrovič Malinovskij, detto Bogdanov (1873 –1928), non è certo noto solo come scrittore di fantascienza. Medico, autore ancora in gioventù, del Breve compendio di scienza economica, un manuale economico indirizzato agli operai; successivamente primo traduttore in russo de Il Capitale di Marx, sviluppa, tra il 1903 e il 1906, una revisione del marxismo che definisce empiriomonismo intesa ad applicare alle scienze sociali i principi dell’empiriocriticismo di Ernst [...]]]> di Walter Catalano

Aleksadr Bogdanov, Su Marte ! : L’opera narrativa completa, Agenzia Alcatraz, pp. 376, €. 16,00.

Aleksandr Aleksandrovič Malinovskij, detto Bogdanov (1873 –1928), non è certo noto solo come scrittore di fantascienza. Medico, autore ancora in gioventù, del Breve compendio di scienza economica, un manuale economico indirizzato agli operai; successivamente primo traduttore in russo de Il Capitale di Marx, sviluppa, tra il 1903 e il 1906, una revisione del marxismo che definisce empiriomonismo intesa ad applicare alle scienze sociali i principi dell’empiriocriticismo di Ernst Mach e Richard Avenarius – e in parte dello studioso del linguaggio Philippe Noirè – che consideravano quanto prescinde dalla percezione umana come non verificabile e quindi estraneo al campo scientifico. Un tentativo di conciliare il marxismo con la fisica e l’epistemologia europea. In sostanza Bogdanov, passando attraverso l’idea della contrapposizione tra cultura borghese e cultura proletaria, cerca di elaborare un sapere di tipo monistico, che riassuma in sé l’esperienza organizzativa dell’umanità, sistematizzandola in modo scientifico. Non è sufficiente quindi trasferire i mezzi di produzione nelle mani della classe operaia: si deve prima investire sulla formazione intellettuale dei lavoratori.

Nel 1904 Bogdanov è in Svizzera, dove incontra per la prima volta Lenin e si schiera con lui contro i menscevichi avviando il primo organo di stampa bolscevico, che esce il 4 gennaio 1905 con il titolo “Vperëd” (L’Avanti) -pubblicato a Genova con finanziamento offerto da Maksim Gor’kij – a cui segue più tardi “Proletarij” (Il Proletario).

Al III congresso del Partito, che si tiene a Londra dal 25 aprile al 10 maggio 1905, Bogdanov viene eletto membro del Comitato Centrale e nominato responsabile principale del settore letterario in Russia. Nel 1905 per la polizia zarista Bogdanov e Lenin sono i due rivoluzionari russi più pericolosi: uno dalla Russia e l’altro dalla Svizzera, guidano la neonata frazione dei bolscevichi durante la rivoluzione del 1905. Bogdanov sarà rappresentante del primo Soviet dei deputati e degli operai a San Pietroburgo e, con Leonid Krasin, organizzerà i primi gruppi tecnico-militari del Partito.

Dal 1907 però entrerà in forte conflitto con Lenin. Le loro divergenze, dal punto di vista dell’azione politica, prendono origine dal diverso atteggiamento assunto verso la partecipazione alle elezioni per la III Duma. Lenin, ora in accordo con i menscevichi, sosteneva l’utilità della presenza dei deputati socialdemocratici, Bogdanov invece, con l’appoggio di Lunačarskij e Aleksinskij, riteneva necessaria la continuazione dell’attività rivoluzionaria boicottando le elezioni. A suo avviso la Duma rappresentava l’espressione di un regime pseudocostituzionale che avrebbe bloccato ogni possibilità di sviluppo dell’azione rivoluzionaria. Bogdanov all’epoca, era molto più conosciuto di Lenin tra gli operai, avendo partecipato direttamente alla rivoluzione del 1905 mentre Lenin era rientrato in Russia solo nel novembre di quell’anno: le sue posizioni trovano quindi un più vasto seguito tra gli operai che si astengono in massa dalle elezioni.

