Il caso Battisti – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sat, 16 Nov 2024 23:15:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Guerra legale https://www.carmillaonline.com/2022/04/15/guerra-legale/ Fri, 15 Apr 2022 01:43:25 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=71378 di Cesare Battisti

“Domani mattina dormirete un’ora in meno”. Viene l’estate e l’ora legale. Come se al chiuso di una cella avessimo vacche da mungere e ce ne fregasse qualcosa dei loro muggiti. Qui, dove ogni ora dell’anno è sempre in più, mi sembra che l’avvenimento meriti un pensiero.

Che sia rimasta solo l’Italia ad applicare ancora l’ora legale? Oppure è tutta l’Europa? Non lo so più. Avevo già smesso con i telegiornali per sovraddose di Covid.  Adesso, con la guerra d’Ucraina e la spassosa propaganda filo occidentale, ho smesso [...]]]> di Cesare Battisti

“Domani mattina dormirete un’ora in meno”. Viene l’estate e l’ora legale. Come se al chiuso di una cella avessimo vacche da mungere e ce ne fregasse qualcosa dei loro muggiti. Qui, dove ogni ora dell’anno è sempre in più, mi sembra che l’avvenimento meriti un pensiero.

Che sia rimasta solo l’Italia ad applicare ancora l’ora legale? Oppure è tutta l’Europa? Non lo so più. Avevo già smesso con i telegiornali per sovraddose di Covid.  Adesso, con la guerra d’Ucraina e la spassosa propaganda filo occidentale, ho smesso anche di leggere il giornale. Siamo agli sgaccioli.

Mentre nei poesi considerati “autarchici” c’è chi si fa imprigionare o anche eliminare nella lotta contro la censura, da noi la s’invoca a piene voce. Ce l’applichiamo da soli mentre si dà la caccia a chi osa prendere le distanze dalla guerra; guai a chi invoca la pace! Osare una parola non in linea vuol dire farsi massacrare dai media o dalla faglia da essi avvelenata. Sono depresso.

Se qualche volta ho dubitato della forza della Politica, del mio impegno sociale, oggi so che questi dubbi erano dovuti a una sorta di difesa preventiva, considerarmi fuori dall’orrore che sarebbe venuto. Ho perso la speranza.

Possiamo anche continuare a illuderci oppure fare del cinismo una brutta commedia, ma a vedere l’umanità sprofondare nell abismo dell’inconscienza, nessuno può veramente credere di farla franca. Ci si sente smarriti, privati anche dell’estrema eroica soddisfazione di Sansone che cade com tutti i Filistei.

Come continuare e pensare, a credere che si possa ancora amare, tenere in caldo il cuore e gli occhi aperti, mentre “destre” e “sinistre”, nostrane o esotiche, banchettano facendo affari sulle pelle di un popolo preso in ostaggio dalla follia di padroni universali. Non sogno più.

Non sono gli orsachiotti di peluche che i reporter al fronte mettono in mano ai bambini prima di girare, che mi minano il sonno. Ma le grido soffocate, l’odore di sangue e di escrementi, lo sfacelo fuori campo, l’agoniq esclusa dallo show pornografico delle TV riunite, a togliere il respiro. Tutto questo lo possiamo immaginare mentre il sonno, in barba all’ora legale, ci castiga  da lassú, appeso al bianco sporco di un soffito di prigione. L’immaginazione uccide, la guerra vende.

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La bottega dell’intagliatore https://www.carmillaonline.com/2022/03/30/la-bottega-dellintagliatore/ Tue, 29 Mar 2022 23:38:20 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=71216 di Cesare Battisti

Se avesse saputo che non sarebbe più tornato, avrebbe scelto una ad una le parole prima di partire. Le avrebbe cercate nel dizionario dell’amore e fatte stampare a lettere dorate. Avrebbe atteso un istante in più sulla soglia, per dire a suo figlio io ti amo come non l’aveva detto mai. Invece di andarsene cosi per strada, senza sapere neppure dove andava. Nel cuore il peso del silenzio, alto in cielo un sole indifferente.

Ci fu un momento in cui credette di aver dimenticato l’essenziale. Esitò davanti alla bottega [...]]]> di Cesare Battisti

Se avesse saputo che non sarebbe più tornato, avrebbe scelto una ad una le parole prima di partire. Le avrebbe cercate nel dizionario dell’amore e fatte stampare a lettere dorate. Avrebbe atteso un istante in più sulla soglia, per dire a suo figlio io ti amo come non l’aveva detto mai. Invece di andarsene cosi per strada, senza sapere neppure dove andava. Nel cuore il peso del silenzio, alto in cielo un sole indifferente.

Ci fu un momento in cui credette di aver dimenticato l’essenziale. Esitò davanti alla bottega dell’intagliatore. Sembrava volesse tornare indietro, si tastò le tasche, niente che avesse potuto lasciare in casa. Riprese allora a camminare, deciso a non pensare più alle parole. Non ditemi quello che faccio, non lo voglio sapere. Cosi aveva risposto il piccolo ad un rimprovero, il padre non aveva saputo più che dire. Di solito, le repliche migliori vengono sempre dopo. Ma non quando i passi sul selciato hanno smesso di far rumore. 0 con un sole appena nato e già pronto a morire.

Se si fosse ogni volta interrogato su quello che stava facendo, non avrebbe trovato una ragione buona. Egli sapeva solo che doveva farlo. Cosi agiscono anche i bambini, ma nei loro occhi la vita arde, sfavilla la determinazione. Se l’avesse saputo, che quello non era un giorno qualunque, ma il primo in un mondo in cui le anime non si vendono più al diavolo ma alla regola. Se suo figlio glielo avesse detto chiaro, con parole che capirebbe anche un bambino, avrebbe lasciato in casa il cuore e consegnato al carcere solo la mente ottusa. Ed ora non starebbe fissando un muro, come fosse la vetrina dell’intagliatore, che il bimbo non si stancava mai di ammirare. Non starebbe accarezzando le macchie brune, né scambiando sospiri con parole. Quelle che non seppe cogliere quel mattino, nel giardino rigoglioso di suo figlio. Quando il tempo non si ammazzava con l’inganno, chiedendo a muri brontoloni perché solo gli eroi vanno in paradiso. E sentirsi dire che è per penetrare il cuore della gente, che bisogna indossare il costume buono. Convincersi che l’urlo del silenzio non sia dolore, ma un grido di amore e di speranza. Decorare il mondo dei sospiri con sorrisi di bimbi allevati negli anni di prigione. O confondere il rumore di passi sempre uguali con voci capaci di attraversare il mare.

Non ascoltare più i penitenti, le loro litanie del passato. Accaniti a rinnegare l’evidenza che il proibito è sempre il meglio che ci è dato. Ciò che fa d’ogni adulto un condannato. Suo figlio tutto questo lo ignora e aspetta in casa che il cielo si ricongiunga con la terra. Implora luce per le menti chiuse e un po’ d’amore per le ombre orfane di sole. Prega Dio, che fulmini le guerre. E quando la sera per il giorno è il miglior fine, il prigioniero si raccoglie e vola. Va da suo figlio che lo aspetta, davanti alla bottega dell’intagliatore.

 

 

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Lo vogliono morto https://www.carmillaonline.com/2021/06/14/lo-vogliono-morto/ Mon, 14 Jun 2021 05:07:24 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=66756 di Cesare Battisti

“Mi rivolgo ai miei amati figli, alla compagna di viaggi, ai fratelli e alle sorelle, ai nipoti, agli amici e ai compagni, e ai colleghi di lavoro e a tutti voi che mi avete voluto bene e sostenuto con il cuore.

Gli effetti devastanti dello sciopero

Chiedo a tutti voi un ultimo sforzo, quello di comprendere le ragioni che mi spingono a lottare fino all’ultima conseguenza in nome del diritto alla dignità per ogni persona detenuta, di tutti.

La dignità di affrontare le proprie responsabilità restando se stessi

La [...]]]> di Cesare Battisti

“Mi rivolgo ai miei amati figli, alla compagna di viaggi, ai fratelli e alle sorelle, ai nipoti, agli amici e ai compagni, e ai colleghi di lavoro e a tutti voi che mi avete voluto bene e sostenuto con il cuore.

Gli effetti devastanti dello sciopero

Chiedo a tutti voi un ultimo sforzo, quello di comprendere le ragioni che mi spingono a lottare fino all’ultima conseguenza in nome del diritto alla dignità per ogni persona detenuta, di tutti.

La dignità di affrontare le proprie responsabilità restando se stessi

La mia è una scelta radicale, se scelta si può dire, allorché resta l’unica via decente di difendere l’amor proprio, i valori umani e di giustizia che fin qui avete condiviso con me, la salvaguardia della memoria storica e di quella affettiva.

Il 2 giugno 2021  ho iniziato lo sciopero della fame sapendo che non sarei tornato indietro, perciò cosciente di recarvi un grande dolore.

