Santi subito! Personaggi da ri(s)valutare – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 22 Feb 2025 05:59:59 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Godzilla coolpop https://www.carmillaonline.com/2022/03/06/godzilla-coolpop/ Sun, 06 Mar 2022 21:39:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=70685 di Mauro Baldrati

Anche noi abbiamo contribuito, in tempi non sospetti, alla genesi di uno dei fenomeni moderni non solo mediatici: il personaggio coolpop. Infatti è stato cucito addosso al corpo, all’immagine, allo stesso DNA di Franco Arminio, con alchimie ignote anche ai più esperti ricercatori, il mantello di zibellino del poeta coolpop. E’ fatta. Ora può creare da sé la propria drammaturgia, e il rating del mercato mediatico stabilisce che può scrivere qualunque cosa, anche la lista della spesa, che sarà contesa dai giornali, persino dalla televisione. Ogni virgola, [...]]]> di Mauro Baldrati

Anche noi abbiamo contribuito, in tempi non sospetti, alla genesi di uno dei fenomeni moderni non solo mediatici: il personaggio coolpop. Infatti è stato cucito addosso al corpo, all’immagine, allo stesso DNA di Franco Arminio, con alchimie ignote anche ai più esperti ricercatori, il mantello di zibellino del poeta coolpop. E’ fatta. Ora può creare da sé la propria drammaturgia, e il rating del mercato mediatico stabilisce che può scrivere qualunque cosa, anche la lista della spesa, che sarà contesa dai giornali, persino dalla televisione. Ogni virgola, ogni sospiro deve essere esibito/ascoltato, perché si tratta di un segnale emesso dal grande poeta, che possiede una forza dirompente alla quale è inutile resistere. E’ come una fonte miracolosa che dispensa visibilità, attenzione, ascolto, ovvero ricchezza. Tutti desiderano avere la loro parte. E se il lettore, di fronte a una poesia come la seguente, uscita sul Fatto quotidiano, prova un senso iniziale di incertezza, subito scatta l’aggancio: è l’ultima esternazione del poeta coolpop, non si discute, si può solo bere a quella fonte.

Se poi Franco Arminio presenta il suo ultimo libro è necessario almeno un cinema. Parlerà come un umano, perché è umano; il personaggio idealizzato che si porta addosso deve comunque sottostare alle normali leggi della termodinamica. Ma se qualcuno si sentirà come il giovane Narratore della Recherche quando, dopo mesi di appostamenti nel cortile del palazzo dove abita con la famiglia per idolatrare la duchessa di Guermantes che esce di casa, finalmente sarà ammesso nel suo mitico salotto popolato dai semidei, e resterà incredulo e deluso nel constatare quanto gli esseri superiori che ha tanto sognato sono così umani, così normali, questo senso di squilibrio sarà di breve durata, poco più di un soffio di brezza autunnale: è la voce del grande poeta che sta ascoltando. Sta vivendo un evento, e ogni secondo, ogni tremito va gustato in silenzio e con rispetto, lentamente.

Il personaggio coolpop non è solo oggetto di adorazione. Le critiche, persino gli insulti non mancano. I poeti che cercando di sopravvivere nello spazio ridotto che la società culturale riserva alla poesia si dimostrano addirittura indignati dai versi di Arminio. Alcuni li postano sui social, come esempi di non-poesia, testi da scuola media inferiore spezzati dagli a-capo spacciati per prosodia; fioccano commenti come “Che vergogna”; “Non ci posso credere”; “Non sta bene”. Ma il titolare del personaggio non li teme. Sotto la superficie uniforme, spianata al decimo di millimetro dal suo grader personale, agisce un enorme file di trilioni di KB che tutto sistema, tutto combina chimicamente e ne sfrutta l’energia. Le polemiche, il gossip, così come le dichiarazioni d’amore, sono per il personaggio coolpop la forza motrice, come per Godzilla lo sono le esplosioni e le radiazioni nucleari. Diventa sempre più enorme, sempre più potente e indistruttibile. Tutto serve. Tutto gli appartiene. Compreso questo articolo naturalmente.

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Il comodo divano della upper class https://www.carmillaonline.com/2020/04/17/il-comodo-divano-della-upper-class/ Fri, 17 Apr 2020 21:00:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=59507 di Mauro Baldrati

Franco Arminio è un poeta cool. Uno alla moda. Già da questa premessa uno potrebbe dire: tu sei invidioso. Non potrei negarlo. L’invidia è un sentimento umano, troppo umano. È anche una delle malattie professionali di molti scrittori, insieme all’insonnia e alla paranoia dei rumori. L’importante è esserne consapevoli. Non negare, né rimuovere. Così possiamo dominarla, l’invidia, e non farci dominare da lei.

Ma io non sono invidioso di Franco Arminio come poeta, per un motivo che spiegherò più avanti. No, se l’invidia c’è, lo sono per il [...]]]> di Mauro Baldrati

Franco Arminio è un poeta cool. Uno alla moda. Già da questa premessa uno potrebbe dire: tu sei invidioso. Non potrei negarlo. L’invidia è un sentimento umano, troppo umano. È anche una delle malattie professionali di molti scrittori, insieme all’insonnia e alla paranoia dei rumori. L’importante è esserne consapevoli. Non negare, né rimuovere. Così possiamo dominarla, l’invidia, e non farci dominare da lei.

Ma io non sono invidioso di Franco Arminio come poeta, per un motivo che spiegherò più avanti. No, se l’invidia c’è, lo sono per il suo status di personaggio smart. Perché appartiene a quella élite upper class cui tutto è concesso. Quelli come lui se desiderano una cosa devono solo allungare una mano e prenderla. Non ci sono barriere tra loro e l’oggetto del desiderio. Nessun ostacolo. E’ nella loro natura. Lo è dalla nascita.

Il motivo di questo fenomeno è ignoto. Come ignote sono le cause scatenanti dell’amore, dell’arte, della fede religiosa. Fanno parte della storia millenaria della nostra specie. Di sicuro gli appartenenti a questa élite, come canta Frankie, “si sentono meglio”. È tutto molto comodo, e facile. Mentre per noi che ci agitiamo nella working class ogni piccolo gesto è carico di complicanze e di fatiche. Dobbiamo combattere duramente per raggiungere i nostri obiettivi, anche minimi, e spesso falliamo. E non ci sentiamo affatto meglio.

Per upper class e cool non intendo la ricchezza. I soldi non c’entrano. O meglio, non sono tutto. Un esempio molto significativo di cosa intendo è dato da un flash nel bellissimo Just Kids di Patti Smith. Janis Joplin era sempre attorniata da ancelle, ragazze che la seguivano ovunque e la accudivano. Accadeva che dopo i concerti Janis adocchiasse qualche giovanotto attraente. Allora cercava di sedurlo, di portarselo in camera, per scacciare la tristezza cronica che la perseguitava. Dopo una serata di chiacchiere, di risate, di canne, il giovanotto, d’un tratto se ne andava con una delle ancelle, che per tutta la serata non aveva quasi aperto bocca. E Janis ci rimaneva con un palmo di naso. Così si ritirava in camera, da sola, piangeva disperata e si strafaceva. Più di una volta Patti l’ha accompagnata per consolarla, tenendole la mano.

Franco Arminio è come quell’ancella. Gli basta uno sguardo, un gesto, e tutto diventa cremoso, e dolce. Ho visto un’intervista televisiva, lui in uno scenario dei suoi magnifici appennini. A un certo punto l’intervistatrice gli ha chiesto come mai non scrive romanzi. Franco Arminio ha risposto che non lo fa perché la narrativa è governata dal tempo, e lui non vuole essere dipendente dal tempo. Una risposta perfetta. Infatti l’intervistatrice era rapita. Spalancava gli occhi straripanti di ammirazione e sbatteva continuamente le palpebre. Stava assistendo a una scena epica. Il Poeta che rivelava una grande verità. Un momento irripetibile.

Ecco la differenza tra Franco Arminio e me. Se anch’io riuscissi a essere smart, a una domanda perché non scrivo poesia risponderei che la poesia è governata dalla rarefazione del tempo, e io non voglio dipendere dalla rarefazione del tempo. Invece cosa risponderei? Che non scrivo poesia perché non ne sono capace. Una rispostaccia. L’intervistatrice non spalancherebbe gli occhi, ma alzerebbe le sopracciglia con un imbarazzato “oh”. Ecco perché non sono invidioso del poeta Franco Arminio: perché non so scrivere poesia. Non ne vado fiero. È un limite che mi fa soffrire. Ma non riesco a trovare un modo fascinoso per dirlo. E sono costretto a esprimermi conformemente alla mia classe.

La mia classe è la più dura, e la più faticosa. Siamo in guerra. La guerra eterna. Per restare a galla, per andare avanti. Per non recedere nella over: la povertà, il precariato perenne, l’emarginazione. Se si fa politica, poi, è la sconfitta garantita. In realtà se si è giovani, e in buona salute, conviene rompere. Meglio mandare al diavolo il mondo con la sua teoria dell’ingiustizia, col culto del denaro e del privilegio. Henry Miller, un secolo fa, fece questa scelta. Ne parla diffusamente in Plexus, secondo me il suo capolavoro. A New York lavorava come direttore del personale alla Western Union. Tutti i giorni andava al lavoro, doveva gestire un’umanità pazzoide, derelitta, i disperati, i fattorini precari. Perché, si chiedeva, devo lavorare dalla mattina alla sera rischiando la pazzia, con l’incubo dell’affitto pagare, delle bollette, chinando il capo di fronte ai superiori, per poi accanirmi sui più deboli? All’inferno la Società Cosmodemonica, addio all’America puritana e conformista. Così spaccò tutto. Piantò il lavoro, gli impegni, e fuggì nella città dei suoi sogni, Parigi, con dieci dollari in tasca. Iniziò una nuova vita, una vita da marginale, da artista squattrinato. Da happy rock.

