28 maggio 1974 – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 18 Dec 2024 21:16:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Frammenti di vite spezzate https://www.carmillaonline.com/2016/06/07/frammenti-vite-spezzate/ Mon, 06 Jun 2016 22:01:49 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=30859 di Fiorenzo Angoscini

Quaderni FLC pinto Quaderni della Piazza, Giuseppe Magurno e Marina Renzi (a cura di), LUIGI. Una storia semplice (con Ezia Valseriati, 2013, pp.94, euro 10,00); GIULIETTA. La tête bien faite (2014, pp.154, euro 10,00); LIVIA. La ricerca dell’umano (2014, pp.144, euro 10,00); ALBERTO. Una questione scientifica (2015, pp.156, euro 10,00); CLEMENTINA. Una concreta utopia (2016, pp.186, euro 10,00); EUPLO, BARTOLOMEO, VITTORIO. Percorsi del lavoro (2016, pp.152, euro 10,00), Federazione Lavoratori della Conoscenza-CGIL Brescia

In occasione del 42° anniversario della strage di Piazza della Loggia (28 maggio 1974) si è conclusa [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

Quaderni FLC pinto Quaderni della Piazza, Giuseppe Magurno e Marina Renzi (a cura di), LUIGI. Una storia semplice (con Ezia Valseriati, 2013, pp.94, euro 10,00); GIULIETTA. La tête bien faite (2014, pp.154, euro 10,00); LIVIA. La ricerca dell’umano (2014, pp.144, euro 10,00); ALBERTO. Una questione scientifica (2015, pp.156, euro 10,00); CLEMENTINA. Una concreta utopia (2016, pp.186, euro 10,00); EUPLO, BARTOLOMEO, VITTORIO. Percorsi del lavoro (2016, pp.152, euro 10,00), Federazione Lavoratori della Conoscenza-CGIL Brescia

In occasione del 42° anniversario della strage di Piazza della Loggia (28 maggio 1974) si è conclusa la “fatica” editoriale intrapresa quattro anni fa dalla Federazione Lavoratori della Conoscenza, quella che era la CGIL Scuola, il sindacato a cui erano iscritti ben cinque degli otto caduti nella piazza bresciana, assassinati dalla bomba fascista del 28 maggio 1974.

E proprio il titolo della collana, coniato appositamente per tale iniziativa, è esplicito, chiaro, inequivocabile: Quaderni della Piazza. Per sottolineare la centralità, ed importanza, di questo luogo.
Simbolo di democrazia, incontro e confronto, area libera nel senso di spazio dove proporre e verificare tesi, avanzare proposte, sostenere convinzioni e adottare decisioni conseguenti.
Nel 2000, durante le manifestazioni (ed occupazione permanente della piazza) per l’ottenimento dei permessi di soggiorno, uno dei migranti protagonista di quelle lotte, definì Piazza della Loggia “il nostro parlamento”.

Questa dichiarazione, o slogan semplificato, rende molto bene il significato che gli si è voluto attribuire, il ruolo che ha svolto, l’importanza che ha assunto.
Nella “Piazza” ci si raduna, ci si incontra, si discute e dibatte, si decide: tutti e tutti insieme.
Un grande esempio di democrazia diretta e partecipata.

Molto significativa l’affermazione, scritta da Pierpaolo Begni, segretario provinciale FLC CGIL di Brescia, nella premessa dell’ultimo “quaderno”, quello dedicato ai tre caduti, lavoratori “manuali” e non “intellettuali” come gli altri cinque, ma che vale per tutti: “Un impegno fatto di attenzione per l’altro e soprattutto voglia di affermare il dissenso rispetto al riemergere del fascismo…precursori del progetto di democrazia radicale che emerse dalle lotte degli anni ’70”.

Il lavoro dei curatori, certosini tessitori ed indagatori delle esperienze umane, culturali, sindacali, politiche e professionali degli otto antifascisti trucidati dopo (molto tempo dopo) la Liberazione dal nazifascismo, è stato condotto con discrezione, eleganza, leggerezza (nel senso di non intrusione invasiva) raccontando molte delle sfaccettature, anche della vita privata, di ognuno di loro. Tracciando dei profili personali molto coinvolgenti.