Ma avendo la certezza che, il tempo alleviando il morso del dolore, voi converreste con me che questo era l’atto più degno che potessi fare per evitare di morire in ginocchio, dopo esse stato spremuto e usato per ogni scopo ignobile del potere.

Sarebbe così tradire i valori di un passato  in cui ho creduto, fino alla deriva armata. Non mi sono mai sentito un criminale allora, né mi sento di esserlo oggi pur nella consapevolezza di aver sbagliato. Seguivo, come tanti altri, dei valori fondamentali di diritto per la persona,  non posso permettermi di tradirli sulla linea di arrivo.

Ecco perché vi chiedo un’ultima volta di aiutarmi ad essere me stesso e di perdonarmi per il dolore che vi reco.

Voglio che abbiate chiaro che la mia è una lotta di protesta, di rivendicazione dei diritti inalienabili.

Non c’è spazio nella mia decisione per derive di ordine psicologico. Ho delle richieste oggettivamente precise, chiaramente formulate alle autorità competenti

Non ci saranno quindi smozzature  di sorta, atti inconsulti,  né pretesti psichiatrici. Se necessario continuerò il mio sciopero della fame fino all’ultimo respiro

Non sono  un imbecille,  sto lottando per la vita

Siete persone meravigliose, difendete sempre libertà e rispetto

Vivrò con voi per sempre

Rossano 09 giugno 2021

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Una domenica da cani https://www.carmillaonline.com/2021/06/06/una-domenica-da-cani/ Sun, 06 Jun 2021 01:29:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=66624 di Cesare Battisti

Mi sono messo addosso tutto quello che potevo per togliermi il il freddo dalle ossa. Eppure fuori la giornata è di sole. E poi il clima da queste parti non può essere così ameno. Sono i nervi. In mancanza di calorie è un improvviso sentimento d’abbandono, a farmi intirizzire. Ma se voglio continuare a crederci, a resistere alla fame, devo prendermela con il tempo. Lo scombussolamento del pianeta che ha attinto la Calabria. Non sarebbe poi così avventato dare la colpa alla calotta fondente alla deriva. Giusto prima di [...]]]> di Cesare Battisti

Mi sono messo addosso tutto quello che potevo per togliermi il il freddo dalle ossa. Eppure fuori la giornata è di sole. E poi il clima da queste parti non può essere così ameno. Sono i nervi. In mancanza di calorie è un improvviso sentimento d’abbandono, a farmi intirizzire. Ma se voglio continuare a crederci, a resistere alla fame, devo prendermela con il tempo. Lo scombussolamento del pianeta che ha attinto la Calabria. Non sarebbe poi così avventato dare la colpa alla calotta fondente alla deriva. Giusto prima di cominciare a battere i denti, stavo leggendo la lettera enciclica. Me l’ha mandata un’amica mia suora di clausura – tanto per rimanere nell’ambiente. E’ elogiabile e terrificante allo stesso tempo, come il Papa azzecca tutti i mali del pianeta. Il dito sulla piaga, senza appello. Ma Francesco il buono col mio freddo non c’entra niente. Gli spifferi gelati non vengono dall’esterno. Neanche dal cuore, quello è in buone mani. Ma dallo stomaco che, vuoto da venerdì mattina, mi si attorciglia sotto le coperte. Non mi si fraintenda, neanche a Guantanamo Calabro si lasciano morire di fame i prigionieri. La colpa è mia, mi sono messo a digiuno per evitare guai.

E’ successo tutto così in fretta. Doveva essere un inizio di giornata come tutti gli altri, nel reparto isolamento. Qualcosa è andato storto.

Mi sono chiesto tante volte, con tutto il tempo di cui dispone che bisogno ha il galeotto di coltivare maniacalmente le abitudini: ogni cosa al suo maledetto posticino – ogni movimento studiato al millimetro. Come se la cella fosse teca e noi opere preziose.

L’ora d’aria nella “scatola di stivali”, come la chiama l’albanese d’oltre muro, è alle 8,30. La doccia, dopo, per togliere gli umori del passeggio solitario. Fra questi due avvenimenti portanti, una miriade di gesti e riflessioni scanditi da algoritmi interiori. Per quanto mi ostinassi a rispettare il programma stabilito, il venerdì mattina mi sfuggiva. Prima ancora di scendere dal letto, sembrava che la mente e le cose si fossero stancate di stare insieme. Cercai di non pensarci. Nonostante lo scombussolamento, me ne andai all’aria con quella quasi allegra agitazione che mi prende sempre quando c’è qualcosa che non quadra.

Il sesto senso del galeotto non ha nulla di soprannaturale. Ripensandoci a posteriori, si scoprono un sacco di dettagli che non vediamo nella vita giornaliera, ma che non sfuggono alla bestia braccata. E deve essere andata in questo modo anche venerdì mattina. Infatti, trovai del tutto normale che mi chiamassero per l’infermeria, senza mascherina. Non mi sorpresi più di tanto quando, da dietro un angolo di corridoio, mi balzarono addosso un manipolo di agenti guidati dal loro leader naturale. Impossibile discutere, ancor meno opporre resistenza. Non avrebbero neanche avuto bisogno di tanta messinscena per portarmi nel loro girone ISIS. Ve lo immaginate il sottoscritto far fronte a tanta forza dissuasiva?

L’AS2-ISIS è proprio come me lo avevano descritto: una specie di lugubre cassaforte nel complesso di Rossano. Ovviamente qui i penitenti non hanno diritto nemmeno alle solite mattonelle. Il cemento grezzo che regna sovrano è quello che più colpisce all’entrata. L’unica resistenza, ben passiva, l’ho opposta quando volevano che entrassi in una cella che merita qualche impressione. Dalla punizione al castigo. Non osavo toccare il letto o lo sgabello, tanta era la sporcizia accumulata. Mi affacciai al gabinetto…. e cominciai a urlare.

Oggi è domenica 18 ottobre e non ho idea di come fare uscire questo scritto. Sono appena le 10:30 e oltre il blindato qualcuno ha già gridato “il praaanzo!” in arabo suppongo, e sarà tutto fino a lunedì mattina. A Guantanamo Calabro la domenica non si cena. Sul serio! Pranzo cena e pane sono le tre parole che ho imparato a riconoscere. A me il lavorante non chiede, sa che rifiuto il cibo sin dall’arrivo. Il capo posto mi ha chiesto se sono in sciopero della fame. Ho risposto che non ho appetito, per non dire che non mi fido.

Mi è stato dato da leggere e da scrivere, con parsimonia. Alla televisione, con qualche indecenza di canale, ho preferito la mia radiolina. Si urla anche, e allora il volume della tele sale, è quando c’è un attentato. Finora sono riuscito a evitare di uscire dalla cella, Ma c’è di mezzo sabato e domenica. Per qualche colpo basso, bisogna aspettare lunedì mattina. Nel 1981, mi toccò un breve periodo del famigerato articolo 90 a Fossombrone. Ripensandoci da qui, non era poi così male.

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Guantanamo Calabro https://www.carmillaonline.com/2021/05/16/guantanamo-calabro/ Sun, 16 May 2021 00:50:25 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=66365 di Cesare Battisti

Premetto che i punti che seguono, riguardanti alcuni passaggi rilevanti della mia storia personale, non possono essere esaustivi, né lo pretendono. Si tratta appena di rispondere, seppure in modo frammentato, alle domande più frequenti che finora mi sono state poste da coloro che, nonostante l’intossicazione mediatica, non hanno rinunciato a voler capire. Anche questi dati non possono che essere parziali, ma l’intenzione è quella di fornire informazioni basilari che possano servire agli interessati per trarre le proprie conclusioni. Mi si perdoni, quindi, la discontinuità oltre a una redazione senza [...]]]> di Cesare Battisti

Premetto che i punti che seguono, riguardanti alcuni passaggi rilevanti della mia storia personale, non possono essere esaustivi, né lo pretendono. Si tratta appena di rispondere, seppure in modo frammentato, alle domande più frequenti che finora mi sono state poste da coloro che, nonostante l’intossicazione mediatica, non hanno rinunciato a voler capire. Anche questi dati non possono che essere parziali, ma l’intenzione è quella di fornire informazioni basilari che possano servire agli interessati per trarre le proprie conclusioni. Mi si perdoni, quindi, la discontinuità oltre a una redazione senza pretese di apparire pubblicamente tale e quale. E comunque, date le circostanze, non mi sarebbe stato possibile un discorso lineare ed approfondito. Per questo rinvio gli interessati a percorrere i miei scritti su Carmilla o a consultare il mio ultimo libro manoscritto attualmente in lettura da “Le Seuil” Francia.