I seguaci di Bogdanov costituiscono l’ala sinistra della frazione bolscevica, sostenendo una concezione del marxismo diversa da quella di Lenin e ‘antiautoritaria‘, ad esempio nella diversa concezione del ruolo guida degli intellettuali. Lenin propone una struttura di partito fortemente centralizzata nella quale ammettere solo rivoluzionari di professione, un’avanguardia intellettuale capace di organizzare e guidare il movimento operaio opposta allo spontaneismo della base proletaria; Bogdanov, al contrario, partendo dall’analisi delle cause che hanno portato al fallimento della rivoluzione e della incapacità delle organizzazioni locali di strutturarsi autonomamente, ritiene che il proletariato debba creare una propria intelligencija, reclutata tra gli stessi operai. Gli intellettuali di origine borghese dovranno fare da ponte tra la vecchia cultura e la nuova: in questo senso l’autoritarismo dei capi resta una caratteristica borghese che deve essere eliminata. Per una reale emancipazione della classe operaia si deve sviluppare una cultura autonoma del proletariato attraverso l’apertura di scuole di partito.

Nell’aprile 1908 Bogdanov, Lunačarskij, Bazarov e Pokrovskij, si riuniscono a Capri su invito di Gor’kij, che organizza un incontro con Lenin per tentare di riconciliarlo con i bolscevichi di sinistra evitando il pericolo una nuova scissione. Le posizioni dei due gruppi si mostrano, però, inconciliabili e il terreno di scontro si sposta, a partire da quel momento, dal piano pratico-tattico a quello filosofico-teorico. Le tesi di Bogdanov saranno confutate da Lenin nel suo pamphlet Materialismo ed empiriocriticismo. Osservazioni critiche su una filosofia reazionaria del 1909 in cui Lenin accusa l’avversario di eresia, definendola “bogdanovismo” e sostenendo la superiorità del progetto rivoluzionario rispetto a qualsiasi altro: l’edificazione di una nuova cultura proletaria è dunque un punto di arrivo e non un presupposto ex ante come nella visione di Bogdanov. L’empiriomonismo, che Lenin considera estraneo alla concezione marxista, viene equiparato alla “costruzione di Dio” (bogostrojtel’stvo), condivisa da Gor’kij e Lunačarskij, che vedono nel socialismo una sorta di religione laica, dottrina in realtà profondamente criticata da Bogdanov che partiva invece da un’idea del socialismo coerentemente razionalistica e che non intendeva allontanarsi dal marxismo, pur dandone un’interpretazione diversa da quella di Plechanov e di Lenin, soprattutto dal punto di vista della prassi rivoluzionaria.

L’attualità del loro dibattito in senso filosofico è confermata dal fatto che recentemente anche Carlo Rovelli nel suo ultimo libro Helgoland (Adelphi, 2020), dedichi tutto il capitolo 5 alla disputa tra Lenin e Bogdanov, vista come dialettica fra idealismo e materialismo: la sua simpatia va a Bogdanov le cui idee, secondo il fisico, anticipano approcci e intuizioni della teoria della relatività di Einstein e della fisica dei quanti. Così Rovelli: “Se esistono solo «sensazioni», argomenta Lenin, allora non esiste una realtà esterna, vivo in un mondo solipsistico dove ci sono solo io con le mie sensazioni. Assumo me stesso, il soggetto, come unica realtà. L’idealismo è per Lenin la manifestazione ideologica della borghesia, il nemico. All’idealismo Lenin oppone un materialismo che vede l’essere umano, la sua coscienza, lo spirito, come aspetti di un mondo concreto, oggettivo, conoscibile, fatto soltanto di materia in moto nello spazio.” […] Bogdanov rimprovera Lenin di fare della «materia» una categoria assoluta e astorica, «metafisica» nel senso di Mach. Gli rimprovera soprattutto di dimenticare la lezione di Engels e Marx: la storia è processo, la conoscenza è processo. La conoscenza scientifica cresce, scrive Bogdanov, e la nozione di materia propria della scienza del nostro tempo potrebbe rivelarsi solo una tappa intermedia nel cammino della conoscenza. La realtà potrebbe essere più complessa dell’ingenuo materialismo della fisica settecentesca. Parole profetiche: pochi anni dopo Werner Heisenberg apre le porte al livello quantistico della realtà” (Carlo Rovelli – Helgoland).