Franco Arminio non ha questa esigenza.
Gli basta il suo morbido, strano destino di poeta cool di successo.
Ha tutto ciò che gli serve.
Franco Arminio si sente meglio.

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Craxi e Ricraxi https://www.carmillaonline.com/2020/01/19/craxi-e-ricraxi/ Sun, 19 Jan 2020 20:57:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=57490 di Alessandra Daniele

L’installazione dei missili nucleari NATO a Comiso. Le complicità neocolonialiste in Somalia. Lo smantellamento della Scala Mobile che adeguava i salari al costo della vita. La retorica delle Riforme adoperata per cancellare diritti e garanzie. Il doppio accordo spartitorio con la Democrazia Cristiana a livello nazionale, e col PCI a livello locale, per l’occupazione bulimica di tutti i posti di potere raggiungibili, la cosiddetta “politica dei due forni”. L’epurazione del Partito Socialista Italiano da qualsiasi traccia di socialismo, e la sua trasformazione in lista personale, Cerchio Magico [...]]]> di Alessandra Daniele

L’installazione dei missili nucleari NATO a Comiso.
Le complicità neocolonialiste in Somalia.
Lo smantellamento della Scala Mobile che adeguava i salari al costo della vita.
La retorica delle Riforme adoperata per cancellare diritti e garanzie.
Il doppio accordo spartitorio con la Democrazia Cristiana a livello nazionale, e col PCI a livello locale, per l’occupazione bulimica di tutti i posti di potere raggiungibili, la cosiddetta “politica dei due forni”.
L’epurazione del Partito Socialista Italiano da qualsiasi traccia di socialismo, e la sua trasformazione in lista personale, Cerchio Magico di fedelissimi, cortigiani e miracolati.
Il minaccioso disprezzo per critiche e dissenso. La vanagloria faraonica.
La corruzione elevata a sistema, a infrastruttura statale, e rivendicata come imprescindibile strumento di azione politica.
Bettino Craxi non è soltanto una delle più perniciose incarnazioni dell’arroganza del potere che la Storia d’Italia ricordi. È anche l’origine dell’orrido timeloop nel quale siamo prigionieri.
Un sub-universo che si forma negli anni ’80. Come quello di Donnie Darko.
Risvegliando il nefasto archetipo mussoliniano del cosiddetto “uomo forte”, Bettino Craxi il Decisionista dà inizio a quella serie di Cazzari, a quella spirale discendente di Re Sòla che arriva fino a Matteo Salvini.
Negli anni ’80, Craxi consegna tutta la televisione commerciale a quello che sarà il primo dei suoi successori nella spirale, Silvio Berlusconi, facendone il Demiurgo del sub-universo italico appena formato. Mentre i viceré craxiani alla Rai, per una barzelletta, ordinano il Daspo TV per Beppe Grillo, accreditandolo come martire della satira, dell’onestà e del libero pensiero agli occhi dei futuri grillini.
Craxi è il punto d’origine.
Per questo il suo spettro continua ad apparire per indicare la strada (sbagliata) ai suoi successori, gusci sempre più vuoti.
Matteo Salvini non lavora per i russi.
Non lavora per gli americani.
Matteo Salvini non lavora.
Si esibisce.
Ha cominciato come concorrente Mediaset de Il Pranzo è Servito, adesso batte le campagne – elettorali – baciando mortadelle e rosari (in quest’ordine) e mangiando tutto quello che gli passa davanti, nell’attesa spasmodica di tornare Re Sòla.
Anche Matteo Renzi, che di Craxi si ritiene l’unico erede legittimo, non si rassegna che il suo giro di giostra come Cazzaro in carica sia già finito, e continua ad azzannare le caviglie del bisConte.
Mentre la spirale decade però le iterazioni diventano sempre più rapide, il sub-universo s’avvia all’implosione.
Che sia salvino o sardino, il prossimo a svegliarsi come Donnie Darko al richiamo dello spettro del Duce Decisionista potrebbe non fare neanche in tempo ad alzarsi dal letto.

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Alla catena https://www.carmillaonline.com/2018/07/29/alla-catena-2/ Sun, 29 Jul 2018 18:40:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=47558 di Alessandra Daniele

Fiat-logo.JPG[I media celebrano Marchionne come fecero con Wojtyla. Il capitalismo è religione d Stato. Ho scritto e pubblicato per la prima volta questo racconto sulla fabbrica secondo il “metodo Marchionne” nel 2010]

– Dovreste essere contenti che la Fabbrica abbia deciso di riportare la produzione di operai in Italia. – Sì, ma le condizioni… – Sono le stesse già applicate con successo in tutta l’Europa dell’est – dice l’amministratore – Gli embrioni umani vengono coltivati in vitro, in batterie da dodici. Al sesto mese di sviluppo accelerato, vengono inseriti nel meccanismo produttivo attraverso una serie [...]]]> di Alessandra Daniele

Fiat-logo.JPG[I media celebrano Marchionne come fecero con Wojtyla. Il capitalismo è religione d Stato. Ho scritto e pubblicato per la prima volta questo racconto sulla fabbrica secondo il “metodo Marchionne” nel 2010]

– Dovreste essere contenti che la Fabbrica abbia deciso di riportare la produzione di operai in Italia.
– Sì, ma le condizioni…
– Sono le stesse già applicate con successo in tutta l’Europa dell’est – dice l’amministratore – Gli embrioni umani vengono coltivati in vitro, in batterie da dodici. Al sesto mese di sviluppo accelerato, vengono inseriti nel meccanismo produttivo attraverso una serie di innesti biomeccanici collegati alla catena di montaggio, e iniziano il loro lavoro.
– Fisicamente collegati ai macchinari? – Chiede il delegato.
– Certamente – l’amministratore annuisce compiaciuto – Appositi macchinari che provvedono anche al loro sostentamento, attraverso l’immissione di fluidi nutritivi direttamente nel flusso sanguigno, allo sporadico inserimento di sostanze solide nell’apparato digerente per evitarne l’atrofia, grazie a un catetere esofageo, e al drenaggio ed eliminazione delle scorie attraverso una sonda rettale.
Il delegato osserva l’immagine sullo schermo.
– E questa mascherina a cosa serve?
– All’interfaccia visiva. Viene applicata dopo la rimozione dei bulbi oculari, e collega direttamente il nervo ottico degli operai al computer centrale della fabbrica – l’amministratore sorride – Niente più problemi di distrazione.
– Rimozione dei bulbi oculari?
– Sì, insieme agli organi sessuali, e altre parti del corpo inutili al processo produttivo.
– Ma è previsto che gli operai non facciano altro che lavorare 24 ore al giorno?
– No, questo ne pregiudicherebbe l’efficienza. Ogni dieci ore di lavoro ne vengono chimicamente indotte due di sonno ipnotico, durante le quali si approfitta per aggiornare il loro condizionamento mentale.
– E resteranno così collegati ai macchinari per tutta la vita?
– Finché non verranno superati da un modello più efficiente.
– Gli operai?
– No, i macchinari. Gli operai risulteranno in esubero, e verranno disconnessi. Poi saranno rottamati.
– I macchinari?
– No, gli operai.
Il delegato fissa l’immagine sullo schermo.
– Possono sopravvivere disconnessi dalle macchine?
L’amministratore si stringe nelle spalle.
– No, ma gli ammortizzatori sociali non sono un problema dell’azienda.
Il delegato scuote la testa.
– Non so quanto queste condizioni siano accettabili…
L’amministratore lo interrompe in tono oltraggiato.
– Opporsi al progresso per ragioni puramente ideologiche sarebbe un errore gravissimo – lo redarguisce – E mi costringerebbe ad attivare l’inibitore a scariche elettriche che lei e tutti i suoi colleghi avete saggiamente acconsentito a farvi installare alla base del cranio, dopo la scorsa trattativa. Allora, qual è la sua decisione? – Chiede l’amministratore puntando il telecomando dell’inibitore.
Il delegato china la testa.

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Gli altri mondi di Almerigo Grilz https://www.carmillaonline.com/2017/07/02/gli-altri-mondi-amerigo-grilz/ Sun, 02 Jul 2017 02:10:50 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=39237 di Claudia Cernigoi

Nel mese di maggio 2017 a Trieste ci siamo trovati di fronte ad un bombardamento mediatico degno di miglior causa finalizzato a glorificare la figura del fu militante neofascista Almerigo Grilz, che è stato addirittura definito «il primo giornalista italiano caduto su un campo di battaglia dalla fine del Secondo conflitto mondiale»[1]. Dopo una mostra a lui dedicata (“I mondi di Almerigo”), sponsorizzata del Comune di Trieste (amministrato dalla destra), è seguita l’installazione di un’altra mostra (anche questa sponsorizzata dall’amministrazione comunale), in cui l’associazione Gli occhi della guerra (della quale parleremo più avanti) ha esposto foto [...]]]> di Claudia Cernigoi

Nel mese di maggio 2017 a Trieste ci siamo trovati di fronte ad un bombardamento mediatico degno di miglior causa finalizzato a glorificare la figura del fu militante neofascista Almerigo Grilz, che è stato addirittura definito «il primo giornalista italiano caduto su un campo di battaglia dalla fine del Secondo conflitto mondiale»[1]. Dopo una mostra a lui dedicata (“I mondi di Almerigo”), sponsorizzata del Comune di Trieste (amministrato dalla destra), è seguita l’installazione di un’altra mostra (anche questa sponsorizzata dall’amministrazione comunale), in cui l’associazione Gli occhi della guerra (della quale parleremo più avanti) ha esposto foto di Grilz e dei suoi ex camerati nel Fronte della Gioventù triestino, con lui fondatori dell’Agenzia di stampa Albatross: Fausto Biloslavo e Gian Micalessin. Infine si è svolta nell’aula del Consiglio comunale la commemorazione istituzionale della «figura e la vicenda umana, politica e professionale di Almerigo Grilz»[2]

Almerigo Grilz non è morto per salvare la vita a un bambino, come i tre inviati della Rai (Marco Lucchetta, Saša Ota, Dario D’Angelo) a Mostar il 28/1/94; né è stato ucciso (come Ilaria Alpi e Miran Hrovatin a Mogadiscio il 20/3/94) in esecuzione di un ordine emanato da chi temeva che l’inchiesta condotta dalla giornalista scoperchiasse il verminaio che era in corso in Somalia. Inoltre Grilz non si trovava in Mozambico a svolgere un servizio pubblico: si era unito alle truppe guerrigliere della Renamo per far conoscere la loro “guerra dimenticata”, cioè praticamente fungeva da loro ufficio stampa. E cos’era la Renamo?