Mi viene naturale, ma anche ovvio,  cominciare  proprio dalla mia prigione in Italia. Durante i 20 mesi di isolamento ad Oristano, solo 6 dei quali in una mezza legalità, coltivavo la speranza che l’Istituzione prima o poi capisse che non si può castigare o vendicarsi, infliggendo a un reduce degli anni 70 lo statuto di fatto di prigioniero di guerra. E’ quanto lascia supporre la privazione dei diritti stabiliti dalle leggi nazionali e dalle norme di diritto internazionale. Alle richieste formali dei motivi che giustificherebbero il trattamento disumano, allegando inaudite  misure di sicurezza, applicate tra l’altro con 41 anni di retroattività, lo Stato risponde letteralmente: “la documentazione richiesta è stata sottratta al diritto di accesso.” Ma allora, ci si chiede, quale è la difesa possibile? E’ la ragione per cui feci lo sciopero della fame ad Oristano.

In tutta risposta, lo Stato indispettito mi ha trasferito nel peggior carcere di Italia, facendomi rilegare a forza nel reparto ISIS-AS2. Ciò, nonostante le minacce ricevute in passato e quelle presenti profferite dai diversi fronti jihadisti nei miei confronti. Ma se Cesare Battisti è stato destinato dall’Autorità Giudiziaria alla media sicurezza, non avendo l’ostativo, cosa ci fa in AS2? La mia presenza nel reparto ISIS comporta grandi difficoltà ed esigui margini di sopravvivenza: senza mai uscire dalla cella per l’ora d’aria; limitato anche nel vitto poiché sono dell’ISIS i lavoranti dello distribuiscono; oggetto di minacce attraverso il cancello; privato di computer per svolgere la mia professione; sorvegliato a vista e oggetto di CED (provvedimento disciplinare) ad ogni accenno di reclamo; soggetto a censura, allegando supposta “attività eversiva” (sic) e via di questo passo, fino ad essere ostacolato anche nel diritto alla difesa, stabilito dall’articolo 24 della Costituzione. Potrei incontrare i miei familiari in Italia, un’ora la settimana per quattro volte al mese ma, data la distanza dal luogo di residenza e l’avanzata età dei miei fratelli che va dai 70 agli 80 anni, questo succede raramente. La mia famiglia residente in Francia ed in Brasile posso solo contattarla con videochiamate al cellulare una volta per settimana, ma devo allora rinunciare a colloqui in presenza. In questo modo, passo mesi senza contatto con i miei figli, per i quali devo chiedere notizie per lettera, quasi sempre trattenute dal censore, perché scritte in lingua straniera. Mi è stato addirittura detto che i miei figli dovrebbero imparare a scrivere in italiano per avere notizie del padre. Questo perché il censore ha difficoltà con il francese o il portoghese che sono le lingue materne dei miei figli. Un trattamento disumano non solo per qualsiasi detenuto, ma soprattutto per qualcuno il cui ultimo reato risale a 41 anni fa. E come se non bastasse, l’esecutivo si impegna a mantenere alto un assurdo livello di pericolosità alimentando un processo di criminalizzazione costante fino a giustificare il sequestro del computer, grazie al quale stavo completando un romanzo sul conflitto nel Rojava e il dramma degli emigranti. Tanto per rimanere in linea col dettato del reinserimento alla vita civile.

Facciamo un passo indietro e veniamo alla mia fuga dal Brasile. Le autorità italiane non hanno mai accettato il mio rifugio in Brasile. Lo Stato si è adoperato con tutta la sua forza, ma anche con mezzi illeciti come la corruzione e offerta di privilegi politici ed economici, per ottenere a tutti i costi la mia consegna fraudolenta! Il Brasile ospita una gigantesca comunità d’origine italiana, equivalente a 35 milioni di cittadini. Un paese nel paese! Questa importante porzione della società brasiliana, oltre a controllare alcuni settori dell’economia, ha una forte influenza nell’apparato militare del Brasile. Numerose sono le figure della dittatura di origine italiana, come lo stesso Bolsonaro. Ma poco importa se l’ex capitano Bolsonaro, perfino espulso dall’esercito, lui e i suoi accoliti siano soggetti senza scrupoli, se non chiaramente criminali a capo di milizie sanguinarie. L’Italia, attraverso l’Ambasciata, ha sempre mantenuto rapporti privilegiati con le lobby militari vicine a Bolsonaro. Tanto da spingere le aziende italo-brasiliane ad entrare attivamente nella campagna presidenziale di Bolsonaro. In cambio di tanta amicizia, Bolsonaro promette la mia estradizione. Anche se la Costituzione glielo impedirebbe – non si può revocare un decreto dopo 5 anni dalla sua emissione – Bolsonaro mantiene la promessa. Con compravendita di influenza nel Supremo Tribunale Federale, è spudoratamente ignorata la  Costituzione e l’intervenuta prescrizione dei reati attribuiti al sottoscritto, nel dicembre 2018 ordine di estradizione è decretato.

La sinistra uscente dal governo mi garantisce contatto diretto con il presidente della Bolivia Evo Morales, il quale permette personalmente al fondatore del MST Juan Pedro Stedile di accogliermi in Bolivia con la concessione del rifugio politico. In un’operazione combinata tra il PT brasiliano (Partito dei Lavoratori) e il Mas boliviano (Movimento al Socialismo) fui trasferito a Santa Cruz de la Sierra. Qui venni preso in consegna da un emissario del Governo alle dirette dipendenze del Cancelliere. In attesa della pratica per il rifugio, fui alloggiato in un Centro di Monitoraggio: locali appartenenti al Ministero dell’Interno, che servivano da base per lo spionaggio della corrente di opposizione a Evo Morales! Ci lavoravano una dozzina operatori informatici, con i quali ho intrattenuto rapporti cordiali. Ogni tanto arrivava qualche alto funzionario dello Stato, allora dovevo restare chiuso nella mia stanza in fondo al cortile. Da subito ebbi l’impressione di essere sorvegliato ad ogni passo, non solo da forze suppostamente amiche. Quando gli appostamenti si fecero più severi, lo feci presente al Responsabile del Governo che dirigeva il centro, ma questi rispose evasivamente. Quando ormai avevo maturato la certezza che qualcosa non girava nel senso giusto, fui prelevato a due passi dal centro, mentre mi recavo a fare la spesa. Improvvisamente, tutti coloro ai quali ero stato presentato per la regolarizzazione del rifugio erano scomparsi.

Anche così non mi perdevo d’animo. Pensai ovviamente al tradimento di Evo Morales, ma contavo ancora sulle leggi boliviane che escludono l’estradizione per reati politici e, soprattutto nel mio caso, per essere intervenuta la prescrizione secondo le leggi boliviane. Perciò, mi dissi, male che vada c’è da farsi un po’ di prigione nel corso del processo di estradizione. Avrei invece dovuto sospettare che era proprio un regolare processo che l’Italia voleva evitare. Gli stessi poliziotti dell’Interpol boliviana, alcuni dei quali avevo avuto modo di conoscere al Centro di Monitoraggio, apparivano piuttosto imbarazzati per quello che stava per succedere. Non ebbero difficoltà a mettermi al corrente che lì intorno brulicavano italiani, brasiliani e agenti di un altro paese che non vollero specificare. Mi dissero chiaramente che si stava negoziando la mia pelle e trattavano i loro governanti da mascalzoni. Capii a cosa alludevano tutti loro al  mattino seguente, quando irruppe una squadra nera incappucciata e mi portarono di peso all’aeroporto internazionale di Santa Cruz de la Sierra.

Collocato e sorvegliato in una sala i cui vetri davano sulla pista, assistevo alle questioni burocratiche tra un nucleo della Polizia Federale brasiliana e alcuni ufficiali dell’Aeronautica Militare boliviana. Mentre a meno di 100 metri sulla pista, scaldavano i motori del turboelica della PF Brasil. Poco dopo seguivo il Delegado (Commissario) e la sua squadra a bordo dell’aereo brasiliano. A un certo punto ci fu un trambusto. Mi fecero scendere e tornammo nella stessa sala. Qui fui preso in consegna dalla polizia boliviana, mentre gli agenti brasiliani decollavano senza di me. Per un momento sperai che Evo Morales avesse dato un contrordine. Speranza effimera,  fino all’arrivo di un nutrito gruppo di persone, con i colori italiani appesi al collo, che mi portarono fino al jet di stato che ci aspettava lontano sulla pista. Tentai anche di resistere: “è un sequestro” gridavo. La risposta fu disarmante: “e allora? Questa volta però ha funzionato.” In Bolivia come in Brasile si gridò allo scandalo e al sequestro vergognoso permesso da Evo Morales. Ci furono proteste e anche manifestazioni. Ovviamente, in Italia non se ne è parlato. Che Evo Morales, già screditato dalla base del suo partito, potesse arrivare a tanto nessuno se lo aspettava. Ma chi ha più sorpreso per vigliaccheria è stato il vicepresidente Linera, con il suo passato, che si è dileguato all’ultima ora per evitare di dare spiegazioni agli amici comuni.