Alla fine però vince Lenin: il 18 dicembre 1909 l’esperienza della “Scuola di Capri” promossa da Bogdanov, Gor’kij e Lunačarskij, e che vide sull’isola l’intelligencija bolscevica al lavoro con operai rivoluzionari provenienti dalla Russia, si chiude definitivamente. Bogdanov viene espulso dalla corrente bolscevica, ma continuerà a sviluppare le sue idee all’interno del Proletkult, organismo indipendente dal partito bolscevico fondato nel 1917 e promotore di corsi e seminari nei quali i lavoratori avranno la possibilità di ricevere gratuitamente lezioni di oratoria, politica e scrittura. È proprio in questo periodo che Bogdanov diventa uno dei primi autori di fantascienza.

Scritto all’indomani della rivoluzione del 1905, La stella rossa racconta l’esperienza come ambasciatore terrestre su Marte di Leonid, un giovane rivoluzionario pietroburghese. Leonid è stato selezionato tra migliaia di possibili candidati, perché dotato della predisposizione mentale che gli avrebbe permesso di passare indenne dalla società terrestre, segnata da instabilità e conflitti e dall’individualismo, a quella marziana, organizzata su base rigorosamente collettivistica. Su Marte, infatti, la rivoluzione è avvenuta duecento anni prima e il socialismo è realtà consolidata. Secondo la linea empiriomonistica di Bogdanov, però, e non secondo quella leninista: le differenze di classe non sono state abbattute con la violenza, ma con l’istruzione delle masse, nell’arco di un processo di graduale formazione del proletariato.

Dopo due mesi di viaggio durante i quali studia la lingua marziana Leonid, su una nave interplanetaria che si sposta grazie alla scoperta della negamateria in grado di vincere la gravità in virtù di un principio di repulsione, sbarca sul Pianeta rosso. Accompagnato dai suoi anfitrioni marziani, fra i quali si distingue l’ingegner Menni, l’inviato terrestre inizia l’esplorazione della civiltà aliena.

Leonid visita fabbriche perfette, perché “Il lavoro è una necessità naturale di un uomo socialista evoluto, e qualsivoglia costrizione nascosta o palese per noi è del tutto superflua”. Apprende che i marziani lavorano in media due ore al giorno, senza retribuzione, e hanno diritto di spostarsi da un settore produttivo all’altro a piacimento, dato che il consumo dei prodotti non è limitato in alcun modo e ognuno prende ciò di cui ha bisogno nella quantità che desidera, mentre l’Istituto di Statistica calcola in maniera esatta cosa e quanto sia necessario produrre in un determinato periodo e quante ore di lavoro servano per farlo. Viene accolto nella “Casa dei bambini”, dove i piccoli marziani vengono cresciuti tutti insieme e i genitori possono scegliere se, quando e per quanto tempo stare con i loro figli vivendo in appositi residence separati. Si informa sull’arte marziana nei musei e sulla medicina nelle case di cura, dove si pratica l’eutanasia libera per chi la richieda e ci si mantiene giovani tramite la scambievole pratica della trasfusione sanguigna. Scopre, tra l’altro, che le differenze tra maschi e femmine marziani sono quasi irrilevanti, al punto da accorgersi solo dopo mesi che due dei suoi compagni di viaggio dalla Terra, l’astronoma Enno e il medico Netti, sono donne. Nonostante l’indifferenza marziana per i generi sessuali, fin nella loro lingua – “Nelle vostre lingue, nominando un oggetto, vi date un gran daffare a stabilire se questo sia maschile o femminile, il che, in sostanza, non è fondamentale, e per gli oggetti inanimati è addirittura strano… Per voi ‘casa’ è maschile e ‘barca’ è femminile, per i francesi è il contrario, e questo non cambia proprio nulla” – si innamora prima dell’una e, dopo la partenza di lei per una missione su Venere, dell’altra.