Torniamo indietro di qualche anno: nel 1974 la “rivoluzione dei garofani” portoghese mise fine a decenni di dittatura e l’anno dopo concesse l’indipendenza alle colonie portoghesi in Africa, tra le quali il Mozambico, che si diede un ordinamento di tipo socialista, ma essendo stato saccheggiato per decenni dai suoi colonizzatori era un paese poverissimo. Già dal 1976 il Sudafrica dell’apartheid, preoccupato per la vicinanza di un paese governato da forze progressiste, finanziò, assieme alla Rhodesia razzista, la guerriglia della Renamo (Resistenza Nazionale del Mozambico), che combatté una guerra “sporca” (la maggior parte delle azioni era rivolta contro la popolazione civile, con stupri e massacri, mutilazioni dei contadini, incendio di scuole e di ospedali) contro il governo legittimo del Mozambico. Leggiamo un articolo del 1990 del giornalista e scrittore Kurt Vonnegut (che era un giornalista e scrittore liberal, ma non certo un “comunista”): «il nostro Dipartimento di Stato (degli USA, n.d.r.) stima che il Renamo (sarebbe corretto dire la Renamo, ma nel testo viene usato il maschile, n.d.r.) abbia ucciso più di 100.000 mozambicani soltanto dal 1987 compresi almeno 8.000 bambini sotto i cinque anni, la maggior parte dei quali era stata portata nella savana, dove erano morti di fame. Il nostro Governo può aver spalleggiato in segreto il Renamo nel passato, perché il Mozambico era dichiaratamente marxista e anche il Sudafrica faceva lo stesso apertamente e senza alcuna vergogna».

Vonnegut cita inoltre un commento di un volontario dell’organizzazione di aiuti CARE, che disse della Renamo che se avessero preso il potere non avrebbero saputo che fare perché «tutto quello che sapevano dei trasporti era come sparare a qualsiasi cosa osasse muoversi. Tutto quello che sapevano degli ospedali e delle scuole era come bruciarli o farli saltare».

D’altra parte abbiamo anche le testimonianze di pediatri dell’ospedale materno-infantile di Trieste, che negli stessi anni in cui Grilz faceva da press-agent alla criminale guerriglia della Renamo, avevano partecipato ad un progetto di cooperazione con l’ospedale di Maputo, per aiutare il giovane stato a sollevarsi dall’arretratezza medica: questi volontari hanno visto in prima persona come erano stati ridotti i bambini dalle violenze della guerriglia “dimenticata” che Grilz voleva “documentare”.

Torniamo a sentire Vonnegut: «il Mozambico (…) era giovane come nazione. E una delle prime cose che voleva fare era imparare a leggere e scrivere e un poco di matematica. Il Renamo continua a fare del suo meglio per impedire che ci riesca – con armi dell’ultimo tipo e attrezzature per le comunicazioni che arrivano ancora Dio sa da dove»[3].

Per citare un’altra fonte che si presume attendibile, leggiamo nella “cronologia” del Calendario Atlante De Agostini del 1989 la seguente notizia, datata 14/7/87 (due mesi dopo la morte di Grilz), che parla del «massacro di Homoine (424 morti)» compiuto dalla Renamo, come uno degli esempi «dell’orrore in cui è degenerata la guerriglia della Renamo», che dal 1982 ha ridotto «l’80% del territorio nazionale terra di nessuno, il 35% delle vie di comunicazione distrutto, le città isolate, quasi due milioni di profughi interni e 800.000 rifugiati all’estero» con la conseguenza che «il Paese è completamente destabilizzato e 4 milioni di persone sono alla fame».

Questa la realtà della guerra “dimenticata” condotta dalla Renamo, fatti che Grilz però non ha mai narrato nei suoi articoli e servizi, a dimostrazione che a farlo andare in Mozambico non era stato il desiderio di far conoscere una situazione di scontro armato, ma la necessità di operare in modo propagandistico a favore di una criminale guerriglia razzista, da lui condivisa in nome dell’anticomunismo.

Nella mostra su Grilz non avreste trovato la foto che segue, che pure è stata pubblicata su un settimanale di grande diffusione nel 1977 (il Meridiano di Trieste) e ritrae il futuro reporter assieme ad altri squadristi mentre fronteggia una manifestazione antifascista.

(Grilz con altri squadristi in piazzale Rosmini, giugno 1977, foto di Claudio Ernè)

Chi faceva politica attiva negli anni ’70 ricorda bene la figura di Grilz, segretario del Fronte della Gioventù dal 1974 e sempre in prima fila nelle manifestazioni, con megafono, bastoni e saluti romani. Nella sua biografia, così come esposta nella mostra sponsorizzata dal Comune di Trieste, si legge che la sua passione giornalistica si era espressa già nel 1966, quando aveva 13 anni ed era sceso in piazza per fotografare gli scontri delle manifestazioni contro la chiusura dei cantieri. Si legge anche che da ragazzo avrebbe prima militato nei movimenti di sinistra, avrebbe frequentato la sede anarchica e sarebbe approdato a destra per il semplice fatto che, colto a fotografare per spirito di reporter una manifestazione di sinistra era stato scambiato per una spia; inseguito, aveva trovato rifugio in un portone che, casualmente (tra tutti i portoni che vi sono in centro città) era quello della sede dell’MSI. Volendo approfondire il curriculum del futuro reporter di guerra, possiamo citare una denuncia subita dall’allora diciottenne Grilz nel dicembre 1971 perché sorpreso a strappare, assieme a Claudio Scarpa ed altri due militanti di Avanguardia Nazionale, i manifesti relativi all’elezione del Presidente Leone. Del resto, alcuni mesi dopo Grilz partecipava attivamente ad una manifestazione promossa dai camerati di AN (e fu tra i denunciati «per avere disturbato mediante lancio di oggetti vari, gesti e parole usuali al disciolto partito fascista, il comizio antimilitarista tenutosi in Piazza Goldoni il 25 Luglio 1972», come recita il verbale di PS, in buona compagnia con i fratelli Claudio e Gianpaolo Scarpa, Manlio Portolan e Francesco Neami, nomi che hanno scritto pagine della strategia della tensione in Italia). Dunque, prima di diventare leader dell’organizzazione giovanile missina il Nostro aveva militato nell’organizzazione eversiva fondata da Stefano Delle Chiaie.

(Grilz nel 1972 durante un “presidio anticomunista”)

Dopo avere preso nota di due denunce risalenti ad ottobre e dicembre 1974, una per «manifestazione usuale al disciolto partito fascista», essendosi esibito in un saluto romano nel cortile dell’Università, ed un’altra per «apologia del fascismo» in quanto responsabile «di atti usuali al disciolto partito fascista» nella stazione centrale, passiamo ad altre cronache degli anni ’70, quando il nome di Grilz appariva continuamente nelle notizie su risse ed aggressioni.

Nel 1976 troviamo Grilz denunciato in due eventi piuttosto gravi. Il 10 gennaio tre giovani militanti del PdUP (un ventiduenne e due ragazze di 18 e 19 anni) furono aggrediti da cinque picchiatori, tra i quali fu riconosciuto Grilz (aveva un fisico abbastanza inconfondibile, come si può vedere dalle foto): il giovane fu mandato all’ospedale con trauma cranico a causa di una sprangata ricevuta in testa.

Il 25 febbraio, come leggiamo sul Meridiano di Trieste della settimana successiva, «una dozzina di giovani tra i quali venivano identificati Almerigo Grilz, Paolo Morelli, i fratelli Ciro e Livio Lai» ed altri, dopo essere entrati a volantinare nell’atrio dell’Università, iniziarono a scagliare bottiglie contro gli studenti antifascisti che si erano radunati sul posto. Fu lo stesso rettore Giampaolo De Ferra che tolse di mano agli attivisti le bottiglie, dopo averli identificati, e richiese l’intervento della forza pubblica. Ma una volta allontanatosi il Rettore, i giovani missini si scagliarono nuovamente contro gli antifascisti a colpi di bottiglia, mandando in ospedale per ferite causate dai cocci di vetro quattro studenti, tra cui uno che rischiò di perdere un occhio (e la sua automobile fu data alle fiamme pochi giorni dopo) ed un altro che riportò venti punti di sutura alla testa. Tra i lanciatori di bottiglie era stato dunque identificato anche l’allora segretario (o forse dovremmo definirlo capomanipolo?) del Fronte della Gioventù, Almerigo Grilz, che fu perciò espulso dall’Ateneo triestino.

Stranamente gli autori dei testi della mostra su Grilz, quando parlano di «un agitato percorso universitario che lo ha visto anche sospeso dalle lezioni al culmine degli scontri tra studenti di destra e sinistra», si guardano bene dall’entrare nei particolari delle modalità di questi “scontri” (pubblichiamo qui sotto la parte del pannello che parla del percorso universitario del Nostro), quindi abbiamo pensato di rinfrescare noi la memoria sugli eventi di quegli anni.

Aggiungiamo, per dovere di cronaca, che non siamo riusciti a trovare notizia delle conclusioni delle indagini su questi fatti di violenza, quindi non siamo in grado di dire se vi siano state condanne, proscioglimenti o prescrizioni.