Qualcuno si è opportunamente chiesto se queste procedure a dir poco fraudolente non possono essere oggetto di denuncia alle autorità internazionali. Al proposito informo che ci sono attualmente in progetto tre procedure contro gli illeciti esposti sopra, commessi dal Brasile, la Bolivia e l’Italia. Rispettivamente, il primo ricorso all’OEA e ONU per atto incostituzionale nell’annullamento di un decreto presidenziale di più di 5 anni e separazione forzata del nucleo familiare –  figlio minore e moglie rimasti in Brasile – , il secondo all’ONU contro la Bolivia per sequestro di persona e espulsione illegale; il terzo ricorso all’ONU contro l’Italia per ricettazione di illecito; ricorso alla Corte Europea per trattamento disumano in carcere. Ma una procedura di istanze internazionali ha tempi lunghi e a me urge uscire dall’ Inferno di Guantanamo Calabro: io non ho l’ostativo, che ci faccio in AS2?

Mi dicono che dalla lettura di “Indio”, il mio ultimo romanzo pubblicato in Francia, sì coglie tra le righe  l’intenzione di affrontare la questione con la giustizia italiana. Ho terminato l’ultima stesura di “Indio” quando ancora nessuno credeva seriamente che un soggetto come Bolsonaro potesse diventare presidente. Ciò per dire che certe mie riflessioni sul futuro incerto dell’eterno rifugiato e perseguitato sono insospettabili. La disinformazione che negli ultimi 15 anni ha fatto di me il mostro da abbattere, ha reso impossibile ogni tentativo di fare chiarezza sul mio percorso politico-militante prima, rifugiato dopo. Ci si è guardati bene dal divulgare alcuni miei tentativi di riavvicinamento e di pacificazione con una supposta nuova realtà sociale in Italia. Credevo che la democrazia italiana fosse maturata, capace di affrontare la propria storia con dignità e cognizione di causa. Mi riferisco ovviamente agli “anni di piombo”, un capitolo drammatico della nostra Storia rilegato in una zona d’ombra e di tabù, dove la revisione storica ci sguazza.

Tanto per citare qualche tentativo di riavvicinamento, il più serio e formale fu mentre mi trovavo nel carcere di Brasilia, durante il lunghissimo processo di estradizione. Dopo alcuni incontri con gli addetti dell’Ambasciata d’Italia, feci loro una proposta di dialogo con il Governo italiano. Fu in un momento in cui avevo già la certezza di non essere estradato. Proposi loro che avrei accettato volontariamente l’estradizione se il Governo fosse stato disposto ad aprire un dibattito, con personale qualificato, per fare infine i conti storici sul periodo della lotta armata, “la degenerazione di un 68 represso nel sangue che si è protratto per 15 anni”. Gli addetti dell’Ambasciata, cioè spioni, promisero di riferire ma non si fecero più vedere. Nel frattempo io avevo anche dato il via a una corrispondenza con Alberto Torreggiani -sappiamo che fu ferito dal proprio padre durante l’attentato dei Pac al quale io non partecipai. La corrispondenza con Alberto Torreggiani, che oggi egli rinnega per ordine dello Stato, o semplicemente influenzato dai soliti forcaioli, faceva parte di una più articolata intenzione di riavvicinamento con i familiari delle vittime dei Pac. Ciò nel quadro di creare clima favorevole per tornare senza odio sulle responsabilità di tutte le componenti del conflitto e, chissà, voltare infine quella maledetta pagina degli “anni di piombo”. Purtroppo anche questo tentativo si è scontrato con l’accanita intolleranza di certi settori politici e mediatici sempre pronti ad alimentare l’odio per oscuri interessi di parte. Non si può che assistere con sospetto alle puntuali sortite pubbliche di parenti delle vittime (si parla ovviamente sempre e solo di una parte della barricata) alcuni dei quali non erano probabilmente nati all’epoca: 41 anni fa! E perché prendersela sempre con Battisti, come se fosse stato lui ad inventare la lotta armata? Mentre i fascisti agli ordini di qualche istituzione se la spassano, e nessuno grida in piazza? O sarà proprio per proteggere gli  stragisti che bisogna mettere al rogo un testimone, affinché la disinformazione su quegli anni abbia piena efficacia.

Battisti, ci ricorda la peste dello Stato, deve tacere. La domanda che dovrebbero porsi coloro, gli ignari che con la bava alla bocca reclamano la gogna per Cesare Battisti, dovrebbe essere più o meno questa: “Perché fino al 2003 nessuno si interessava a lui?” Quando ancora Cesare Battisti era appena un altro tra le decine di rifugiati italiani in giro per il mondo? Nel tempo in cui pubblicava libri e articoli anche in Italia e riceveva visite di personalità italiane legate al mondo politico. culturale e anche istituzionale? Cosa è successo ad un certo punto, affinché diventasse improvvisamente il “mostro”, al punto da alimentare l’odio dei parenti delle vittime – fino allora assopito?- e dei media cialtroni? È pazzesco, come a nessuno questi giustizialisti venga in mente di porsi la questione. Eppure la risposta è semplice: Battisti scrive, parla alla televisione, fa interviste e dibattiti in ambito internazionale, scava nel passato, fa autocritica ma allo stesso tempo denuncia una guerra civile che lo Stato ha scatenato e combattuto con le bombe nelle piazze e una repressione inaudita. Ed è rimasto reticente con la Storia.

La lotta armata in Italia non è nata in qualche mente perversa e praticata da quattro disperati. E’ scaturita da un grande movimento culturale e politico incontenibile, che non sopportava più le angherie di uno Stato corrotto e stragista. Un milione di persone nelle piazze e tutti complici rivoluzionari. 6000 i condannati; circa 60 mila i denunciati; più di 100 gruppi armati organizzati; centinaia i morti, la maggior parte nelle file rivoluzionarie. Questo è il contesto sociale in cui sono nati i Pac. Non si trattava di un partito armato, ma l’espressione combattente orizzontale del fronte ampio di protesta, nelle fabbriche, sul territorio e nell’educazione nazionale. Che il loro ideale fosse comunista lo dice il nome stesso (Proletari armati per il Comunismo), ma non si proponevano l’assalto al Palazzo d’Inverno, né di prendere il potere dello Stato. Erano nuclei diffusi e indipendenti che rispondevano a modo loro all’ingiustizia dilagante, all’estrema destra che si armava in difesa dei privilegi del capitale. Forti dell’idea che il comunismo vero non poteva essere quello espresso dall’Unione Sovietica, anzi, ma semplicemente quello di una società futura inevitabile, libera e ugualitaria auspicata con estrema chiarezza nel “Manifesto” di Marx e Engels. Appena questo, senza derive ne accorciatore come invece fu il caso. Che il momento storico e l’uso delle armi fosse stato giusto o meno, l’hanno detto i fatti e ripetuto tutti i militanti coscienziosi. Tra i quali mi colloco senza mezzi termini. Si può ammettere l’errore, senza scadere nell’indecenza di chi si illude di poter rimediare a tutto dichiarandosi pentito. Mai parola fu tanto denigrata. Ho troppo rispetto per la storia e per le vittime che essa ha causato per pensare di nascondermi dietro una spanna d’ipocrisia.

Si pensava che l’Italia avesse vinto certe proprie debolezze, fosse pronta ad affrontare la propria Storia. Invece, 40 anni dopo, attraverso le sue massime rappresentanze, offre ancora ai cittadini lo stesso ignobile spettacolo, con la preda trascinata tra la moltitudine inferocita; gli insulti dei cacciatori che inveiscono sulla preda; i selfie dei ministri; il gozzoviglio della televisione; Battisti nell’arena; godi adesso Popolo! Ecco le torture subite, dopo un sequestro trionfalmente rivendicato. Al punto che persino la Corte di Cassazione ha sentenziato pressappoco in questi termini: “se la Bolivia ha commesso un illecito a noi non importa, ci hanno dato Battisti e noi ce lo prendiamo”. Ce lo prendiamo! Ma allora siete quantomeno dei ricettatori! Ma non basta sequestrarlo e riportarlo nelle patrie galere. Bisogna anche riservargli un trattamento da prigioniero di guerra senza la protezione dello statuto. Non si può dargli legalmente il 41 bis e l’ostativo? Poco male, glieli diamo di fatto tenendolo isolato e impedendogli il percorso trattamentale che gli consentirebbe l’accesso ai benefici riservati a tutti i detenuti. E se reclama, lo facciamo linciare dai media; gli aizziamo contro la vendetta popolare; gli applichiamo la censura; gli togliamo il computer per lavorare; lo mettiamo nel reparto Isis dove sarà costretto a rimanere in isolamento volontario. Eccola la tortura!