Fin qui il romanzo ha tutte le caratteristiche dell’utopia classica, ma Bogdanov non è un propagandista banale e la sua analisi è molto più sottile: tutto il finale dell’opera – che non svelo per non rovinare al lettore il piacere della sorpresa, essendo l’opera invecchiata decisamente bene anche sul piano letterario – accentuerà gli aspetti critici e negativi con un vero e proprio colpo di scena. In sostanza il problema – il tema protoecologistico è molto sentito dall’autore – è quello dell’equilibrio tra sopravvivenza del sistema e della natura da esso sfruttata: la longevità degli abitanti – raggiunta anche grazie alle trasfusioni sanguigne oltre che alle condizioni ottimali della società – ha prodotto un sovrappopolamento insostenibile, l’enorme quantità di risorse che l’industria rigidamente pianificata consuma quotidianamente ha portato al disboscamento di intere foreste, l’agricoltura impoverisce i campi e logora le scorte idriche e, secondo le stime dell’Istituto di Statistica, nell’arco di vent’anni il pianeta si troverà ad affrontare una crisi irreversibile: i rimedi prospettati dall’astronomo Sterni, ex marito di Netti, saranno altrettanto drastici (ma qui taccio…). L’attenzione riservata da Bogdanov alla questione ambientale, tradisce un marcato scetticismo nei confronti del socialismo di stato e di quella pianificazione che sarà la costante della società sovietica nei successivi 80 anni. Un esempio ulteriore della modernità di Stella rossa.

Anche Antonio Gramsci si interessò a Stella rossa. Pare che sia esistito il manoscritto di una sua traduzione del romanzo, ma non ne restano purtroppo tracce. Bene ha fatto comunque la sempre puntualissima Agenzia Alcatraz Editore a riproporre in un unico volume, nella bella collana Solaris dedicata alla fantascienza sovietica, non solo il titolo più famoso, del quale già esisteva una vecchia edizione pubblicata da Sellerio nel 1989, ma l’opera letteraria completa del tutto inedita in Italia. La traduzione è a cura del Kollectiv Ulyanov e la prefazione di Wu Ming (che al Proletkult di Bogdanov aveva già dedicato un romanzo) e oltre a Stella rossa vi compaiono il seguito (in realtà un prequel) pubblicato nel 1912, Ingegner Menni, anch’esso ambientato su Marte, e dove si descrive il passaggio dalla società vecchia alla nuova basata su una scienza alternativa accessibile alla classe operaia ed espressione diretta dei suoi bisogni; il racconto La festa dell’immortalità, sul problema della morte – come dice Bogdanov, “la più grande nemica del comunismo”; e un poemetto del 1920, Un marziano abbandonato sulla terra. Una breve nota autobiografica del 1925 chiude il volume.

Come accenna proprio nelle poche pagine di questo testo, Bogdanov tornerà in Russia nel 1913 e allo scoppio della Prima guerra mondiale sarà inviato per un anno al fronte come medico, dove si ammala e viene ricoverato in una clinica neurologica. Una volta guarito si immerge nella scrittura di una delle sue opere maggiori Tektologija (La Tettologia, o Scienza generale dell’organizzazione), che pubblica a sue spese. Dopo la rivoluzione del 1917 contribuisce all’apertura dell’Accademia Socialista, del cui Presidium resta membro fino alla morte e collabora attivamente alla creazione del Proletkul’t, da cui si allontanerà invece nel 1922, quando il movimento inizierà ad essere controllato sempre più direttamente dal Partito. Nel 1923 è arrestato con l’accusa immotivata di essere complice di un piano cospirativo contro lo Stato sovietico. Liberato, avendo dimostrato l’infondatezza delle accuse, si ritira totalmente da ogni attività politica e torna ad occuparsi esclusivamente della sua professione di medico.