Andando a briglia sciolta, senza ordine cronologico o d’importanza, si scopre che Bartolomeo Talenti, iscritto alla Federazione Lavorati Metalmeccanici (esperienza ‘unitaria’ di Fiom-Fim-Uilm), era “comunista, convintamente comunista. Ma, per motivi che non conosco (è il figlio Ugo che ricorda ndr) non aveva la tessera del PCI e non era iscritto, di conseguenza, a nessuna sezione. Acquistava e leggeva “ l’Unità” […] Seguiva, naturalmente, con preoccupazione gli attacchi alla democrazia che venivano dall’estrema destra e che avevano toccato anche Brescia. Ed era determinato come tutti gli antifascisti […] Per questo si trovava in Piazza Loggia” , oltre che padre indispensabile, provetto ed abile “basculatore-rampatore” (specializzazione della lavorazione dei fucili da caccia e precisione nell’industria delle armi) e calciatore-ala destra in un ruolo di buon livello professionistico (per i tempi di allora: anni ’40) in due formazioni di serie C: il Mantova (due anni) e il Brescia.

A Brescia, invece, Luigi Pinto foggiano del ’49, giunge nel 1972 per prendere servizio, come insegnante di applicazioni tecniche, presso la scuola media statale di Siviano a Monte Isola1 (Bs) dopo aver girovagato e lavorato in gran parte della penisola, Sardegna inclusa, come perito tecnico, diploma conseguito al termine dall’anno scolastico 1967-’68 presso l’Istituto Tecnico ‘Saverio Altamura’ di Foggia. Mentre frequentava l’Itis, durante le vacanze estive, svolgeva lavori precari e saltuari per potersi pagare i libri di testo dell’anno successivo.Nel settembre del 1973, solo otto mesi prima di essere dilaniato (morirà il 1 giugno 1974) dalla bomba nera, si era sposato con Ada Bardini, insegnante.Luigi era un militante dell’Organizzazione Comunista Avanguardia Operaia.

Alla stessa organizzazione apparteneva anche Giulietta Banzi, insegnante del liceo classico ‘Arnaldo da Brescia’ e moglie dell’ avvocato Luigi Bazzoli, assessore democristiano all’urbanistica del comune di Brescia. Di famiglia e classe agiata, decise di affiancare “gli ultimi del mondo, gli ultimi di un tempo (per) dividere lavoro, amore, libertà”.2. Concorse, con Luigi Pinto, Livia Bottardi, Clementina e Lucia Calzari, Alberto Trebeschi, Pietro Bontempi, ed altri, a fondare il Sindacato CGIL Scuola a Brescia.
Il Nuovo Canzoniere Bresciano le ha dedicato un commovente ricordo musicale (tutto in dialetto) intitolato “La Giulia”,3 parole e musica di Tiziano Zubani.

Quaderni FLC lavoratori Sempre nell’ultimo ‘quaderno’, quello dedicato ai tre ‘operai’, si delinea la storia, la vita e, purtroppo, la morte, di un altro lavoratore ‘manuale’, questa volta della cazzuola, dei mattoni e della calce, dopo essere stato contadino e vignaiolo-cantiniere: Vittorio Zambarda.
Vittorio, inizia giovanissimo la sua attività antifascista, aderisce, subito dopo il 25 aprile, al Partito Comunista Italiano, nel quale milita fino al giorno della strage e della morte e per molti anni è segretario della sua sezione, quella della frazione Campoverde di Salò. Iscritto anche alla Federazione Lavoratori della Costruzioni-CGIL, il 26 maggio 1974, all’età di sessant’anni, due giorni prima della strage, termina una “vita di lavoro” e spera di potersi godere la meritata pensione.

Martedì 28 maggio è a Brescia, oltre che per partecipare alla manifestazione antifascista, anche per perfezionare la pratica di quiescenza, intesa come cessazione dal servizio del lavoratore.
Non riuscirà a “chiudere la pratica” e non potrà usufruire di quella parte di salario differito che mensilmente gli veniva trattenuto. Lo scoppio lo investe e ferisce gravemente. Muore il 16 giugno.