Veniamo ora alla mia scelta personale processuale. Dicevo che da diversi anni cogitavo una soluzione decente per metter fine a questa persecuzione, dove forze politiche italiane non si sono risparmiato nessun mezzo coercitivo o di pressione. Devo mettere per inciso, che le mie dichiarazioni di innocenza – mai rivolte all’autorità ma solo ai media – sono intervenute solo dopo il 2004 in Francia, e ciò per costringere lo Stato italiano ad ammettere l’uso deviato della Giustizia nei processi alla lotta armata. Prima di allora, né dopo, non avevo mai negato la mia appartenenza ai Pac assumendone le responsabilità politiche. Quelle penali dovrebbero essere state innanzitutto provate in tribunale, prima di emettere condanne a vita ed aspettare tardive confessioni. Sia perciò chiaro che i paesi che hanno accolto la mia richiesta di rifugio non lo hanno mai fatto, e non avrebbero potuto, in base a una supposta dichiarazione di innocenza – come falsamente dichiarato dall’opportunista Lula – ma esclusivamente per la tipologia politica del reato.

Ho pensato si seriamente a una soluzione collettiva dei nostri anni 70. Il clima politico in Italia non era l’ideale, sapevo però dell’esistenza di personalità e tendenze in seno al mondo giudiziario, che avendo combattuto in prima linea la guerra al “terrorismo”, come si suol dire adesso, conoscevano a fondo la materia e non avevano interesse a ricorrere a propagande oscurantiste per capire la realtà dei fatti. Certi indizi mi dicevano che queste persone, o correnti di pensiero, speravano ancora che si potesse arrivare un giorno a voltare queste tristi pagine di storia nella dignità e per il rispetto della memoria nazionale. Posso citare in merito il pensiero dell’emerito magistrato Giuliano Turone, giudice istruttore del processo ai Pac, che nel suo libro “Il caso Battisti” afferma pressappoco in questi termini: “Paradossalmente, accettando le sue responsabilità politiche e penali, potrebbe essere proprio Cesare Battisti a far sì che si possa infine rivedere e chiudere questo capitolo di storia”. Le parole possono non essere le stesse ma il senso è questo. Mosso da questo sentimento, alimentato dalla speranza che 40 anni erano comunque tanti e la democrazia italiana doveva per forza essere maturata e che anche lo Stato fosse un amministratore forte e responsabile, decisi di affidarmi alla giustizia e chiamai il procuratore di Milano. Quella mia deposizione del 23 Marzo 2019 fu una scelta sofferta. Mancavo dall’Italia dal 1981, e i miei contatti col bel paese erano ridotti a qualche familiare e all’editore. Non potevo certo immaginare che, aldilà dell’ isterismo mediatico, potessi ancora suscitare la vendetta dello Stato. Con l’enorme difficoltà di dover tornare su un processo archiviato da decenni, senza nessun fatto nuovo da apportare, se non gli ormai impossibili distinguo sulle mie proprie responsabilità. Non mi restava che prendere tutto in blocco, comunque, penalmente non avrebbe avuto peso. Di fronte alla scelta di affrontare un processo storico, e a crederlo non ero il solo, che senso avrebbe mettersi a spulciare il codice penale 40 anni dopo?

Sono stato condannato a due ergastoli e sei mesi di isolamento diurno per essere stato ritenuto colpevole di praticamente tutti i reati commessi dai Pac, tra i quali 4 attentati mortali. Dove non è stato possibile allegare la mia presenza fisica sul luogo del delitto, sono stato ritenuto il mandante. Dovrei forse precisare che in un conflitto simile i mandanti non esistono e semmai esistessero bisognerebbe allora cercarli in mezzo al popolo? Comunque, non avrei potuto certo essere io.

Ho ammesso tutto. Ho ribadito la mia autocritica per la scelta di aver partecipato alla lotta armata, poiché politicamante e umanamente disastrosa. Ma non l’avevo già detto mille volte in tutti questi anni? Non avevo nulla di cui pentirmi perché, sbagliato o no, non si può cambiare con il senno del poi il senso di avvenimenti storicamente definiti da un preciso contesto sociale. Assurdo sarebbe dire che non si sarebbe potuto evitare, ma mi risulta che il movimento rivoluzionario non si sia tirato indietro al momento di assumersi le sue responsabilità. Non possiamo dire altrettanto da parte dello Stato. E non avevo neanche niente da chiedere in cambio della mia confessione. Non sarebbe stato legalmente previsto e poi mi bastava che si applicasse la legge, come per qualsiasi altro condannato senza il bruttissimo ostativo, per accedere a qualche futuro beneficio riservato a tutti.

Insomma, è come dire, va bene, avete vinto e sono qui ad assistere ai canti di vittoria immeritati. Ma, finita la festa, tu Stato democratico, ci vogliamo impegnare tutti a riabilitare la storia stuprata, mentre io sconto la mia pena, secondo i termini di leggi nazionali e regole internazionali di umanità, come qualsiasi altro condannato? Pura illusione. Dopo aver sbandierato al mondo intero il frutto di una sporca caccia, cantato una vittoria ottenuta con l’inganno sul sangue delle vittime e l’onore barattato della Storia, lo Stato dei rattoppi non si smentisce e mostra la sua vera faccia. Si dà ai gozzovigli forcaioli, cavalca l’onda populista, sacrifica perfino la parola di quelle autorità che l’hanno servito anche quando non lo meritava.

Questo è il sentimento che mi ha accompagnato da Oristano a Guantanamo Calabro, alla mercè dell’ISIS e sottoposto a un trattamento degno di una dittatura militare. Ma non ho perso la speranza e sono certo che il tempo è galantuomo.

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Fino alla fine https://www.carmillaonline.com/2020/10/26/fino-alla-fine/ Sun, 25 Oct 2020 23:27:09 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=63238 di Cesare Battisti

Marco scende dal letto ogni mattina come dalla scaletta di un’astronave. A ogni passo sul suolo alieno copre distanze interplanetarie. L’inerzia lo aiuta ad avanzare. Non finisce mai di sorprendersi, per la sua capacità di respirare. Davanti a un giorno senza tempo. Per compagnia i gemiti di chi l’ha preceduto. Marco si ritrae. Confonde le ombre della notte con suoni di feste alcolizzate, i profumi esotici, orge di ricordi altrui. Pensieri che non dicono più niente. Ci fosse qualcuno a chi dire basta. Alzare le braccia, arrendersi o morire. [...]]]> di Cesare Battisti

Marco scende dal letto ogni mattina come dalla scaletta di un’astronave. A ogni passo sul suolo alieno copre distanze interplanetarie. L’inerzia lo aiuta ad avanzare. Non finisce mai di sorprendersi, per la sua capacità di respirare. Davanti a un giorno senza tempo. Per compagnia i gemiti di chi l’ha preceduto. Marco si ritrae. Confonde le ombre della notte con suoni di feste alcolizzate, i profumi esotici, orge di ricordi altrui. Pensieri che non dicono più niente. Ci fosse qualcuno a chi dire basta. Alzare le braccia, arrendersi o morire. Trovasse almeno una parola da sparare al cuore. Un blues, una samba di radice da svenire. Una storia d’amore finita bene. Marco respira, per attingere incolume il calare della sera. Nel silenzio formicolante di puntini, s’insinua il pianto di un bambino. Dolcezza amara, immagini che si addensano nel cielo. Goccioloni di pioggia passeggera cadono sulla paura del futuro. Vaporizzati sul presente. Fino alla fine, fino alla fine della luce. Prima di andare a letto ogni sera, Mario stacca le foto di famiglia appese al muro.

Questo breve racconto di Cesare Battisti (breve perché non gli danno i mezzi per scrivere) era accompagnato da un messaggio, in cui denuncia la sua drammatica condizione:

Dal mio rifiuto di integrarmi nel reparto AS2-ISIS, sono diventato il bersaglio di una pioggia di rapporti disciplinari, al ritmo inaudito di due al giorno. Le motivazioni di questi rapporti, ognuno dei quali comporta dai dieci ai quindici giorni di punizione, sono le più inverosimili e fantasiose. Del tipo: “comunicazione telefonica fraudolenta”, “comunicazione altamente offensiva” (si riferiscono forse ai miei reclami sulle numerose illegalità commesse da questa infelice direzione?), seguono altre assurdità. Per esempio ieri, 15  ottobre, dopo aver chiesto notizie su fotocopie di alcune notifiche di censura di corrispondenza, lettere o in francese o perché citano il protagonista del mio romanzo in corso, alla legittima richiesta inoltrata con regolare domandina, la risposta di un responsabile specialmente incaricato a trattare con il sottoscritto, è stata di un nuovo provvedimento disciplinare, secondo il quale, e questa volta si sono superati, io avrei insultato il censore per interposta persona. Persecuzioni simili pensavo che esistessero solo in quei film di serie B dove il capo aguzzino martirizza il malcapitato. Inutile trattenersi oltre sulle nefandezze che in questo istituto sembrano essere consuetudine. Soprattutto quando si tratta di Cesare Battisti, colpevole di non essersi piegato alle ambizioni carrieristiche di qualcuno. La situazione creatasi a Guantanamo Calabro illustra esaustivamente come sia in corso una strategia di provocazione tesa a criminalizzare il percorso trattamentale, oltre a ispessire la trama del “mostro” ex novo.