(il pannello della mostra in cui si legge del percorso universitario di Grilz)

Nel 1981 lo “studente in legge” Grilz (decisamente fuori corso, considerando che aveva 28 anni: si laureò appena l’anno dopo, con una tesi «sul terrorismo e sul dilagare della lotta armata in Italia», leggiamo nel citato pannello della mostra) fu intervistato dal Meridiano nell’ambito di un articolo che parlava del recente rinvio a giudizio di 29 persone per «tentata ricostituzione del disciolto partito fascista», «propaganda tesa al sovvertimento violento delle istituzioni costituzionali», «esaltazione di esponenti principi, fatti e metodi del fascismo». Tali reati si riferivano ancora a quanto avvenuto nel corso della già citata violenta contestazione del luglio 1972 contro la marcia antimilitarista, e l’iter particolarmente lento dell’indagine fu causato, spiegò il giudice istruttore Leonardo Grassi, al fatto che le denunce erano finite dapprima a Roma nell’ambito della mega-inchiesta contro Ordine Nuovo e poi erano ritornate a Trieste alla fine del 1980. Nel frattempo però si erano prescritti altri reati oggetto di denuncia, come il «lancio di oggetti pericolosi» (nell’occasione era stata gettata una sorta di rudimentale molotov).

Come già detto all’inizio, tra i 29 imputati in cui compagnia venne a trovarsi Grilz, vi erano soprattutto avanguardisti nazionali ed ordinovisti (come Francesco Neami e Manlio Portolan, processati e prosciolti dopo alterne vicende per la strage di piazza Fontana). Intervistato, Grilz dichiarò: «penso di non aver fatto nulla di male. Il lancio di uova marce, ammesso che le abbia lanciate è una goliardata (le bottiglie del 1976 erano anche una goliardata? n.d.r.)» aggiungendo che sarebbero «tutte balle» le accuse di avere partecipato ai campeggi paramilitari. Curioso che nell’intervista Grilz abbia citato il caso del campeggio di Passo Pennes per il quale «furono assolti gli imputati perché trovarsi sotto una tenda con degli amici è una cosa normalissima che non costituisce reato», dato che nel caso specifico (il 1° luglio 1971 furono scoperti nella località montana una decina di iscritti alle organizzazioni giovanili dell’MSI, accompagnati da quel Giuseppe Sturaro, che fu indicato, nel corso della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo come il «vice-comandante dell’Unità di pronto impiego Primula» della struttura Gladio) il procedimento giudiziario per il campo si trascinò a lungo e si concluse, sette anni dopo con un’assoluzione di tutti gli imputati. Vien da chiedersi se anche Grilz si fosse stato trovato, allora ancora minorenne, tra i campeggiatori di Passo Pennes, assieme a quel Walter Pilo che in anni più recenti si è dedicato alla “solidarietà internazionale” fondando l’associazione Uomo libero onlus, che durante il conflitto jugoslavo ha portato “aiuti umanitari” in particolare alla cittadina bosniaca di Vitez. Considerando che la località di Vitez è nota soprattutto per avere dato il nome (Vitezit) ad un particolare esplosivo militare a base di tritolo ivi prodotto e che il Vitezit sembra essere stato usato sia per le stragi di piazza Fontana che di piazza della Loggia, etichette di esso sono state trovate nel corso delle perquisizioni a Giovanni Ventura ed al neofascista bresciano Silvio Ferrari, morto a causa dello scoppio dell’esplosivo che trasportava con la Vespa pochi giorni prima della strage di Piazza della Loggia, è davvero curioso che con tutte le cittadine bisognose della Jugoslavia, Pilo sia andato a portare la propria solidarietà proprio nella sconosciuta (ai più, ma forse non a lui) Vitez.

Tornando a Grilz ed ai campeggi paramilitari passiamo ora ad una relazione della Questura di Bologna (non datata ma evidentemente scritta nel 1981, inserita nell’istruttoria per la strage di Bologna del 2/8/80) che analizza i possibili collegamenti di alcuni tra i più attivi militanti del Fronte della Gioventù di Trieste ed i NAR di Giusva Fioravanti, nell’ambito di quel filone d’inchiesta rivolto alle frequentazioni dei campi militari cristiano-maroniti in Libano da parte di estremisti di destra italiani.

I redattori dell’informativa indicano dodici nomi che «sempre gli stessi (…) ricorrono nei vari episodi delittuosi»; tra essi, di Almerigo Grilz si legge: «più volte denunciato per rissa lesioni, apologia del fascismo etc.» e il 31/1/80 rinviato a giudizio assieme ad altri neofascisti per tentata ricostituzione del partito fascista. Ma ciò che viene approfondito nella relazione è che «il nucleo più agguerrito del FDG triestino si è recato a più riprese in Libano» usando come tramite le comunità dei cristiano maroniti in Italia che «alla perenne ricerca di combattenti per la loro causa contro i palestinesi (…) fornirebbero indicazioni e documenti a chi faccia richiesta di recarsi in Libano – previo accertamento sulla effettiva militanza di destra» dei volontari (l’accertamento, spiegano gli inquirenti, veniva effettuato «tramite controlli con il MSI-DN o qualche organizzazione parallela», quindi funzionando da «centrali di smistamento e reclutamento» per chi volesse recarsi in Libano, ed indirizzati all’Ambasciata Libanese di Atene per il visto d’ingresso.

Così tra il 1979 ed il 1980 si recarono in Libano a più riprese Roberto Cettin, i fratelli Ciro e Livio Lai (che furono condannati nell’ambito del processo per i NAR) ed ancora Grilz, Gilberto Paris Lippi (futuro vice-sindaco di Trieste), Fausto Biloslavo ed Antonio Azzano (questi ultimi tre furono arrestati su ordine della Procura di Bologna, nell’ambito delle indagini sulla strage del 2 agosto, «per reticenza e falsa testimonianza in merito a loro soggiorni nel Libano, in campeggi paramilitari dei falangisti»[4]).

Non abbiamo letto la tesi di Grilz sul terrorismo “rosso” che, secondo il pannello della mostra che abbiamo pubblicato, sarebbe stata basata su «dossier» da lui stesso «compilati negli anni precedenti sui movimenti extraparlamentari di sinistra più violenti»; ma forse, date le sue frequentazioni, avrebbe potuto presentare con migliore profitto una tesi sullo sviluppo del terrorismo “nero” ed i collegamenti di alcuni di essi con i falangisti del Libano.

Curiosamente, nella mostra organizzata dall’associazione Gli occhi della guerra sono presenti foto scattate da Grilz in zone di guerra come l’Afghanistan, l’Etiopia, il Mozambico, l’Iran, la Cambogia e la Birmania, ma nessuna foto del Libano: strano che un fotoreporter appassionato come lui non abbia scattato alcuna foto in Libano nel corso delle sue trasferte, come se non avesse avuto alcun desiderio di documentare quella guerra.

Un breve accenno agli organizzatori di questa mostra, che porta il nome della struttura che l’ha curata: Gli occhi della guerra (che ha un sito omonimo) è un gruppo che raccoglie diversi reporter di guerra: oltre ai già incontrati neofascisti Biloslavo e Micalessin troviamo anche la più nota Barbara Schiavulli (vincitrice di svariati premi giornalistici, che ha pubblicato e pubblica per lo più su testate “di sinistra”) ed il più giovane Andrea Sceresini, che si è definito “comunista” al tempo in cui fu co-autore di un libro intervista al generale piduista Gianadelio Maletti, libro che oseremmo definire “depistante” per i contenuti che l’ex dirigente del SID ha inteso veicolare con questo mezzo.

La mostra “I mondi di Almerigo” è stata recensita in un articolo del Piccolo dal giornalista Francesco Cardella, che tra l’altro ricorda le «tante cose fatte con Almerigo».

Per parlare di una delle cose che Cardella ha fatto con Grilz possiamo recuperare il fascicolo RGNR 3798/83, istruito dal PM dottor Roberto Staffa, procedimento penale per rissa, reato estinto per amnistia nel 1990.

Il fascicolo si riferisce a quanto avvenuto a Longera-Lonjer (villaggio della periferia triestina, i cui abitanti all’epoca erano praticamente tutti di lingua slovena) il 18/6/83, nel corso di un supposto “comizio” convocato dall’MSI nell’ambito della campagna elettorale in corso.

Per sintetizzare i fatti, l’MSI aveva indetto un comizio nella piazza di Dolina (altra località limitrofa a Trieste a maggioranza slovena), ma il sindaco aveva vietato il traffico veicolare nella zona prossima al municipio per cui il Prefetto aveva deciso di vietare il comizio. Quindi l’MSI decise di indire altri comizi, uno a Basovizza alle ore 18, uno a Longera alle 18.40 ed un terzo in centro città.

Fu allo scopo diffuso il volantino che pubblichiamo di seguito (intorno alle ore 16 di quel giorno copie di esso furono lanciate da una macchina che attraversò senza fermarsi il villaggio di Longera) nel quale si leggono le seguenti intenzioni:

«ricacciare in gola agli slavo-comunisti le loro provocazioni (…) risponderemo al divieto tenendo i seguenti comizi di protesta (…) a San Dorligo verremo comunque uno dei prossimi giorni la campagna elettorale è ancora lunga».

Insomma, considerando anche che a Basovizza e soprattutto a Longera il pubblico interessato ad un comizio dell’MSI era praticamente inesistente, in quanto nelle località gli elettori di questo partito si potevano contare sulle dita di una mano, tale linguaggio dimostrava l’intenzione di fare non tanto un comizio elettorale, quanto piuttosto una spedizione punitiva di stampo intimidatorio (se non peggio), una mera provocazione in perfetto stile fascista.

Citiamo a questo proposito quanto scrisse il vicequestore Sergio Petrosino nella sua Relazione in merito al servizio di ordine pubblico prestato nella giornata del 18 giugno dalle 17 alle 20 in viale XX Settembre angolo via Paduina (presso l’allora sede del Fronte della Gioventù).