Di Livia, Clementina ed Alberto occorre parlarne collettivamente proprio per l’amicizia che li legava e le attività che condividevano. Livia, trentuno anni da poco compiuti, insegnava materie letterarie alla scuola media “Bettinzoli” ubicata nel quartiere dove anche lei abita; Clementina, coetanea di Livia, docente di Italiano all’ Istituto Magistrale “Veronica Gambara” ed Alberto (marito di Clementina), di poco più “grande”, ha 36 anni quando viene ucciso, laureato in fisica, insegna questa materia all’Itis “Benedetto Castelli” ed è iscritto al PCI. Partito a cui aderisce dopo aver frequentato e “praticato” l’ Oratorio della Pace4 ed essere stato iscritto al Partito Radicale (1957). La famiglia Trebeschi (con tutti i suoi ‘rami’ genealogici) è una delle più note, anche storicamente, dinastie bresciane. I due rami principali si differenziano totalmente ed ideologicamente. Uno, a cui appartiene Alberto, e il fratello Arnaldo, più ‘liberale-libertario’, l’altro, quello dell’ ex sindaco (1975-1985) democristiano Cesare Trebeschi (cugino di Alberto ed Arnaldo) più “conservatore”.5

Insieme e con il marito di Livia, Manlio Milani, la sorella gemella di Clementina, Lucia, suo marito Giorgio Zubani partecipano e contribuiscono ad organizzare le iniziative, e proiezioni, del Circolo del Cinema di Brescia (costituito nel 1966); con altri docenti ed insegnanti, come sopra già detto, fondano il Sindacato CGIL Scuola.
Inoltre, sono tutti, teste pensanti del “Circolo Culturale Arialdo Banfi” di Piazza Garibaldi-Porta Milano che, insieme ed affiancato dal “Circolo Culturale Julian Grimau” di Piazzale Arnaldo-Porta Venezia, sono tra i più attivi e vivaci della città. Anche i più spregiudicati, sia in senso politico che di costume. Per il ruolo e funzione che svolgono sono sempre “sotto tiro”6. A Livia Bottardi Milani, nel 1975, un anno dopo la strage, viene intitolata la sezione bresciana dell’Associazione Italiana Educazione Demografica, con cui aveva iniziato a collaborare nel 1972. Il 27 maggio dello stesso anno anche la biblioteca dell’Istituto Tecnico Commerciale “Cesare Abba” viene ‘intestata’ alla professoressa che, nell’anno scolastico 1972-1973, aveva insegnato lì.

Infine, ma non da ultimo, tutt’altro, incontriamo Euplo Natali, il più anziano (69 anni) delle otto vittime, marchigiano di Iesi (An) migrato a Brescia in cerca del duro mestiere. Per vivere.
Sulle rive del fiume Mella giunge diciottenne, dopo aver conseguito il diploma di Perito Industriale; era un tecnico “sì, non un operaio” tiene a specificare il figlio Elvezio nella sua testimonianza. La precisazione non è una presa di distanza, una discriminante rispetto alla classe operaia, bensì la riaffermazione di quella che in molti definiscono “l’etica comunista del lavoro”. I militanti politici dovevano essere i “migliori”, i più capaci e precisi. Dovevano essere, come sosteneva Brecht, “gli indispensabili”. Sempre a rischio di licenziamento, rappresaglia, trasferimento nei reparti confino erano i più professionalmente diligenti. Ma mai complici e, soprattutto, politicamente conflittuali.
Viene assunto alla Tubi Togni, poi Acciaieria Tubificio Bresciana, ma nel 1941 viene licenziato per motivi politici: è un antifascista convinto.
Grazie alle sue competenze professionali viene subito assunto alla Breda (fabbrica d’armi) e nel 1943, proprio per le sue capacità, viene reintegrato all’ATB.

Dal ’43 al ’45 non si sottrae al lavoro politico, non risulta ufficialmente essere un gappista ma rappresentante del PCI nel Comitato di Liberazione Nazionale della “Stocchetta” (località periferica di Brescia) dove risiede. Dal 1945 al 1948 è segretario della locale sezione comunista.
Terminato il mandato non accetta il rinnovo dell’incarico per “divergenze” con alcuni compagni. Pur essendo un comunista critico: “Rimase, comunque, sempre iscritto al PCI” . Ed alla Federazione Lavoratori Metalmeccanici (secondo la testimonianza del figlio Elvezio).