Vorrei pubblicamente dichiarare che, pur soffrendo ogni sorta di intimidazione, qualsiasi cosa succeda non è mia intenzione lasciarmi spingere a commettere atti inconsulti, né cogito assolutamente di attentare alla mia integrità fisica

Notizie aggiornate su Battisti nel sito La vendetta dello Stato.

 

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Due raccontini https://www.carmillaonline.com/2020/10/14/due-raccontini/ Tue, 13 Oct 2020 23:34:50 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=63118 di Cesare Battisti

UN FIORE

Marco beve a tre riprese, affondando le mani a coppa nell’acqua fredda del torrente. Poi si alza, si stira e si mette a contemplare le libellule che sfiorano frenetiche la corrente. “L’acqua canta il fluire della vita” si sorprende a dire ad alta voce nell’istante in cui un tremore lo coglie, facendolo vibrare come una nota sfuggita allo spartito. Ha visto sulla riva opposta se stesso in piedi. Esterrefatto dall’apparizione, non pensa a un’illusione. All’incredibile incontro di riflessi della superficie dell’acqua, al cielo così denso di turchese [...]]]> di Cesare Battisti

UN FIORE

Marco beve a tre riprese, affondando le mani a coppa nell’acqua fredda del torrente. Poi si alza, si stira e si mette a contemplare le libellule che sfiorano frenetiche la corrente. “L’acqua canta il fluire della vita” si sorprende a dire ad alta voce nell’istante in cui un tremore lo coglie, facendolo vibrare come una nota sfuggita allo spartito. Ha visto sulla riva opposta se stesso in piedi. Esterrefatto dall’apparizione, non pensa a un’illusione. All’incredibile incontro di riflessi della superficie dell’acqua, al cielo così denso di turchese da sembrare finto. Oppure è la stanchezza a giocargli un tiro. Non pensa, è ipnotizzato. Il tremito violento svanisce all’improvviso come è venuto. Marco respira a sorsi il vapore acqueo impregnato del profumo di certi fiori che sbocciano solo sul punto di morire. Lo sgomento iniziale se l’è portato via il canto dell’acqua cristallina. Da una riva all’altra, egli osserva la sua figura magra che sorride. Tenta un gesto, come fosse specchio e l’altro ripetesse. Si sente sciocco e respira ancora il profumo di quel fiore. Dalla riva opposta, parte un colpo di pistola.  C’è nell’aria una musica delicata, festeggia la natura il fluire della vita.

 

UN FILO D’ARIA

L’ orecchio schiacciato contro il materasso di gommapiuma, Marco sente il brontolio dei muri saturi di pena. Aria stagna, odore di tempo morto.

“Dovresti cambiare d’orecchio” dice la macchia bruna sul muro, che si dilata e restringe al ritmo della respirazione. È una questione d’aria, Marco pensa.  Quella fina fa bene alle menti chiuse e alle ombre orfane di sole.

Marco è qualcuno che ha sudato per liberarsi da bisogni basilari. Tranne l’aria, gli manca da morire. In compenso domina il tempo con le sue migliaia di candeline spente.

Quando riposa su un orecchio solo, percepisce i rumori antichi, strascichi di illusioni cariche di polvere e promesse sfilacciate. Echi di un mondo ancora scandito dal tempo. Non si è mai assolutamente liberi. Lo sanno i muri, lo dicono le macchie, i ragni e le zanzare. Milioni di facce sbaragliate da un ghigno di soddisfazione.

Se a Marco venisse in mente di agitarsi, tanto per far qualcosa, offenderebbe la saggezza dei suoi muri e resterebbe solo. A Marco capita di scollare bruscamente l’orecchio dal materasso avvilito, è per vedere se non ci sia altro in giro da eliminare. Stuzzica il tempo, che non gli nasconde un’ultima ricorrenza. Ma i muri non si lasciano ingannare, sono soprassalti paranoici.

Come quando si immagina di sentire lo spazio con le mani. Allarga le dita quel tanto da far passare un filo d’aria, e ne aspira gli effluvi a narici dilatate. Appena un trucco per distrarre la mente e aprire uno spiraglio. Dare mobilità alle ombre stantie.

A Marco, quando sogna, sembra di volare tra palloncini colorati e ghirlande d’oro e d’argento.

 

I due brevi racconti di Cesare Battisti ci sono pervenuti assieme a questo messaggio: “Cari, sprovvisto di computer e di tutto il materiale per continuare il mio lavoro, ho pensato di ingannare l’eterno isolamento scrivendo qualche rapido delirio. Ecco un  primo ‘fiore’, se lo ritenete pubblicabile fate pure. Cesare.

 

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L’isola del Gatto Blu https://www.carmillaonline.com/2020/09/02/lisola-del-gatto-blu/ Wed, 02 Sep 2020 00:23:29 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=62542 di Cesare Battisti

Al mio piccolo Raul Tomaz. Per il suo gatto di peluche che intravvedo nella videochiamata, per le leccornie che sgraffigna nella dispensa, per i suoi viaggi all’infinito.

In mezzo a un mare sconosciuto, dietro una barriera di onde mostruose, sorgeva l’isola del Gatto Blu. Era un’isola misteriosa, piena di incanti e di segreti. Così segreti che mai nessuno era riuscito a scoprirli.

Era un’isola magica. Si diceva che chiunque riuscisse ad approdare sulle sue spiagge dorate avrebbe ricevuto il potere di realizzare tutti i propri sogni. I sogni? Si, [...]]]> di Cesare Battisti

Al mio piccolo Raul Tomaz. Per il suo gatto di peluche che
intravvedo nella videochiamata, per le leccornie che sgraffigna nella
dispensa, per i suoi viaggi all’infinito.

In mezzo a un mare sconosciuto, dietro una barriera di onde
mostruose, sorgeva l’isola del Gatto Blu. Era un’isola misteriosa,
piena di incanti e di segreti. Così segreti che mai nessuno era riuscito
a scoprirli.

Era un’isola magica. Si diceva che chiunque riuscisse ad
approdare sulle sue spiagge dorate avrebbe ricevuto il potere di realizzare
tutti i propri sogni. I sogni? Si, tutti, anche quelli più birichini. A chi
non sarebbe piaciuto possedere un dono così grande! Ma, come tutte
le meraviglie, rari sono coloro che le meritano.

Si partiva da ogni parte della Terra per sfidare le onde e poter
attingere a un bene tanto prezioso. Certe volte sembrava quasi che
qualcuno ce l’avesse fatta. Ma, a due passi dalla spiaggia dorata, quando già i pesciolini dai colori scintillanti uscivano dall’ acqua per
applaudire, lo sventurato, sfinito dallo sforzo, perdeva la speranza e
annegava.

Era molto difficile arrivare sull’isola. Re, guerrieri, perfino
super eroi, chiunque osasse sfidare il mare finiva travolto da onde
grandi come montagne. Non serviva granché la forza, né l’astuzia e
tanto meno la ricchezza. Solo chi avesse il cuore puro come l’amore
poteva realizzare il sogno meraviglioso.

Ma come si fa ad avere il cuore puro? Era questa la domanda
che tutti facevano e a cui nessuno sapeva dare una risposta.

Dopo tanti tentativi tragicamente falliti di raggiungere l’isola,
neanche i più coraggiosi osarono più mettersi in viaggio. Troppi di
loro erano partiti e non erano tornati. Nessuno sarebbe riuscito a vincere la furia del mare. Passarono così gli anni. Occupati a farsi la
guerra, i popoli finirono per dimenticare l’isola meravigliosa del
Gatto Blu.

Tanto tanto tempo dopo, quando ormai anche le guerre si erano
stancate degli uomini e questi non sapevano più che fare, scoppiò
una pandemia che sconvolse il mondo. Da un giorno all’ altro, tutti
quelli che andavano per strada a divertirsi o a lavorare furono
costretti a rimanere chiusi in casa. Se uscivano all’aperto, il virus
cattivo li assaliva all’improvviso e li asfissiava. Solo quelli che
uscivano con la mamma e la mascherina, riuscivano talvolta a
correre fino al mercato e poi via di corsa a casa. Ma non si poteva
andare tutti i giorni, era pericoloso!

Una vita così dura non la merita nessuno. Perfino gli alberi e gli
animali del parco si erano intristiti. Perché i bimbi non venivano più
a giocare. I piccoli restavano chiusi in casa tutto il giorno. Poverini,
cercando qualcosa per distrarsi o un boccone da mangiare. Non era
vita da fare quella. Un bimbo ha ben diritto di giocare, sgambettare
all’ aria libera per affannare un po’ la mamma che gli corre dietro.’ E
non starsene in casa a sognare a occhi aperti, aspettando che
succeda qualcosa d’interessante.