Seguendo le intuizioni già delineate in Stella rossa, si dedicherà agli studi ematologici fondando nel 1926 il primo istituto russo per le trasfusioni del sangue che dirigerà fino alla morte, avvenuta nel 1928 in seguito ad un esperimento praticato su stesso, pare tentando uno scambio di sangue con uno studente ammalato di malaria e di tubercolosi. Molti parlarono di suicidio.

 

 

 

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Gérard Prévot e la “scuola franco-belga del bizzarro” https://www.carmillaonline.com/2020/12/26/gerard-prevot-e-la-scuola-franco-belga-del-bizzarro/ Fri, 25 Dec 2020 23:01:49 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64041 di Walter Catalano

Gérard Prévot, Il demone di febbraio, Alcatraz Edizioni, pp. 231, 14 €.

Gérard Prévot, La notte del nord, Alcatraz Edizioni, pp. 192, 14 €.

Sembra profilarsi un anno di riscatto per il fantastico francofono da sempre snobbato e poco seguito nel nostro paese. Infatti, mentre l’editore Hypnos – già artefice del recupero di Jean Ray con l’esauritissimo Il Gran Notturno (2010) e I racconti del Whisky (2013) – annuncia un’imminente raccolta del meglio di Claude Seignolle, Agenzia Alcatraz – che ricordiamo anche per un’altra [...]]]> di Walter Catalano

Gérard Prévot, Il demone di febbraio, Alcatraz Edizioni, pp. 231, 14 €.

Gérard Prévot, La notte del nord, Alcatraz Edizioni, pp. 192, 14 €.

Sembra profilarsi un anno di riscatto per il fantastico francofono da sempre snobbato e poco seguito nel nostro paese. Infatti, mentre l’editore Hypnos – già artefice del recupero di Jean Ray con l’esauritissimo Il Gran Notturno (2010) e I racconti del Whisky (2013) – annuncia un’imminente raccolta del meglio di Claude Seignolle, Agenzia Alcatraz – che ricordiamo anche per un’altra bella iniziativa di un paio d’anni fa: la collana Solaris dedicata alla fantascienza sovietica – licenzia i primi due volumi addirittura di un’intera collana, Bizarre, intesa a traghettare in Italia buona parte del suggestivo catalogo della Marabout Fantastique. Volumi riproposti nello stesso formato, anzi addirittura migliorato rispetto all’originale: meno pocket, più grande e leggibile, con copertina rinforzata, stampa e carta superiore, e per di più mantenendo le straordinarie copertine del Karel Thole belga: il grande illustratore Henri Lievens (1920 – 2000).

Mentre si fa il nome più noto dopo Jean Ray, fra gli autori in prossima uscita, quello di Thomas Owen – che da noi non è mai andato oltre il singolo racconto disperso in qualche antologia miscellanea e un’unica e ormai quasi introvabile raccolta, Le dimore inquietanti (Panozzo Editore – 1994) – i geniali curatori  spiazzano invece tutti con una coraggiosa dichiarazione di intenti che pospone la comparsa dei personaggi più attesi per un secondo tempo ed esordisce con ben due volumi dedicati ad un illustre sconosciuto: Gérard Prévot.

Sconosciuto da noi, beninteso, perché lo scrittore belga – nato nel 1921 nella città vallona di Binche, vissuto a Ostenda e morto a Bruxelles nel 1975 – è stato poeta, drammaturgo, memorialista della Resistenza nel suo paese, nei ranghi della quale ha combattuto, arrivando alla narrativa fantastica piuttosto tardi: nel 1970, proprio con una delle due raccolte ora tradotte, Il demone di febbrario, alla quale sono seguite nel 1974 La notte del nord, e altre due – Celui qui venait de partout e Le Spectre large , e due romanzi: La Fouille del 1972 e L’Empan del 1973 –  più i sei volumi della serie fantascientifica per ragazzi Dan Dubble, firmati sotto lo pseudonimo di Red Port. Il tutto compreso in 5 anni, fra il 1970 e il 1975, anno della prematura morte.