All’inizio del servizio, leggiamo, si erano visti numerosi giovani «che si accingevano a partire per il programmato comizio sull’altipiano», nello specifico una ventina di persone tra cui «il noto Grilz» «i soliti Scarpa Claudio» e altri, ed aggiungeva Petrosino che «l’atteggiamento complessivo dei presenti non era certamente quello di un gruppo che si preparasse a celebrare un pacifico rito elettorale: tutti erano in abbigliamento “da battaglia” e sembravano pervasi da una certa tensione».

Alle 18 i missini (tra i quali furono segnalati militanti dell’allora FdG-MSI come Grilz; il futuro deputato in quota Alleanza Nazionale nonché sottosegretario Roberto Menia; il futuro vicesindaco Gilberto Paris Lippi – che ricordiamo tra i turisti nel Libano degli anni ’70 – e suo fratello Angelo, in tempi più recenti nostalgico della Decima Mas; l’attuale consigliere comunale in quota Lega Nord Antonio Lippolis, il futuro cronista Francesco Cardella e l’attuale ufficiale della Polizia locale Fulvio Sluga; ma troviamo anche ex esponenti di Avanguardia Nazionale, come i fratelli Claudio e Giampaolo Scarpa (questi ultimi «mossi dal senso di amicizia nei confronti di Grilz»[5], forse memori della passata militanza comune?) tennero il loro comizio nella piazza di Basovizza, con nessun pubblico ma la sola presenza di antifascisti che gridarono slogan contro di loro. Prima del comizio la polizia sequestrò, rilasciando regolare ricevuta all’allora segretario del Fronte, Menia, 7 manici di badile, 4 manici di piccone, 2 aste di legno e 2 aste metalliche «su alcune delle quali erano arrotolate delle bandiere», 14 manici di badile e 2 aste di legno senza bandiere, per un totale di 31 bastoni di vario tipo e dimensione.

Veniva lasciato loro uno striscione che riportava la caricatura del maresciallo Tito e la scritta «Tito boia» (che di per se stesso costituiva una provocazione, considerando che nel marzo del 1945 il paese di Longera aveva subito un rastrellamento nazifascista che si era concluso con quattro morti, quasi tutti gli abitanti arrestati e torturati e le case devastate).

Intorno alle 18.45 la colonna missina arrivò nella località di Longera, dove gli abitanti si erano dati appuntamento al Circolo di cultura per sorvegliare la situazione in modo da evitare che venissero compiuti atti vandalici (nei giorni precedenti erano stati imbrattati diversi monumenti alla Resistenza). Le auto della polizia, non si sa per quale motivo, invece di precedere i mezzi dei neofascisti, rimasero indietro, per cui quando questi giunsero nel paese presidiato dagli abitanti, sul luogo si trovavano solo una decina di carabinieri.

A questo punto la ricostruzione dei fatti è contraddittoria. Molti testimoni asserirono che i neofascisti erano scesi dalle auto gridando amenità come «morte ai s’ciavi comunisti», «daremo fuoco al paese» «verremo a prendervi uno alla volta»; un testimone dichiarò che Grilz era sceso dall’auto gridando «all’assalto». Chi scrive ha personalmente visto Grilz scendere dalla macchina, e gli scontri sono iniziati subito dopo.

Ha dichiarato Stojan Sancin (che fu tra gli imputati per la “rissa”, come furono rubricati gli scontri) di essere intervenuto a difesa di «due vecchietti» cui alcuni missini avevano sputato in faccia ed in questo frangente uno degli aggressori, che poi aveva riconosciuto per Grilz, lo aveva colpito col megafono che teneva in mano.

Grilz a sua volta asserì di essere stato aggredito da due persone e di avere roteato il megafono per difendersi, dopo avere ricevuto un pugno ed un mattone in viso (il colpo di mattone fu confermato anche da un altro degli imputati in quota missina, l’attuale giornalista Francesco Cardella), e che riconosceva nei suoi aggressori Sancin ed un altro teste che aveva presentato denuncia per essere stato picchiato col megafono: questi due si fecero refertare al Pronto Soccorso, con prognosi di 8 giorni ciascuno per lesioni.

Nel frattempo qualcuno, rimasto non identificato, lanciò contro le persone che erano radunate davanti alla sede del Circolo, un oggetto metallico pesante (si parlò di un cric) che colpì in pieno petto la cinquantaquattrenne Emilia (Milka) Kjuder (era stata arrestata e torturata, sedicenne, nel corso del rastrellamento nazifascista del marzo 1945), che svenne per il dolore e fu ricoverata al pronto soccorso, dove le vennero diagnosticate lesioni guaribili in dieci giorni (ma le conseguenze furono ben più gravi, perché anni dopo dovette essere sottoposta a mastectomia a causa di queste lesioni); fu ricoverato con prognosi di 15 giorni un altro longerano, colpito alla testa da un’asta metallica.

Mentre questi feriti si trovavano in ambulanza fermi al semaforo all’altezza di Viale XX Settembre, un giovane si avvicinò gridando «sporchi s’ciavi comunisti la pagherè uno per uno».

Anche un agente di polizia fu colpito da una sprangata ed i sanitari gli certificarono 7 giorni di prognosi.

Nonostante le asserite lesioni subite (pugno e mattonata in faccia) Grilz tenne regolarmente il previsto comizio nella piazzetta di Longera e successivamente anche quello annunciato in Largo Barriera, ma riprendiamo qui la relazione del vicequestore Petrosino, che descrive come «dopo gli incidenti di Longera (…) alcuni dei partenti si ritrovavano alla spicciolata» nei pressi del bar Costa; il gruppetto «da lontano sembrava mimasse il racconto di una rissa», e tra essi era riconoscibile Grilz, «munito di un megafono ammaccato che si lasciava andare a gesti di insofferenza».

Quindi alla fine della “rissa”, mentre i quattro aggrediti di Longera ritennero di farsi refertare al Pronto Soccorso, Grilz, pur asseritamente colpito da un mattone in faccia, era perfettamente in grado di tenere due comizi, e per farsi refertare le lesioni non si recò all’ospedale nell’immediatezza dell’evento, ma andò alle 22.45 (quattro ore dopo) privatamente da un medico che gli rilasciò un certificato attestante lesioni al volto guaribili in una settimana (evidentemente il mattone lanciatogli addosso doveva avere avuto un rallentamento non di poco al momento di impattare con il viso del previsto oratore).

Infine citiamo ancora la testimonianza di Sancin, che ha dichiarato di avere visto gli stessi missini impadronirsi di mattoni che si trovavano sul pianale di un camion fermo in zona, e lanciarli in mezzo alla folla.

I fatti non furono mai chiariti in sede giudiziaria perché, come s’è detto all’inizio, il procedimento fu estinto per amnistia (e comunque la posizione di Grilz non sarebbe stata discussa, a causa della “morte del reo”, come recita il codice).

Nel frattempo l’agenzia Albatross dei rimasti Fausto Biloslavo, Gian Micalessin e Riccardo Pelliccetti aveva lanciato i tre nell’ambiente giornalistico, ed oggi Biloslavo è una delle firme più quotate del Giornale diretto da Sallusti: ricordiamo qui i suoi interventi in materia di “foibe”, che per stile e contenuti sembrano più volantini del FdG degli anni ’70 che non articoli di stampa. Biloslavo si è distinto per la sua capacità inventiva sull’argomento quando, rendendo testimonianza in Corte d’Assise a Roma, nel corso del processo cosiddetto “delle foibe” con unico imputato Oskar Piškulić (processo istruito dal PM romano Giuseppe Pititto, che dichiarò di essersi coordinato con l’avvocato piduista Augusto Sinagra per queste indagini), dopo avere riferito alcune affermazioni che l’imputato gli avrebbe rilasciato nel corso di un’intervista, a prova di averlo effettivamente incontrato ed intervistato (Piškulić aveva smentito di avergli parlato) fece una descrizione dell’anziano ufficiale fiumano dicendo che era privo di una gamba.

In realtà, come possiamo testimoniare noi che lo abbiamo veramente conosciuto, il maggiore Piškulić aveva tutte e due le gambe, e le ha conservate fino alla sua morte, avvenuta diversi anni dopo l’incontro che Biloslavo aveva millantato.

Per concludere possiamo dire che ciò a cui abbiamo assistito nel mese di maggio è stata una doppia celebrazione di Almerigo Grilz: da una parte le istituzioni della Repubblica “nata dalla Resistenza” gli hanno reso omaggio come giornalista “morto per la verità”, cancellando del tutto il suo passato squadrista e neofascista e sdoganando la sua figura politica nei confronti dell’opinione pubblica; dall’altra parte però i “camerati” triestini hanno voluto ricordare in lui, coerentemente e giustamente (dal loro punto di vista) non il reporter, ma il leader politico portatore di un carisma prettamente fascista che gli fece guidare per un decennio con successo l’organizzazione giovanile missina.

 

La celebrazione sembra quasi la storia di Bocca di rosa, voluta dal parroco in prima fila in processione assieme alla Madonna, ma è in realtà una brillante operazione di revisionismo storico, in un momento in cui viene ribadito ad ogni piè sospinto il valore dell’anticomunismo: riscrivere la biografia di un estremista di destra omettendo i particolari più “scomodi” della sua attività politica, esaltandone le (dubbie) capacità giornalistiche; trasformare in eroe un fanatico anticomunista nostalgico delle squadracce del ventennio e con la passione delle armi. La storia d’Italia non si riscrive soltanto con la rivalutazione dei combattenti di Salò, ma anche con la riabilitazione del neofascismo degli anni di piombo.

 

[1] http://www.secoloditalia.it/2017/05/a-trentanni-dalla-morte-trieste-commemora-almerigo-grilz/.

[2] http://www.triesteprima.it/cronaca/cerimonia-in-municipio-in-memoria-di-almerigo-grilz-giornalista-caduto-in-guerra-20-maggio-2017.html.

[1] http://www.secoloditalia.it/2017/05/a-trentanni-dalla-morte-trieste-commemora-almerigo-grilz/.