Era quanto succedeva a Bubù nel tempo della pandemia.

Il pomeriggio era afoso. Il bimbo stava con il viso affondato nel
divano. “E adesso che faccio io ?” si chiedeva scalciandodall’ agitazione. Di tanto in tanto si alzava per andare alla chetichella
al frigo a prendersi qualcosa da sbocconcellare. Bisognava far pian
pianino. Non farsi sentire dalla mamma che fingeva di lavorare nella
stanza accanto. Ma, pur essendo di bocca buona, il povero Bubù non
ne poteva più delle solite melanzane. O di quella quagliata che lui
trovava alquanto disgustosa.

La pandemia non cedeva. Per un tempo Bubù aveva anche
provato a rassegnarsi a quella clausura. Ma adesso si sentiva
soffocare. Sognava a occhi aperti prati sterminati, corse a perdifiato, le foreste, i giochi, il mare. Ma quel giorno, l’immagine più straziante, quella che non lo abbandonava, era un piattone pieno
di salcicce coi funghetti e le patatine. Una delizia che lo prendeva
allo stomaco, facendolo ritorcere sul divano come un’anguilla a
secco.

All’orlo della disperazione, coll’ odore di salciccia che gli annebbiava la vista, gli sfuggì un gemito che fece vibrare tutta la casa. Spaventato dal proprio lamento, non si accorse subito di
un miagolio. Poi senti un pelo morbido strusciargli la gamba nuda,
allora balzò a sedere. Quale non fu la sua sorpresa nello scoprire un
gatto blu sul suo divano. Era un gatto grande e grosso e se ne stava
tranquillamente seduto sulle zampe posteriori. Lo guardava fisso e
sembrava gli stesse sorridendo coi suoi lunghi baffi neri. Ripresosi
dalla sorpresa, Bubù si accorse che il blu non era un colore da gatti.
E poi, da dove era mai spuntato fuori?

– Quante domande che fai, parlò improvvisamente il gatto.
Bubù andò a rannicchiarsi sul fondo del divano, nascose il viso
tra le mani. Possibile che sia stato proprio lui a parlare? Non sarà la
fame che mi fa sentire delle cose? Bubù sbirciò tra le dita per
accertarsi di non averlo immaginato. Ma il gatto blu stava proprio là,
seduto sul suo divano. Con aria un po’ seccata, parlò di nuovo:

– Cosa ti succede, non hai mai visto un gatto?

Bubù respirò a fondo, si pizzicò un orecchio. Poi trovò il coraggio di rispondere:

– Si, cioè no, i gatti non parlano. Il gatto blu scoppiò a ridere.

– Shhht, fece subito Bubù. La mamma ti può sentire.

– Hai ragione, rispose il gatto. Meglio stare attenti, le mamme

sono delle impiccione. Ma dimmi, piccolo mio, cos’è questa storia di
salcicce, prati e mare? Bubù rimase bocca aperta.

– Come fanno i gatti a sapere quello che penso io? chiese
incredulo. Il gatto blu stava per esplodere in un’altra risata, ma si
trattenne tappandosi la bocca con la zampa.

– He, he, mio caro, ma io non sono uno qualunque. Sono il
Gatto Blu, il guardiano dell’isola magica.

A queste parole Bubù saltò su stizzito.

– Non è vero, il maestro a scuola ha detto che questa è una
leggenda.

– Verissimo, fece il gatto battendo con la zampina sul divano,
ma anche le leggende possono diventare realtà. Guardami, non ti sto
forse parlando in questo momento?

Il povero Bubu non trovava più parole. A lui sarebbe piaciuto
eccome che quel gatto blu dicesse la verità e che l’isola magica
esistesse per davvero. Ma una cosa del genere non era successa mai
a nessuno. Perché proprio a lui? Non sarà stato per caso il virus che lo faceva delirare? E poi…

Il Gatto Blu interruppe bruscamente i suoi pensieri.

– Smettila di lamentarti, lo sai in quanti ci hanno provato ad
andare sull’isola e sono tutti morti? E tu che hai la fortuna di avermi
qui vorresti sprecarla perché i grandi dicono che non esisto? Non ti
piacerebbe .realizzare tutti i tuoi sogni? Quella salciccia, per
esempio, huumm, te la sei scordata?

Bubù sentì la bocca riempirsi di saliva. Ci si sarebbe tuffato su
quella salciccia, ma aveva troppa paura di svegliarsi masticando
ancora melanzane.

– E dagli con queste melanzane. Insomma la vuoi o no questa
salciccia?

– E va bene, gridò Bubù, cosa devo fare per averla?

– Semplice, miagolò il Gatto Blu, devi solo accarezzare la mia

testa.

– Ci saranno anche i funghi con le patatine?

– Certo, ma allora dovrai accarezzare con tutta la purezza del

tuo cuore.

Non appena Bubù fece scorrere dolcemente le dita sulla testa
del Gatto Blu, un piatto fumante di salcicce, funghi e patatine si materializzò sul divano. Titubante, Bubù allungò la mano. Sentì la
consistenza e, inebriato dall’ odore, si avventò sul piatto e cominciò
a ingozzarsi a piene mani.

– Ehi, calma, lascia qualcosa anche a me, che poi devo tornare
fin laggiù sull’ isola.

In un battibaleno il piatto fu ripulito. Bubù si leccava
rimpinzato le dita e il Gatto Blu le sue zampine.

-Beh, adesso devo proprio andare, disse il Gatto Blu,
stiracchiandosi pigramente. Quando vuoi realizzare un altro sogno
cercami.

A Bubù uscirono le lacrime.

– Ma io non posso attraversare le onde alte come montagne per
venire sulla tua isola.

Commosso da quelle parole, il Gatto Blu gli saltò sulle ginocchia
e con la lingua un po’ ruvida gli asciugò le lacrime. Poi disse in un
miagolio armonioso:

– Non preoccuparti mio amichetto, tu hai il cuore puro, non ci
saranno-onde a fermarti nei viaggi lunghi da-fere. Basta pensarmi con
il cuore ed io sarò qui a realizzare ogni tuo sogno.

Dette queste parole, il Gatto Blu, pouf, svanì nel nulla. Bubù ci
pensò su un attimo. Poi corse al frigo e si servì un resto di
marmellata di ciliege. Il Gatto Blu aveva dimenticato il dessert.

 

 

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Sulla pelle di Primo Levi https://www.carmillaonline.com/2020/08/22/sulla-pelle-di-primo-levi/ Fri, 21 Aug 2020 23:42:45 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=62331 di Cesare Battisti

“SOLO COLORO LA CUI UMANITA’ E’ STATA MESSA IN DUBBIO POSSONO INSEGNARE AGLI ALTRI L’UMANITA’”

Quello che mi ha subito incuriosito in questo carcere è stato il comune dire tra gli agenti, ma anche membri della direzione, che per ogni disgrazia c’è sempre lo zampino dei comunisti. All’inizio pensai che si trattasse di una battuta per prendere in giro me mimando Bolsonaro. Dovetti, però, ricredermi nel constatare che l’espressione dilagava e spesso non era diretta a me. Diventava così comunista qualunque detenuto rivendicasse un diritto, o anche il giornalista [...]]]> di Cesare Battisti

“SOLO COLORO LA CUI UMANITA’ E’ STATA MESSA IN DUBBIO POSSONO INSEGNARE AGLI ALTRI L’UMANITA’”

Quello che mi ha subito incuriosito in questo carcere è stato il comune dire tra gli agenti, ma anche membri della direzione, che per ogni disgrazia c’è sempre lo zampino dei comunisti. All’inizio pensai che si trattasse di una battuta per prendere in giro me mimando Bolsonaro. Dovetti, però, ricredermi nel constatare che l’espressione dilagava e spesso non era diretta a me. Diventava così comunista qualunque detenuto rivendicasse un diritto, o anche il giornalista e il politico che alla televisione osasse parlare di tortura o che proponesse un progetto culturale. Il comico di queste flessioni antropologiche è che spesso lo sfortunato detenuto in questione confonde l’ideale comunista con l’ostia della comunione. Mentre per i suoi detrattori, sono comunisti tutti, salvo loro stessi e qualche leader a braccio teso. L’illusione che durante la mia lunga assenza dall’Italia la “minaccia” comunista si fosse ingigantita al punto da terrorizzare i bravi cittadini dell’ordine fu di breve durata. Non appena mi misero un televisore in cella, mi accorsi che questo era il comune modo di esprimersi di Meloni, Salvini e compari.

