Magister – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 16 Nov 2024 23:15:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Marte distruggerà la Terra / Guerre stellari preventive https://www.carmillaonline.com/2024/08/26/marte-distruggera-la-terra-guerre-stellari-preventive/ Sun, 25 Aug 2024 22:01:40 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=83897 di Valerio Evangelisti

[Viene di seguito riproposto un racconto di Valerio Evangelisti pubblicato su “Carmilla online” il 26 Agosto 2003 (Marte distruggerà la Terra) ed uscito originariamente su “Il manifesto” il 17 agosto 2003 (Guerre stellari preventive)]

«Ci hanno ingannati sistematicamente, per quasi un cinquantennio. Sono riusciti a sfuggire alle nostre ricerche, hanno eluso le ispezioni, hanno fornito immagini artefatte.» Il segretario alla Difesa Burke era tutto sudato mentre, al termine di un discorso di un’ora e mezzo corredato da riprese satellitari, fotografie e mappe, menava di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite l’affondo decisivo. «Perché [...]]]> di Valerio Evangelisti

[Viene di seguito riproposto un racconto di Valerio Evangelisti pubblicato su “Carmilla online” il 26 Agosto 2003 (Marte distruggerà la Terra) ed uscito originariamente su “Il manifesto” il 17 agosto 2003 (Guerre stellari preventive)]

«Ci hanno ingannati sistematicamente, per quasi un cinquantennio. Sono riusciti a sfuggire alle nostre ricerche, hanno eluso le ispezioni, hanno fornito immagini artefatte.» Il segretario alla Difesa Burke era tutto sudato mentre, al termine di un discorso di un’ora e mezzo corredato da riprese satellitari, fotografie e mappe, menava di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite l’affondo decisivo. «Perché tanto accanimento nella menzogna? Perché una cortina fumogena così impressionante? Non c’è che una risposta logica. Non volevano farci sapere quale potenza avevano accumulato nelle loro grinfie. E a quale scopo?»
Il rappresentante della Russia guardò l’orologio. «Ce lo dica lei, signor Burke. Noi abbiamo pazientato abbastanza. Venga alle conclusioni.»
Burke trasse dal taschino un fazzoletto e se lo passò sul faccione nero. Oltre a essere affaticato, era incollerito dal palese scetticismo degli astanti. «Le conclusioni? Sono presto dette. Dobbiamo intervenire, e subito. Altrimenti Marte distruggerà la terra.»

Ci fu un lungo silenzio, mentre i consiglieri si guardavano increduli. Poi il rappresentante della Francia si alzò in piedi, afferrò il rapporto che aveva in mano e lo sbatté sul banco. «È pazzesco. Semplicemente pazzesco. Quell’uomo ci prende per idioti. Ma io ne ho abbastanza di questa farsa. Me ne vado.»
Burke fece una risatina sardonica, che però risentiva della fatica per la battaglia sostenuta. «Noto che il mio collega Rousselet non si convince nemmeno di fronte all’evidenza. Ha visto le foto e i filmati. Non riesco a capire perché metta in dubbio con tanta arroganza la buona fede degli Stati Uniti e la mia personale. Mi dia un buon motivo.»
Rousselet era già lontano dal proprio banco. Si chinò su quello del collega cinese e si servì del suo microfono. «Il motivo è uno solo. Su Marte non c’è vita. Proprio le sonde americane ce lo hanno dimostrato, e così le osservazioni al telescopio, più ogni altro dato scientifico disponibile. Dove sarebbero i marziani che dovremmo temere tanto?»
Vi fu un brusio che crebbe di intensità. Burke, ormai fradicio di sudore, afferrò il proprio microfono con due mani. «Si nascondono nei canali!» vi urlò dentro. «Marte è tutto solcato da canali!»
Scoppiò un putiferio. Rousselet alzò le spalle e lasciò la sala. Il rappresentante cinese si rivolse alla presidenza. «Prego il segretario Mubele di indagare se il signor Burke ci ha offerto questa recita assurda di iniziativa propria, o se parla per davvero a nome del presidente degli Stati Uniti. In quest’aula nessuno crede a una sola parola di quello che ci ha detto.»
«Io ci credo.» Era stato il posato sir Jeremy Rollins, incaricato degli affari esteri della Gran Bretagna, a pronunciare quella fase. Cadde un silenzio esterrefatto. «Il governo britannico ha prove del tutto analoghe a quelle illustrate dal signor Burke. I marziani esistono, e sono cattivi. O si agisce in fretta, o sono in grado di distruggere la terra in appena 45 minuti.»

Ne avevo abbastanza delle cautele e delle frasi elusive del professor Steven O’Bannion. Sono un uomo d’azione, e il solo vedere uno scienziato che se ne sta in poltrona tutto il santo giorno, a leggere rapporti o a guardare dentro un telescopio, mi fa prudere le mani. O’Bannion, poi, aveva occhialetti, pizzo, naso lungo e orecchie a sventola, per non dire delle spalle rachitiche e della posa da gobbo. Il più brutto e sgradevole dei nostri consulenti a Greenwich.
Poiché seguitava a tentennare, feci ricorso alla lealtà di partito. «Ascolti, professore. Lei sa che il Labour Party è in crisi profonda. La base si ribella, un terzo dei parlamentari non obbedisce più. Lei è laburista da sempre. Ha letto gli ultimi sondaggi? Guardi qua…»
Frugai in tasca alla ricerca di un articolo di giornale che sapevo di non avere. Stavo comunque dicendo la verità. La base laburista aveva mal digerito, ai tempi del governo Blair, la proposta di privatizzare le prigioni e gli orfanotrofi. Adesso che il nuovo premier Gideon suggeriva di unificare le due amministrazioni, mettendo gli orfani in prigione, era rivolta aperta in tutto il Regno Unito. I sondaggi gli attribuivano un grado di popolarità inferiore al 2%.
«Ora non trovo l’articolo» continuai, dopo avere frugato un poco «ma sono cose che sa anche lei. Vogliamo ritrovarci sotto un governo conservatore? E’ un destino che non vorrei per i miei figli, se ne avessi. Lei ne ha. Pensi a loro.»
O’Bannion torse le mani scheletriche, che gli avrei spezzato volentieri. Piagnucolò: «Mi chiedete una cosa impossibile! Quando ho sentito sir Rollins parlare al Consiglio di Sicurezza, ho pensato che si fondasse su prove che possedeva già. Poco verosimili, però con una qualche base documentaria. Mai avrei immaginato che vi sareste rivolti a me per fabbricarle!»
«”Fabbricarle” non è il termine giusto» lo corressi, severo. «Guardi che mi sono documentato. Di prove ne esistono a bizzeffe. Magari dimenticate, magari finite in un trafiletto secondario di una rivista di divulgazione scientifica. Del resto, le pare che il segretario alla Difesa della più grande potenza mondiale possa parlare a vanvera? Che si presenti davanti al Consiglio di Sicurezza e spari la prima balla che gli viene in mente? Via, non scherziamo. Quando parla un uomo così, lo fa davanti al mondo.»
«Infatti il mondo sta ancora ridendo.»
«Lei si sbaglia, professore. Già molti paesi, oltre al Regno Unito, reclamano una guerra preventiva contro Marte.» Elencai quelli che mi venivano in mente. «L’Estonia, la Liberia, l’Italia, il Sultanato del Brunei, la Repubblica di Aruba.»
O’Bannion strabuzzò quei suoi occhi vacui. «La Repubblica di Aruba? Che cosa sarebbe?»
«Fino all’anno scorso era un governatorato olandese. Adesso è uno Stato indipendente. Paese piccolo, ma importante per il turismo.»
Notai che lo scienziato rimaneva scettico. Era il momento di passare alle maniere forti. Lo feci con gusto. «Mi ascolti bene, professore. Lei lavora per l’MI6 già da quindici anni. Deve a noi la carriera e la posizione che ricopre ora. E’ tempo di ricambiare tutto ciò che abbiamo fatto per lei. Che cosa le chiediamo, in fondo? Solo di dimostrare che su Marte ci sono i marziani, a tramare nei loro canali la conquista della terra. Sarebbe un peccato se, dopo averla allevata nella bambagia, ci vedessimo costretti a toglierle tutto ciò che ha.»
Lo vidi impallidire. Buon segno. «Ma su Marte non ci sono né canali né forme di vita! Dove vado a trovare le prove che vi servono?»
«Glielo devo dire io?» Feci l’occhiolino. «Lei avrà pure dei colleghi americani che lavorano per il governo, no? Ecco, se fossi in lei non starei tanto a faticare. Le prove le chiederei a loro.»

Ralph Rupert, dell’osservatorio di Monte Palomar, stava sorseggiando una birra Colt 45, più alcolica di un bourbon, e intanto guardava la tv. Il presidente Bruce Maynard spiegava da quasi un’ora come distruggere i marziani fosse nell’interesse dei marziani stessi: per ciò che si sapeva della loro società, vivevano sotto un’orrenda dittatura colpevole di quotidiane violazioni dei diritti umani. Disse proprio così: “diritti umani”. Rupert ammirò la sottigliezza dello staff che scriveva i discorsi del presidente. Se avesse parlato di “diritti marziani”, l’impatto emotivo sui telespettatori sarebbe stato molto minore.
Il telefono prese a squillare, e Rupert si precipitò a sollevare la cornetta. Sperava che fosse la bella Astrid, la ricercatrice a cui faceva la corte da una settimana circa. Invece era quell’insopportabile lagnoso di O’Bannion, che lo chiamava da Greenwich. Pazienza: una volta detto il proprio nome, era impossibile riattaccare.
Per un poco, Rupert ascoltò il collega. Quindi disse: «Steven, so che tutta la questione sembra puro delirio. Però il presidente Maynard ha appena confermato le parole del segretario Burke, punto per punto. Ha anche aggiunto del suo. Il vostro premier può anche mentire in pubblico, ma il nostro presidente no. Sai cosa è capitato ai suoi predecessori che lo hanno fatto. Maynard è certo mezzo scemo, ma non è un disonesto e parla col cuore. Tutta l’America è con lui. Ciò significa una cosa sola: noi astronomi ci eravamo sbagliati. E così i nostri colleghi che si sono occupati di Marte.»
Rupert rimase in attesa per udire la replica dell’interlocutore, che fu lunga. Alla fine sbuffò. «Parliamoci chiaro, Steven. In fondo cosa sappiamo di Marte? Quanti metri quadrati hanno percorso le nostre sonde? Nota: parlo di metri quadrati! D’accordo, ci sono le foto dall’alto e non mostrano nessun canale. Be’, potrebbe trattarsi di canaletti. Credi che un qualche satellite sarebbe capace di fotografare il rigagnolo che irriga il tuo giardino di casa? Magari sì, ma non se ne prenderebbe la briga. La verità è che noi i canali non li abbiamo mai cercati sul serio, e nemmeno i marziani. Chi pensava che se ne stessero nascosti nei loro fiumiciattoli, con gli occhi avidi da insetto puntati sulla terra? Eppure, chissà da quanto tempo ci spiavano.»
Altra pausa, e nuova risposta di Rupert. «Mi ha contattato solo la National Security Agency, ai massimi livelli. Voleva sapere qual era l’aspetto presumibile dei marziani. Non ho la mia relazione sotto mano, ma ho detto che si poteva scartare tutta la fauna di John Carter di Marte, di Edgar Rice Burroughs. Giganti e bestie alti tre o quattro metri li avremmo visti. Meglio le creature piccole e ripugnanti de La guerra dei mondi, di H.G. Welles. Però hanno macchine enormi, e avremmo visto anche quelle. Più credibili le creature di Cronache marziane, di Ray Bradbury. Fantasmi di una razza perduta, che manipolano i ricordi degli uomini. Il problema è che robe così non sembrano una gran minaccia…»
Fu tanta la veemenza dell’obiezione che Rupert dovette staccare la cornetta dall’orecchio. Gli cadde persino la lattina di birra. Quando riuscì a parlare di nuovo, era ormai esasperato. «Lo so anch’io che quella è narrativa! Ma se mi chiedono una tipologia del marziano medio, dove la trovo? Solo nella fantascienza, libri e cinema. Meglio il cinema: da un certo momento in poi si è fatto strada il preconcetto che su Marte non ci fosse vita, e gli scrittori ne hanno parlato sempre meno. A chi potevano interessare quattro sassi sotto un cielo rosa? Per fortuna il cinema è andato avanti col tema qualche anno in più. Sai quanti film scadenti mi sono visto, nelle ultime settimane? Tutta l’idea che ancora ci facciamo di Marte come pianeta rosso e vivo viene da lì.»
Rupert ascoltò il commento di O’Bannion, e finalmente sorrise. «Vedo che capisci. Bene, per la tua relazione guardati tutti i film che puoi, eccetto Mars attacks, che è demistificante e induce al disfattismo. Dimentica invece ufo, rapimenti da parte di alieni e cerchi nel grano. Fanno riferimento a pianeti molto più lontani… Lo vuoi un consiglio da amico? Per la parte astronomica del rapporto, punta sulla cosiddetta Sfinge di Marte. E’ un viso femminile. Senz’altro un omaggio a una qualche regina tirannica. Sì, abbiamo detto che si trattava di un gioco di ombre e di luci su montagne di pietre e sabbia. Allora però non sapevamo che i marziani esistevano per davvero.»
Ultimo silenzio, mentre ci si avviava al congedo. «Sì, Steven. Anch’io ho pensato a una scena simile. La Sfinge che crolla, colpita dai nostri missili, mentre i marzianini fanno festa e celebrano la libertà ritrovata. Prima che altri missili arrivino. Una bella immagine per chiudere il tuo rapporto… Oh, non ringraziarmi. Tra colleghi ci si aiuta. A presto.»

Già provavo stima per il nostro primo ministro Gideon. Diventò ammirazione sconfinata quando, in tv, lo vidi additare alla Camera dei Comuni un immaginario corpo astrale rosso fuoco e scandire, solenne: «Lassù c’è Marte, il dio della guerra. Per me, uomo di lotta, ha sempre avuto un’attrazione irresistibile. Abbattere Marte, ci pensate? Quale compito più degno può unire il popolo britannico e il popolo americano? Ditemi voi: quale?»
Pochi riconobbero un passo del rapporto segreto di O’Bannion, a sua volta ricalcato sulle prime righe di John Carter di Marte. Gideon raccolse il primo applauso scrosciante dopo mesi di fischi ininterrotti. La sua proposta di privatizzare le amministrazioni municipali e di vendere la carica di sindaco al maggior offerente aveva scontentato molti, dentro e fuori il partito. Ma adesso, con la guerra ai marziani imminente, la popolarità del premier nei sondaggi stava risalendo. Aveva già superato il 6%, e continuava a crescere.
Come uomo dei servizi segreti non avevo più molto da fare, a parte scovare eventuali agenti filomarziani nei ranghi dell’esercito o nei ministeri (ne trovai pochissimi). L’unico incarico di rilievo fu spingere O’Bannion a impiccarsi, dopo la consegna del suo rapporto. Si temeva che potesse rivelare a qualche ficcanaso della BBC che aveva ricevuto l’imbeccata da noi e che si era basato su romanzi e film, sulla traccia di una bibliografia fornita da Monte Palomar. Poiché O’Bannion non collaborava lo impiccai io stesso, nel giardino di casa sua. Odio gli scienziati.
Forse fu inutile, perché la BBC si comportò assai bene, specie dopo che il governo Gideon l’ebbe venduta al gruppo Fox. Di continuo ritrasmetteva pellicole come La guerra dei mondi, Il vampiro del pianeta rosso e, soprattutto, Marte distruggerà la terra. Le immagini finali di quest’ultimo, in cui una specie di asparago con tre occhi bisbigliava truce “Attenti, terrestri, attenti. Siete spiritualmente ed emotivamente infantili. State lontani da noi, altrimenti…” era in coda a tutti i telegiornali. Anche Independence Day funzionava: poiché non si sapeva da dove venissero gli alieni, poteva benissimo trattarsi di Marte.
Intanto la battaglia del segretario Burke al Consiglio di Sicurezza volgeva al peggio. Mi telefonò il capo del MI6 in persona. «Ci sarebbe da fare pressione sulla Repubblica di Aruba. Pare che si sia pentita della propria adesione alla coalizione contro Marte. Gideon e il presidente Maynard stanno per andare là in visita ufficiale. Ti senti di accompagnare la nostra delegazione?»
«Certamente.»

In realtà, scoprii ad Aruba, si trattava di una semplice questione di quattrini, facile da risolvere. «E’ vero» sentii dire il presidente Maynard, stravaccato in una sedia a sdraio sulla spiaggia, sotto un ombrellone a stelle e strisce. «Il veicolo che abbiamo studiato per fare scoppiare Marte richiede una quantità spaventosa di combustibile. Ci siamo voluti ispirare ad H.G. Wells: per questo avrà la forma di un grande cilindro. Per sparare in aria una cosa così serve un bel po’ di carburante, e ancora di più ne occorre per mandarla sul bersaglio.»
Io ero in piedi dietro Gideon che, in costume da bagno, esponeva le costole al sole e sorseggiava una granita. Attorno c’erano una ventina di agenti della CIA, tutti in completo nero e camicia bianca. Invece nessuna guardia sorvegliava il presidente di Aruba: un ometto in canottiera, con un berretto da marinaio sulla testa calva.
Pareva molto preoccupato. «Io capisco il primo cilindro, ma non gli altri nove carichi di aiuti umanitari da lanciargli dietro. Per chi sono gli aiuti, visto che si prevede lo sterminio totale dei marziani? Se gli Stati della coalizione devono partecipare alle spese, Aruba rischia la rovina.»
Maynard e Gideon si guardarono e scoppiarono a ridere. Fu l’americano che rispose, appena riuscì a tornare serio: «Il ruolo di Aruba è un altro. Più cilindri spariamo, più soldi vi entreranno in tasca. Qual è la società petrolifera che ha qui il suo più grande deposito al mondo?»
L’arubiano spalancò la bocca, colto da folgorazione: «Volete dire la…»
«Esatto. Quella.» Maynard rise ancora, imitato da Gideon.
L’ometto si batté la mano sulla fronte. «Che stupido! Non ci avevo pensato!… E il consiglio di amministrazione della società è presieduto dal segretario alla Difesa Burke!»
Maynard e Gideon avevano le lacrime agli occhi dal gran ridere. «Bravo! Ci siete arrivato!» dissero quasi assieme.
Adesso anche il presidente di Aruba sghignazzava. «Comincio a pensare che tutta la storia dei marziani e dei canali sia una patacca.»
Maynard e Gideon non riuscirono nemmeno a rispondere, piegati in due com’erano.

Quando tornai nella mia camera d’albergo accesi subito il televisore, sintonizzato sulla BBC, per ascoltare un notiziario. Invece stavano trasmettendo ancora una volta Marte distruggerà la terra. Si era alle battute finali, e l’asparago gigante stava per pronunciare la sua arringa. Lasciai acceso e andai in bagno.
Solo là mi venne in mente che l’asparago che ricordavo io aveva tre occhi, di cui uno in mezzo alla fronte. Quello appena visto ne aveva due, ed era senza antenne. Inoltre nel film originale le scene su Marte erano colorate di rosso, non di verde scuro.
Tornai di corsa davanti al televisore, in tempo per ascoltare la minaccia: «Attenti, terrestri, attenti. Siete spiritualmente ed emotivamente infantili. State lontani da noi, altrimenti Marte distruggerà la terra!» Le parole successive non le avevo mai udite: «Sapete cosa potete fare con i vostri cilindri?»
Udii un coro di grida venire dall’esterno. Corsi sulla terrazza. La spiaggia era piena di gente che, angosciata, guardava il cielo.

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“Il nemico è di sopra, non di fianco a noi”. Valerio Evangelisti antimilitarista https://www.carmillaonline.com/2024/05/03/il-nemico-e-di-sopra-non-di-fianco-a-noi-valerio-evangelisti-antimilitarista/ Fri, 03 May 2024 10:35:01 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=81095 di Gioacchino Toni

“Non sono affatto pacifista, io sono personalmente antimilitarista, che è una cosa completamente differente. […] Mi fanno schifo non tutte le guerre, ma sicuramente le guerre di potere, non le guerre civili, che a volte sono sacrosante. […] La sostanza del discorso è questa: il nemico è di sopra. Il nemico non è di fianco a noi, per cui tutto quello che va a colpire le classi subalterne è un atto di guerra contro il proletariato. La risposta deve essere di guerra a chi fa la guerra, guerra alla guerra, si diceva un tempo”.