[2] http://www.triesteprima.it/cronaca/cerimonia-in-municipio-in-memoria-di-almerigo-grilz-giornalista-caduto-in-guerra-20-maggio-2017.html.

[3] Il reportage di Vonnegut sul Mozambico si trova in “Destini peggiori della morte”, Bompiani 2003, p. 190-200.

[4] Claudio Tonel, “Dossier sul neofascismo a Trieste”, Dedolibri 1991, p. 157.

[5] Così in “Trieste a destra” di Pietro Comelli e Andrea Vezzà, il Murice 2015, p. 269.

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Bello FiGo, Immigrato medio!? https://www.carmillaonline.com/2017/06/28/bello-figo-checazzomenefregamme/ Tue, 27 Jun 2017 22:01:55 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=39016 di Mauro Baldrati

Non sono rappers. Non lo sanno fare, né si intendono di produzione. Sembrano quello che sono: dilettanti autodidatti, alcuni piuttosto geniali, e per questo, forse, hanno successo. Sono i cosiddetti youtubers, giovani artistici che si autoproducono pezzi musicali che poi caricano su youtube e su FB. Probabilmente senza saperlo hanno messo in pratica i due meta-enunciati degli anni Sessanta (Do it!) e Settanta (Do it yourself!). Alcuni di loro, per il misterioso e imprevedibile meccanismo del passaparola, che deflagra in maniera scalena, senza logica pparente, raccolgono migliaia di like e [...]]]> di Mauro Baldrati

Non sono rappers. Non lo sanno fare, né si intendono di produzione. Sembrano quello che sono: dilettanti autodidatti, alcuni piuttosto geniali, e per questo, forse, hanno successo. Sono i cosiddetti youtubers, giovani artistici che si autoproducono pezzi musicali che poi caricano su youtube e su FB. Probabilmente senza saperlo hanno messo in pratica i due meta-enunciati degli anni Sessanta (Do it!) e Settanta (Do it yourself!). Alcuni di loro, per il misterioso e imprevedibile meccanismo del passaparola, che deflagra in maniera scalena, senza logica pparente, raccolgono migliaia di like e di contatti.

Milioni, addirittura. E’ il caso di Bello FiGo, che ne totalizza più di cinque. Ma chi è? Intorno a questo caso mediatico, già esploso circa un anno fa, alcuni hanno parlato di “fenomeno”. In effetti il livello della sua operazione è decisamente più alto di quello dei suoi “colleghi”, che spesso si riducono a team di adolescenti agitati che tentano di “rappare” con risultati abbastanza imbarazzanti. Stiamo parlando di un ragazzo del Ghana di 21 anni, Paul Yeboah, a Parma da 12 con la famiglia. E’ (era, e lo è tutt’ora) un tipo sveglio, con poche smancerie né scrupoli morali. Un ragazzino che guardava la Tv e, forse coi genitori, finiva per approdare ai programmi di gossip politico, detti “talk show”. Qui, tra il cicaleccio, le finte risse, i telepolitici di professione cavalcano la nuova versione della politica moderna: lo slogan, la predica, l’invettiva, la farsa dell’indignazione. E l’argomento immigrati è sempre stato un formidabile tappabuchi per i media mainstream, quando scarseggiano le storie “forti”: disordini di piazza, atti di terrorismo, tutto il materiale che costituisce la forza motrice per influenzare le masse. Si applica l’antichissimo e sempre efficace gioco della paura seguita da rassicurazione; annunci trionfalistici sulla “crescita” spesso seguiti da smentite della tal agenzia di rating che ci declassa, e allora eccoli di nuovo in video ad “ammettere” che il tutto è “al sotto delle aspettative”, ma “stiamo lavorando e le prospettive sono buone”.

E qui, in questo “teatrino”, gli androidi tele-politici inanellano i loro facili, martellanti slogan, che si insinuano toccando corde emotive e, naturalmente, le eterne paure, di una strisciante guerra tra poveri. Proprio come gli operai precari americani e i disoccupati che si scagliano contro i negri, accusati di essere le cause dei loro guai.

Così, ecco gli italiani ridotti in povertà dalle catene di fallimenti di un sistema predatorio di per sé fallimentare, indignarsi per gli immigrati ospitati negli alberghi, mentre loro sono sfrattati; quelli invece hanno pure lo stipendio, e non devono neanche fare la spesa.

Paul li guardava, li ascoltava, probabilmente si divertiva, magari si arrabbiava, insieme a qualche coetaneo, finché un giorno ha avuto una illuminazione: prendere quegli slogan e quegli aggettivi e, senza alcuna lavorazione, farne oggetto di video musicali. Si è ispirato, – qualche commentatore ha sostenuto – allo stile Swag (sarebbe la nuova tendenza cool), cioè voglia di stile, di soldi, di vestiti eleganti e macchine di lusso.

Nascono così, nell’immaginario (è tutt’ora valida la parola alquanto abusata “narrazione”), i giovanissimi immigrati che “noi non paghiamo affitto”; eccoli affermare che “non faccio opraio” e non si sporcano le mani perché “sono negro”. Sono venuti in Italia su invito di “Mattarella”, e appena sbarcati dai barconi sono andati in “alberghi a 4 stelle”, con annesso stipendio. “Ce l’ha detto anche Matteo Renzi”, per cui “votiamo tutti PD” (cosa probabilmente vera, visto che in uno dei primi video Bello FiGo di fatto invitava a votare Sì al referendum, a modo suo ovviamente: “Vogliamo votar sì al referendum perché Matteo Renzi ci dà la figa bianca”).

A questo punto, una volta ben sistemati in albergo e tutto il resto, ci si occupa degli opzional: “Vogliamo il Wi-Fi”, e anche “fighe bianche da scopare”.

Potrebbe anche essere finita qui, un’operazione di costume, genialoide, amorale, cinica, trollesca quanto basta. Fatto sta che la venuta alla luce di questi video – soprattutto il più famoso, Non Pago Affitto (dicembre 2016), dal quale sono prese quasi tutte le citazioni – ha causato un mezzo putiferio nei media. Gli androidi di tele-politica sono andati, apparentemente, fuori di testa. Una provocazione frontale, arrogante, insostenibile perché reca in sé l’offesa di basarsi sui loro stessi slogan, usati come vanteria.

Un esempio significativo è la leggendaria puntata del dicembre 2016 di Dalla vostra parte, nel quale anche solo ascoltare Belpietro che dice “Qui con me c’è Bello FiGo”, fa morire dal ridere. Una delle capo-androide della destra, Alessandra Mussolini, è furibonda. Ma come si permette costui? Emette urla apparentemente scomposte, gridando tutta la sua indignazione, che è l’indignazione degli italiani in difficoltà, presi ignobilmente in giro da quel soggetto. In realtà è controllata, perché il suo professionismo le impedisce di scendere al livello degli avvinazzati da Bar Sport, con gli insulti pesanti, il turpiloquio ecc. Il suo compito è stimolarli, gli avvinazzati, è sedurli. Per cui, a parte una invocazione a “prenderlo a calci”, appare attenta a non superare il limite. Lui intanto la “dabba”, fa delle facce strambe. C’è anche un gruppo di sfrattati, offesi dalle vanterie di “un deficiente”. E un altro immigrato che lo attacca perché li sputtana tutti.

In realtà Bello FiGo, col suo cazzeggio, il suo “vaffanculismo” non ha voluto causare un bel niente. Solo avere visibilità. Provarci. E gli è andata bene. Continua ancora oggi, anche se con molto meno smalto. Forse il quarto d’ora warholiano è passato.

L’elemento più significativo, ancora attuale, è che la sua irruzione nei media ha portato alla luce il vuoto, il qualunquismo, il populismo di una politica morta, ridotta a slogan, a marketing, a falsificazione della realtà. E ha interessato entrambi gli schieramenti (divisi soprattutto a beneficio dei media, in realtà interscambiabili). La destra fascio-leghista, con la “narrazione” degli immigrati come parassiti, finti profughi imboscati che fruttano gli italiani per bene. E d’un tratto gli salta fuori questo negretto che gliele “canta”: “Nel mio paese in realtà non c’è nessuna guerra, volevo solo farmi una vacanza”. E col cavolo che fa “l’opraio” se può sfangarsela come mantenuto.

In quanto alla “sinistra” (di stampo filogovernativo) vede sbeffeggiato il proprio atteggiamento romantico-pietista-utilitarista, per cui gli immigrati fuggono dalle guerre, dalla fame, ed è nostro dovere accoglierli, perché tra l’altro portano benefici economici, le pensioni, i lavori scomodi e così via.

Si aggiunge la Chiesa, fedele al suo ruolo plurisecolare di assistenza e consolazione dei rifiuti una società classista che riduce in miseria enormi masse di popolazione. La Chiesa non mette in discussione le cause, non sarebbe molto cristiano. Chi ci ha provato, i padri della Teleologia della Liberazione, è stato ridotto al silenzio.

E infine c’è un altro dato interessante. Queste ondate di immigrazione, pur nel binomio contraddittorio accoglienza-respingimento, pietà-odio, sta comunque producendo delle comunità, a volte integrate, a volte no; sta segnando dei territori, creando degli stili, l’abbigliamento, i capelli, i linguaggi.

Allora perché queste comunità non dovrebbero avere il loro eroi, i loro scrittori, i loro giornalisti, la Wi-fi e il loro Maccio Capatonda?