Purtroppo, recentemente (2013) l’immagine personale e politica di Euplo è stata infangata dalle farneticazioni di un fascista che ha tentato di coinvolgere (legittimato, purtroppo, da una indiretta ma irresponsabile accettazione di confronto che il presidente dell’associazione famigliari delle vittime strage di Piazza della Loggia gli ha concesso, marzo 2011) il militante antifascista e comunista in una impossibile trama perversa secondo cui, Euplo Natali, sarebbe autore e vittima dell’eccidio del 28 maggio 1974. “In primis tra le otto vittime di Brescia c’è un gappista ex-partigiano, Euplo Natali, sul quale si è fatto un insolito silenzio”. Tralasciando lo stile ”letterario”: è un nostalgico di cui non viene citato volontariamente né il nome del fascista in questione, tanto meno il titolo del sedicente romanzo storico di cui è autore, per non concedergli la benché minima “pubblicità”.

Basti ricordare che ad Euplo Natali è stata dedicata (ed è tutt’ora intitolata) la Casa del Popolo di viale Risorgimento, nel quartiere bresciano di Urago Mella. Zona popolare e proletaria nella zona ovest della città. Al suo nome è anche dedicata una Polisportiva che opera nello stesso rione.
Come sempre i fascisti sono ignoranti, stupidi ed arroganti. Oltre che assassini.

In chiusura non posso esimermi dal ricordare che Euplo Natali (ero giovanissimo: 9-10 anni, ed in maniera solo visiva: lo guardavo dalla finestra di casa mia nel Quartiere Primo Maggio, entrare ed uscire, insieme al figlio Rolando, entrambi sempre in bicicletta, dal cancello dell’officina “avvolgimento motori elettrici” dove collaboravano) e Livia Bottardi (che ho avuto come insegnante di Italiano, Storia e Geografia per un anno alle scuole medie inferiori) sono le due vittime della strage che ho avuto modo di conoscere prima dell’eccidio.


  1. Monte Isola è la più grande isola lacustre d’Europa, ed è al centro del Lago d’Iseo  

  2. Tratto da “L’Internazionale” di Franco Fortini  

  3. Che bèla la Giulia che bèla le sguanse culur del lat sintila parlà se lè bèla la te fa namurà. Sintila quand la dis “la vita bisogna doprala a cambiàs noalter e la nostra storia per fal gom le nostre mà”. Quand to sintit a parlà, sie dre a pensà ‘nde per me po’ me so ignit a scusà, sensa gna dit el perchè. E chela matina a la scola quand ghera l’ocupasiu’ disie a chèla sent la de fora sti atenti compagn al purtù. La Giulia la usa ”i fascisti i ria so dai mur la dedrè riciama i compagn stom po atenti se sa ol ndà aanti amo un dè”. Quand to sintit a parlà, sie dre a pensà ‘nde per me po’ me so ignit a scusà, sensa gna dit el perchè. E chela matina so en piasa co l’acqua che ignia so un po rada go dit “ve che sota l’ombrela che fet pò le en mèss a la strada”. La va sota el portec de frèsa en temp per dim l’oltima volta “a venser la sarà la vita” la nostra speransa e la canta. Quando to ìsta per tera, col sanc go pensàt sul a me vulie domandat amò scusa, ta ghet mia ìt vita a se. Che bèla la Giulia, lia bèla le sguanse culur del lat vidila le èn piàsa per tera e me con la oio de usà. La vita lè Giulia la vita che vens chèst tal pode surà e quand che so stracc ma sal dise argota garo bè emparat. Quand to sintit a parlà, sie dre a pensà ‘nde per me po’ me so ignit a scusà, sensa gna dit el perché. Ascoltabile qui: https://www.youtube.com/watch?v=NCYUbrv67Wg  

  4. Vivace ambiente cattolico bresciano, annesso alla omonima Chiesa che appartiene alla Congregazione Oratori di San Filippo Neri  

  5. Per approfondire ulteriormente la figura di Alberto Trebeschi, vedi anche: C. Bragaglio, P. Corsini (a cura di), Alberto Trebeschi. Scritti 1962-1974. Diario, lettere, interventi, Brescia, Luigi Micheletti Editore, 1984  