Con queste parole [...]]]> di Gioacchino Toni

“Non sono affatto pacifista, io sono personalmente antimilitarista, che è una cosa completamente differente. […] Mi fanno schifo non tutte le guerre, ma sicuramente le guerre di potere, non le guerre civili, che a volte sono sacrosante. […] La sostanza del discorso è questa: il nemico è di sopra. Il nemico non è di fianco a noi, per cui tutto quello che va a colpire le classi subalterne è un atto di guerra contro il proletariato. La risposta deve essere di guerra a chi fa la guerra, guerra alla guerra, si diceva un tempo”.

Con queste parole Valerio Evangelisti è intervenuto, il 9 aprile 2022, ad un’iniziativa bolognese intitolata Disarmiamo La Guerra1.

Di seguito si intende dare conto di come Evangelisti si è espresso sulla sua “Carmilla” a proposito della guerra in Iraq scoppiata nel 2003, anno in cui la testata è passata alla versione digitale tuttora in attività, nella certezza che quanto ha scritto allora su quella guerra specifica scriverebbe ancora oggi sulle guerre in corso e su quelle a venire.

Sin da prima dell’invasione del Paese ad opera di una coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti d’America, Evangelisti, come del resto l’intera Redazione, prende posizione “contro l’omicidio di massa che George W. Bush e i suoi complici Blair, Berlusconi, Aznar ecc. stanno preparando”2. Nel criticare aspramente i “commenti degli editorialisti e dei timidi intellettuali di casa nostra”, Evangelisti mette in luce come in essi manchi totalmente “il punto di vista delle vittime” e come i servizi giornalistici si limitino cinicamente a catalogare “i morti in degni di compassione o in ‘perdite collaterali’ a seconda della loro collocazione geografica o del tipo di ‘civiltà’ in cui sono inseriti, si valuta l’utile (politico, economico, strategico, ecc.) corrispondente al loro strazio prima di decidere se meritino pietà”.

A risultare ripugnante sopra ogni altra cosa, scrive Evangelisti, è l’ipocrita “tendenza ad incolpare del sangue che scorrerà il demonio che non si è tolto di mezzo dall’Iraq, e ha pertanto costretto il ‘liberatore’ a lavorare di coltellaccio (o di missili)”: la “guerra preventiva” viene dunque preceduta da un’“assoluzione preventiva”.

Ad essere presi di mira dallo scrittore sono anche gli “esponenti di quella tendenza europea che vede ex leader dell’estremissima sinistra, un tempo incensatori dei regimi più aberranti, dall’Iran di Khomeini […] alla Cambogia di Pol Pot […], passare al campo opposto con la stessa sicumera, quasi non vi fosse rottura di continuità. Dove per ‘campo opposto’ deve intendersi la ‘difesa dell’Occidente’, anche quando l’Occidente ha il viso poco rassicurante di George W. Bush o del suo partner naturale in Medio Oriente, Ariel Sharon”3.

Per cogliere la natura intima del conflitto in atto, Evangelisti invita a riprendere I Proscritti, di Ernst von Salomon, opera che – nel rendere “la voluptas necandi di un’armata”, i Freikorps tedeschi dopo la prima guerra mondiale, “che non ha altro referente ideale che se stessa (con valori quali l’onore astratto e il cameratismo virile), e altro scopo che l’eccidio sistematico di chi la contrasti” – delinea “un paradigma quasi archetipico applicabile a ogni guerra priva di vero movente”4.

La figura emblematica del conflitto in atto, sostiene Evangelisti è ben rappresentata da “l’anziano contadino che, quando l’elicottero degli invasori, gonfio di potenza tecnologica, sorvola il campo, prende il fucile e gli spara (somiglia alla sequenza iniziale di V-Visitors, qualcuno la ricorderà)”. Indipendentemente dal sostegno o meno a Saddam Hussein, dall’essere sciita o sunnita, in quel preciso istante egli opera per difendere l’indipendenza del proprio Paese. “Il partigiano con la barba bianca non reagiva in nome dell’onore o della gloria, che sono valori militari. Reagiva in nome della dignità, che è un sentimento profondamente umano. La madre e il padre di tutti i sentimenti, amore compreso”5. Oppure, scrive in un altro pezzo, come immagine emblematica della guerra in atto si potrebbe prendere quella, mostrata dai media, di un giovane padre che tenta amorevolmente di distrarre dal dolore la figlioletta di pochi anni distesa su un lettino, tutta fasciata6.

Evangelisti dedica diversi interventi all’inaffidabilità delle notizie sulla guerra fornite dai media italiani prendendo di mira, in particolare, i servizi di alcuni giornalisti de “La Repubblica” accusati di redigere i reportage attingendo acriticamente da altri media7. Ad essere citata positivamente è invece l’efficace copertina del numero di aprile della rivista “Volontari per lo sviluppo” che su sfondo nero reca a lettere bianche una frase pronunciata, nel corso del processo di Norimberga, da Hermann Goering che potrebbe benissimo essere stata detta da qualche politico del momento a proposito della guerra in corso e che spiega come sia tutto sommato semplice convincere la popolazione, tanto di paesi democratici quando dittatoriali, dell’inevitabilità della guerra insistendo sia sul fatto di essere stati attaccati che nella denuncia della mancanza di patriottismo tra i pacificasti che si oppongono al conflitto bellico8.

Tra i tanti esempi riportati dai media occidentali utili a mostrare la barbarie del nemico, dunque la necessità dell’intervento militare, Evangelisti si sofferma sulla notizia del ritrovamento, nei sotterranei di Baghdad, di una Vergine di Norimberga, micidiale strumento di morte che trafigge il prigioniero con punte. Stando a quanto riportato dai giornalisti, vi faceva ricorso uno dei figli di Saddam Hussein per punire i calciatori della nazionale irachena rei di aver fornito cattive prestazioni in campo. Visto l’esito mortale prodotto dalla Vergine di Norimberga, ironizza amaramente Evangelisti, la formazione della nazionale sarà stata spesso da rifare. “Adesso che l’Iraq è stato liberato potrà avere, se non altro, una squadra di calcio dalla composizione stabile”. Tutto sommato, si potrebbe dire che tra i meriti della “guerra umanitaria” che ha amputato gli arti ai bambini, vi è stato quello di evitare loro di diventare calciatori con annesso rischio di essere richiusi in quello strumento di morte. “Perché noi siamo l’Occidente, vale a dire la Civiltà. E adesso venite avanti con la vostra scodella, ché vi diamo da mangiare. In ordine, però, e senza spingere, altrimenti vi frustiamo. Arabi di merda”9.

Evangelisti si sofferma anche sul linguaggio che prepara, accompagna e traina la guerra e lo fa a partire da un pezzo sul sito “Iraqui Whores” contenente scene di violenza carnale da parte di marines statunitensi su donne irachene. Pur trattandosi, probabilmente, di messe in scena, a colpire, sostiene Evangelisti, è il linguaggio utilizzato a partire dal nome stesso della testata (trad. “Puttane irachene”) e da altre didascalie che vi compaiono (es. “Sex Crazed Iraqi Bitches”, trad. “Puttane irachene affamate di sesso”).

Le donne irachene sono dunque disprezzate in assoluto, e la violenza che subiscono – sia pure a livello di fiction– è presentata in chiave di costrizione, sì, ma anche di desiderio recondito che i virili marines finalmente soddisfano. In effetti, ciò coincide con la maniera in cui numerosi commentatori, anche italiani, hanno presentato la guerra all’Iraq nel suo complesso: una violenza necessaria per sprigionare desideri sepolti, con una risposta, da parte delle vittime / beneficiarie, al tempo stesso riluttante e vogliosa10.

Varie didascalie insistono “sulla sottomissione, riferita alle donne, certo, ma anche all’Iraq tutto intero”. Probabilmente, nota Evangelisti, il sito è stato pensato per “un pubblico a suo modo patriottico, però poco convinto quando il suo governo parla di una ‘liberazione’ dell’Iraq”. Non possono che tornare alla mente le fotografie delle sevizie, in questo caso assolutamente vere e non messe in scena, dei militari italiani in Somalia – sempre e comunque brava gente, gli italiani – e chissà, continua Evangelisti, che il cineasta dilettante nostrano non abbia aperto un suo “Somali Whores” capace di battere in realismo e “umiliazione della femmina” gli americani. “Se lo trovo vedrò di segnalarlo, in modo che voi maschi occidentali, bianchi e democratici, possiate masturbarvi con patriottica voluttà”.

Evangelisti ricorda come l’Europa uscita dalla seconda guerra mondiale avesse costruito la sua identità alla luce di quel fenomeno denominato Resistenza indicante tanto la lotta popolare al fascismo quanto all’occupazione armata del suolo nazionale e, in diversi casi, alle disparità sociali. Da allora, e per diversi decenni, il termine “colonialismo” restò carico di negatività. “Nessun capo di Stato, nessun governo europeo od occidentale si sarebbe permesso di sostenere pubblicamente la liceità di un’invasione armata, anche quando ne conduceva o tentava di fatto”11. È stato necessario parecchio tempo per demolire quel tabù.

Desta scandalo che “misteriosi” guerriglieri iracheni prendano di mira i marines. Spesso indicati come nostalgici di Saddam Hussein o come integralisti islamici, in pochi sembrano disposti ad ammettere che si tratti in primo luogo di iracheni con alle spalle un certo consenso popolare e ancora in meno riescono ad ammettere “che hanno il sacrosanto diritto di fare quello che fanno”. Chi osa sparare su chi occupa militarmente il suo Paese è immancabilmente definito “terrorista”. “Oggi un film come La battaglia di Algeri verrebbe ribattezzato La battaglia dei terroristi. Anzi, non sarebbe nemmeno più girato, visto che il colonialismo è tornato in auge. Non è più chiamato così, ma, da tabù che era, è rientrato a fare parte dei valori universalmente condivisi”.

Affinché il tabù colonialista cadesse, scrive Evangelisti, occorreva un passaggio intermedio ed a questo si sono prestate “le forze socialdemocratiche, o comunque di matrice ‘progressista’” che, giunte al governo di numerosi paesi europei negli anni Novanta del Novecento, non hanno esitato a rivedere tutti i loro principi.

Aderirono al liberalismo in politica e al liberismo in economia, spostarono il loro referente dalle classi subalterne ai ceti medi, accantonarono le tematiche egualitarie, si riconobbero a fondo nell’Occidente quale assieme di valori inviolabili. Il socialismo privato dell’egualitarismo si riduce automaticamente a beneficenza; e la beneficenza non si esercita tra soggetti autonomi e di pari dignità, bensì tra un privilegiato e un inferiore da soccorrere. Ecco trovato il pretesto culturale per riportare d’attualità la guerra quale strumento principe di risoluzione delle contraddizioni, e restituirle silenziosamente le forme antiche.

Al di là dei pretesti volti a dare giustificazione morale all’intervento militare – dal burkha da togliere alle donne alle armi di distruzione di massa, dal ritorno della democrazia alla lotta al terrorismo – è evidente come sia in Afghanistan che, in maniera ancor maggiore, in Iraq, l’invasione sia stata preceduta da promesse di benefici economici destinati ai partecipanti. “In epoca di mercato trionfante e assurto al rango di ‘valore’, è al mercato che sono state affidate senza tanti giri di parole le motivazioni di due guerre”.

La Resistenza non compare più come momento fondante dell’Europa, non è più necessario rifiutare con sdegno la pratica colonialista e riconoscere il valore morale delle lotte di liberazione nazionale. “Accettata la nozione di guerra preventiva […], inseriti gli interessi economici tra le motivazioni valide di un conflitto, il campo è sgombro per la conquista e la sottomissione di qualsiasi paese male armato che si dimostri indocile o troppo geloso delle sue ricchezze”.

Il liberalismo, tanto come sistema politico che come dottrina economica, ha il colonialismo nel proprio patrimonio genetico. Ritiene che l’arricchimento di una minoranza, tanto su scala nazionale che su scala mondiale, diffonda a pioggia ricchezza su chi sta sotto. Crede, altresì, che perché ciò possa avvenire, la minoranza debba essere intralciata dal minor numero possibile di regole imposte dalla collettività. Pretende, infine, che a quella minoranza spetti la gestione del potere (il suffragio universale fu strappato ai liberali da lotte condotte dal basso, non ultima la Resistenza europea) e che l’unica democrazia concepibile sia quella che non ostacola l’applicazione della legge del più forte in campo economico.

Per denunciare la follia del concetto stesso di “guerra preventiva”, Evangelisti ricorre anche ad un breve racconto dal titolo Marte distruggerà la Terra, pubblicato originariamente su “il manifesto”12.

A pochi giorni dall’attentato del 12 novembre 2003 alla base italiana dei Carabinieri di Nassiriya, in cui persero la vita numerosi militari italiani, “Carmilla online” pubblica un editoriale firmato da Valerio Evangelisti in cui viene ricordato come, al di là delle tragedie che toccano i parenti delle vittime, occorra pur sempre ricordare come, al pari dei francesi in Algeria, dei belgi in Congo, dei portoghesi in Angola e così via, anche gli italiani in questione si trovassero a svolgere il ruolo di invasori in territori altrui. “Questa volta i patrioti sono gli altri. Noi siamo gli austriaci, i Radetzki, i Cecco Beppe. Gli occupanti, gli invasori: quell’“austriaca gallina” che l’Inno a Oberdan invitava a massacrare a suon di bombe e a colpi di pugnale”. Dunque, conclude perentoriamente il pezzo: “Sia maledetto chi ci ha messi in questa posizione del cazzo, ed espone giovani vite alla morte per quattro latte di petrolio”13.


  1. Affermazioni riportate nello scritto Guerra alla guerra. L’ultimo intervento di Valerio Evangelisti, Potere al Popolo Bologna, in “Contropiano”, 19 aprile 2023.  

  2. Valerio Evangelisti, Con gli occhi delle vittime, in “Carmilla online”, 24 Febbraio 2003.  

  3. Valerio Evangelisti, Giocare a Risiko in una pozza di sangue, in “Carmilla online”, 21 marzo 2003. Editoriale a firma Valerio Evangelisti.  

  4. Valerio Evangelisti, Pulsioni di morte, in “Carmilla online”, 21 marzo 2003. Editoriale a firma Valerio Evangelisti.  

  5. Valerio Evangelisti, Né onore né gloria, in “Carmilla online”, 25 Marzo 2003.  

  6. Cfr. Valerio Evangelisti, Uccidere un bambino, in “Carmilla online”, 2 aprile 2003. Editoriale firmato Valerio Evangelisti.  

  7. Ad essere presi di mira sono in particolare gli inviati Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, definiti ironicamente gli “Stanlio e Ollio” de “La Repubblica” e Magdi Allam del medesimo quotidiano. Cfr.: Valerio Evangelisti, La Repubblica delle patacche, in “Carmilla online”, 27 Marzo 2003; Valerio Evangelisti, Nuove avventure di Bonini & D’Avanzo, in “Carmilla online”, 30 Marzo 2003; Valerio Evangelisti, Il Pinocchio d’Egitto (Prima parte: i sosia), in “Carmilla online”, 7 aprile 2003; Valerio Evangelisti, Il Pinocchio d’Egitto (Seconda parte: i boia), in “Carmilla online”, 9 aprile 2003; Valerio Evangelisti, Il Pinocchio d’Egitto (Terza parte: San Remo), in “Carmilla online”, 14 aprile 2003; Valerio Evangelisti, Il Pinocchio d’Egitto (Quarta parte: Allam contro Allam), in “Carmilla online”, 21 aprile 2003; Valerio Evangelisti, Il Pinocchio d’Egitto (quinta parte: i parà), in “Carmilla online”, 7 maggio 2023.  

  8. Cfr. Valerio Evangelisti, Volontari coraggiosi, in “Carmilla online”, 18 aprile 2003.  

  9. Cfr. Valerio Evangelisti, La Vergine di Norimberga, in “Carmilla online”, 26 Aprile 2003.  

  10. Valerio Evangelisti, L’America laida, in “Carmilla online”, 6 maggio 2003.  

  11. Valerio Evangelisti, L’Iraq è un severo maestro, in “Carmilla online”, 13 agosto 2003.  

  12. Cfr. Valerio Evangelisti, Marte distruggerà la Terra, in “Carmilla online”, 26 agosto 2003. Pubblicato originariamente da “Il manifesto” del 17 agosto 2003 col titolo Guerre stellari preventive.  

  13. Valerio Evangelisti, Poche parole, in “Carmilla online”, 17 novembre 2003. Editoriale firmato Valerio Evangelisti.  

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Per Valerio (20 giugno 1952 – 18 aprile 2022) https://www.carmillaonline.com/2024/04/20/per-valerio-20-giugno-1952-18-aprile-2022/ Sat, 20 Apr 2024 05:00:25 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=82003 Caro Valerio,

sono passati due anni da quando hai scelto di ritirarti su un pianeta migliore di questo.

Due anni possono essere molto lunghi e allo stesso molto brevi: lunghi perché non c’è stato momento in cui la tua figura e le tue parole non ci siano mancate, brevi perché ci è sembrato sempre che tu fossi ancora qui, con noi.

Alla notizia della tua scomparsa, in redazione, il dolore si era subito sommato al timore. Il timore di non farcela a continuare il tuo lavoro, lo sconforto per non essere magari in grado di mantenere la barra salda e [...]]]> Caro Valerio,

sono passati due anni da quando hai scelto di ritirarti su un pianeta migliore di questo.

Due anni possono essere molto lunghi e allo stesso molto brevi: lunghi perché non c’è stato momento in cui la tua figura e le tue parole non ci siano mancate, brevi perché ci è sembrato sempre che tu fossi ancora qui, con noi.

Alla notizia della tua scomparsa, in redazione, il dolore si era subito sommato al timore.
Il timore di non farcela a continuare il tuo lavoro, lo sconforto per non essere magari in grado di mantenere la barra salda e rischiare, per questo motivo, di andare a sbattere contro scogli e demoni che tu sapevi sempre indicare e prevedere per tempo.

Con le gambe inizialmente molli siamo riusciti, però, ad andare avanti e a mantenere quella unità nella diversità che ha sempre contraddistinto Carmilla, la tua creatura.
L’abbiamo fatto continuando a scrivere, “ostinatamente in direzione contraria” come avrebbe detto De André; ad osservare il mondo, la cultura e la letteratura con strumenti sempre diversi per ognuno di noi, ma che tu ci hai insegnato ad affinare.

Alcuni di noi ti hanno dedicato un libro, sperando che altri, magari ad opera di studiosi più giovani, possano seguire, per sottolineare l’importanza della tua opera e dei tuoi scritti in un ambito letterario e culturale spesso asfittico, anche quando si pensa “altro” e di “opposizione”.

Abbiamo continuato ad immaginare e re-immaginare il mondo, conducendo la battaglia che forse ti stava più a cuore: quella contro la colonizzazione dell’immaginario collettivo ad opera del capitalismo e dei suoi servi e scherani.

Unico italiano a farlo e ad anticiparlo, insieme a James Ballard e Philip Dick, hai saputo cogliere nella continua rifondazione dell’immagine del mondo uno dei momenti e modi topici per combattere e controbattere il dominio reale instaurato dal capitale. Non solo sul terreno del valore e della sua costante accumulazione attraverso lo sfruttamento di ogni risorsa vivente, ma soprattutto su quello di ciò che davvero conta, oppure no, per la prosecuzione della vita su questo pianeta.

Una vita vera e piena che, per te e per noi tutti, non può essere sottomessa o ridotta alle esigenze del capitale morto. Quel capitale accumulato che si nutre di orari di lavoro e ricatti sullo stesso sempre più pesanti e dal quale occorre far di tutto per fuggire.

Abbiamo seguito le tue tracce sul cammino che porta alla capacità di resistere, comunque, al vampiro che ancora attanaglia il mondo dei viventi e che cerca, in modi sempre più abbietti, distruttivi, perversi e demoniaci di trasformarlo in un mondo di zombie, di morti viventi. Chiamando vita ciò che è morto e condannando tutto ciò che gli si oppone.
Chiamando pace la guerra ed esaltando quest’ultima come mezzo definitivo per affermare in eterno i propri, miserabili valori.
Travestendo da “diritto” ogni individualistica affermazione del povero e impotente “io” borghese contro il ben più importante interesse collettivo e la potenza della riflessione che può scaturirne.

Noi siamo ancora qui, al nostro posto e al tuo fianco: contro il nazionalismo, il fascismo, l’egoismo, la miseria economica e morale di un sempre più finto liberalismo.
No pasaran….anzi meglio Venceremos!

La Redazione
20 aprile 2024

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Mondi paralleli, tempo e rivoluzione in Auguste Blanqui (e nelle opere di Valerio Evangelisti) https://www.carmillaonline.com/2023/11/15/mondi-paralleli-tempo-e-rivoluzione-in-auguste-blanqui-con-uno-sguardo-a-valerio-evangelisti/ Wed, 15 Nov 2023 21:00:47 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=79822 di Sandro Moiso

Auguste Blanqui, L’eternità viene dagli astri. Ipotesi astronomica, Traduzione di Raffaele Fragola, con una nota di Ottavio Fatica. Adelphi Edizioni, Milano 2023, Piccola Biblioteca 795, pagine 132, 13 euro .