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Basta la parola https://www.carmillaonline.com/2017/05/28/basta-la-parola/ Sun, 28 May 2017 19:10:10 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=38518 di Alessandra Daniele

La Famiglia AddamsDopo essersi scagliato varie volte contro i mercanti d’armi, Papa Bergoglio la settimana scorsa ha ricevuto in pompa magna il più grosso mercante d’armi del mondo, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Il quale, dopo aver piazzato 110 miliardi di dollari di armi ai principi sauditi, maggiori sponsor del terrorismo islamista, gli ha raccomandato con un solenne discorso ufficiale di combattere il terrorismo islamista. Basta la parola. Quello che s’è svolto in Vaticano è stato dal punto di vista mediatico una specie d’incontro fra materia e [...]]]> di Alessandra Daniele

La Famiglia AddamsDopo essersi scagliato varie volte contro i mercanti d’armi, Papa Bergoglio la settimana scorsa ha ricevuto in pompa magna il più grosso mercante d’armi del mondo, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Il quale, dopo aver piazzato 110 miliardi di dollari di armi ai principi sauditi, maggiori sponsor del terrorismo islamista, gli ha raccomandato con un solenne discorso ufficiale di combattere il terrorismo islamista.
Basta la parola.
Quello che s’è svolto in Vaticano è stato dal punto di vista mediatico una specie d’incontro fra materia e antimateria. Se Donald Trump è unanimemente disprezzato dai media mainstream, che tifano per il suo impeachment con una furia da ultras, Papa Bergoglio gode d’una estasiata idolatria indiscussa. Persino fra gli opinionisti atei solitamente mangiapreti è considerato un imprescindibile obbligo sociale adorarlo, e dichiararlo l’unico leader credibile del pianeta, l’unica speranza di riscatto per i poveri e i perseguitati.
Se Wojtyla era famoso ma controverso come una rockstar, Bergoglio in arte Francesco non è nemmeno in discussione. È santo subito. A prescindere.
Ma perché i media mainstream ci tengono tanto a santificare qualcuno che dice cose apparentemente così contrarie all’establishment? Perché le dice, ma non le fa.
Al netto di slogan e gadget tipo la Misericordina, quali sostanziali cambiamenti concreti il suo pontificato ha davvero portato finora?
La Chiesa ha rinunciato alle sue ricchezze terrene per devolverle ai poveri, aprendo i propri palazzi a profughi e rifugiati?
No.
Non ha nemmeno rinunciato all’otto per mille, né alle detrazioni fiscali.
La Chiesa ha abolito il malsano celibato obbligatorio per i consacrati, ha aperto al sacerdozio femminile, ha smesso di definire l’aborto un infanticidio?
Macché.
Non ha nemmeno smesso di fare pressioni indebite sul parlamento italiano, cercando di soffocare le poche già esili leggi sui diritti civili.
Forse però aspettarsi mutamenti così radicali è troppo. Bisogna accontentarsi d’un repulisti, una Mani Pulite oltretevere. Almeno quella c’è stata?
Figuriamoci.
La narrazione, come sempre in questi casi, è che Papa Bergoglio ci stia provando, ma non ci riesca perché bloccato dalle gerarchie, dalle burocrazie, dalle consorterie. Dal TAR. Dal CNEL.
Benché nessun autentico rinnovamento stia avvenendo, Bergoglio è quindi considerato comunque un grande rinnovatore, per quello che dice.
Basta la parola.
E così, con la sua fotogenia ruffiana, il gesuita Bergoglio restaura la maschera benevola del potere che Trump con la sua spudorata mostruosità ogni giorno distrugge.
In un mondo nel quale ormai le élite sono giustamente considerate il Nemico, un leader, anzi un sovrano assoluto che riesca a dare l’impressione che il potere non sia un male in sé, purché si trovi nelle mani “giuste”, è in realtà una benedizione per tutti i potenti.

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Sono fotogenico https://www.carmillaonline.com/2016/07/24/sono-fotogenico/ Sun, 24 Jul 2016 19:08:40 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=31926 di Alessandra Daniele

FotogenicoBarack Obama aveva promesso il Cambiamento. Aveva promesso una migliore Sanità pubblica. Negli USA si paga ancora per ricevere le cure più elementari. Si paga per essere assistite durante il parto, si paga per essere soccorsi dopo un incidente, un infarto, un’aggressione. Chi ha bisogno dell’ambulanza e non può permettersi di pagarla cerca di raggiungere l’ospedale con mezzi propri, rischiando di morire nel tragitto. Barack Obama aveva promesso la chiusura di Guantanamo. Otto anni dopo, Guantanamo è ancora in piena attività. I detenuti non hanno né i diritti [...]]]> di Alessandra Daniele

FotogenicoBarack Obama aveva promesso il Cambiamento.
Aveva promesso una migliore Sanità pubblica.
Negli USA si paga ancora per ricevere le cure più elementari. Si paga per essere assistite durante il parto, si paga per essere soccorsi dopo un incidente, un infarto, un’aggressione. Chi ha bisogno dell’ambulanza e non può permettersi di pagarla cerca di raggiungere l’ospedale con mezzi propri, rischiando di morire nel tragitto.
Barack Obama aveva promesso la chiusura di Guantanamo.
Otto anni dopo, Guantanamo è ancora in piena attività. I detenuti non hanno né i diritti dei civili, né quelli della Convenzione di Ginevra. Spariscono definitivamente in un buco nero del Diritto Internazionale.
Dopo aver vinto il premio Nobel per la Pace sulla fiducia, Barack Obama ha proseguito le campagne neocoloniali dei suoi predecessori, invasioni, occupazioni, bombardamenti, che hanno causato direttamente e/o indirettamente la distruzione di quattro stati sovrani, Libia, Siria, Afghanistan, e Iraq, lo sviluppo dell’ISIS, e allargato il teatro di guerra di fatto all’intero pianeta.
Siamo al punto che la notizia d’una decina di ragazzini morti ammazzati genera sollievo perché la strage non ha il marchio ISIS. È no logo.
Barack Obama aveva promesso il Cambiamento.
Il suo successore sarà peggiore.

Il primo presidente afroamericano chiude il suo mandato in un paese dilaniato dalla guerra civile tra polizia e afroamericani, uno smascheramento dell’ipocrisia intrinseca nella sua immagine solo apparentemente rivoluzionaria.
La scelta adesso è fra Hillary Clinton, talmente compromessa coi suoi sponsor che dovrebbe rilasciare le interviste davanti al tabellone coi marchi, e corresponsabile da Segretaria di Stato d’una politica estera non meno losca e sanguinaria di quella neocon, e il raccapricciante Donald Trump, l’unico che potrebbe portarla alla vittoria, che nel 2008 la sosteneva, e che oggi sembra quasi scelto apposta come orrido spauracchio nazistoide per spingere gli elettori nella direzione dell’ex first lady che persino metà dei Democratici detesta.
Alla fine però potrebbe succedere il contrario: disgustati dalla Clinton, gli elettori potrebbero rotolare in massa verso Trump, nonostante la sua estrema somiglianza col Greg Stillson de La Zona Morta.
Tertium? Non datur.
Gli Stati Uniti pretendono di esportare la Democrazia.
È come se Cuneo pretendesse di esportare canguri.
Imprenditore “di successo” (cioè astuto bancarottiere) Trump ha un’immagine vincente, come lo fu in modo diverso quella di Obama, giovanile, elegante, spiritoso, fotogenico.
Sul piano dell’immagine, Hillary ha dalla sua parte soltanto l’appartenenza al genere femminile, cosa ritenuta da molti (immemori della Thatcher) progressista in sé, come lo fu l’essere afroamericano per Obama. Un cambiamento di facciata che ha prodotto nei fatti esattamente il contrario di ciò che prometteva.
L’immagine d’un futuro vertice fra USA, Gran Bretagna e Germania tutto al femminile verrebbe sicuramente venduta dai media come una rivoluzione, ma la sostanza non sarebbe che l’ennesimo accordo tra sfruttatori. Il tris di regine d’un mazzo truccato.
Se Hillary vincerà, alla faccia del limite dei due mandati ci toccherà un terzo mandato Clinton a ruoli solo formalmente invertiti, perché l’impressione è che in realtà sia sempre stata Hillary il cervello della banda.
Bill era fotogenico.
Se invece a vincere sarà Trump, la settima stagione di The Walking Dead verrà completamente surclassata dal telegiornale, perché l’informazione mainstream lo odia a morte, e si sbraneranno a vicenda.
In ogni caso, la guerra continuerà.

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Il mio grosso grasso matteorenzi greco https://www.carmillaonline.com/2015/07/19/il-mio-grosso-grasso-matteorenzi-greco/ Sun, 19 Jul 2015 18:15:24 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=24003 di Alessandra Daniele

Er-GrecoDopo aver suscitato speranze di riscatto in tutta Europa, Alexis Tsipras ha svenduto la Grecia ai cravattari, accettando un sanguinoso esproprio molto peggiore di quello che col referendum il popolo greco gli aveva conferito esplicito mandato di rifiutare. In una notte i greci sono passati dall’OXI al WTF, nello scoprire che il paese gli era stato pignorato all’alba, e che Alexis Tsipras s’era rivelato un personaggio credibile quanto Alexis di Dinasty. Intanto Matteo Renzi ci assicurava che l’Italia non potrà mai venire privata così della propria sovranità. Perché non [...]]]> di Alessandra Daniele

Er-GrecoDopo aver suscitato speranze di riscatto in tutta Europa, Alexis Tsipras ha svenduto la Grecia ai cravattari, accettando un sanguinoso esproprio molto peggiore di quello che col referendum il popolo greco gli aveva conferito esplicito mandato di rifiutare.
In una notte i greci sono passati dall’OXI al WTF, nello scoprire che il paese gli era stato pignorato all’alba, e che Alexis Tsipras s’era rivelato un personaggio credibile quanto Alexis di Dinasty.
Intanto Matteo Renzi ci assicurava che l’Italia non potrà mai venire privata così della propria sovranità. Perché non l’ha mai avuta.
Là dov’era nata, la democrazia ha perso anche l’ultimo brandello di credibilità residua. Quelli che confidano ancora nella sua esistenza probabilmente sono gli stessi che cliccano sui banner con scritto “clicca qui”.
La democrazia oggi è così credibile che dovrebbe occuparsene Voyager.
La volontà del popolo non conta assolutamente un cazzo.
Ripeto.
La volontà del popolo non conta assolutamente un cazzo.
La cosiddetta dialettica democratica è ridotta a un’Opera dei Pupi nella quale due paladini di latta manovrati dallo stesso puparo mettono in scena uno scontro fragoroso quanto fasullo.
Le votazioni sono al massimo un sondaggio sulla popolarità del Front, del Cazzaro di turno, e un’occasione per qualche regolamento di conti fra capobastone locali.
Il potere rimane comunque gestito da un’intoccabile oligarchia miliardaria che ha la stessa etica della Banda della Magliana.
L’Unione Europea che hanno costruito è un mattatoio.
Anche Tsipras è quindi in realtà solo uno dei tanti cazzari? Verifichiamolo insieme col nostro pratico Cazzarometro, che li riconosce da alcuni dei loro tipici espedienti retorici.