  6. In luglio ed ottobre del 1969 i locali di Piazzale Arnaldo, dove hanno sede il ‘Circolo Grimau’ e la sezione ‘Aldo Caprani’ del PCI subiscono attentati. Domenica 8 marzo 1970, fascisti provenienti anche da altre province lombarde assaltano le sedi del “Circolo Banfi”, sezione “Giuseppe Gheda” del PCI e “Giuseppe Verginella” dell’ANPI di Piazza Garibaldi. Per questo raid squadristico, una vera e propria spedizione punitiva armata, vengo arrestati alcuni tra i più pericolosi arnesi del neofascismo regionale. Alcuni nomi: Annamaria Romagnoli (moglie di Giancarlo Rognoni) Nestore Crocesi, Francesco Petronio, Edoardo Ceft, tutti di Milano. Raffaele Maio, Enzo De Canio, Piero Raffi di Brescia, Pietro Tedeschi di Gottolengo ed alcuni componenti della cosiddetta banda di Salò: Umberto Lora, Vittorio Manca, Pietro Iotti. Diego Battista Odelli di Borno, Sergio Geroldi di Lovere, Marco Salvetti di Darfo, Federico Ghezza di Piancogno. Tre giorni dopo, una bomba ad alto potenziale distrugge la forneria dei fratelli Verzelletti, posta all’angolo tra via Pusterla e Piazzale Cesare Battisti a Porta Trento, e viene messa in relazione con l’assalto di Piazza Garibaldi. I Verzelleti, noti antifascisti comunisti, erano a difesa della sede. (Notizie tratte da 28 maggio 1974. Strage fascista a Brescia. Dossier di dieci anni di violenza fascista, Edizioni Movimento Studentesco, giugno 1974)  

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Brescia tu sei maledetta! https://www.carmillaonline.com/2016/05/27/brescia-tu-maledetta/ Fri, 27 May 2016 20:50:32 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=30726 di Sandro Moiso

morte in piazzaFascism, wherever it appears, it is the enemy”. Philip K. Dick

Valerio Marchi, LA MORTE IN PIAZZA. Indagini, processi e informazione sulla strage di Brescia, a cura di Silvia Boffelli, Red Star Press, Roma 2015, pp. 355, € 22,00

A Brescia il fascismo sembra non essere mai morto. Ciò non soltanto per la contiguità geografica con i cimeli di Salò, l’ultima capitale del fascismo italiano, ma soprattutto per l’eredità di sangue, intrighi e violenze che quella esperienza aveva portato e ha continuato a portare con sé. Come la strage avvenuta in Piazza della [...]]]> di Sandro Moiso

morte in piazzaFascism, wherever it appears, it is the enemy”. Philip K. Dick

Valerio Marchi, LA MORTE IN PIAZZA. Indagini, processi e informazione sulla strage di Brescia, a cura di Silvia Boffelli, Red Star Press, Roma 2015, pp. 355, € 22,00

A Brescia il fascismo sembra non essere mai morto. Ciò non soltanto per la contiguità geografica con i cimeli di Salò, l’ultima capitale del fascismo italiano, ma soprattutto per l’eredità di sangue, intrighi e violenze che quella esperienza aveva portato e ha continuato a portare con sé. Come la strage avvenuta in Piazza della Loggia il 28 maggio 1974 ben contribuì a dimostrare e che in mille forme sembra essere giunta fino ai giorni nostri.

Proprio per questo motivo la riedizione del testo di Valerio Marchi, pubblicato per la prima volta una decina di anni prima della scomparsa dell’autore,1 si rivela ancora particolarmente utile. Non soltanto per riflettere sulla lunga serie di indagini, depistaggi e processi che da quel vile attentato presero il via ma, e forse soprattutto, per la riflessione che l’accurato lavoro di indagine svolto all’epoca dall’autore, oggi arricchito dalla bella ed aggiornata postfazione curata da Silvia Boffelli, costringe a fare sull’uso che di quella strage e della sua immagine e del suo ricordo è stato fatto non solo per ridisegnare i confini del conflitto politico tra le classi, ma anche della memoria collettiva.