Louis-Auguste Blanqui (1805-1881) è stato una delle figure principali dei movimenti rivoluzionari socialisti dell’Ottocento. Nato da una famiglia benestante, passò dal repubblicanesimo giovanile (cosa che già gli costò due anni di carcere per della polvere pirica ritrovata durante una perquisizione nella “Société des familles” da lui fondata nei primi anni Trenta del XIX secolo) al socialismo di carattere comunista proprio durante gli anni della prima detenzione. Che [...]]]> di Sandro Moiso

Auguste Blanqui, L’eternità viene dagli astri. Ipotesi astronomica, Traduzione di Raffaele Fragola, con una nota di Ottavio Fatica. Adelphi Edizioni, Milano 2023, Piccola Biblioteca 795, pagine 132, 13 euro .

Louis-Auguste Blanqui (1805-1881) è stato una delle figure principali dei movimenti rivoluzionari socialisti dell’Ottocento. Nato da una famiglia benestante, passò dal repubblicanesimo giovanile (cosa che già gli costò due anni di carcere per della polvere pirica ritrovata durante una perquisizione nella “Société des familles” da lui fondata nei primi anni Trenta del XIX secolo) al socialismo di carattere comunista proprio durante gli anni della prima detenzione. Che non fu l’unica, visto che avrebbe complessivamente trascorso, tra il 1831 e il 1879, trentasei anni e cinque mesi in prigione, motivo per cui ci si riferisce ancora oggi a lui come all'”Enfermé” (il Recluso).

Con l’amnistia del 1836 tornò in attività e fondò la “Société des saisons” con la quale, nel 1839, partecipò all’organizzazione di un’insurrezione che gli costò la condanna a morte, commutata in ergastolo, dal quale fu graziato otto anni dopo. Partecipò ai moti del 1848 e aderì alla “Société républicaine”, ma fu nuovamente arrestato e condannato alla deportazione in Africa, da dove tornò con l’amnistia del 1859 per essere ancora arrestato nel 1861. Dopo essersi sottratto alla legge andando in esilio in Belgio, continuò incessantemente la propria azione di propaganda politica, fondando i periodici «Candide» e «La patrie en danger». Per rientrare poi in Francia nel 1870 dopo la caduta di Napoleone III a seguito della sconfitta francese nella guerra franco-prussiana. Dopo un’ennesima incarcerazione, Blanqui avrebbe pubblicato, nel biennio 1880-81, il giornale «Ni Dieu ni maître» (“Né Dio né padrone”), titolo talmente programmatico da esser diventato un dei motti più conosciuti dell’anarchismo1.

Uomo d’azione più che elaboratore di teorie, egli fu sempre fermamente convinto che il proletariato avrebbe potuto creare da sé una società di liberi e di uguali soltanto mediante un’insurrezione armata guidata da una piccola minoranza ben organizzata e decisa ad imporre la dittatura del proletariato (di cui fu il primo ad elaborare il concetto, in anticipo sugli stessi Marx e Engels)2.

Blanqui con la sua opera e la sua azione fu fonte di ispirazione non solo per generazioni di rivoluzionari, ma anche per scrittori come Valerio Evangelisti, anche se il legame che esiste tra l’opera di Valerio Evangelisti e quella di Auguste Blanqui è molto più profondo di quanto possa suggerire il fatto che il primo abbia intitolato il secondo volume della trilogia del Sol dell’avvenire con una delle frasi più celebri del rivoluzionario francese: Chi ha del ferro ha del pane.

Infatti, al di là delle simpatie “politiche” blanquiste e per l’azione spontanea degli oppressi spesso presenti nelle riflessioni e negli scritti di Evangelisti, occorre qui ricordare l’autentica venerazione che l’autore bolognese aveva per un’opera meno conosciuta del rivoluzionario francese, scritta mentre quest’ultimo languiva in carcere per essere stato arrestato proprio il giorno prima della proclamazione della Comune, il 17 marzo 1871. A seguito di ciò era stato prima condannato alla deportazione, il 17 febbraio 1872, poi commutata in carcere a vita e per motivi di salute incarcerato a Clairvaux, da cui fu in seguito trasferito al Chateau d’If, da dove poté uscire nel 1879 in seguito ad un provvedimento di amnistia, che non riconobbe però il fatto che Blanqui fosse stato eletto deputato a Bordeaux.

Quest’opera, ora ripubblicata dalle edizioni Adelphi, intitolata L’éternité par les astres e uscita per la prima volta in Francia il 20 febbraio 1872, tre giorni dopo la sua condanna all’ergastolo, va considerata come un autentico livre de chevet per Valerio Evangelisti, tanto da averlo spinto ripetutamente a consigliarlo come utile lettura ad amici, compagni e redattori di «Carmillaonline», la webzine di cultura, letteratura e immaginario di opposizione da lui fondata nel 2003.

Come si è detto poco innanzi, nel 1871 Auguste Blanqui, «l’eterno cospiratore», stava scontando l’ennesima pena detentiva di una vita trascorsa per metà in carcere. In tale occasione, per impedirgli qualsiasi contatto con la Comune che stava infiammando Parigi, lo avevano trasferito nel remoto castello di Taureau, in Bretagna, dove fu sottoposto a una reclusione tra le più dure, in totale isolamento. E tuttavia, pur in condizioni estreme, Blanqui riescì a scrivere e a far arrivare all’esterno, eludendo la censura, il testo di quello che sarebbe stato il suo primo libro, pubblicato l’anno successivo a Parigi. Ci si aspetterebbe, dall’ormai vecchio rivoluzionario, un pamphlet politico. E invece quello che Blanqui aveva meticolosamente composto nella sua cella è un visionario trattato di «astronomia metafisica», uno scritto insieme scientifico, poetico e filosofico, che – ispirandosi all’edificio cosmologico di Laplace – avanzava un’ipotesi vertiginosa:

Ogni astro, qualunque esso sia, esiste dunque in numero infinito nel tempo e nello spazio, non soltanto sotto uno dei suoi aspetti, ma quale si trova in ognuno degli istanti della sua vita, dalla nascita sino alla morte. Tutti gli esseri distribuiti sulla sua superficie, grandi o piccoli, viventi o inanimati, condividono il privilegio di questa perennità.
La terra è uno di questi astri. Ogni essere umano è dunque eterno in ogni secondo della sua esistenza. Ciò che sto scrivendo in questo momento in una cella del Forte di Taureau l’ho scritto e lo scriverò per l’eternità, su di un tavolo, con una penna, degli abiti addosso, in circostanze del tutto analoghe. Questo vale per chiunque.
Tutte queste terre sprofondano, l’una dopo l’altra, nelle fiamme rinnovatrici, per rinascerne e ripiombarvi ancora, monotono fluire d’una clessidra che da sola si capovolge e si svuota eternamente. È un nuovo sempre vecchio, e un vecchio sempre nuovo3.

Queste righe comprese nel Riassunto, posto al termine dell’opera, suggeriscono il contenuto delle riflessioni di Blanqui sul cosmo, gli astri e il destino o il divenire di ogni singolo essere vivente, incluso l’uomo. Il tutto, però, inserito in un contesto in cui l’esistenza di infiniti mondi paralleli supera il mito dell’eterno ritorno, poi ripreso e rafforzato nel pensiero di Nietzsche, per aprirsi alle infinite possibilità che si offrono, seppur in mondi diversi, all’agire umano in direzione del cambiamento dell’esistente.

Il testo affronta il tema attraverso una visione che, però, non è suggerita dalla disperazione legata alla lunga prigionia prevista, inserita nel corso di una vita già segnata da decenni di detenzione, ma dalla speranza o addirittura dalla sicurezza che ciò che è stato sconfitto o non è possibile qui ed ora può risultare vincitore, e quindi essere possibile, in un altro momento, in un altro mondo. Massima espressione quindi della fiducia nel positivo esito della lotta contro lo sfruttamento e il dominio dell’uomo sull’uomo.

Il tema dei mondi e degli universi paralleli, oltre ad essere discusso come uno dei paradossi o delle possibili conferme della fisica più avanzata, ha certamente costituito un tema ricorrente della Fantascienza, dai fumetti di Brick Bradford ai romanzi e racconti di Murray Leinster, Jack Williamson, Philip K. Dick, Poul Anderson, Michael Moorcock e molti altri ancora.

Romanzi e racconti che immaginano possibilità diverse per l’evoluzione dell’uomo e della sua storia, di cui The Man in The High Castle di Dick (1962)4, che immagina un mondo in cui la seconda guerra mondiale è stata vinta dal Giappone e dalla Germania e gli Stati Uniti sono stati occupati e colonizzati per gran parte del loro territorio, costituisce ancora uno dei più validi esempi.

Mondi paralleli che assumono spesso il volto dell’ucronia e della distopia o anti-utopia come capita, soltanto per citarne ancora uno, nel mondo dominato dai vampiri, in cui Dracula ha sposato la regina Vittoria, del ciclo di romanzi e racconti di Kim Newman5. Ma in cui occorre intraveder la possibilità che, come aveva affermato Albert Einstein, in occasione della morte di un suo caro amico, “ciò che non è qui ora e adesso non è detto che non sia invece presente in un altro angolo dell’Universo”. Ovvero nel tempo e nello spazio o, se si preferisce, nello spazio-tempo intuito dallo steso ideatore della teoria della relatività.

Lasciamo per un momento da parte i sistemi stellari originali per occuparci più particolarmente della terra. La ricollegheremo fra poco a uno di essi, al nostro sistema solare, del quale fa parte e dal quale dipende il suo destino. Si capisce che nella nostra tesi l’uomo, così come gli animali e le cose, non ha uno specifico diritto all’infinito. Di per sé, egli non è che un essere effimero. È il globo di cui è figlio che lo rende partecipe della sua patente d’infinità nel tempo e nello spazio. Ognuno dei nostri sosia è figlio d’una terra sosia essa stessa della terra attuale. Noi facciamo parte del calco. La terra-sosia riproduce esattamente tutto ciò che si trova sulla nostra, e di conseguenza ogni individuo, con la sua famiglia, la sua casa, quando ne ha una, e tutti gli avvenimenti della sua vita. È un duplicato del nostro globo, contenente e contenuto. Non vi manca nulla6.

Ciò che anima lo scritto di Blanqui è, innazitutto, un materialismo inflessibile, in cui l’uomo, come tutti gli esseri viventi che lo circondano, deriva le sue caratteristiche da un ambiente dato e definito dalla materia e dalle sue infinite combinazioni che lo costituiscono, in tutte le loro possibili differenze e variazioni. Rilessione che gli fa aggiungere:

Supponiamo tuttavia alcune differenze che ne limitino l’accostamento a una semplice analogia. Si conteranno miliardi di terre di questo tipo prima di incontrare una somiglianza completa. Tutti questi globi avranno, come noi, terreni che digradano a terrazza, una flora, una fauna, dei mari, un’atmosfera, degli uomini. Ma la durata dei periodi geologici, la ripartizione delle acque, dei continenti, delle isole, delle razze animali e umane offriranno innumerevoli varietà. Andiamo avanti.
Una terra nasce, infine, con la nostra umanità, che dispiega le sue razze, le sue migrazioni, le sue lotte, i suoi imperi, le sue catastrofi. Tutte queste peripezie cambieranno i suoi destini, la getteranno su strade che non sono quelle del nostro globo. In ogni minuto in ogni secondo, migliaia di diverse direzioni si offrono a quel genere umano, che ne sceglie una e abbandona per sempre tutte le altre. Quanti scarti a destra o a sinistra modificano gli individui, modificano la storia! Ma non è ancora lì il nostro passato. Mettiamo da parte queste copie confuse. Non per questo non faranno la loro strada e non saranno dei mondi.
Ma alla fine ci arriviamo. Ecco un esemplare completo, cose e persone. Non un sasso, non un albero, non un ruscello, non un animale, non un uomo, non un incidente che non abbia trovato il suo posto e il suo momento nel duplicato. Si tratta d’una vera e propria terra-sosia… per lo meno fino a oggi. Perché domani gli avvenimenti e gli uomini proseguiranno il loro cammino. D’ora innanzi per noi è l’ignoto. Il futuro della nostra terra, così come il suo passato, cambierà strada milioni di volte. Il passato è un fatto compiuto; è il nostro passato. Il futuro si concluderà solo alla morte del globo. Da qui fino allora, ogni istante porterà la sua biforcazione, la strada che si prenderà e quella che si sarebbe potuta prendere. Qualunque sia, quella che dovrà completare l’esistenza propria del pianeta fino al suo ultimo giorno è già stata percorsa miliardi di volte. Non sarà che una copia impressa in anticipo dai secoli7.

Sono le scelte fatte dagli uomini, almeno sulla Terra che li riguarda, a determinare il loro destino. Definitiva affermazione dello spirito che animava Blanqui. Anche a costo di passare attraverso infinite sconfitte, carcerazioni e battaglie sanguinose.

Gli avvenimenti non creano da soli varianti umane. Quale uomo non si trova talvolta di fronte a due strade? Quella da cui egli si allontana gli procurerebbe una vita molto diversa, pur lasciandogli la medesima individualità. L’una conduce alla miseria, alla vergogna, alla schiavitù. L’altra portava alla gloria, alla libertà.
[…] Che si prenda una determinata strada a caso o per scelta, indifferentemente, non si sfugge alla fatalità. Ma la fatalità non trova appoggio nell’infinito, il quale ignora l’alternativa e ha posto per tutto. Esiste una terra dove un uomo segue la strada disdegnata dal suo sosia in un’altra. La sua esistenza si sdoppia, un globo per ciascuna, poi si biforca una seconda, una terza volta, migliaia di volte. Egli possiede così dei sosia completi e innumerevoli varianti di sosia, che moltiplicano e rappresentano sempre la sua persona, ma prendono solo dei frammenti del suo destino. Tutto ciò che si sarebbe potuto essere quaggiù lo si è in qualche altro luogo. Oltre alla propria intera esistenza, dalla nascita alla morte, che si vive su una moltitudine di terre, se ne vivono, su altre, diecimila edizioni differenti8.

L’enfermé, come lo aveva definito Gustave Geffroy, il primo autore di una biografia di Blanqui (L’enfermé, pubblicata in Francia nel 1897), aveva saputo, quindi, sollevarsi ben oltre le strette mura di una cella, ben oltre le condanne e le vicissitudini che lo avevano accompagnato per decenni, per librarsi, comunque libero di pensare e di immaginare, al di sopra dei limiti sociali, economici, fisici che sembravano limitare l’agire umano da tempi immemori. E tutto ciò non poteva certo dispiacere ad un autore come Valerio Evangelisti, non soltanto dal punto di vista scientifico e fantascientifico, ma anche filosofico e politico.

L’avventura o la ribellione, oppure la Rivoluzione e il cambiamento radicale sono resi possibili dai viaggi tra i mondi e le infinite possibilità sparse nell’Infinito e nel Tempo, sempre sorprendenti, ma sempre ferreamente definite da quei cento elementi fisico-chimici che, nel gioco ricombinatorio del Cosmo e della Natura, nell’opera di Blanqui rendevano possibile sia la varietà che l’uniformità degli universi o mondi paralleli.

Ecco allora che il “pensare cosmico” di Blanqui incrocia perfettamente la battaglia di Evangelisti per strappare l’immaginario alla sua colonizzazione da parte del capitale, per rifondarne un altro. Ovunque sia possibile. Una battaglia in cui spazio e tempo giocano un ruolo fondamentale, finendo spesso col coincidere come nello spazio-tempo della fisica successiva ad Einstein.

Tempo su cui oggi si gioca, nel tentativo di cancellare ogni memoria delle possibilità di cambiamento radicale che si son presentate agli uomini e alle loro strutture sociali nel corso della storia pregressa, soprattutto una partita fondamentale rappresentata dalla celebre affermazione sulla fine della storia di Francis Fukuyama. Affermazione arrogante e apodittica che nel negare la Storia finiva col negare non solo l’importanza e la presenza del passato per la comprensione dei problemi della società (e la loro possibile risoluzione sulla base di diverse prospettive e aspettative), ma anche il futuro. Riducendo tutto ad un eterno presente, immodificabile e in cui sono destinati a vigere perpetuandosi i valori della società liberale eretta dal dominio del capitale.

Ed ecco allora il perché della scelta di Valerio Evangelisti, proprio all’interno del ciclo di Eymerich, di non cogliere mai, nella tripartizione temporale di ogni romanzo, il momento attuale, il presente.
Nei romanzi gli avvenimenti si svolgono nel Medio Evo dell’inquisitore catalano, in un futuro sempre lontano, se non lontanissimo, e in un presente sempre rappresentato, però, per mezzo di uno scarto temporale che fa sì che l’azione non coincida con il tempo del lettore. Una sorta di presente parallelo e sfuggente, non inquadrabile in un ordine temporale e sociale definito una volta per tutte.

Un presente parallelo o anticipatorio che nega la solidità di quello “reale”, ancora determinato dal Capitale e dalle sue leggi e magari anche da un passato sanguinario e sanguinoso di sconfitte e illusioni, ma che non conferma affatto la stabilità e l’eternità dello stesso. Un presente fuggevole, quello reale, e insignificante rispetto a cui contano molto di più l’esperienza del passato, con i suoi crimini e le sue sconfitte, e le possibilità che si aprono ad ogni bivio per ogni uomo, donna o società in rivolta. Ci sarà sempre un nuovo inizio e una nuova partita da giocare, fino alla fine del globo su cui viviamo e da cui non possiamo separarci. Ed è proprio in questa prospettiva di superamento del miserabile presente che l’opera di Valerio Evangelisti e la visionarietà di Auguste Blanqui hanno finito col coincidere perfettamente.

E proprio quest’ultimo elemento può costituire un ulteriore motivo di interesse, nei confronti del trattato di “astronomia dell’immaginario politicato” appena ripubblicato da Adelphi, per i lettori delle opere dello scrittore bolognese scomparso da poco più di un anno.


  1. Per una più ampia ricostruzione della vita di Auguste Blanqui si rinvia a M. Dommaget, Blanqui, Erre emme edizioni, Roma 1990.  

  2. Per un primo sguardo antologico alle opere di Louis-Auguste Blanqui, si rinvia invece a L.A. Blanqui, Socialismo e azione rivoluzionaria, a cura di G.M. Bravo, Editori Riuniti, Roma 1969.  

  3. A. Blanqui, L’eternità viene dagli astri, Adelphi Edizioni, Milano 2023, Piccola Biblioteca 795, pp. 98-99.  

  4. P. K. Dick, La svastica sul sole, Science Fiction Book Club, Piacenza 1965.  

  5. K. Newman, Anno Dracula (1992), prima traduzione italiana Fanucci, Roma 1997; K. Newman, The Bloody Red Baron (1995), prima traduzione italiana come Il barone sanguinario, Fanucci, Roma 1998 e K. Newman, Dracula Cha Cha Cha (1998), prima traduzione italiana Urania n. 1538, Arnoldo Mondadori Editore, Milano settembre 2008.  