L’approdo di Prévot alla cosiddetta scuola belga del bizzarro giunge dopo l’incontro con Jean-Baptiste Baronian, romanziere, antologista e autore di alcune delle migliori monografie sull’argomento – Panorama de la littérature fantastique de langue française: Des origines à demain; Jean Ray: l’archange fantastique, e altre – oltre che direttore della collana fantastica di Marabout. Nell’intervista raccolta dal bravo traduttore Luca Fassina e inserita in appendice a La notte del nord, Baronian ricorda il collega ed amico: “Era ispirato, vedeva il mondo con i suoi fantasmi, i suoi spettri, i suoi demoni, era calato in una dimensione metafisica, anche se non era per forza una visione. Era assolutamente convinto che la realtà fosse solo un velo. […] Era un poeta nel senso più classico del termine. […] (con) l’eleganza, il classicismo, la proprietà di linguaggio e soprattutto quella sua visione post-romantica, un po’ alla maniera di Gérard de Nerval…”. Nel suo saggio panoramico sul fantastico francese poi, così spiega la minore diffusione dell’opera di Prévot, nel capitolo a lui dedicato Priez pour le pauvre Gérard: Forse perché proclama alto e forte angosce mortali che sarebbe meglio non svelare troppo ? Forse perché è davvero inquietante ? […]scrittore allucinato, che scatena la tormenta umana come una tela di James Ensor”.

In effetti i testi di Prévot suonano assai più letterari e meno pulp di quelli dei colleghi Ray e Owen e gran parte dei racconti di queste due antologie spiccano ancor più che per l’originalità delle idee o per la coerenza della trama, soprattutto per il nitore adamantino dello stile e per la fascinazione ipnotica dell’atmosfera. Prévot incanta il lettore con le melodie del pifferaio di Hamelin, lo conduce per i vicoli tortuosi delle città del nord, lungo le nebbie sui canali, oltre moli spettrali e bettole portuali fumose, fino alle dune spazzate dai venti di spiagge deserte, fra echi di onde e di gabbiani, e lì lo attende al varco, mentre è ancora letargicamente perso dietro a false piste, per stenderlo con un inaspettato e fulmineo twist finale.

La tecnica è infallibile sia nel passo lungo dei tre racconti di La notte del nord che in quello breve e brevissimo dei ventuno di Il demone di febbraio. Fra i racconti lunghi ci hanno ammaliato quello morbosamente erotico che dà il titolo al volume, “La notte del nord”, e il quasi romanzo “Gli sparti” – cioè i giunchi marini – inclassificabile ed enigmatico in precario equilibrio fra claustrofobico noir, cupa e apocalittica fantascienza o allusione delirante ad una passione pedofila. Fra i brevi il fulminante “Il demone di febbraio”, l’ellittica ghost-story “Pergolesi”, il sorprendente “La confessione di Gert Verhoeven”, il visionario “Il chitarrista di mezzanotte”, il sadiano “Corrispondenza”, lo psicanalitico “La smemorata”, il gotico “Il giullare di Damme”, l’omaggio a Mary Shelley “Il cadavere di Beachy Head”, il romantico “Strana eclisse”, il mystery “Il rapporto venuto dal Reno”.

L’esordio della nuova collana di Agenzia Alcatraz si rivela un colpo da maestri: Prévot va subito a collocarsi nei nostri cuori alla destra di Jean Ray (…alla sinistra c’è Thomas Owen). A dimostrare che non è la fama di un nome a contare ma la qualità del testo proposto. In più c’è la maneggevolezza, la leggibilità, il garbo tipografico dei volumi e la cura scrupolosa della traduzione di Luca Fassina. Riconoscenti per la scoperta di un territorio quasi inesplorato restiamo in attesa delle prossime auspicate uscite.

 

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