Oggi, in tempi di referendum destinati a modificare pesantemente le garanzie costituzionali, in presenza di riforme del lavoro che riportano agli anni precedenti i conflitti degli anni sessanta e settanta la condizione dei lavoratori e dei giovani disoccupati e di criminalizzazione integrale di qualsiasi forma di dissenso che possa far anche solo balenare lo spettro della lotta di classe, si può tranquillamente affermare che quella strategia, troppo semplicemente definita fin da allora come “strategia della tensione”, ha vinto. Momentaneamente magari, come sempre avviene nel ciclo lungo dello scontro tra capitale e lavoro, ma sicuramente per il momento storico che stiamo attraversando. Non solo in Italia, ma a livello europeo.

Che il fascismo più criminale, dalla guerra civile iniziatasi nel 1921 fino agli anni del terrorismo nero oppure delle ben più recenti aggressioni ai giovani profughi riparati nell’Alta Valle Trompia, sia soltanto e sempre uno strumento al servizio del capitale, un tempo agrario ed industriale ed oggi finanziario, lo si poteva facilmente dedurre seguendone il percorso storico e individuale dei suoi rappresentanti palesi ed occulti oppure cogliendo il significato profondo della mancata applicazione di qualsiasi tipo di epurazione reale nelle file della burocrazia statale e dei rappresentanti più compromessi del mondo politico avvenuta fin dai tempi dell’amnistia Togliatti, promulgata con il decreto presidenziale n.4 del 22 giugno 1946.

Quello che, forse, fino ad ora non è mai stato colto nella sua interezza era, e rimane, costituito dal fatto che le strategie di uso della manovalanza fascista e dei servizi , tutt’altro che deviati, erano e permangono di lungo periodo. Periodo talmente lungo da far sì che anche la memoria collettiva possa essere cancellata e manipolata, fino ad essere rovesciata nel contrario di ciò che all’inizio era stata.

Sotto questo punto di vista l’attenzione prestata da Valerio Marchi e dalla “continuatrice” della sua opera, Silvia Boffelli appunto, al modo in cui gli strumenti di informazione e il mondo politico, fin dal primo giorno dell’attentato di piazza della Loggia, hanno presentato e ricostruito i fatti e le responsabilità effettive costituisce forse la parte più importante del libro. Perché il discorso pubblico portato avanti dai media e dai rappresentanti delle istituzioni, da allora in poi, ha contribuito a ridefinire i percorsi della memoria in una maniera distorta e fuorviante che, nella confusa e interclassista iniziativa delle formelle dedicate a tutte le vittime indistinte della violenza “politica”, ha raggiunto proprio a Brescia la sua concreta e piena formalizzazione.

E se si trattasse soltanto delle formelle sulle quali i bresciani e i turisti pongono distrattamente i piedi mentre passeggiano per il centro storico forse non varrebbe nemmeno la pena di parlarne ancora.2 Piuttosto rimane il problema, già sollevato da un vecchio comunista fin dagli anni del secondo dopoguerra3, di un antifascismo istituzionalizzato che “sarebbe stato il più disgraziato e pernicioso prodotto del fascismo”. Questo tipo di antifascismo, che ha definito il fascismo solo in rapporto allo stato liberale e democratico e non in termini di dominio di classe, ha così contribuito, in tempi lunghi quasi quanto gli eoni evocati da Lovecraft nel suoi romanzi dell’orrore, ad assimilare il fascismo a qualsiasi forma di violenza o di azione tesa a spodestare il dominio del capitale sulla specie umana.

In questo modo i morti di piazza della Loggia, quasi tutti militanti politici e/o sindacali, sono stati “affratellati” nelle rievocazioni più recenti ai fascisti caduti per mano della reazione di classe alle loro violenze e agli assassini di Stato dalle mani macchiate di sangue operaio e studentesco. Così l’anarchico Serantini, ucciso dalla polizia a Pisa, è affiancato, nel severo e osceno ordine cronologico del percorso, al commissario Calabresi dalla triste fama. Senza vergogna, impudicamente e con grande strombazzamento di discorsi sentimental-catto-patriottici. Falsi, tutti, come uno spin-off di Beautiful.