  6. A. Blanqui, op. cit., p. 74.  

  7. Ivi, pp. 75-76.  

  8. Ibidem, p. 77.  

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Pantera, magia e rivoluzione nel vecchio west di Valerio Evangelisti /4 https://www.carmillaonline.com/2023/10/28/pantera-magia-e-rivoluzione-nel-vecchio-west-di-valerio-evangelisti-4/ Fri, 27 Oct 2023 22:30:50 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=79560 di Fabio Ciabatti

Avevamo concluso la precedente puntata con Pantera che per la prima volta aveva assemblato un Nganga con parti di un corpo femminile, quelle di Molly. Come anticipato si tratta di una piccola svolta. E questo ci dà il destro per accennare al rapporto di Pantera con il mondo femminile, tema che emerge ripetutamente anche se sottotraccia (sicuramente in modo meno centrale rispetto a quello che accade per Eymerich). Evangelisti evoca il cliché dell’eroe che salva la fanciulla indifesa e poi convola a giuste copule. Ma si [...]]]> di Fabio Ciabatti

Avevamo concluso la precedente puntata con Pantera che per la prima volta aveva assemblato un Nganga con parti di un corpo femminile, quelle di Molly. Come anticipato si tratta di una piccola svolta. E questo ci dà il destro per accennare al rapporto di Pantera con il mondo femminile, tema che emerge ripetutamente anche se sottotraccia (sicuramente in modo meno centrale rispetto a quello che accade per Eymerich). Evangelisti evoca il cliché dell’eroe che salva la fanciulla indifesa e poi convola a giuste copule. Ma si guarda bene dal cascarci dentro. Pantera non ha mai una storia d’amore. Solo rapporti sessuali occasionali, sempre con prostitute nei confronti delle quali, comunque, nutre un sostanziale rispetto, sempre nei limiti consentiti dalla sua connaturata asocialità. Finisce per avere atteggiamenti protettivi, soprattutto nei confronti delle giovanissime Cindy e Kate, dopo aver sperimentato un profondo turbamento per le loro rispettive sorti. Più scostante il suo comportamento nei confronti di Molly alla quale, però, è profondamente legato. Le tre principali figure femminili, nonostante appaiono inizialmente fragili e indifese, dimostrano alla resa dei conti un’insospettabile forza. E i rapporti stretti con loro non passano senza lasciare tracce significative. Potremmo dire che la cruda visione del mondo di Pantera viene un po’ ingentilita o, per meglio dire, resa più empatica.
Questo è particolarmente evidente quando il
palero assembla il suo Nganga con i resti mortali di Molly. È la piccola svolta cui abbiamo accennato. L’universo spirituale di Pantera, che fino a questo momento ci è stato presentato come abitato da divinità potenti fino al limite della brutalità, si arricchisce di una nuova sensibilità. Il Santo, o meglio la Santa, comunica a Pantera nuove sensazioni: meno cattiva dei precedenti Nganga, è capace di sorridere con divertimento, di trasmettere affetto con qualche sfumatura dispettosa, di ispirare pensieri gentili, ma può anche arrabbiarsi al momento giusto sciorinando visioni di antiche cerimonie sacrificali.
Allo spirito di Molly Pantera finisce per attribuire disposizioni d’animo per lui inconsuete e di primo acchito assai fastidiose. Dopo aver assistito a un ultimo eccidio, per esempio, continua a provare un acuto senso di nausea sebbene nella sua vita abbia già assistito molte volte a scene di efferata violenza. Cercando una spiegazione razionale chiama in causa l’insopportabile ipocrisia degli americani che

Avevano una capacità diabolica nel ricondurre prepotenze e delitti da loro perpetrati a motivazioni di particolare nobiltà, anche quando il movente vero era l’istinto di sopraffazione o un interesse di infimo contenuto etico.1

Si tratta di una spiegazione plausibile? Pantera ne dubita:

forse – e questa era la spiegazione irrazionale: dunque, probabilmente, la sola autentica – Pantera era condizionato dal fatto di avere Molly nel Nganga, e dunque di subirne la sensibilità. Se ciò fosse risultato certo, se ne sarebbe sbarazzato in fretta. Per il momento, l’unico dato sicuro era la nausea persistente.2

Ma non è tutto. Pantera dà la colpa allo spirito di Molly di essere “capitato in mezzo a congreghe di utopisti”, un genere di persone che aveva sempre tollerato a stento. Insomma, dopo mille esitazioni, il messicano si affilia alla società operaia Le cinque stelle. Quando gli viene l’idea di chiedere l’adesione, Pantera la considera “così balzana che fu sul punto di attribuirla all’influenza del Nganga”.3

E’ interessante notare che l’atteggiamento nei confronti della società operaia non è differente da quello che Pantera aveva verso il mesmerismo di Rosenthal o la magia dell’indiano Vecchia Pipa: dubita della sua efficacia, ma alla fine la accetta perché apprezza le buone intenzioni dei suoi membri. 

Quelli delle Cinque Stelle (chiamarli col loro vero nome, Knights of Labor, era assolutamente proibito) gli piacevano. Avevano pochissimo in comune con i Molly Maguires. Non badavano alla nazionalità, né al sesso, né alla razza. Erano alieni al concetto di vendetta, o di esecuzione individuale. Molti tra essi (non tutti) sognavano una rivoluzione da attuarsi tramite uno sciopero a oltranza, che avrebbe costretto il padronato a consegnare ai lavoratori i mezzi di produzione. Agli occhi di Pantera si trattava di una fantasia, ma almeno un fine c’era, e non era idiota come una supposta liberazione degli irlandesi dal dominio inglese trasferita in contesto americano.4

Soprattutto, Pantera, da uomo d’azione, rimane indifferente alle discussioni dottrinali.

Lui credeva poco o niente all’ineluttabilità delle leggi storiche, al destino che consegnava alla classe operaia la fiaccola che era stata della borghesia, alla natura buona dell’uomo su cui, un giorno, si sarebbe modellata la società perfetta. La sua visione del mondo, se così si poteva chiamare, era fatta di caos e di scontri, intessuti di una barbarie resa ineluttabile dal far parte della realtà biologica dell’essere umano. Ciò che non rientrava in quella sua filosofia primaria lo interessava pochissimo.5

Tutto sommato, la sua concezione primordiale si mostrerà più adeguata della sedicente scienza della storia professata dai leader dei lavoratori, almeno nel momento in cui la guerra di classe si manifesterà in tutta la sua intrinseca violenza.

Siamo così arrivati alle battute finali di Antracite quando Pantera, dopo aver liberato Kate dal penitenziario di Saint Louis, si imbatte nell’esercito e nella guardia nazionale che stanno per assaltare gli ignari lavoratori della Comune di Saint Louis. Si precipita nella Schuler’s Hall, dove si riunisce il comitato esecutivo dei rivoltosi per avvertirlo dell’imminente e mortale minaccia. A questo punto Evangelisti ci sorprende con un piccolo colpo di scena stilistico. Non si limita a un abbassamento della tensione prima del climax finale, come sarebbe tutto sommato normale aspettarsi. Ci catapulta improvvisamente in un intermezzo dall’indubbio effetto comico dove troviamo i leader dei lavoratori riuniti dalla sera prima a discutere e scrivere proclami, come racconta a Pantera un operaio con uno sguardo a dir poco ironico. Di fronte al messicano che irrompe improvvisamente avvisandoli dell’urgenza di agire, non sanno fare altro che litigare tra di loro accusandosi di “economicismo” e di “posizioni lasalliane” (Evangelisti si è probabilmente divertito a prendere spunto dagli innumerevoli scazzi tra i gruppi della sinistra rivoluzionaria degli anni Settanta). Ridicolmente fiduciosi nella volontà di trattativa delle autorità cittadine, i leader operai negano recisamente l’opportunità di utilizzare le armi nell’attuale fase storica. 

Pantera ne aveva abbastanza. Estrasse la Smith & Wesson e ne sollevò il cane. Quindi disse: “Le fasi storiche le decide il tamburo del mio revolver.”6

Se fossimo al cinema a questo punto scatterebbero urla e applausi liberatori. Ma siamo qui a scrivere un saggio e, godendoci la scena silenziosamente, ci chiediamo il senso di questa irruzione del comico, un registro per nulla estraneo alla narrativa di Evangelisti, come ci ricorda Sebastiani.7 Solo che questa volta non serve a smutandare il re di turno, ma prende di mira un certo tipo di immaginario alternativo o che si vorrebbe tale. A questo proposito vale la pena fare un passo indietro, citando uno scambio di battute tra Bellegarrigue e Pantera in Black flag.  

Per sapere la verità non occorre scomodare magia, religione e altre concezioni superstiziose che fanno a pugni con il progresso. Il vero rivoluzionario non ha altra fede che la scienza. Dico bene messicano?
Pantera sogghignò – Cinque anni fa, quando ero ancora ragazzo ho partecipato a due rivoluzioni: la guerra del sale di Santa Fé e la rivolta di Juan Nepomuceno Cortina. Eppure penso che se la scienza diventa fede, non è più scienza. Ma forse sbaglio.8

La scienza che diventa fede si trasforma in una gabbia disciplinatoria se è uno strumento del potere (è il caso di Eymerich), in una gabbia di matti se professata dai rivoluzionari (almeno fino a quando a loro volta non salgono al potere). Una tragedia nel primo caso, una farsa nel secondo. Se qualche materialista oltremodo scientifico si adombrasse di fronte a queste affermazioni, vale la pena ricordare quanto scrive lo stesso Marx, a commento di un’altra più famosa Comune, quella parigina:

Sarebbe del resto assai comodo fare la storia universale, se si accettasse battaglia soltanto alla condizione di un esito infallibilmente favorevole. D’altra parte, questa storia sarebbe di una natura assai mistica se le “casualità” non vi avessero parte alcuna.9

Un atto rivoluzionario, o anche di semplice di resistenza, richiede una decisione sempre priva di sufficienti garanzie quanto alla sua adeguatezza e al suo esito. Può essere dettata da una sorta di rabbiosa speranza che può emergere anche nelle situazioni più sconfortanti, come nell’epilogo della storia cornice di Black flag.

– È inutile! Tanto hanno già vinto! Il mondo è loro! Il futuro è loro!
Sheryl rispose: – Può darsi. L’importante è che sappiano che c’è chi resiste.
Avanzò verso i carri sparando tutti e sei i colpi del tamburo, in successione. Sei pallottole argentee perforarono il metallo urlante.10

Quello di Sheryl è un atto che nasce certamente da una decisione personale ma che, occorre sottolineare, non si configura come mero gesto individuale. Evangelisti ce lo fa capire a modo suo: l’arma utilizzata da Sheryl per sparare contro le mostruose forze dell’esercito statunitense è una vecchissima colt a tamburo dalla canna brunita molto lunga, curiosamente caricata a palle argentate, raccolta un attimo prima dalle mani di un giovane panamense ferito a morte che indossava una maglietta insanguinata con la scritta Battallon de la dignidad. Evangelisti non ce lo dice esplicitamente, ma è la pistola di Pantera, passata di mano in mano per generazioni di resistenti! C’è dunque un filo rosso che unisce le lotte degli oppressi del passato e del presente. Un futuro possibile che è stato sconfitto nel passato può risorgere trasfigurato nel presente. La rabbia di Sheryl sta lì a ricordarcelo.

Ma ci può essere anche una differente tonalità emotiva in questi momenti decisivi e tragici, stando almeno alla scena finale di Antracite. Torniamo allora a raccontare la storia di Pantera, ricominciando da dove l’avevamo lasciata poco fa. Il messicano, di fronte all’atteggiamento imbelle dei leader operai, sostiene che l’unica possibilità di salvezza per i manifestanti è rappresentata da un’azione diversiva portata avanti da un “pazzo isolato”. A un membro del comitato che gli chiede “che cosa hai in mente compagno?” risponde solamente “Non so se sono un tuo compagno. E non sono tenuto a dirti nulla. Faccio quello che mi va di fare”.11 Fino alla fine Pantera combatte con la sua natura di lupo di branco, ma i suoi dubbi non gli impediscono di prendere una decisione e, addirittura, di sacrificarsi per il branco stesso. Il messicano, infatti, sale a cavallo. Sta per lanciarsi contro le file nemiche per ritardarne l’attacco e permettere ai rivoltosi di trovare riparo. Ma Kate monta in sella dietro di lui. Pantera cerca di convincerla a smontare perché, le dice, la battaglia è già perduta e lui sta per andare incontro alla morte. “Se la causa è giusta, le battaglie perdute sono le più belle”12 gli risponde la giovane irlandese. Kate sa che non c’è alcuna salvezza per lei nel tornare a casa, nel suo vecchio mondo che troverebbe ridotto in rovina. Per lei rimarrebbe soltanto la prigione o la miniera. Pantera, inizialmente esasperato dall’insistenza dell’adolescente, finisce per arrendersi alla situazione.  

Ciò che avvertiva era solo una pressione morbida contro il dorso. Certo i piccoli seni di Kate. La ragazzina li strusciava anche un poco. Pantera si trovò a sorridere.
Il cavallo accelerò l’andatura, tutto piegato in avanti. I soldati guardarono attoniti i folli che si gettavano contro di loro. Parevano non sapere che fare.
In quel momento Kate gridò, con la sua voce limpida: “Viva i Mollies! Viva l’Irlanda!”
Il sorriso di Pantera si allargò. Sollevò la pistola e sparò un colpo verso le mitragliatrici. Poi un altro. Poi vuotò l’intero caricatore.13

Di fronte alla sciagura che incombe, Evangelisti non ci abbandona a passioni tristi: a prevalere sono bagliori di una delicata sensualità, di una impercettibile gioia, di un limpido orgoglio. Nessuna esaltazione della bella morte, nessuna necrofila fascistoide. Al contrario, un inno alla vita che dischiude il possibile, sebbene si tratti di una possibile che per farsi reale dovrà passare per una sanguinosa lotta.
Anche senza ricorrere al genere fantastico, Evangelisti ci porta a fare l’esperienza dei limiti del nostro mondo, conducendoci insieme a Pantera fino al punto in cui gli oppressi si rivoltano collettivamente contro i loro oppressori. Certamente si tratta di una rivolta destinata alla sconfitta. L’esito tragico, però, non appare come la pietra tombale sui desideri di liberazione del nascente movimento operaio americano e, indirettamente, su quelli dei nostri tempi funestati dalle ripetute disfatte subite da oppressi e sfruttati. I vinti della storia possono avere un loro primo riscatto attraverso il ricordo delle loro gesta, trasfigurate narrativamente  nell’atto eroico e disperato di Pantera. Un gesto difficilmente concepibile senza la possibilità del nostro eroe di attingere all’energia che sgorga dalle profondità di un immaginario alternativo a quello del potere che sta forgiando la nuova America.

Pantera consegna il testimone di questo immaginario ancora incerto, una  miscela instabile di luce e tenebre, passato e futuro, unità e frammentazione, ai protagonisti del successivo romanzo della trilogia americana e, soprattutto, a noi lettori. Come nota Luca Cangianti “la narrazione delle avventure intraprese […] è capace di produrre una mitologia e un immaginario che possono risorgere nelle lotte future”.14 Questa speranza affiora timidamente tra le righe. Non è però affidata a un impossibile happy end che risulterebbe oltraggiosamente consolatorio per i vinti della storia. E neanche ad un esplicito incitamento a proseguire la lotta che apparirebbe vuotamente retorico. Una fragile speranza emerge solo dalla tonalità emotiva con cui è affrontata la sconfitta. Non c’è rassegnazione, ma la rabbia di Sheryl o il  sorriso di Pantera.  
Sembra assurdo, ma è la prima volta che vediamo affiorare un sentimento di gioia sul viso del messicano. Per arrivare a questo punto ha dovuto fare un lungo viaggio, percorrendo le strade di un’America che sta procedendo speditamente verso un futuro disumano in cui lo sterile metallo trionferà su ideali e sentimenti. Il tempo (del romanzo) storico, però, non lascia più spazio per immaginare una rivoluzione della magia, una rivoluzione fatta con l’aiuto di forze sovrannaturali, come quella di Black flag. Certamente anche in Antracite udiamo il ferro gridare: “Lo senti? E’ il metallo che urla. Celebra in anticipo il suo trionfo”15 dice Jesse James, il famoso bandito, a Pantera. Ma il grido disumano non è più quello del ferro e dell’oro che producono bestiali macchine da guerra o corpi semisintetici. Il racconto allegorico è diventato narrazione storica. Il metallo che urla è il fischio acuto di una sirena che viene da una agglomerato di fabbriche industriali lungo la sponda del fiume Schuylkill a Filadelfia.
In un contesto narrativo che si è congedato dal racconto fantastico, Pantera deve fare affidamento su tutta la sua razionalità per comprendere le condizioni oggettive degli avvenimenti in cui è immerso e per capire le forze politiche, economiche e sociali che sono in gioco. Ma il suo schierarsi e il suo agire non sono frutto soltanto di questa comprensione profana. Il suo viaggio non è un percorso a senso unico verso il disincanto. Altrimenti come spiegarsi il suo ultimo ed estremo atto di generosa follia? Il suo odio per l’ingiustizia rimane indissolubilmente legato al suo primordiale diritto alla vendetta, profondamente radicato in una visione del mondo popolata da spiriti portatori di caos e di scontri. Il realismo del romanzo storico conserva la forza narrativa e politica che prorompe dall’incanto del racconto fantastico.

La scena finale di Antracite è colorata da un delicato tocco poetico, nonostante l’oscurità che incombe. È pervasa da una debole forza magica, verrebbe da dire. È l’ultima emozionante tappa di un viaggio straordinario che ha condotto il nostro eroe, lo stregone Pantera, dalla rivoluzione della magia alla magia della rivoluzione.

Fine. Precedenti puntate qui, qui e qui


  1. V. Evangelisti, Antracite, Mondadori, Milano 2003, p. 320. 

  2. Ibidem. 

  3. Ivi, p. 323. 

  4. Ibidem. 

  5. Ivi, p. 328. 

  6. Ivi, p. 360. 

  7. Cfr. A. Sebastiani, Ride bene chi ride ultimo. Forme e retorica del comico in Valerio evangelisti, in Sandro Moiso e Alberto Sebastiani (a cura di), L’insurrezione immaginaria. Valerio Evangelisti autore, militante e teorico della paraletteratura, Mimesis, Milano 2023. 

  8. V. Evangelisti, Black flag, Einaudi, Torino 202, p.104. 

  9. K. Marx – F. Engels, Opere, Vol. XLIV, Editori Riuniti, Roma 1990, p. 202. 

  10. V. Evangelisti, Black flag, cit. p. 2017. 

  11. V. Evangelisti, Antracite, cit. p. 361. 

  12. Ivi, p. 363. 

  13. Ibidem. 

  14. Luca Cangianti, L’operaismo narrativo di Valerio Evangelisti, in Sandro Moiso e Alberto Sebastiani (a cura di), L’insurrezione immaginaria. Valerio Evangelisti autore, militante e teorico della paraletteratura, cit., p. 15. 

  15. V. Evangelisti, Antracite, cit., p. 245. 

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Pantera, magia e rivoluzione nel vecchio west di Valerio Evangelisti /3 https://www.carmillaonline.com/2023/10/24/pantera-magia-e-rivoluzione-nel-vecchio-west-di-valerio-evangelisti-3/ Mon, 23 Oct 2023 22:30:33 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=79457 di Fabio Ciabatti

Pantera e la sua religione appartengono al mondo dei vinti e degli oppressi. Così avevamo concluso la precedente parte di questo scritto. È questa sua appartenenza che lo spinge a difendere una variegata congerie di reietti, anche se la sua prima reazione istintiva al pensiero di diventare “una sorta di calamita per mostri e pezzenti” è quella di grande irritazione. La pietà nei confronti dei deboli non è di certo il sentimento che lo caratterizza in prima istanza. E quando affiora tende ad allontanarlo. Queste pulsioni contraddittorie che [...]]]> di Fabio Ciabatti

Pantera e la sua religione appartengono al mondo dei vinti e degli oppressi. Così avevamo concluso la precedente parte di questo scritto. È questa sua appartenenza che lo spinge a difendere una variegata congerie di reietti, anche se la sua prima reazione istintiva al pensiero di diventare “una sorta di calamita per mostri e pezzenti” è quella di grande irritazione. La pietà nei confronti dei deboli non è di certo il sentimento che lo caratterizza in prima istanza. E quando affiora tende ad allontanarlo. Queste pulsioni contraddittorie che muovono Pantera lo rendono un personaggio sfaccettato e affascinante. Ma forse indicano anche qualcosa di più. Nella narrativa di Evangelisti non c’è spazio per il mito del buon oppresso o, per dirla altrimenti, per il paradigma vittimario. Per dirla con le parole del saggista Evangelisti, gli oppressi, al pari dei loro oppressori, devono avere “la volontà, la determinazione, la capacità di lacerare la notte con lo sguardo penetrante del lupo o del felino”.1 Devono essere in grado di rispondere “ai morsi con i morsi”.2 Come si può tradurre questa convinzione dello scrittore emiliano-romagnolo nello svolgimento narrativo delle avventure di Pantera? Ebbene i “mostri e i pezzenti” non appaiono solo come vittime passive che vengono difese dal nostro eroe. Per quanto possano apparire combattenti improbabili, finiscono spesso per lottare insieme a Pantera, anche contro la sua iniziale volontà.
Nello scontro finale di Metallo urlante, infatti, il messicano viene aiutato da una banda alquanto strampalata, come nota con disprezzo il vice sceriffo Wishburn, subito prima di essere freddato da Pantera.“‘Ma guarda che combriccola’ osservò, senza badare all’arma del messicano. ‘Un negro, una puttana, un ebreo e un meticcio. Dio li fa poi li accompagna.’”3 Anche in Black flag la posse di Pantera assomiglia a un’armata Brancaleone.