”Cambieremo il paese”
”Non accetteremo di inchinarci davanti a nessuna costrizione. Combatteremo per la democrazia a livello sociale e a livello amministrativo. Ci riprenderemo la speranza, il sorriso, la nostra dignità”. Alexis Tsipras alla piazza dell’università ad Atene, gennnaio 2015
”Le nostre proposte si concentrano su riforme concrete che vogliono cambiare la Grecia’‘. Alexis Tsipras al parlamento di Strasburgo, luglio 2015

“Non metteremo le mani nelle tasche dei cittadini”
”Il popolo greco ci ha dato un mandato molto chiaro, la Grecia lascia l’austerità, lascia dietro di sé anni di oppressione, la Grecia va avanti con la speranza verso un’Europa che sta cambiando”. “Da domani cominciamo un compito molto difficile. Chiudere con il circolo vizioso dell’austerità, annullare il memorandum dell’austerità. Il popolo greco ha messo la troika nel passato, il popolo greco ci dà il mandato per un rinascimento nazionale”. Alexis Tsipras alla piazza dell’università ad Atene, gennnaio 2015
”Occorre rispetto per la scelta del nostro popolo”. Alexis Tsipras al parlamento di Strasburgo, luglio 2015.

“La responsabilità è del governo precedente”
”Per moltissimi anni i governi che si sono succeduti in Grecia hanno rafforzato la corruzione, creato uno stato clientelare, hanno rafforzato i legami tra potere politico e economia e hanno lasciato incontrollata l’evasione fiscale”. Alexis Tsipras al parlamento di Strasburgo, luglio 2015.

“Il paese è pieno di risorse. La ripresa è già cominciata”
”Abbiamo mostrato la nostra dignità al mondo e all’Europa. Questa battaglia porterà molti frutti”. “Dopo la prima revisione ci sarà la ristrutturazione del debito come richiesto anche dallo stesso FMI. È questo che mi permette di vedere la luce alla fine del tunnel”. Alexis Tsipras al parlamento greco, luglio 2015

“Pensiamo al futuro dei nostri figli”
”Abbiamo scelto un accordo che non ci piace, ma necessario per restituire un futuro al nostro popolo”. Alexis Tsipras al parlamento greco, luglio 2015

Controlliamo adesso la presenza dei due principali marker del Cazzaro:
il capovolgimento della realtà, e la negazione dell’evidenza:
“Non svendo il Paese, l‘accordo ottenuto è migliore del precedente”. Alexis Tsipras, luglio 2015

Il test è positivo.

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Nous sommes Stephan https://www.carmillaonline.com/2015/02/24/nous-sommes-stephan/ Tue, 24 Feb 2015 21:10:57 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=20922 di (uno pseudo) Alberto Prunetti

MetropolisFinalmente dopo giorni di attesa sono arrivate le motivazioni della sentenza della Cassazione sul processo Eternit.

Sono 148 lunghe pagine colme di considerazioni giuridiche che i giornali stanno riassumendo con uno strano senso di stupore e meraviglia. Non vedo di che stupirsi. A quanto pare, un minuto dopo aver fatto un fallimento strategico la Eternit non aveva altri obblighi verso il territorio che aveva inquinato per anni. E quindici anni dopo esser scappata all’estero, la multinazionale dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny era ormai aldilà del bene e del male e quindi ingiudicabile rispetto alla morte dei suoi [...]]]> di (uno pseudo) Alberto Prunetti

MetropolisFinalmente dopo giorni di attesa sono arrivate le motivazioni della sentenza della Cassazione sul processo Eternit.

Sono 148 lunghe pagine colme di considerazioni giuridiche che i giornali stanno riassumendo con uno strano senso di stupore e meraviglia. Non vedo di che stupirsi. A quanto pare, un minuto dopo aver fatto un fallimento strategico la Eternit non aveva altri obblighi verso il territorio che aveva inquinato per anni. E quindici anni dopo esser scappata all’estero, la multinazionale dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny era ormai aldilà del bene e del male e quindi ingiudicabile rispetto alla morte dei suoi lavoratori.

Mi sembra doveroso. Il processo non andava neanche fatto. A saperlo, i manager della Eternit potevano quasi rimanere in Italia. O almeno lasciare le valigie al deposito bagagli.

Una sentenza che farà testo. Ne tenga conto chi sta facendo start-up d’impresa. Gli imprenditori adesso possono ritornare. Tanto più che qui ora si licenzia a nastro, abbiamo asfaltato l’asfaltabile e il nuovo progetto di legge sui reati ambientali pare sia stato rottamato prima ancora di passare sulla Gazzetta ufficiale. Inoltre la responsabilità della presenza dell’amianto non è del capitale ma del settore pubblico che non ha bonificato cinque minuti dopo che la Eternit era andata ai Caraibi dimenticando per la fretta le porte della fabbrica aperte. Dov’è lo scandalo? Il privato si arricchisce e poi giustamente si aspetta che lo stato pulisca. Sennò che ci sta a fare il pubblico? Così invece si crea sinergia: il privato incassa e sporca e il pubblico ripulisce. E’ la prima pagina del corso di ogni master di economia.

Il mondo gira così. Garantito al limone. Non fa una grinza. Perché, c’era da aspettarsi altro?

Se vi sembra una logica al rovescio, è perché ragionate come i contadini maremmani o i montanari o i vignaioli delle Langhe. Quelli che credono che  il diritto sia il contrario dello storto. Ma chi ha studiato, chi ha fatto l’università come noi, chi capisce le ragioni e gli impedimenti dirimenti e il latinorum dell’economia e del diritto, non può non considerare quella sentenza assolutamente garantista.

Io direi, volendo proprio cercare il pelo nell’uovo, che quella sentenza ha un unico difetto. E’ troppo lunga. 148 pagine sono troppe, per una cosa che riguarda solo 2mila morti. Operai s’intende, non quattrinai. Duemila operai. Quando in fondo ne muoiono ogni giorno tre solo in Italia, di operai, sul lavoro. Ma tanto giustamente tutti dicono che gli operai non ci son più e quindi anche se muoiono in ogni caso il fatto non sussiste.

Pertanto sì, tornando ai miei dubbi sulla sentenza, si potrebbe individuare in quelle 148 pagine uno spreco di carta, di risorse e di tempi. E in anni di austerity è bene risparmiare. Che poi c’è anche da incollarci il bollo.

In conclusione, la sentenza andava scritta più semplicemente, nel rispetto dei principi economici e giuridici che ispirano il nostro ordinamento, con le seguenti tre parole:

andare, camminare, lavorare.

Tutto qui. Andare camminare lavorare.

E poi, scusate, cos’è è questo mugugnare di operai che vengono qua sotto a chiedere giustizia? Al lavoro. Andare. E guai a chi si lamenta. Guai a chi tossisce. Il prossimo che tossisce lo denuncio per diffamazione d’imprenditore.

Anzi. Cominciamo a denunciare tutti quelli che hanno scritto del processo Eternit, banda di rancorosi, che c’hanno tutti qualche morto in famiglia per l’amianto e scrivono ad personam. Ovvio che sono tendenziosi. Anche quello che scrive queste righe, che fa satira. Perché se voi siete Charlie noi siamo Stephan. E forbice vince su carta, cari miei. Dovreste saperlo, voi che giocate sempre a morra, in quelle bettole che frequentate.

E poi insomma, bisogna anche saper stare al proprio posto. Che è tutta questa plebe che invade le aule dei tribunali? E mica dalla parte che le compete, che è quella dell’imputato. No, addirittura portare il padrone alla sbarra. E con quale diritto? Se il diritto sta dalla parte del padrone, la sbarra si alza e lo fa passare. Perché lui è il padrone e voi non siete nulla. E noi? Ripetiamolo: Nous sommes Stephan e voi non siete un cazzo

Pertanto, in nome del popolo italiano: andare, camminare, lavorare.

[Post scriptum non satirico: Agli amici e ai compagni di Casale Monferrato dedico queste righe che, nella loro deformazione caricaturale e satirica di una tragedia umana, da un lato possono apparire ciniche, dall’altro fotografano forse una situazione in cui il paradosso è il tratto più veritiero. In conclusione per noi che non siamo Stephan, valgono altre considerazioni, forse retoriche, ma che possono scaldare il cuore e aiutare a continuare la lotta. Primo: come dicevano le Madres de Plaza de Mayo, e come ha sottolineato di recente Giuliana, una signora di Casale, l’unica lotta che si perde è quella che si abbandona. Secondo, ricorderete il mito di Sisifo, costretto a ripartire sempre da capo, ad arrampicarsi sulla montagna con un masso sulle spalle. Così si sente la gente di Casale adesso, come Sisifo. Ecco, uno che se ne intendeva, ha scritto che bisognava immaginare Sisifo felice. E io non ho mai visto nessuno più felice e più dignitoso della gente di Casale, che in un mondo ingiusto ha cercato la strada della giustizia senza usare la retorica del vittimismo. Nonostante tutto. Per questo aveva senso arrivare fin qui e ha senso oggi ripartire da capo. Terzo, come cantano i Gang, non finisce qui. ] A.P.

 

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