L’obiettivo di tale politica del ricordo e dello “strazio” pubblico diventa così quello di piangere gli assassini prezzolati insieme alle loro vittime, accomunando tutti nel grande mare della pietà e dell’interesse della riappacificazione nazionale. Magari quella a cui mirava già l’appello “ai fratelli in camicia nera” rivolta nel 1936 dai vertici del Partito Comunista ai fascisti. E di cui le attuali politiche renziane potrebbero essere il frutto supremo e finale.

Ma non corriamo troppo. Riprendiamo il discorso dal testo, per esempio là dove, sulla base degli studi di De Lutiis e Flamini sui servizi segreti e gli apparati politico-militari dello Stato italiano, Marchi sottolineava come “nell’ambito degli ambienti golpisti italiani, nel 1974 giunge a compimento una sorta di resa dei conti tra due differenti visioni delle strategie eversive da seguire: a confrontarsi sono da un lato quella che Flamini definisce l’«ala golpista radicale», che utilizza massicciamente l’estremismo neo-fascista e opera per instaurare in Italia una dittatura militare,e dall’altro quei settori che, pur utilizzando gli stessi sistemi, considerano questo tipo di regime ormai obsoleto,inadatto a gestire uno Stato a sviluppo industriale avanzato, e che operano attraverso la strategia della tensione per favorire l’avvento di una repubblica presidenziale, autoritaria, saldamente inserita nel modello occidentale non soltanto nel campo delle scelte geo-politiche, ma anche in quello delle forme istituzionali.” (pag.48)

Citando, poi, a conferma un testo di De Lutiis, là dove si afferma, quasi profeticamente, che: “I settori meno rozzi del «golpe invisibile» preparano una soluzione diversa da quella del colpo di stato militare. L’alternativa è un golpe incruento, che dovrà avere caratteristiche di riforma istituzionale e venature «di sinistra». Sarà appoggiato dalla parte più moderna del mondo industriale italiano e tenderà a inserire l’Italia – priva del «pericolo comunista» – in un contesto europeo più efficiente […] E’ il progetto noto come «golpe bianco […] che ha come propugnatori Edgardo Sogno e Luigi Cavallo, ma gode di simpatie in un vasto arco politico […] oltre che l’appoggio determinante della Fiat. Per attuare questo piano è preliminarmente necessario sgombrare il campo dagli ambienti coinvolti nei progetti golpisti più rozzi4 “ (pag.51)

Fin qui, dunque, il discorso sul fascismo e sul suo uso è abbastanza chiaro: manovalanza terroristica buona sia per un golpe un po’demodé, come quello auspicato dai settori più arretrati dell’esercito e delle istituzioni, sia come soggetto su cui scaricare la responsabilità terroristica di una strategia che ha in ambienti più moderni i suoi ideatori che, proprio in nome della difesa della democrazia e dell’interesse nazionale (in realtà sovranazionale e finanziario), chiamano all’union sacrèe tra le classi contro ogni forma di violenza e di opposizione (soprattutto di classe).

Il fatto poi, come i vari processi hanno in seguito dimostrato, che non si sia mai davvero giunti ad una piena resa dei conti “istituzionale”, ma piuttosto ad una sorta di “Patto del Nazareno” ante-litteram e di opportunistica convenienza per le varie parti in causa non cambia di molto il senso del tutto. Se non che “il segreto di Stato” più volte invocato ed utilizzato per impedire, nel corso dei vari processi, di giungere alla piena affermazione della verità e deviarne invece le conclusioni, è oggi ancora estremamente di moda. Una sorta di “per il bene della causa” che tutto deve coprire e giustificare. Confermando così, senza neanche voler troppo stupire i lettori, che il capitalismo non può e non deve processare se stesso. Toccherà ad altri e in altri contesti storici e sociali farlo.