Il messicano contemplò, all’ultimo raggio della luna che stava per tornare a sparire, i miseri campioni di umanità che aveva davanti. Trascinare con sé quelle creature fiacche e inservibili poteva costargli la vita. Tuttavia valutò che forse la somma delle loro debolezze poteva dare un risultato superiore alle parti. La magia zoppicante di Vecchia Pipa, la vigoria in declino di Koger, la modesta sensualità di Molly, se prese insieme, formavano quasi una sgangherata forma di potenza. Aggiunta alla sua, poteva dare qualcosa di buono.4

Altrettanto raccogliticcio è il gruppo che aiuterà Pantera in una delle sue ultime imprese in Antracite: liberare dal carcere la giovanissima irlandese Kate, che il messicano aveva conosciuto quando, appena adolescente, si divideva tra il lavoro in miniera e la prostituzione occasionale, e nei confronti della quale svilupperà una sorta di istinto paterno di protezione. Nel gruppo c’è l’irlandese Skel, che sta per Skeleton, incontrato per la prima volta da Pantera quando, quindicenne, estremamente magro e con il petto squassato continuamente da crudeli colpi di tosse, lavorava come runner, l’ultimo gradino nella gerarchia dei minatori. Poi c’era Jikta, prostituta slava di mezza età e infine Gudrun, ragazza grassottella di famiglia tedesca, dedita a pratiche magiche della sua terra d’origine, che in un recente passato aveva aveva partecipato a una macchinazione per incastrare Pantera e che ancora manteneva nei suoi confronti una certa ostilità. Mentre fuggono dal carcere Pantera, dopo aver presentato le due donne a Kate specificandone la nazionalità, continua con un sorrisetto: “Se aggiungi due irlandesi e un messicano, hai un’idea di chi stia costruendo l’America.”5
Ma, cosa ancora più importante, a sembrare un’armata Brancaleone in
Antracite è il nascente movimento operaio americano. Nobile, generoso, ma un po’ cialtronesco. Forse ha in mente anche questo Evangelisti quando sostiene che “Antracite è un tentativo di mettere in luce le radici di un’America ‘alternativa’ che ho sempre amato, e delle ragioni storiche che l’hanno resa minoritaria”.6 Come nota giustamente Sandro Moiso, le simpatie politiche dello scrittore “rivelano in lui ancor più che la ‘passione per il comunismo’ quella per la rivolta spontanea, popolare e dal basso. Qualsiasi fossero le forme in cui questa si manifestava, tanto nelle campagne emiliano-romagnole a cavallo tra ’800 e ’900 quanto nelle strade in fiamme di Bologna della primavera del ’77”.7

Tornando negli Stati Uniti della seconda metà dell’800, è arrivato il momento di raccontare brevemente la trama dell’ultimo libro in cui compare Pantera.  Lo avevamo lasciato alla fine di Black flag quando, sconfitti i lupi suoi nemici, decide di seguire il suo vecchio capo nella sua terra di origine per unirsi alla rivoluzione di  Benito Juarez. Molly, la prostituta irlandese sua compagna di avventura, lo segue diventando sua amante occasionale. Dopo qualche tempo le loro strade si separano e Pantera torna a fare il pistolero a pagamento negli Stati Uniti. Tutto lo ciò non viene raccontato in presa diretta, ma come antefatto di Antracite che inizia quando Molly ha nuovamente contattato Pantera perché vuole affidargli un compito per conto dei Molly Maguires, gruppo irlandese che, a suon di omicidi, cerca di difendere i propri compatrioti dallo sfruttamento dei padroni, soprattutto quelli di origine inglese. Pantera deve scoprire un infiltrato nelle file del gruppo e ucciderlo.
In realtà il messicano finirà per cacciarsi in un ginepraio, tanto che la narrazione assume in certi momenti toni simili a quelli di una commedia degli equivoci. Per eseguire il suo compito deve fingersi una spia dei padroni delle miniere e infiltrarsi nelle file nemiche. I Molly Maguires, però, sono talmente infestati da spie che la missione di Pantera è nota da subito, ma verrà tollerata perché la famosa agenzia Pinkerton vuole assicurarsi i suoi servigi di stregone. Deve trovare e eliminare il misterioso “uomo dei topi”. Chi è costui? Si tratta di una persona

capace di dare corpo a una sintesi tra le diverse superstizioni importate dall’Europa e da altri continenti. Un individuo che convoglia diverse aspirazioni inconfessabili e le traduce in realtà, sotto forma di morbo e di invasioni di animali.8

Pantera, quando gli viene presentata questa missione, è sorpreso perché ritiene che le diverse credenze di origine europea dovrebbero essere considerate fenomeni marginali da parte dei padroni del nuovo modo. Ma, è questa la cosa più interessante, gli viene spiegato che non è così dal senatore Schurz.

Sono forme di resistenza al progresso, rivendicazioni di identità che una società in via di industrializzazione non può tollerare. Dev’essere la morale protestante a guidare questo paese, nessun’altra. È l’unica che tenga nel debito conto le esigenze dell’economia e non le demonizzi.9

Ed ecco spiegato in termini prosaici quello che poteva emergere già dai due precedenti libri in cui compare Pantera e dai romanzi di Eymerich. Antichi culti, credenze ancestrali, religioni sconfitte ma mai definitivamente sradicate sono tutti fattori di resistenza alla colonizzazione dell’immaginario da parte del potere. Ma questo immaginario alternativo, radicato nel passato, ha un’intrinseca ambivalenza, come mostrerà lo scontro con l’uomo dei topi, il lucumi Learco. Tutto sommato questa figura si rivelerà alquanto meschina, così come sarà la sua fine. Certamente una persona insidiosa e tenebrosa, ma decisamente lontana dalla diabolica potenza che gli veniva accreditata. Le forze in gioco sono ben altre rispetto a quelle di un oscuro stregone di colore che, approfittando delle perversioni sessuali di Gowen, il padrone della miniera di Tamaqua, lo aveva reso succube solo per cercare una sua personale vendetta. Parlando con Pantera, così gli spiega le sue motivazioni:

“Nel 1863 ero un bambino e abitavo a New York. Quando gli irlandesi insorsero contro la leva obbligatoria, se la presero anzitutto con i neri. Ne ammazzarono una trentina. Uno era mio padre, un altro mio zio. Prima di ucciderli li castrarono.” “Credi sul serio che Gowen e i suoi simili proteggano la gente di colore?” “Non sono così stupido. A me però basta vendicarmi degli irlandesi.”10

Insomma, le vecchie resistenze identitarie possono anche rappresentare un elemento di frammentazione per gli oppressi e trasformarsi in una guerra tra poveri. Cosa di cui Pantera si stava rendendo conto lavorando per i Molly Maguires. Il messicano, tra un’uccisione e una fuga precipitosa, deve comprendere cosa sta accadendo attorno a lui, deve capire il significato delle trame politiche in cui è invischiato. Come sostiene parlando con Molly “Dovresti saperlo. Lavoro per chi mi paga. Ciò non mi impedisce, di tanto in tanto, di pormi delle domande.”11 Insomma,

Pantera avvertiva personalmente il bisogno di una certa coerenza nell’agire, e nei Molly Maguires non la trovava ancora. Da un lato sembravano ergersi a vendicatori del proletariato sconfitto. D’altro lato parevano voler instaurare un dominio di strada fondato su basi strettamente etniche. Dove stava la verità?12

Il palero ha sentito parlare un oste tedesco di ideali che, pur reputando confusi e troppo astratti, percepisce in qualche modo positivi perché vogliono essere comuni a tutti gli operai. Cosa vogliono invece i Molly Maguires, chiede a Molly?

“La riscossa dei soli irlandesi?” “Che ci sarebbe di male?” “C’è che ho sentito Gowen, il vostro nemico numero uno, parlare in modo del tutto diverso. Fa la guerra agli operai senza badare a nazionalità, razza o religione. Capisci?” Lo sguardo di Molly tornò all’ordinaria vacuità. “No, capisco solo un poco. Magari hai ragione. Però una volta sparavi alla gente senza farti tanti problemi.” “Anche adesso.” Pantera si alzò. “Vado ad ammazzare un poliziotto, un certo Yost. Sai chi sia?” “No.”  “Nemmeno io. Ma lo ammazzo lo stesso.”13

La coscienza di classe può attendere, ci sono questioni più urgenti da risolvere senza andare troppo per il sottile. In fin dei conti siamo sempre nel caro vecchio west! Ma questo mondo fatto di sconfinate praterie e uomini a cavallo con la pistola nel fodero sta cambiando. L’antracite sta colorando di nero le vaste estensioni verdeggianti. E Pantera è costretto a capire le forze che muovono questi cambiamenti per cercare di non soccombere alla fitta rete di intrighi in cui si trova invischiato. Come viene spiegato a Pantera, di nuovo dal senatore Schurz:

È in corso una lotta per il controllo politico ed economico di questo paese, e il marciume va dal presidente Grant fino ai più oscuri sceriffi di villaggio. Le forze in campo sono da un lato quelle degli industriali del Nord, del grosso dell’esercito, degli allevatori e di una parte dei latifondisti del Sud. Tendono a un’alleanza che ravvicini i partiti in cui si sono sempre riconosciuti: il repubblicano e il democratico. Dal lato opposto ci sono il resto dei proprietari terrieri meridionali, grandi ma soprattutto piccoli, i democratici populisti, le organizzazioni operaie, i fuorilegge come la banda James.14

La ricostruzione storica di Evangelisti è come sempre accurata, ma mai didascalica. La curiosità del lettore viene solleticata attraverso una narrazione che assume per certi versi le fattezze di un political thriller. E così, tra un colpo di scena e un’altro, veniamo a sapere che nel corso del 1876, alla vigilia di elezioni presidenziali che si annunciavano decisive, il ridisegno delle forze politiche e sociali stava subendo una violenta accelerazione.

Spezzoni di Partito democratico perdevano i loro connotati populisti; settori di Partito repubblicano si liberavano dell’eredità di Lincoln in tema di eguaglianza razziale e dell’ostilità verso i latifondisti del Sud. Hayes rappresentava appunto questa nuova tendenza, e il suo programma, favorevole sia alla grande proprietà terriera sia a uno sviluppo industriale libero da freni, era fatto proprio da molti dei governatori di recente eletti. Tilden, paternalista, non ostile alle rivendicazioni operaie e alla proibizione del lavoro minorile nelle officine e nelle miniere, pareva invece il residuo un po’ patetico di un’America destinata a sparire.15

Fermiamoci qua nella ricostruzione del contesto storico perché è giunto il momento di chiederci cosa rimane del mondo magico di Pantera quando il palero diventa protagonista di un vero e proprio romanzo storico. Evangelisti, dichiarando l’intenzione, mai concretizzata,  di riprendere il personaggio, sostiene di dover “superare una contraddizione: nato come stregone, in Antracite questa sua funzione è piuttosto secondaria. La storia non si prestava”.16
Nei primi due romanzi la “magia” di Pantera produce effetti reali: che si tratti di evocazione di spiriti o di attivazione inconsapevole di qualcosa di assimilabile a fluidi mesmerici poco importa in questo contesto. La cosa rilevante è che il messicano ha ricevuto un “dono”, i suoi poteri, magici o meno che siano. Questi gli consentono di superare le prove affrontate nel suo “viaggio dell’eroe”. Non esiste però un personaggio in carne e ossa che gli consegna questo dono, ruolo normalmente ricoperto dalla figura del mentore. Possiamo immaginare sia stato il padre a iniziarlo al Palo Mayombe, ma questa funzione non viene raccontata esplicitamente. Di conseguenza possiamo dire che l’archetipo del mentore è svolto dalle sue stesse credenze religiose. Pantera ha “interiorizzato l’archetipo, che ora vive dentro di lui come un insieme di regole di comportamento interiore”.17 Non è forse un caso che Vogler, quando parla di questo tipo di mentore, faccia riferimento ad alcuni film western (e noir) che prevedono un eroe risoluto non bisognoso di una guida in carne e ossa.
La funzione di mentore rappresentata dalla sua religione risulta fortemente indebolita in Antracite. Sebbene i suoi spiriti guida risultino infiacchiti Pantera dovrà affrontare una realtà che continua ad apparire come dominata da potenze che hanno qualcosa di sovrannaturale o meglio ancora demoniaco. La descrizione dei paesaggi, infatti, richiama spesso atmosfere orrorifiche.

Alcune colline sembravano bruciare. Le loro pendici erano segnate da fitti reticoli di vene infuocate, tanto brillanti da sfidare il bagliore della luna. Non c’erano vampe né fumi. Era il suolo stesso a essere incandescente, come fosse fatto di lava vulcanica. Lava immobile, però, che non scorreva e ardeva sul posto.18

Soprattutto è la miniera di antracite, in cui Pantera lavora per un breve periodo, ad apparire come un inquietante mondo ctonio, in senso metaforico, ma soprattutto molto materiale. Quando Pantera scende per la prima volta nelle sue profondità

non si era atteso che fosse come entrare in un’altra realtà, governata da logiche proprie che poco avevano a che vedere con quelle della superficie. Ciò non si percepiva quando, prima del sorgere del sole, le sirene degli stabilimenti chiamavano al lavoro, e una folla silenziosa e assonnata di operai invadeva le strade di Tamaqua, la gamella in mano. Era nel profondo del suolo, non appena le gabbie degli ascensori scaricavano il loro carico umano ai vari livelli di scavo, che tutto cambiava e si entrava in una diversa dimensione. Nel buio, dove aleggiavano gli odori di terra umida, di acido solforico, di gas naturali, di polvere di carbone, pulsava irregolare il cuore di una città in miniatura, affollata solo il tempo necessario perché le squadre si disperdessero nelle gallerie.19

In Black flag l’indiano Vecchia Pipa aveva detto a Pantera: “Devi solo seguire i tuoi riti, amico, poi sprofonderai fino alla verità che cerchi”.20 E in effetti così era accaduto. In Antracite la catabasi perde il suo carattere spirituale e diviene discesa reale in un mondo sotterraneo che richiama alla mente il “segreto laboratorio della produzione” del vecchio Marx.
Il ricorso al Nganga non consente più di accedere a una realtà sottostante non percepibile, anche se  Pantera continua a portarselo appresso e a professare la sua religione. Potremmo forse dire che il messicano non ha più un mentore, ma solo una sorta di aiutante/alleato, inteso, di nuovo, non come personaggio in carne e ossa ma come archetipo narrativo. Dovrà sostanzialmente cavarsela con le sue forze. Per chiarire questo punto un passaggio mi sembra particolarmente significativo.

Pantera rimpiangeva di avere lasciato il suo Nganga a Tamaqua, dentro la valigia affidata a Molly. Senza l’anima di un morto con sé, un palero diventava vulnerabile e non poteva abbandonarsi al semplice istinto. Pantera era dunque costretto a seguire logica e ragione, senza confidare in interventi soprannaturali. Appena possibile avrebbe miscelato e bollito un altro Nganga. Per ora doveva soprattutto tenere gli occhi bene aperti.21

Logica e ragione da una parte, istinto dall’altra. La religione di Pantera, come già accennato, si trasforma in una sorta di aiutante, nel senso che rappresenta una specie di amuleto in grado di dare fiducia al palero sulla giustezza della sua comprensione intuitiva delle cose. Il Ngana non produce più visioni alternative della realtà, ma si limita a trasmettere pulsazioni, scosse, vibrazioni che lanciano segnali di pericolo o di tranquillità. Non siamo più in un contesto fantastico e ci sono pochi dubbi sulla reale natura di queste percezioni. Per scoprire la verità sul mondo che lo circonda il messicano sarà costretto a usare soprattutto logica e ragione. C’è addirittura un momento in cui Pantera sembra abiurare le sue credenze, quando invoca l’aiuto del Santo per guarire Molly, malata di carbonchio.

Pantera si portò di fronte al Nganga. L’istinto era di prendere a calci quella cosa inutile, ma si trattenne. Invece curvò la testa, simulando devozione. Secondo la regla vrillumba, risultata inutile l’iguana, avrebbe dovuto alimentare il Santo con le viscere di un bambino. Non se la sentiva. Preferì recitare un’invocazione delle più potenti, sperando che fosse efficace. In cuor suo ne dubitava molto.22

Dopo non molto tempo l’atto sacrilego viene effettivamente compiuto: “Il messicano non invocò il Nganga, come era solito fare prima di un’azione. Lo aveva disfatto a calci quando Molly era spirata”.23

A questo punto ci si potrebbe anche aspettare che Pantera inizi mettere in dubbio le sue più radicate convinzioni a favore di una visione disincantata del mondo, considerando anche il fatto che, sebbene con la solita riluttanza, si sta avvicinando al nascente movimento operaio americano. Insomma, una sorta di evoluzione dall’utopia alla scienza di engelsiana memoria, ma in formato western. Sarebbe un’ottima trama per un narrazione dalle forti tinte pedagogiche. Ma non per un romanzo di Evangelisti.
Credo sia significativo il fatto che lo scrittore emiliano-romagnolo descriva la distruzione del Nganga prima come un’intenzione abortita e poi come un’azione avvenuta nel passato, sebbene molto recente. Narrare questo fatto al presente ne avrebbe dato una rappresentazione molto più forte, lasciando presagire un ripudio definitivo. In realtà si tratta di un momento di sconforto e di sfiducia cui seguirà la produzione di un nuovo Santo. “Prepararlo era stata una delle azioni più dolorose della sua vita, dato che conteneva la scatola cranica e alcune ossa di Molly, oltre agli ingredienti consueti”.24 Pantera si sente costretto ad assemblare la prima variante al femminile del Nganga perché teme che l’uomo dei topi si appropri delle spoglie mortali di Molly per i suoi rituali magici, condannando lo spirito della donna a non avere più pace. In effetti qui assistiamo a una piccola svolta, ma di questo parleremo nella prossima puntata.

3 – continua. Precedenti puntate qui e qui. Prossima e ultima puntata Sabato 28 ottobre


  1. V. Evangelisti, …Et mourir de plaisir, in Id. Le strade di Alphaville, a cura di Alberto Sebastiani, Odoya, Città di Castello 2022, p.60. 

  2. Ivi, p. 62. 

  3. V. Evangelisti, Metallo urlante, Einaudi, Torino 1998, p. 124. 

  4. V. Evangelisti, Black flag, Einaudi, Torino 2002, p. 182. 

  5. V. Evangelisti, Antracite, Mondadori, Milano 2003, p. 352. 

  6. Intervista a Valerio Evangelisti, di Luigi Pachì, in “Fantascienza.com”, 20 settembre 2003, https://www.fantascienza.com/6581/pantera-nera-antracite-intervista-con-valerio-evangelisti

  7. S. Moiso, Introduzione a S. Moiso e A. Sebastiani (a cura di), L’insurrezione immaginaria. Valerio Evangelisti autore, militante e teorico della paraletteratura, Mimesis, Milano 2023, pp. 10-11. 

  8. V. Evangelisti, Antracite, cit., p. 225. 

  9. Ivi, p. 223. 

  10. Ivi, p. 344. 

  11. Ivi. p. 127. 

  12. Ivi, p. 132. 

  13. Ivi, p. 128. 

  14. Ivi, p. 221. 

  15. Ivi, p. 327. 

  16. Intervista a V. Evangelisti di Paul D. Dramelay, in “Progetto Babele”, https://www.progettobabele.it/autori/valerioevangelisti.php

  17. C. Vogler, Il viaggio dell’eroe, Dino Audino, Roma 1999, p. 52. 

  18. V. Evangelisti, Antracite, cit., p. 105. 

  19. Ivi, p. 139. 

  20. V. Evangelisti, Black flag, Einaudi, Torino 2002, pp. 144-145. 

  21. V. Evangelisti, Antracite, cit., p. 78. 

  22. Ivi, p. 269. 

  23. Ivi, p. 274. 

  24. Ivi, p. 312. 

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Pantera, magia e rivoluzione nel vecchio west di Valerio Evangelisti /2 https://www.carmillaonline.com/2023/10/21/pantera-magia-e-rivoluzione-nel-vecchio-west-di-valerio-evangelisti-2/ Fri, 20 Oct 2023 22:30:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=79356 di Fabio Ciabatti

Avevamo lasciato, nella precedente puntata, Pantera che accettava, anche se dubbioso, l’aiuto dei poteri mesmerici Rosenthal e di quelli magici dell’indiano Vecchia Pipa. Proseguiamo il nostro percorso osservando che, nei due casi appena citati, Pantera sta utilizzando il Nganga, anche detto il Santo, strumento rituale composto da parti di corpo di una persona morta da poco, terra, sperma, sangue animale, erbe di varie specie, il tutto bollito in un pentolone. Si tratta di momenti decisivi nelle vicende narrate. Momenti in cui Pantera riesce ad accedere, con l’aiuto degli [...]]]> di Fabio Ciabatti

Avevamo lasciato, nella precedente puntata, Pantera che accettava, anche se dubbioso, l’aiuto dei poteri mesmerici Rosenthal e di quelli magici dell’indiano Vecchia Pipa. Proseguiamo il nostro percorso osservando che, nei due casi appena citati, Pantera sta utilizzando il Nganga, anche detto il Santo, strumento rituale composto da parti di corpo di una persona morta da poco, terra, sperma, sangue animale, erbe di varie specie, il tutto bollito in un pentolone. Si tratta di momenti decisivi nelle vicende narrate. Momenti in cui Pantera riesce ad accedere, con l’aiuto degli spiriti evocati  attraverso il Nganga, a una verità che prima gli risultava celata. In Metallo urlante scopre in questo modo una realtà che è l’opposto di quella che immediatamente appare. I dieci minacciosi e giganteschi cavalieri, che da subito Pantera ha identificato come kyumba, spiriti dei morti, in realtà “vogliono giustizia” perché sono stati uccisi orrendamente, attraverso la tortura che prevede il cospargimento del corpo con pece e piume.
In breve, tutto nasce da uno scontro tra Burton, padre padrone della città in quanto il più importante allevatore della zona, e suo figlio che aveva deciso di sposare la giovane Cindy, nonostante la sua dubbia reputazione. Il padre finisce per uccidere il figlio. Dieci cowboy amici di quest’ultimo cercano di ribellarsi a Burton ma vengono catturati. Furioso per l’accaduto lo stesso Burton ordina il loro supplizio e istiga tutti i bravi cittadini di Tucumcari a violentare a turno Cindy durante l’agonia dei dieci sfortunati. I veri mostri, dunque, non sono i dieci Cowboys from Hell! C’è una sorta di violenza originaria che cementa il patto sociale di Tucumcari e un’omertà collettiva che lo circonda. Una violenza che prosegue con i ripetuti abusi sessuali nei confronti di Cindy. La ragazza, apparentemente la più ingenua e indifesa delle creature, è colei che evoca gli spiriti dei dieci cowboy. Pantera era stato assoldato da Burt per “riportare la tranquillità” in un microcosmo messo in pericolo da una minaccia terrificante e apparentemente aliena. Ma, come già accennato, è il mondo ordinario a produrre mostri, perché intriso di violenza e sopraffazione. Il nostro eroe dunque non ristabilisce un ordine violato, ma strappa il velo di ipocrisia che nasconde l’ordinaria violazione di ogni umana giustizia. Per questo Pantera si troverà a combattere contro coloro che l’hanno assoldato nel mentre cerca di placare i dieci kyumba la cui sete di giustizia rischia di trasformarsi in  una indiscriminata furia di vendetta.   