Resta però, sintetizzando forse fin troppo un testo la cui lettura è davvero molto interessante e coinvolgente, un problema in gran parte irrisolto: perché proprio Brescia fu scelta per costituire quasi il centro di una strategia che, comunque, si manifestò e colpì in più parti d’Italia? Come mai il fascismo era, e rimane ancora, così forte in tale realtà? Una realtà in cui lo squadrismo locale (si pensi soltanto al camerata Silvio Ferrari saltato in aria, con la bomba che stava trasportando sul suo scooter, pochi giorni prima della strage) si mescolava, come per certi versi ancora oggi, con le tifoserie calcistiche e gli uomini degli apparati di “sicurezza e disinformazione” oltre che con un tessuto economico ed imprenditoriale che, sia nell’agricoltura che nell’industria, rimpiangevano, e forse rimpiangono ancora, gli anni della repubblica delle camicie nere e del cattolicesimo più retrivo.

via mancini 1 Una realtà, però, fatta anche, all’epoca, di fabbriche e di forti sindacati, di fiducia nella sinistra istituzionale, di un cattolicesimo sociale che costituiva un po’ l’anima della sinistra DC, in cui la presenza della memoria della lotta partigiana, sia di sinistra che cattolica era ancora molto forte e presente. In cui, però, era forse assente un’autonomia di classe che permettesse nella città e nel territorio circostante quelle forme di auto-organizzazione operaia e giovanile che nelle vicina metropoli industriale di Milano non avevano comunque permesso uno sviluppo, in proporzione, altrettanto ampio del fenomeno e della militanza fascista. Costretta, in qualche modo, ad “emigrare” in quel di Brescia dove, evidentemente, si sentiva più sicura e protetta.

Insomma, forse la coscienza sinceramente anti-fascista della città e dei suoi lavoratori aveva trovato nel “semplice” anti-fascismo il suo limite stesso. Antifascismo spontaneo e sincero che si trovò a fare i conti con una delle stragi più odiose della storia d’Italia e, immediatamente, con una reazione delle forze dell’ordine, di una parte delle istituzioni e di alcuni giornali nazionali che miravano a negare da subito le effettive responsabilità. Ma che non seppe andare al di là della denuncia e dell’attesa di una giustizia di Stato e istituzionale che non avrebbe mai potuto soddisfare le aspettative dei famigliari delle vittime e di tutti coloro che al fascismo volevano opporsi. Favorendo così, indirettamente, anche quel progetto di lungo periodo che nelle manifestazioni istituzionali odierne e nelle scelte della Casa della Memoria vede ancora impegnati alcuni dei suoi protagonisti.

Ecco perché, ancora oggi, la maledetta strage di Brescia non può essere trattata soltanto come Storia oppure ridotta a mera vicenda giudiziaria o, ancor peggio, ad innocua memoria della paura e del dolore. Ciò che l’ha prodotta vive ancora oggi. In mezzo a noi e sui nostri schemi televisivi, sui social e nelle campagne forsennate di riforma istituzionale e del lavoro. Vive nel taglio della spesa sociale e nell’uso dei migranti come ricatto o come paravento. Vive nel lavoro sottopagato e nelle violenze impunite delle forze del disordine. Vive nelle aggressioni ai compagni e agli immigrati. Vive e non è ancora affatto morto.francia-scioperi
E se il suo nome è Fascismo, di cognome fa Capitalismo.
Sarà però la specie nel suo insieme a metterli entrambi in definitiva liquidazione.

N.B.
La foto in bianco e nero, sopra riprodotta, riguarda l’assalto di massa alla sede del Movimento Sociale Italiano di via Mancini a Milano, nell’aprile del 1975, quando la stessa fu incendiata e gravemente danneggiata.


  1. Valerio Marchi (Roma 1955 – Polignano a Mare 2006) è stato fondatore della “Libreria Internazionale” di San Lorenzo e interprete del conflitto giovanile oltre che sociologo estremamente attento alle dinamiche attraverso le quali l’informazione mainstream legge e deforma larealtà. Tra le sue opere si vanno ricordate Teppa (Red Star Press), Ultrà. Le culture giovanili negli stadi d’Europa (Hellnation Libri/Red Star Press), La sindrome di Andy Capp. Culture di strada e conflitto giovanile (2004) e Il derby del bambino morto. Violenza e ordine pubblico nel calcio (2005 e 2014)  

  2. L’argomento è già stato affrontato su Carmilla in almeno due occasioni: https://www.carmillaonline.com/2016/05/24/le-formelle-della-memoria-corta-manipolata/
    https://www.carmillaonline.com/2015/06/10/formelle-di-stato/  

  3. Amadeo Bordiga  

  4. G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Roma, editori Riuniti 1991, pag.196  

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