Una simile dinamica la vediamo anche in Black flag. Pantera, sempre con l’aiuto del suo Nganga, riesce a comprendere  o, più precisamente, a vedere una realtà  su cui aveva avuto già numerosi indizi, senza riuscire a metterla definitivamente a fuoco. Ciò che riesce a vedere con chiarezza è la vera natura dei suoi nemici, quelli che l’avevano assoldato per uccidere l’uomo lupo, ma che poi avevano cercato di farlo fuori. 

Non erano esseri umani: erano lupi. Lupi diversi dalla sua guida però. Più famelici che affamati, più crudeli che selvaggi, più violenti che forti. Odiavano tutti, si odiavano tra loro, ma soprattutto odiavano lui, che pure apparteneva alla stessa specie, e la sua diversità […] pregustavano il momento in cui avrebbero soppresso l’anomalia, il lupo di branco. Feroce quanto loro, ma non sempre e non comunque.1

Dopo il combattimento finale Pantera decide di seguire nuovamente il suo vecchio comandante Juan Nepomuceno Cortina per andare in Messico e unirsi alla causa di Benito Juarez. Ha accettato finalmente la sua natura di lupo di branco e ha compreso che la battaglia appena affrontata è solo un episodio di una lunga guerra.

La lotta, in questo Paese, continuerà anche senza di noi. Lupi di branco contro lupi solitari. Se avranno la meglio i secondi, l’America sarà l’inferno, e prima o poi il mondo intero. La loro frontiera si sposta -. Ghigno tra sé – Bellegarrigue lo avrebbe però chiamato paradiso. Anzi paradice -. Imitò l’accento del francese.2

E in effetti quella frontiera nel 1989 si è spostata fino a Panama, bombardata dagli Stati Uniti che, nel paese centroamericano, stanno portando avanti un esperimento finalizzato alla creazione di un gruppo di soldati-mostro, utilizzando persone affette da una rara malattia genetica, la porfiria, e trattate con sali d’oro, come faceva Bellegarrigue con Kroger: il commando Gray Wolves. Lupi grigi come quelli solitari che il bianco lupo di branco Pantera aveva combattuto. Siamo nel mezzo di una guerra spietata che fa strage dei civili conferendo tono profetico alle parole di uno dei bushwackers:

noi portiamo la guerra dove gli eserciti non arrivano. Nei villaggi, nelle fattorie, nelle case, tra i civili codardi. Siamo noi il sale di questa lotta. Ho idea che tutte le guerre future somiglieranno alla nostra.3

La “loro frontiera”, nell’anno 3000, ha inglobato l’intero mondo, piagato da una sovrappopolazione di 300 miliardi di persone. In questo lontano futuro sorge un’unica megalopoli che unisce le vecchie città di New York, Los Angeles, Washington. Un mostruoso agglomerato urbano chiamato, appunto, Paradice (alla francese). Siamo in un un futuro distopico caratterizzato da una sorta di anomia ferocemente carnevalesca, in cui vige il più classico homo homini lupus, la guerra di tutti contro tutti. Un mondo in cui l’unica cosa che distingue le persone è la diversa psicosi da cui sono affette: esistono solo i Fobici, gli Isterici, gli Ossesso, gli Autistici, gli Schizo. Tra questi ultimi c’è la protagonista della storia ambientata nel futuro, Lilith (che, a proposito di One big novel, ritroveremo insieme a Eymerich in Rex tremendae maiestatis). Si tratta di una giovane donna astuta e forte come nessun altro, una belva piena di rabbia di cui non riesce a comprendere il motivo, una persona incapace di concepire alcun contatto umano diverso dalla violenza, dal dolore e dalla morte. Il perfetto prototipo della nuova umanità vagheggiata da Bellegarrigue.
Da questi brevi accenni capiamo che l’happy end delle avventure di Pantera in Black flag è solo apparente. Si tratta semmai di una narrazione implicitamente ucronica perché racconta una possibile biforcazione del tempo, quella che si sarebbe verificata qualora i lupi di branco avessero proseguito vittoriosamente la loro guerra contro i lupi solitari. Ma la storia, quella vera, ha imboccato un’altra via. Il bombardamento di Panama ci mostra che la guerra la stanno vincendo i lupi solitari e Paradice ci porta fino all’estrema catastrofe cui è destinato il mondo in assenza di uno scarto epocale nelle vicende umane.4

Torniamo ora a Pantera per notare un’interessante caratteristica della sua “visione” ottenuta con l’aiuto del Nganga. Il messicano, quando si rende conto che sta iniziando a percepire una realtà differente da quella ordinaria, teme di perdere la coscienza, ma la sua paura si rivela infondata.

Rimase lucido, ma tutto si colorò di bianco, salvo le sfumature di grigio e di nero che disegnavano ambienti, oggetti e persone. Era una candore che non aveva nulla di naturale […] Accecava, ma dava rilievo alle cose, incluse quelle che prima non riusciva a percepire.5

Cosa potrà mai essere una luce che acceca ma al contempo dà rilievo alle cose? Sembra una contraddizione in termini simile a quella che caratterizza un’espressione, “veglia sognante”, utilizzata da Evangelisti per spiegare il grande potere seduttivo esercitato dai maestri della narrativa popolare, capaci di far acquistare l’evidenza di cose reali a figure immaginarie.6 Assomiglia al paradosso espresso dall’alchimista Rupescissa, il nemico di turno di Eymerich in Cherudek, quando sostiene che si può, anche se con difficoltà, guidare “l’anima, la psyche, in un viaggio lucido nel mondo spirituale con cui siamo a contatto, osservando con consapevolezza ciò che di solito percepiamo solo confusamente in sogno.”7

Quest’ultima osservazione ci introduce a un altro ordine di questioni. Che rapporto c’è tra il più famoso personaggio di Evangelisti, l’inquisitore-condottiero Eymerich, e lo stregone-pistolero Pantera? In primo luogo c’è un rapporto di opposizione: quello tra il cosmo ordinato, secondo le leggi stabilite da Dio, difeso dall’inquisitore, e la visione del mondo sostenuta dal messicano “fatta di caos e di scontri”. Gli stregoni, come nota Franco Pezzini, sono i nemici per eccellenza di Eymerich, in quanto evocano poteri oscuri, demoniaci, cercando di introdurre il disordine estremo nel mondo. Il compito dell’inquisitore non è soltanto quello di riportare un ordine pratico, ma anche quello di ristabilire un assetto metafisico. Gli stregoni, dal canto loro, sono espressione di mondi sconfitti che i subalterni chiamano in loro aiuto per opporsi ai poteri dominanti. Sarebbe però errato, sostiene Pezzini, considerare questi nemici dell’oscurantista Eymerich come portatori tout court di istanze libertarie, sia perché i loro profili sono estremamente differenziati sia perché l’eruzione del caos (che l’inquisitore combatte) è talora funzionale all’affermarsi di idee francamente reazionarie.8
I nemici di Eymerich, come già scritto altrove, sono spesso personaggi intriganti, nel duplice senso di affascinanti e dediti a intrighi che si svolgono al di sopra degli inconsapevoli oppressi. Anche per questo l’immaginario alternativo che nasce delle eresie è popolato da innumerevoli creature inquietanti e, in fin dei conti, ha alcuni tratti tutt’altro che rassicuranti benché in esso si trovino sogni e pulsioni di libertà, frammenti preziosi e magmatici di possibili mondi alternativi potenzialmente in grado di creare un tessuto comune per le soggettività oppresse e sfruttate. L’immaginario alternativo rimane sospeso tra sogno e incubo.

Come stanno le cose nel caso dello stregone Pantera? C’è senz’altro un aspetto demoniaco nella sua religione. Quando gli chiedono in che dio crede, egli risponde: “Io in Sambia, e più ancora in Kadiempembe, che voi chiamate il diavolo”.9 Il suo mondo spirituale non rifiuta la violenza ed è questa caratteristica che, tra l’altro, consente a Pantera la doppia vita di uomo di religione e di pistolero. Il suo è inoltre un credo che oppone all’astrattezza dei principi cristiani la concretezza della natura.

Quando era stato iniziato al Palo Mayombe, la religione cristiana in cui era stato sommariamente educato dai parenti era svanita in un attimo. D’improvviso tante cose gli erano apparse più chiare. Perché la pioggia, perché la sete, perché la luce. Perché tutte le cose hanno un’anima. Risposte molto più concrete di quelle fornite dalla religione dei bianchi, che non rispondeva a nulla. Non c’era palero che, venerando san Pietro, non rendesse in realtà omaggio al grande Zarabanda, nume ben più visibile e potente. Perché mai gli uomini avrebbero dovuto piegarsi a principi astratti, incapaci di dominare la natura? Cos’altro esisteva, se non la natura? Pian piano, aveva compreso la vacuità della sua vita di pistolero. Per i cristiani, uccidere poteva essere un peccato orrendo o una dura necessità; ma c’era sempre una qualche necessità ineludibile da invocare. Per un palero, invece, solo certi uomini potevano essere uccisi. Quelli che stonavano con l’armonia dei cicli naturali, che impedivano al prossimo di abbandonarvisi. Non era peccato liberare l’esistente da un intralcio. Era peccato turbarne la regolarità.10

Come già accennato, il politeismo del Palo Mayombe lo rende estraneo alla potenziale intolleranza insita nel monoteismo. Per Pantera la differenza tra le diverse religioni è di natura essenzialmente pratica: “Non c’è una religione vera e una falsa. Tutte sono vere. Però non tutte aiutano quando se ne ha bisogno”.11 Ciò non toglie che il messicano sia consapevole dell’ipocrisia che accompagna spesso la religione dominante. Di fronte alla prostituta Molly che si lamenta di essere rifiutata dai preti perché vive nel peccato, Pantera osserva: “Sono loro che vivono nel peccato. Odiano le cose naturali, e passano il tempo a sporcarle per poterle poi condannare. Il palo non è così”.12
La religione di Pantera, sebbene attinga a credenze ancestrali africane, nasce nella seconda metà dell’Ottocento a Cuba e ha natura sincretica. Il fatto che venga continuamente assimilata a stregoneria e magia è un destino comune alle religioni precolombiane, soppiantate dal cristianesimo dei conquistatori europei ma mai sradicate dalle credenze dei colonizzati. Queste rimanenze, in realtà molto diffuse, vengono spesso assimilate al culto di demoni e forze oscure presenti nel pantheon cristiano. Una simile dinamica avviene anche in Europa e nelle avventure di Eymerich ne abbiamo una trasposizione narrativa. L’inquisitore è spesso impegnato nella feroce repressione di eresie che attingono a credenze precristiane: “quelle che finora abbiamo chiamato divinità  – viene affermato in Cherudek – sono in verità demoni, impegnati a predicare una liberazione immediata, lontana da quella spirituale voluta dalle Scritture”.13 E per approfondire la contrapposizione tra l’inquisitore e lo stregone Pantera possiamo anche aggiungere che nell’universo spirituale di Eymerich la natura “è intimamente malvagia, perché è la negazione della ragione. E solo la ragione conduce a Dio”.14 Non deve dunque sorprendere l’atteggiamento di Pantera nei confronti di chi assimila le sue credenze alla pratica di arti occulte:  “Non è una magia. È una religione. E merita rispetto come tutte le altre religioni”.15  Il messicano non è interessato a fare proselitismo, ma vuole riconosciuta la dignità delle sue credenze.
Per comprendere meglio la relazione tra Eymerich e Pantera, citiamo un’osservazione di Evangelisti sul rapporto tra i due personaggi: “Sarebbero certamente nemici, però non mortali. Eymerich tenta di disciplinare il mondo a sua immagine, Pantera vorrebbe farsi gli affari suoi e odia avere seguaci. Però non si odierebbero, dato che li accomuna l’asocialità naturale”.16 Pantera, nonostante la sua asocialità, aggiunge Evangelisti in un’altra intervista, “poi si ritrova a dover fare il difensore dei perdenti”.17

Credo che una parte significativa del fascino del personaggio Pantera stia proprio in questa sua riluttanza che viene alla fine vinta. Si tratta, come già detto, di un cavaliere oscuro, da cui si sprigionano improvvisamente, direi quasi gratuitamente, lampi di umanità e senso di giustizia. Proprio perché queste luci non sono mai scontate, il lettore rimane sempre in sospeso: farà la cosa giusta o continuerà a farsi gli affari propri? Fino a quando il nostro eroe si decide a schierarsi a difesa dei più deboli e la tensione si scioglie. Finalmente! Però quasi mai Pantera dà una giustificazione agli altri e a sé stesso di questi gesti, tanto che poi può tornare immediatamente alla sua oscura asocialità. Si potrebbe dire che queste azioni sono mosse da un inestricabile impasto fatto di “primordiale diritto alla vendetta”18 e elementare senso di giustizia.  Il primo lo possiamo vedere, per esempio, quando a sangue freddo decide di uccidere Wishburn, il vicesceriffo di Tucumcari.

“Era proprio necessario?” chiese Rosenthal, con voce incrinata. Era palese che si riferiva all’assassinio di Wishburn. “No, non lo era” rispose Pantera, serafico. “Ma la mia religione non proibisce l’uccisione di uno stronzo. Né il piacere che questo procura.”19

Insomma, a Pantera, come al famoso cavaliere nero di Gigi Proietti, “nun je devi caca’ er cazzo”! Il tono faceto di questa osservazione non deve oscurare il punto in questione: Evangelisti non si fa problema a utilizzare un registro popolare, con tanto di effetti speciali, per catturare il suo lettore e trasportarlo in un universo narrativo di grande complessità e impegno. In fin dei conti è questo uno dei più importanti motivi per cui utilizza, in modo del tutto originale, la letteratura di genere. Chiusa questa breve digressione, torniamo al senso di giustizia del nostro Pantera cui avevamo accennato. Ne abbiamo un assaggio, sempre in Metallo urlante, quando il messicano schiaffeggia “con ponderata violenza” e subito dopo rimprovera duramente Gloria, una prostituta che si rifiuta di accogliere Cindy perché la considera una svergognata.

Ascoltami bene. Per il paese intero le svergognate siete tu e le tue amiche. In realtà siete ragazze a posto. Ma anche Cindy lo è, solo che è più debole di voi. Guai a chi se la prende coi più deboli, per assomigliare a chi lo umilia. Troverà sempre qualcuno più forte di tutti. In questo caso, io.20

Corso accelerato di etica per oppressi in salsa western: lesson number one! Ci sono poi fugaci momenti di profonda sensibilità umana. Per esempio quando chiede a Cindy, la fanciulla che viene continuamente abusata da tutto il paese, perché non se ne va e lei gli risponde “Dove dovrei andare? Qui mi vogliono tutti bene”. 

Le parole di Cindy colpirono Pantera come un pugno doloroso, togliendogli il fiato. Sopportava tutto, ma non l’indicibile squallore che intuiva dietro quelle frasi […] Si rimproverò le proprie sensazioni. Nel suo mestiere non si potevano avere sentimenti, pena la morte. Ma il viso da bambina di Cindy gli era troppo vicino. Non potè impedirsi di sfiorarle i capelli con le dita.21

Un altro fugace momento di introspezione lo vediamo quando Pantera chiede a Gloria, la stessa donna che aveva poco prima schiaffeggiato, di condurre via Cindy senza spaventarla perché si stanno avvicinando i cowboy dell’inferno.

“Lascia fare a me.” Il timbro della prostituta, benché velato di raucedine, era caldo e profondo. Il messicano provò per un attimo il rimpianto per qualcosa che non conosceva, ma che sapeva esistere da qualche parte. Però preferì non indagare sui propri sentimenti.22

In questi atteggiamenti Pantera ha qualcosa in comune con Eymerich. Anche quest’ultimo ha brevissimi momenti  di pietà nei confronti del prossimo e finanche delle proprie vittime, che reprime  immediatamente con rabbia. Eymerich, però, si richiude all’interno della sua armatura caratteriale, costruita nel tentativo di fronteggiare le sue fobie, per tener fede al suo ruolo di inquisitore e cioè disciplinare il mondo, compito che gli impone di avere, come sintetizza Evangelisti, “né eccessiva pietà verso i perdenti né eccessiva devozione verso i vincenti”.23 Il personaggio di Eymerich è costruito sapientemente da Evangelisti come un eroe sui generis, dalla doppia natura: coraggioso, intelligente, scaltro, dedito alla causa, incurante del proprio tornaconto personale, ma al tempo stesso spietato, iracondo, vendicativo, orgoglioso. Molte di queste caratteristiche contraddittorie potrebbero essere attribuite anche a Pantera. Tutto sommato anche al messicano potrebbe calzare il nomignolo che è stato affibbiato a Eymerich dai suoi nemici catari, San Malvagio. O forse sarebbe meglio invertire i termini: Pantera è un malvagio santo. È il seguace di una religione con alcuni tratti demoniaci ma che, volente o nolente, resiste alla distruzione dell’immaginario dei popoli colonizzati. Appartiene indissolubilmente al mondo dei vinti e degli oppressi. In fin dei conti, il primordiale diritto alla vendetta che rivendica è una forma, forse non completamente chiara a sé stessa, di odio per i vincitori e gli oppressori. Anche per questo Pantera finisce sempre per difendere una variegata congerie di reietti e per combattere insieme a loro. Da qui ripartiremo nella prossima puntata.

2- continua. Precedente puntata qui. Prossima puntata martedì 24 ottobre


  1. V. Evangelisti, Black flag, Einaudi, Torino 2002, p. 180. 

  2. Ivi, p. 207. 

  3. Ivi, p. 38. 

  4. Per il concetto di opera implicitamente ucronica Cfr. Wu Ming, New italian epic, Einaudi, Torino 2009. A proposito dell’appartenenza di Evangelisti a questa corrente letteraria va però menzionato una valutazione dello stesso scrittore: “ognuno è libero di in qualche modo interpretare l’opera narrativa di qualcuno secondo certi criteri. Il limite dell’operazione in quel caso è stato che appariva tanto come un manifesto di una generazione, io non mi ritrovavo tanto in questa cosa qua, non sono un teorico cioè se un teorico mi interpreta gli sono grato. Io però non ho seguito linee programmatiche per scrivere qualcosa, ho seguito i miei istinti personali”. Vedi intervista a V. Evangelisti, di E. Carraro, 5 dicembre 2012, in E. Carraro, Valerio Evangelisti, il ciclo di Eymerich e il romanzo dell’inconscio, tesi di laurea in Filologia e letteratura italiana, Università Ca’ Foscari, Venezia, relatore prof. Alessandro Cinquegrani, a.a. 2013/2014, p. 108. 

  5. Valerio Evangelisti, Black flag, cit. p. 197. 

  6. Cfr. V. Evangelisti, Perché Mompracem resiste ancora, in Id., Le strade di Alphaville, a cura di Alberto Sebastiani, Odoya, Città di Castello 2022, p. 183. 

  7. V. Evangelisti, Cherudek, Mondadori, Milano 1997, pp. 448-449. 

  8. Cfr. Franco Pezzini, L’inquisitore e gli stregoni, in Sandro Moiso e Alberto Sebastiani, a cura di, L’insurrezione immaginaria. Valerio Evangelisti autore, militante e teorico della paraletteratura, Mimesis, Milano 2023. 

  9. V. Evangelisti, Black flag, cit., 65. 

  10. Valerio Evangelisti, Metallo urlante, Einaudi, Torino 1998, p. 97. 

  11. Ivi, p. 92. 

  12. V. Evangelisti, Black flag, cit., p. 65. 

  13. V. Evangelisti, Cherudek, Mondadori, Milano 1997, p. 301. 

  14. Ivi, p. 272. 

  15. V. Evangelisti, Metallo urlante, cit.,p. 85. 

  16. Intervista a Valerio Evangelisti, di Cristina Donati, in “fantasy magazine”. 7 gennaio 2010, https://www.fantasymagazine.it/11552/intervista-a-valerio-evangelisti

  17. Intervista a V. Evangelisti, di E. Carraro, in E. Carraro, Valerio Evangelisti, il ciclo di Eymerich e il romanzo dell’inconscio, cit. p. 106. 

  18. V. Evangelisti, Black flag, cit., p. 197. 

  19. V. Evangelisti, Metallo urlante, cit., p. 126. 

  20. Ivi, p. 116. 

  21. Ivi, p. 98. 

  22. Ivi, p. 127. 

  23. Intervista a Elisabetta Carraro, in Valerio Evangelisti, il ciclo di Eymerich e il romanzo dell’inconscio, cit. p. 106. 

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Pantera, magia e rivoluzione nel vecchio west di Valerio Evangelisti /1 https://www.carmillaonline.com/2023/10/17/pantera-magia-e-rivoluzione-nel-vecchio-west-di-valerio-evangelisti-1/ Mon, 16 Oct 2023 22:30:11 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=79284 di Fabio Ciabatti

Il messicano Pantera, stregone e pistolero a pagamento, protagonista di avventure che attraversano gli Stati Uniti della seconda metà dell’Ottocento, è uno dei personaggi più intriganti e noti usciti dalla penna di Valerio Evangelisti. Pantera ha il fascino tenebroso del cavaliere oscuro che però, alla fine, si risolve per fare la cosa giusta. È probabilmente l’unico eroe nella narrativa di Evangelisti, almeno se intendiamo questo termine in senso stretto, cioè come protagonista moralmente positivo di avventure straordinarie che affronta con capacità fuori dal comune. Ma di che tipo [...]]]> di Fabio Ciabatti

Il messicano Pantera, stregone e pistolero a pagamento, protagonista di avventure che attraversano gli Stati Uniti della seconda metà dell’Ottocento, è uno dei personaggi più intriganti e noti usciti dalla penna di Valerio Evangelisti. Pantera ha il fascino tenebroso del cavaliere oscuro che però, alla fine, si risolve per fare la cosa giusta. È probabilmente l’unico eroe nella narrativa di Evangelisti, almeno se intendiamo questo termine in senso stretto, cioè come protagonista moralmente positivo di avventure straordinarie che affronta con capacità fuori dal comune. Ma di che tipo di abilità parliamo?
La domanda è di particolare interesse perché questo personaggio ha una peculiarità che forse lo rende più unico che raro nel panorama letterario: le sue vicende appartengono a due generi narrativi completamente diversi. I primi due libri in cui compare,
Metallo urlante e Black Flag (pubblicati rispettivamente nel 1998 e nel 2002), possono infatti essere ascritti al genere fantastico, mentre il terzo, Antracite (pubblicato nel 2003), appartiene al genere del romanzo storico.
Questa capacità di rompere la barriera tra diversi generi conferma quanto sostiene Alberto Sebastiani: l’intera opera di Valerio Evangelisti costituisce una One big novel in cui si trovano continui rimandi tra vicende e personaggi presenti nei diversi romanzi. Ma soprattutto, le opere dello scrittore emiliano-romagnolo, pur molto differenti quanto a genere, trama, ambientazione storico-geografica, presentano una  profonda unità tematica: l’eterno conflitto tra chi detiene il potere e chi gli resiste.1 Dal canto mio, credo che la figura di Pantera ci possa dire qualcosa di significativo sull’universo letterario di Evangelisti e sulla sua concezione dell’immaginario, proprio per la sua caratteristica di eroe cross-genere.

Secondo Tzvetan Todorov “il fantastico rappresenta un’esperienza dei limiti” e per questo “un inventario di possibili”.2 I confini tra spirito e materia, tra soggetto e oggetto, tra parola e cosa vengono continuamente trasgrediti, senza essere ignorati, come accade nel pensiero mitico. La barriera tra reale e l’immaginario si fa porosa. Sempre Todorov sostiene che la letteratura fantastica ha nel Novecento perso sostanzialmente la sua funzione: da una parte non abbiamo più bisogno di figure come il diavolo per parlare di un desiderio sessuale sfrenato perché la psicanalisi ha rotto i tabù in questo ambito; dall’altra, non viviamo più nell’Ottocento positivista, con la sua realtà oggettiva ed immutabile completamente esterna al soggetto, di cui il fantastico possa essere la cattiva coscienza.
Il giudizio del critico letterario deve aver qualche fondata ragione se è vero che il fantastico, nell’Italia del dopoguerra, trova rifugio nel fantasy, un territorio letterario presidiato nel nostro paese dalla sottocultura fascista fino all’irruzione, agli inizi degli anni ’90, del primo libro del ciclo di Eymerich, scritto da Evangelisti. Come ci racconta Domenico Gallo,3 si tratta di un territorio dell’immaginario che la destra voleva caratterizzato dall’indomito ed eterno risorgere del mito, mai definitivamente sconfitto dalla cultura moderna, ma solo temporaneamente vinto dall’illuminismo, dal razionalismo e poi dal marxismo. Il fantasy, l’horror, il sovrannaturale dovevano essere gli ambiti in cui si trattava di elementi come la celebrazione della divisione in caste, la lotta alla democrazia, il rapporto diretto con la divinità, il concetto di prescelto, l’esaltazione della lotta e la gerarchia della società. Il fantastico, possiamo commentare, da esperienza del limite diventava limite dell’esperienza: non più strumento letterario per dischiudere i possibili, ma struttura narrativa che restringe la capacità di immaginare mondi alternativi alla resurrezione di un passato mitico. L’eterno ritorno della vecchia merda.
Ma la letteratura fantastica può assumere un senso diverso da quello che ha storicamente rappresentato, ben al di là della paccottiglia fascistoide. In fin dei conti se il soprannaturale, o quello che appare come tale, esprime la trasgressione di una legge (naturale e/o morale), e per questo un’esperienza del limite, come sostiene lo stesso Todorov, occorre capire quale sia oggi il sistema di regole prestabilite che risulta impossibile negare, pena l’aprirsi di profonde crepe nell’immaginario che sorregge il nostro mondo. In effetti l’obiettivo, tutto politico, dell’opera letteraria di Evangelisti è proprio quello di combattere quella che definisce la colonizzazione dell’immaginario, in modo da poter valicare le colonne d’Ercole del realismo capitalista che oggi ci impedisce anche solo di sognare altri mondi possibili.

E qui torniamo al nostro Pantera, con la sua magia e la sua religione popolata di spiriti ancestrali che si scontra con un nuovo mondo in formazione caratterizzato dall’“assenza di ideali, di sentimenti e di un futuro plausibile”, come scrive Evangelisti alla fine della storia del messicano in Black Flag. Salvo aggiungere, subito dopo, “O forse un futuro c’era: d’oro e di ferro. Comunque di metallo”.4 Ma in che modo il mondo sovrannaturale di Pantera ci aiuta a fare un’esperienza del limite? Da un punto di vista antropologico, sostiene Michael T. Taussing, lo studio dello strano e dell’esotico ci può mettere di fronte a quanto veramente strana sia la nostra stessa realtà. Non si tratta di assumere come vere le concezioni altre contrapponendole alla falsità delle nostre, ma di prendere sul serio il contrasto tra differenti visioni del mondo al fine di denaturalizzare i nostri stessi feticci.5
La magia di Pantera rispetto al mondo moderno appare come un arcaismo, memoria e tradizione di un passato che fatica a diventare una guida per il presente. L’attrito tra i differenti strati temporali genera una tensione la cui risultante appare inizialmente sospesa tra il mero rifugio nel passato e la creazione di nuove e inedite possibilità. Pantera, infatti, non ha molto da dire su ciò che accadrà al suo mondo o su ciò che pensa sia auspicabile per i tempi a venire. “Quando ho combattuto con Juan Nepomuceno Cortina – si limita a osservare in Black flag – l’ho fatto per difendere gli ejidos, le terre comuni. Non so altro”.6 Le lotte di Pantera in territorio messicano vengono appena accennate e sembrano quasi racconti di un mitico passato da cui trarre semplici insegnamenti. In realtà, storicamente, appartengono alla modernità ma, geograficamente, provengono dai suoi bordi estremi. Ed è proprio dalla periferia del nostro mondo che è più facile fare esperienza dei suoi  limiti.
Pantera è appunto un personaggio periferico rispetto all’ambiente in cui si svolgono le sue avventure. Talmente periferico da risultare difficilmente categorizzabile: viene ripetutamente considerato un “negro” e lui risponde, talvolta rassegnato talaltra irritato, che è un messicano, anche se in realtà è un meticcio figlio di uno schiavo nero e della moglie del suo padrone. Frequentemente viene appellato come uno stregone o un prete, ma lui rifiuta entrambe le qualificazioni sostenendo di essere un uomo di religione, la sua religione, sebbene sia anche un pistolero a pagamento. In lui sacro e profano si mescolano e si scontrano. La morte e la vita gli sono altrettanto indifferenti. Pantera vive nell’instabile congiuntura tra un inquietante mondo straordinario in cui si possono udire le voci degli spiriti della natura, potenti e selvaggi, e un mondo ordinario, altrettanto minaccioso, in cui l’urlo del metallo sovrasta tutte le altre voci. 

Per prima cosa bisogna notare che le strutture narrative dei tre romanzi in cui compare Pantera sono molto diverse. Il primo, Metallo urlante, è composto da quattro lunghi racconti, sostanzialmente autosufficienti, anche se tenuti insieme da un esile filo narrativo: Venom, Pantera, Sepoltura e Metallica. Il primo, che fa da cornice, si divide a sua volta su due livelli temporali: abbiamo da una parte le vicende dell’inquisitore Eymerich, dall’altra una storia ambientata in un XXI secolo piagato da due virus che deteriorano la carne, sostituita da parti metalliche, e da una guerra che vede succedersi manifestazioni mostruose. E in questo livello che apprendiamo come tutte le diverse storie narrate nel libro si collegano tra di loro. Vengono infatti citate per brevi accenni in una ricerca “storica” condotta per capire come si sia arrivati “a fare sì che ferro, acciaio e oro riuscissero ad agganciare le proprie molecole a quelle della pelle, aprendo le quinte di una nuova razza umana, tanto possente quanto sterile”.7 In questo contesto apprendiamo che Pantera “Ebbe a che fare con il mesmerismo, che rappresentò, se vogliamo, una prima forma di dialogo tra l’uomo e il metallo”.8
Il secondo romanzo, Black flag, presenta una struttura molto simile a quella tipica dei romanzi del ciclo di Eymerich. Prendendo a prestito la terminologia coniata da Sebastiani,9 abbiamo un tempo base (quello normalmente riservato all’inquisitore aragonese), ambientato durante la guerra civile americana che vede come protagonista Pantera e che occupa di gran lunga il maggior numero di pagine. Abbiamo poi altri due livelli temporali: uno a noi storicamente vicino, l’invasione statunitense di Panama, che fa da cornice, e l’altro proiettato in futuro distopico, allo scoccare del capodanno del 3000. Le storie che si svolgono nei tre livelli sono molto più intrecciate di quanto accada con i racconti di Metallo urlante: da una parte nei livelli I e II vediamo dipanarsi le terribili conseguenze storiche di ciò che è accaduto nel tempo base; dall’altra troviamo delle spiegazioni parascientifiche di fenomeni e vicende che, nel corso delle avventure di Pantera, potrebbero sembrare sovrannaturali.
La struttura di Antracite, infine, è più tradizionale, nel senso del romanzo di stampo realistico. La trama riguarda esclusivamente le vicende del protagonista, Pantera, seguendo il filo cronologico delle sue avventure. 

Un’ulteriore differenza tra i tre romanzi riguarda il rapporto tra le vicende narrate e il contesto storico di riferimento. In Metallo urlante le avventure di Pantera si svolgono in una sorta di luogo sospeso nello spazio e nel tempo. Praticamente assente ogni riferimento a ciò che accade al di fuori di Tucumcari, villaggio del selvaggio west statunitense dove si svolge la storia. Un isolamento sottolineato dal fatto che “nessuno riusciva ad abbandonare l’area condannata, il cui perimetro veniva circondato da una cortina invisibile, ma assolutamente impenetrabile”10 non appena si mettevano in cammino i dieci giganteschi e mostruosi cavalieri che Pantera era stato chiamato a fermare con i suoi poteri magici. Tucumcari più che un luogo reale è, come sostiene ancora Sebastiani, un luogo dell’immaginario che non a caso Evangelisti riprende dall’ambientazione di Per qualche dollaro in più di Sergio Leone.
In
Black flag il contesto storico è ben presente, la guerra civile americana, ma le vicende narrate sono tutto sommato marginali rispetto allo svolgersi della del conflitto bellico benché finiscano per assumere un significato che trascende la loro effettiva incidenza sugli avvenimenti politico-militari dell’epoca. Con Antracite, infine, siamo catapultati direttamente nel centro della Storia con la “s” maiuscola, cosa particolarmente evidente nel finale quando Pantera viene coinvolto nelle vicende della comune di Saint Louis, sebbene controvoglia.

Il coinvolgimento, suo malgrado, nelle vicende altrui è una caratteristica tipica di Pantera, che, per certi versi, rappresenta il classico eroe riluttante. Uno di quelli, cioè, che sono “bisognosi di essere motivati o spinti all’avventura da forze esterne”.11 A differenza di questo cliché, però, il messicano è tutt’altro che passivo ed esitante. I dubbi li vedremo affiorare soprattutto in Antracite, senza che questo scalfisca la sua natura di uomo deciso, votato all’azione.
In ogni caso Evangelisti, come suo solito, gioca sapientemente con gli stereotipi dei generi paraletterari che utilizza: come nel più tipico western, Pantera è un eroe solitario. Talmente solitario che le uniche donne per lui interessanti erano le prostitute, perché poco impegnative. Quando durante qualche conversazione viene chiamato “amico”, anche per semplice cordialità, lui risponde invariabilmente che non ha amici. Quando qualcuno gli dice che non è una cattiva persona, può irritarsi oltremodo anche se non riesce a capirne il motivo. Pantera è un uomo d’azione, che rifugge l’introspezione, anche quando si trova casualmente a lambire i segreti della sua psiche. Gli capita, per esempio, quando, dopo aver affermato per l’ennesima volta di non avere amici, aggiunge subito dopo “Io sono solo”. In quel momento intuisce “di avere detto una verità che trascendeva l’occasione, ma non era solito perdere tempo a interrogarsi su se stesso, specie in momenti come quello”.12 Cioè i momenti di pericolo che esigono l’azione.
Però, come i più tipici pistoleri, Pantera un amico ce l’ha. Quando in Black flag viene disarmato “Il contatto delle dita con la cintura gli fece rimpiangere il revolver. Per un uomo come lui, quella mancanza equivaleva alla perdita dell’unico amico che avesse al mondo”.13 Un revolver che, a differenza dell’iconografia classica del cowboy, porta di solito infilata nella cintola sotto la palandrana. A chi si meraviglia del fatto che non abbia con sé pistole, risponde con un sorriso beffardo “Sì che le porto […] Piuttosto non porto né cinturone né fodero. Quella è roba che va bene per le donne e per i borghesi”.14 Della serie: i veri uomini del vecchio west sono meno pittoreschi di come ve li hanno sempre raccontati. E ancora, come nei più classico dei racconti della frontiera, la storia di Metallo urlante si conclude con l’eroe che si allontana cavalcando il suo destriero verso l’orizzonte infinito. Soltanto che l’ultima galoppata Pantera la fa quando, ferito a morte, si è trasformato in orisha, uno spirito: “Preso da un’incontenibile euforia, lanciò il cavallo verso il deserto, senza bisogno di usare gli speroni. La sua esistenza di orisha sarebbe stata un’unica, interminabile cavalcata”.15
Un utilizzo al limite della parodia degli stereotipi paraletterari, in questo caso dell’horror, lo vediamo all’inizio di
Black flag quando, assoldato per uccidere un uomo lupo, gli viene chiesto se ha trovato le pallottole d’argento, tipica arma per eliminare i licantropi. “Si ma è un’idiozia – rispose Pantera alzando le spalle – È un metallo troppo tenero. Non fora e il proiettile si deforma al momento dello sparo”.16 E infatti, quando proverà ad utilizzare queste munizioni, “Poco mancò che la carabina gli esplodesse tra le mani. Per fortuna l’argento fuso fu espulso dall’esplosione, e ricadde a pochi metri da lui. Pantera imprecò contro la magia cristiana”.17 Scoprirà più avanti che per uccidere gli uomini lupo le pallottole dovevano essere fatte non di argento ma di antimonio. 

Ma prima dovranno accadere molte cose. Quando tenta di uccidere l’uomo lupo, Kroger, Pantera viene tradito dalle stesse persone che l’avevano ingaggiato. Ferito, viene catturato dai bushwackers, milizie irregolari sudiste dedite a una cruenta guerriglia che non si fa scrupolo di fare strage di civili. Pantera, pur cercando di mantenersi defilato, finirà per unirsi a loro, soprattutto perché, inconsapevolmente, vuole risolvere l’enigma dell’uomo lupo, aggregato ai guerriglieri: “Lo aveva creduto un demone incarnato e finiva per scoprirlo un essere fragile, spaventato da ogni cosa ma soprattutto da se stesso”.18
Al seguito dei bushwackers c’è anche il francese Anselme Bellegarrigue, anarcoindividualista al limite della farneticazione con il suo vaneggiare di una nuova umanità composta da lupi solitari, forgiati nel ferro e nell’oro, interessati solo alla loro proprietà individuale libera da ogni vincolo statale, dediti alla distruzione del vecchio mondo senza alcuno scrupolo umano o sociale. Idee che vanno al di là dello già spietato conservatorismo sudista, raffigurato dal bushwacker Hamp Wyatt, per il quale lo schiavismo rappresenta un principio che si riassume in autorità e disciplina, un’istituzione necessaria per affermare  gerarchie e ruoli ben definiti, da estendere eventualmente a tutti i salariati.
Tornando a Bellegarrigue, egli non è soltanto un teorico ma anche una sorta di scienziato pazzoide, cultore del mesmerismo che intende utilizzare per plasmare l’uomo del futuro secondo i dettami della sua agghiacciante filosofia, a cominciare dai crudeli esperimenti cui sottopone il riluttante Kroger per trasformarlo in una perfetta macchina per uccidere. I proiettili di antimonio sono una sua scoperta e sarà lui stesso a consegnarli a Pantera.

Il mesmerismo, dunque, compare anche in Black flag. La sua funzione narrativa è la stessa: la possibilità di interpretare in termini parascientifici i fenomeni apparentemente sovrannaturali consente alla narrazione di mantenersi nel registro del fantastico e cioè, secondo la definizione del già citato Todorov, su un livello di incertezza e di indecidibilità circa la natura dei fenomeni straordinari cui assistiamo nel corso del racconto. Realtà o sogno, percezione veritiera o mera illusione, fenomeno sovrannaturale o fatto semplicemente “strano” benché spiegabile senza violare le ordinarie leggi scientifiche?
Se rimaniamo all’interno delle prime due storie di Pantera dobbiamo sospendere il giudizio. Ma se teniamo conto di quanto ci viene raccontato nei differenti livelli temporali in cui si articolano Metallo urlante e Black flag il dilemma può essere sciolto. Evangelisti assorbe le energie narrative che sgorgano dall’elemento soprannaturale senza lasciare spazio al misticismo cui è spesso associato. In altri termini Evangelisti spariglia le carte ibridando atmosfere tipiche del fantasy e dell’horror con la fantascienza. Le anomalie che sovvertono il nostro ordine metafisico perdono il loro alone mistico perché possono essere spiegate attraverso teorie parascientifiche per le quali, normalmente, lo scrittore utilizza i risultati di rami marginali della scienza realmente esistiti.
Il caso più famoso nella narrativa di Evangelisti è quello della fisica psitronica che torna ripetutamente nei romanzi di Eymerich. Non è importante il fatto che questi rami della scienza siano stati abbandonati e oggi siano considerati fallaci. L’importante è il meccanismo narrativo che toglie il terreno sotto i piedi ai cantori del mito tecnicizzato: ciò che è inspiegabile, sovrannaturale, diabolico o mitico in un determinato paradigma di conoscenze può trovare spiegazione razionale se inquadrato in un paradigma differente. 
Insomma, il mondo definito dai parametri della razionalità dominante è solo uno dei mondi possibili. E decisamente non il migliore.19

Tornando al mesmerismo e alle vicende che riguardano direttamente Pantera, va rilevata una differenza tra i due racconti. In Metallo urlante il messicano passa da un atteggiamento di iniziale ostilità nei confronti di questa scienza a una sorta di agnosticismo che non esclude la sua capacità di produrre spiegazioni e effetti concreti. Il cambiamento nasce dall’aver constatato la buona fede di Rosenthal, il sedicente medico che esercita questa disciplina a fini curativi. Si tratta, neanche a dirlo, di un personaggio eccentrico ed emarginato, considerato dai più un mero imbonitore, ma mosso da buone intenzioni sia nella sua pratica “scientifica” sia nel suo atteggiamento nei confronti del suo prossimo, in particolare di Cindy, una ragazza ingenua al limite della stupidità, utilizzata da tutti gli uomini di Tucumcari come sfogo sessuale gratuito. D’altra parte la metafisica di Pantera, se così possiamo chiamarla, è politeista e non può escludere la presenza di forze e divinità diverse da quelle da lui venerate. Il suo è essenzialmente un multiverso.
Ciò nonostante, in Black flag, la sua relazione con il mesmerista Anselme Bellegarrigue, diventa esplicitamente antagonistica. Ciascuno cerca di spiegare le credenze dell’altro alla luce delle proprie. Per Bellegarrigue, così come per Rosenthal, il magnetismo può dare conto scientificamente di tutti i fenomeni apparentemente sovrannaturali che Pantera è in grado di produrre, compresa l’apparizione nel cielo di un gigantesco lupo che terrorizza l’accampamento dei bushwacker. Per il francese si tratta soltanto di un’allucinazione collettiva determinata da un livello assurdo di fluido magnetico. Pantera, dal canto suo, quando entra nella carrozza laboratorio di Bellegarrigue, per quanto avesse “dimestichezza con ogni genere di prodigi, non riuscì a reprimere un brivido. C’erano spiriti in quell’abitacolo. Spiriti non buoni”.20. Il messicano era convinto che “Anselme Bellegarrigue conosceva il modo per evocare gli Ndoki, gli spiriti più maligni. Trovava scuse razionali al proprio potere solo per ingannare meglio il prossimo”.21
L’atteggiamento che assume Pantera nei confronti del mesmerismo, dunque, non è dettato dal contenuto in sé di questa pretesa scienza, ma dalle intenzioni di chi la pratica. Il messicano, in
Metallo urlante, è pronto ad accettare l’aiuto di Rosenthal. Quando il francese propone di utilizzare una bacchetta per potenziare gli effetti della cerimonia “magica” di Pantera, quest’ultimo, di fronte alle spiegazioni sul funzionamento del fluido mesmerico, si limita a commentare: “Non capisco una parola di quello che dice, ma le credo”.22 Allo stesso modo, in Black Flag, non rifiuterà l’appoggio sovrannaturale dell’indiano Vecchia Pipa, sebbene quella di Pantera appaia anche in questo caso come un’agnostica apertura di credito: “Non ci sarà da danzare Pipa. Però partecipa pure. Gli spiriti malvagi della tua gente sono gli stessi presenti dappertutto. Tu li scaccerai a modo tuo, io a modo mio”.23

1- continua. Prossima puntata sabato 21 ottobre


  1. Cfr. A. Sebastiani, Nicolas Eymerich. Il lettore e l’immaginario in Valerio Evangelisti, Odoya, Milano 2018. In particolare vedi Cap. 1. 

  2. Cfr. T. Todorov, La letteratura fantastica, Garzanti, Milano 2022. 

  3. Cfr. D. Gallo, “La battaglia del mito e della scienza. Valerio Evangelisti e la fantascienza come pratica radicale”, in S. Moiso e A. Sebastiani (a cura di), L’insurrezione immaginaria. Valerio Evangelisti autore, militante e teorico della paraletteratura, Mimesis, Milano 2023. 

  4. V. Evangelisti, Black flag, Einaudi, Torino 2002, p. 208. 

  5. Cfr. M. T. Taussing, Il diavolo e il feticismo della merce, DeriveApprodi, Roma 2017. 

  6. V. Evangelisti, Black flag, cit. p.123. 

  7. V. Evangelisti, Metallo urlante, Einaudi, Torino 1998, pp. 38-39. 

  8. Ivi, p. 23. 

  9. Cfr. A. Sebastiani, cit., p. 38. 

  10. V. Evangelisti, Metallo urlante, cit, p. 105. 

  11. C. Vogler, Il viaggio dell’eroe, Dino Audino, Roma 1999, p. 43. 

  12. V. Evangelisti, Black flag, cit, p. 27. 

  13. Ivi. p. 33. 

  14. V. Evangelisti, Metallo urlante, cit., p. 66. 

  15. Ivi. p. 137. 

  16. V. Evangelisti. Black flag, cit., p. 16. 

  17. Ivi. p. 21. 

  18. Ivi. p.143. 

  19. Cfr. D. Gallo, “La battaglia del mito e della scienza. Valerio Evangelisti e la fantascienza come pratica radicale”, cit. 

  20. V. Evangelisti, Black flag,  cit., p. 115. 

  21. Ivi. p. 118. 

  22. V. Evangelisti, Metallo urlante, cit., p. 129. 

  23. V. Evangelisti, Black flag, cit., p. 174. 

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L’ultimo romanzo di Valerio https://www.carmillaonline.com/2023/05/17/lultimo-romanzo-di-valerio/ Tue, 16 May 2023 22:01:48 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=77302 di Luca Cangianti

Valerio Evangelisti, La fredda guerra dei mondi. Romanzi brevi e racconti ritrovati, a cura di Franco Forte, Mondadori, 2023, € 22,00 stampa, € 11,99 ebook, pp. 552.

Gli alieni esistono, attaccano la Terra e ne distruggono i monumenti. Chiedono la liberazione dei loro compagni catturati dopo la seconda guerra mondiale. Le élite mondiali utilizzano la paura del nemico per rafforzare il consenso e dominare la popolazione. Nel frattempo uno scalcinato gruppo di rapinatori organizza un colpo proprio in una delle basi dove si trovano i prigionieri. I protagonisti [...]]]> di Luca Cangianti

Valerio Evangelisti, La fredda guerra dei mondi. Romanzi brevi e racconti ritrovati, a cura di Franco Forte, Mondadori, 2023, € 22,00 stampa, € 11,99 ebook, pp. 552.

Gli alieni esistono, attaccano la Terra e ne distruggono i monumenti. Chiedono la liberazione dei loro compagni catturati dopo la seconda guerra mondiale. Le élite mondiali utilizzano la paura del nemico per rafforzare il consenso e dominare la popolazione. Nel frattempo uno scalcinato gruppo di rapinatori organizza un colpo proprio in una delle basi dove si trovano i prigionieri. I protagonisti dell’impresa si autodefiniscono anarchici e concepiscono le loro azioni come espropri volti a ridistribuire la ricchezza sociale. Si sono dati perfino un nome, Confederazione sotterranea dei lavoratori, ma a parte il leader – Justin Mathurin, detto il Reverendo – e il Tricheco – militante in gioventù della Gauche prolétarienne – gli altri hanno ben poco di politico: si tratta di prostitute occasionali, ex tossicomani e altri frequentatori del sottomondo criminale.
Di questo parla La fredda guerra dei mondi, l’ultimo romanzo di Valerio Evangelisti. Si tratta di un’opera incompleta, ma godibilissima per i suoi personaggi scanzonati, il ritmo incalzante, l’acume politico e l’irresistibile comicità popolaresca:

Al primo sorso di champagne, Romero, che non vi era abituato, emise un rutto così forte da far sussultare la clientela e tremare le vetrate. Un ritratto di Apollinaire cadde e si ruppe il vetro di protezione. Dal piano superiore, separato da quello in basso con una scaletta, si affacciò irritato un noto giornalista televisivo. Gridò al maître: «Gustave, siamo al Dôme o in una bettola di Aubervilliers?».
Romero Avellano gli urlò: «Ti vedo in tv! Io faccio con la bocca i rumori che tu fai col culo, e trasformi in notizia! Vieni giù, e ti infilzo con una forchetta, sporco borghese!».

Certo, quando al diciottesimo capitolo il testo s’interrompe proviamo un tuffo al cuore e ci ricordiamo che il suo autore non è più tra noi. Però possiamo leggere il finale dell’omonimo racconto apparso in una raccolta Millemondi Urania nell’estate del 2020. Il romanzo incompiuto ne rappresenta infatti una riscrittura “aumentata” che ci introduce nel laboratorio segreto di Evangelisti: qui prendono vita personaggi tridimensionali come si conviene a un testo di maggiori dimensioni e compare lo scenario mutuato dalla precedente professione dello scrittore, quella di storico. Nel caso specifico torna alla memoria il suo saggio sugli anarchici illegalisti francesi del primo Novecento, contenuto nel libro Sinistre eretiche. Dalla banda Bonnot al sandinismo 1905-1984 (SugarCo, 1985). Non possiamo sapere se l’autore riservasse anche per il romanzo lo stesso finale del racconto, ma abbiamo una traccia possibile.

Insieme alla Fredda guerra dei mondi (sia il romanzo che il racconto), Franco Forte, il curatore del libro, ha scelto di pubblicare altri 25 racconti. Incontriamo così personaggi ormai noti ai lettori come l’inquisitore Nicolas Eymerich e il fisico psitrionico Marcus Frullifer, insieme a pirati, rivoluzionari risorgimentali e a protagonisti di storie comiche, drammatiche, fantascientifiche, distopiche, autobiografiche e perfino erotiche. Insomma, un estratto rappresentativo dell’immenso organismo letterario concepito da Evangelisti attraverso tutta la sua produzione storica, politica e narrativa: il One big novel, secondo l’azzeccata definizione di Alberto Sebastiani.
Nel libro ritornano molti dei grandi temi presenti nell’opera dello scrittore. Nei racconti O’ Gorica tu sei maledetta e Fuga dall’incubatrice compaiono i Poliploidi e i Mosaici. I primi sono i guerrieri della nazicomunista RACHE, ebeti ma quasi invulnerabili, con organi che si moltiplicano continuamente per effetto di un mutagene. I loro antagonisti speculari sono i Mosaici, mostri costruiti con pezzi di cadavere e parti di metallo, irregimentati nelle fila dell’Euroforce, il braccio armato di Eurobank. Di questo conflitto infinito unico beneficiario è il Potere da qualsiasi parte della barricata si trovi. Sheila Davis, dell’agenzia World-wide Press, afferma: «Creare mostri, nel corso di una guerra, è un’arma come un’altra. Aiuta a sparare. Il problema, semmai, è che non lo facciamo con efficacia sufficiente. La gente dovrebbe avere il proprio mostro ben piantato nel cervello.»
È quello che accade in Paradice dove si descrive una Terra futura devastata dalla malattia mentale: tutti sono in guerra con tutti e l’unica empatia residua consiste nell’uccidere.
Secondo Evangelisti, di fronte a questo processo di metastasi antropologica le battaglie rivoluzionarie stentano a conseguire successi, ma continuano ad avere un valore. In Controinsurrezione, nella Roma repubblicana del 1849, sconfitta e invasa dai francesi, Garibaldi grida: «Ci aspettano sete, marce forzate, battaglie e morte. Tuttavia, per chi vorrà seguirmi, la rivoluzione non è finita. La si ricomincia altrove». Nell’ultima opera dello scrittore, il Reverendo domanda alla moglie: «Dimmi, Francine, faremo mai la rivoluzione?» Ricevuta una secca risposta negativa, si chiede quindi quale sia il senso di quella che ritiene essere la sua attività militante. Francine replica che pur nelle disperanti condizioni attuali opporsi continua ad avere un significato:

«Perché, dove non è possibile una rivoluzione, il solo ribellarsi ha valore. Noi ladri togliamo significato al denaro, che passa nelle nostre tasche senza transazioni mercantili o bancarie. Diamo fastidio a chi comanda, fregandoci delle sue leggi e della sua morale. È così che, un passo alla volta, roviniamo il disegno pacificatore di chi ci opprime. Alla prima crisi seria, diventeremo addirittura un esempio.»

In queste parole ironiche e impenitenti sentiamo la voce più genuina del grande scrittore bolognese – una voce, ne sono sicuro, che accompagnerà le lotte future per una vita migliore.

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Ora e sempre Valerio Evangelisti. Tre giorni per parlare del Magister e proseguire le sue lotte https://www.carmillaonline.com/2023/04/09/ora-e-sempre-valerio-evangelisti-tre-giorni-per-parlare-del-magister-e-proseguire-le-sue-lotte/ Sun, 09 Apr 2023 20:00:10 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=76623 È passato oramai un anno dalla morte di Valerio Evangelisti, ma in quest’anno i suoi scritti sono circolati forse più di prima, prova del fatto che delle sue parole c’è molto bisogno. La neonata Associazione Valerio EvangelistiIl sole dell’avvenire si propone di portare avanti il suo pensiero e le sue lotte. Siamo quindi felici di invitarvi a una tre giorni “diffusa” di eventi: proiezioni, presentazioni, musica, convivialità, dibattiti, azioni e rilancio nel segno del Magister. Per conoscere noi e i nostri contenuti vi invitiamo a partecipare a questo piccolo festival, tutto a ingresso gratuito. Attenzione: non sono ammessi [...]]]> È passato oramai un anno dalla morte di Valerio Evangelisti, ma in quest’anno i suoi scritti sono circolati forse più di prima, prova del fatto che delle sue parole c’è molto bisogno. La neonata Associazione Valerio EvangelistiIl sole dell’avvenire si propone di portare avanti il suo pensiero e le sue lotte. Siamo quindi felici di invitarvi a una tre giorni “diffusa” di eventi: proiezioni, presentazioni, musica, convivialità, dibattiti, azioni e rilancio nel segno del Magister.
Per conoscere noi e i nostri contenuti vi invitiamo a partecipare a questo piccolo festival, tutto a ingresso gratuito. Attenzione: non sono ammessi fascisti, sessisti, abilisti, razzisti e classisti. Animali portatene quanti ne volete.

Venerdì 14 Aprile – Archivio Storico dei Movimenti di via Avesella 5/a

Dalle 19 aperitivo di benvenuto con presentazione della tre giorni, del progetto dell’Archivio Storico dei Movimenti e di una mostra su Valerio Evangelisti e le situazioni politiche che ha attraversato.

A seguire: presentazione del libro contro Sergio Cofferati Scorrete lacrime disse lo sceriffo di AA.VV. voluto da Valerio stesso e contenente un suo racconto (Il Buddhista). A cura di Paola Papetti.
Proiezioni di foto inedite e ricordi personali del nostro.

Sabato 15 Aprile – Vag 61 Via Paolo Fabbri 110 Bologna

Ore 14.30 Progetto memoria e Archivio Marco Pezzi una breve introduzione a queste due esperienze. A cura di Fabrizio Billi.

A seguire:

Presentazione de L’insurrezione immaginaria. Valerio Evangelisti autore, militante e teorico della paraletteratura curato da Sandro Moiso e Alberto Sebastiani (Mimesis, 2023).

Un libro che esce a un anno dalla scomparsa di Valerio e a vent’anni dalla nascita della sua webzine, Carmillaonline, alla cui redazione appartengono gli autori del volume, molti dei quali parteciperanno al dibattito. Il libro, denso di spunti, interpretazioni e approfondimenti tematici, tratta le diverse dimensioni che hanno accompagnato gli scritti letterari e saggistici di Valerio, da quelle relative alla letteratura di genere a quelle più politiche, evidenziando l’importanza dell’interazione tra queste. Centrale la “missione” di decolonizzazione dell’immaginario che per Valerio ha sempre rappresentato un fine prioritario.
Interverranno Sandro Moiso e Alberto Sebastiani.

Ore 17 Un breve ricordo dei compagni di Vag 61 di Valerio Evangelisti. E delle sue lotte.
A seguire

La Lista Eymerich: l’armata dei lettori racconta Valerio.
Alla fine degli anni ’90, in un’epoca in cui la rete era un fenomeno per pochi matti guardato con un misto di sospetto e sufficienza, Valerio Evangelisti dava vita a un esperimento straordinario di comunità social con i suoi lettori che in venticinque anni non ha mai smesso di esistere e di crescere.
Lettore appassionato egli stesso, apparentemente schivo ma in realtà profondamente amante della convivialità e della condivisione, per tutta la sua carriera di scrittore ha sempre coltivato con orgoglio un rapporto unico con i lettori. Questa comunità gli rende oggi omaggio, raccontando lo scrittore e l’amico attraverso ricordi e parole custoditi nel tempo.

Cena della rinomata Brigata Cuciniera di Vag 61

Ore 21 e 30
Concertino dei Mars on Pluto
David Sarnelli e Margherita Valtorta si incontrano il 28 febbraio 2016 per accompagnare la presentazione del libro Il sol dell’avvenire. Nella notte ci guidano le stelle di Valerio Evangelisti presso VAG 61. A 7 anni di distanza ripropongono la performance, in onore di Valerio, che ha ispirato generazioni di artisti attraverso la scrittura e la musica.

A seguire:

Proiezione di The Wobblies di Stewart Bird e Deborah Shaffer

Nel 2011 Valerio Evangelisti pubblica One Big Union, dedicato al sindacalismo americano, il cui titolo è un omaggio agli Wobblies, sindacato rivoluzionario e militante. Nel 2012 è stata fatta su suggerimento di Valerio stesso la prima presentazione pubblica dei sottotitoli italiani al documentario The Wobblies di Stewart Bird e Deborah Shaffer. A 11 anni di distanza renderemo disponibili on line i sottotitoli durante una proiezione speciale.
In un periodo in cui le forze reazionarie della discriminazione e dell’odio spingono il mondo verso il baratro, la visione di The Wobblies è una ventata d’aria fresca, dimostrandoci che “there’s a power in a union” è una realtà storica innegabile. A cura di Luca Delponte.

Domenica 16 Aprile – Nuova Casa del popolo di Ponticelli di Malalbergo

Ore 12 un saluto di benvenuto

Ore 12 e 30 Pranzo a cura della mitica Cucina della Casona [su prenotazione: scrivere a Donatella 3398894062]

Ore 14 e 30 Reading dell’attrice Alessia Passarelli tratto da Il sole dell’avvenire – Chi ha del ferro ha del pane di Valerio Evangelisti

Il libro che racconta la strenua lotta dei braccianti nelle campagne emiliano-romagnole per una vita più dignitosa e salari decenti. Questo secondo volume de Il sole dell’Avvenire, uno dei capolavori di Valerio mette l’accento su una serie di tematiche attualissime a partire dalla dignità delle lavoratrici e dei lavoratori.

Ore 16 e 30
Rivoluzionare la letteratura

Ci sono autori che scrivono per vincere il premio Strega, per le comparsate in TV, per il plauso del pubblico borghese e poi ci sono quelli come Valerio Evangelisti che utilizzava per ben altri scopi la propria penna.
La scrittura di Valerio, che ricordiamo oggi a un anno dalla sua morte, era un costante pretesto per mettere il romanzo di genere al servizio del contropotere: agente provocatore nei domini della cultura mainstream, soldato della guerrilla delle lettere, inquisitore di tutti i personaggi piatti e consolatori della narrativa contemporanea. Di Valerio rimane l’opera, da leggere e prendere come spunto, ma anche il ricordo e la voglia di rilancio nei suoi compagni e sodali. Parliamo della responsabilità non solo poetica, ma anche politica degli scrittori di oggi a partire dagli insegnamenti del nostro Magister con
Giuseppe Genna, Serge Quadruppani, Wu Ming 1, Nicoletta Vallorani, Carlo Lucarelli, Franco Ricciardiello, Loriano Macchiavelli, Emanuele Manco, Nico Gallo, Luca Masali e Roberto Sturm.

Ore 18 e 30 L’avvocata Marina Prosperi racconterà un ricordo di Valerio di Cesare Battisti

A seguire CONCERTO dei Nabat in versione semi-acustica.

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