Un altro episodio curioso riguarda un tale che rimase una quindicina di giorni nel mio corridoio. Di solito, il reparto isolamento è tutto mio. Ma capita di tanto in tanto, questione di spazio, un ospite con cui scambiare due parole a distanza. Dalla voce sembrava piuttosto giovane. Da poco rientrato nel “bel paese” non feci caso all’accento straniero. Quando disse che era Togolese, mi colpì il dominio della nostra lingua. In seguito ebbi a notare anche un ottimo grado di educazione. In carcere si apprende subito ad essere discreti. Se uno ha voglia di raccontarsi, bene, ma non si chiede. Comunque non è facile farlo a gridi. Ma Charly, chiamiamolo così, si era convinto che io avessi la spiegazione a un fatto misterioso che gli era successo. Disse che l’avevano messo in isolamento perché voleva denunciare un abuso. Pensai alla solita prepotenza della direzione, invece mi sbagliavo. L’avevano isolato per proteggerlo dagli altri detenuti, il cui codice d’onore recita che solo gli infami ricorrono alla denuncia. Lui si sarebbe difeso dicendo che un codice simile esiste anche nel suo paese. “Ma che li sono gli stessi detenuti tutti uniti a far rispettare la giustizia. Mentre in Italia, che è un paese civilizzato ed ognuno pensa solo a se stesso, credevo che ricorrere alla legge fosse l’unica via. Non l’avessi mai detto…”. Dopo aver assistito allo sfogo di Charly, ho capito la ragione di un’altra espressione ricorrente tra gli Ispettori, quando si tratta di azzittire chi reclama un diritto, dicono ridacchiando: “Faccia denuncia, che aspetta a denunciare?”

Ma il carcere non è solo banalità e scherno. Qui i danni irreparabili sono provocati dall’attacco strisciante dell’Amministrazione Penitenziaria all’autostima e alla stabilità psichica del detenuto.

Così come si sfruttano i migranti nelle campagne e nelle fabbrichette al nero, sono sfruttati anche i detenuti. Fuori è il caporalato a garantire ai padroni mano d’opera schiava; in carcere è l’Amministrazione Penitenziaria a fornire al Ministero e alle loro imprese di fiducia lavoranti a 10 o 15 euro al giorno. Una parte dei quali sono oltretutto trattenuti per le spese giudiziarie. E come se non bastasse all’umiliazione di lavorare gratis o quasi, si aggiunge anche la beffa di offrirlo come fosse un privilegio. Giacché essere detenuto-schiavo non è da tutti, bisogna meritarselo con una sottomissione esemplare. O con la scorciatoia del 58 ter, cioè divenire un informatore della direzione. Vogliamo provare ad immaginare che classe di soggetto sociale restituirebbe questo sistema alla società?

Il carcere riproduce gli orrori del mondo esterno e li affila. Migranti, omosessuali, rom, categorie ritenute deboli sono le cavie della strategia d’intimidazione e disorientamento psicologico da applicare a tutta la popolazione detenuta. La scelta delle cavie, ovviamente, è favorita da un contesto pubblico che criminalizza queste persone. I diversi sono generalmente considerati colpevoli a priori, ciò facilita l’impunità agli abusi d’ogni sorta. Ma questa pratica serve anche a ricordare a tutti gli altri la momentanea fortuna che hanno di non essere trattati allo stesso modo. Una minaccia diretta: state attenti, potreste essere voi. Lo scopo è doppio. Da una parte riduce la fiducia di queste “categorie” cosiddette vulnerabili nei confronti delle autorità, così rendendole più facilmente criminalizzabili. Dall’altra spinge il resto della popolazione detenuta ad accrescere le differenze di trattamento nella speranza di garantirsi il privilegio della Normalità impossibile.

L’attacco all’orientamento e alla coscienza del detenuto è sistematico. Fa parte di un programma ben preciso, imposto dalla direzione e ciecamente eseguito dal personale delle differenti sfere di controllo interno, ma anche esterne all’istituto. Dal reparto sanitario all’area suppostamente trattamentale della pulizia penitenziaria alle istanze esterne di sorveglianza, tutti secondo le loro competenze si adoperano affinché l’abuso sia la norma, i diritti basilari sacrificati in nome della sicurezza. E se qualcuno non si allinea, viene estromesso dalla funzione. La falsità e il raggiro generalizzato non sono pratiche accidentali ma raccomandate. L’obiettivo è quello di tenere il recluso sempre sulla corda, impedirgli di farsi un punto fermo. Bisogna togliergli ogni certezza a cui aggrapparsi per resistere al bombardamento psicologico. La minaccia dell’aggressione fisica è costantemente presente. E’ in un contesto quotidiano di tensione, costantemente rinnovata, che il detenuto affronta pene irragionevolmente lunghe e sempre passibili di un aggravamento di regime. Confesso che mi ci è voluto più di un anno per vedere i meccanismi periferici che fanno della prigione un inferno. Il primo segnale di pericolo l’ho avuto allo scoprire che tutto il personale che opera nella prigione, senza distinzione di ruolo, mente con lo stesso automatismo con cui respira. Fino ad allora avevo pensato che questo costume fastidioso fosse dovuto a negligenza, qualche caso di maleducazione o, chissà mi dicevo, avrà avuto una ragione buona di dire una cosa per un’altra. Si usa dire che talvolta una buona bugia è meno grave di una cattiva verità. E’ stato proprio a causa di questo malinteso che ci ho messo tanto a capire quanta studiata malignità ci fosse in questa consuetudine.

Non si esce assolti dall’orrore generalizzato del sistema penitenziario appena mostrando al pubblico il teatro della Compagnia della Fortezza di Volterra, o le molteplici attività di reinserimento a Bollate. Due esempi di amministrazione che mostrano proprio ciò che dovrebbe essere la norma in tutte le carceri italiane. Nella quasi totalità delle quali, invece, perfino le scarse strutture apposite, fatte solo per aumentare la colata di cemento, sono volontariamente lasciate in disuso. La ragione sta nel volere di proposito che il detenuto sconti non solo condanne esorbitanti, ma sia anche rilegato al tempo morto che, quando non uccide, lo forgia nella fabbrica del crimine.

Rieducazione e reinserimento, due obiettivi ufficialmente soppiantati da infette parentesi di non vita, che per alcuni, parafrasando Michel Foucault, si aprono sulla culla per chiudersi sulla bara.

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Siamo uomini o caporali? https://www.carmillaonline.com/2020/08/07/siamo-uomini-o-caporali/ Fri, 07 Aug 2020 00:24:16 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=61956 di Cesare Battisti

Essere perseguitato da un povero di spirito come Salvini mette più tristezza che rabbia. Tristezza per quelle persone, disgraziatamente troppe, che gioiscono delle abili bassezze di un uomo che, sfortunatamente per la Repubblica, siede tra i banchi del Senato. Tristezza ancora per l’ignoranza generalizzata circa le reali condizioni di vita del detenuto. Per gli scempi del giustizialismo ipocrita e degli scellerati che spopolano sugli schermi televisivi o sulle pagine di alcuni giornali nazionali. Si dovrebbe stare attenti alle parole che si dicono, parlano i saggi, perché esse uccidono. E [...]]]> di Cesare Battisti

Essere perseguitato da un povero di spirito come Salvini mette più tristezza che rabbia. Tristezza per quelle persone, disgraziatamente troppe, che gioiscono delle abili bassezze di un uomo che, sfortunatamente per la Repubblica, siede tra i banchi del Senato. Tristezza ancora per l’ignoranza generalizzata circa le reali condizioni di vita del detenuto. Per gli scempi del giustizialismo ipocrita e degli scellerati che spopolano sugli schermi televisivi o sulle pagine di alcuni giornali nazionali. Si dovrebbe stare attenti alle parole che si dicono, parlano i saggi, perché esse uccidono. E allora non basterà più essere dal lato buono delle sbarre per ritenersi in salvo dal massacro. Ci pensino coloro che, anche se giustamente saturi di inganni e colmi d’insoddisfazione, trovano facile adottare il linguaggio improprio dei soliti sciacalli a caccia di voti. E’ triste constatare come sia diffusa l’espressione dell’hotel a 5 stelle per i detenuti: “lo ha detto la televisione, perbacco, deve essere vero”. C’è da augurare a costoro di non avere la sfortuna di capitare in galera. Tempi tristi, dove le disinformazioni aggrediscono in tal modo da venire assorbite prima ancora che il senso critico abbia il tempo di reagire. Succede che non basta più lasciare il detenuto in carcere a marcire, bisogna anche togliergli il diritto di parola. Non si sa mai, potrebbe avere qualcosa di importante da esternare o un sentimento da esprimere. Gli si tappa la bocca e il cuore, mentre si lasciano blaterare coloro che del carcere hanno fatto una miniera d’oro.

Niente di nuovo a Ovest, la fabbrica di delinquenza c’è sempre stata, ed oggi produce a pieno ritmo. E chi si riempie le tasche sono spesso i primi a gridare al ladro. Non è una novità, lo dovremmo sapere tutti come vanno le cose nel paese dei faccendieri. Eppure sentiamo gente onesta che lavora, quelli da sempre ingannati dal potere, gridare al lupo insieme agli ingannatori. Che ne è della buona saggezza popolare? E’ finito il tempo in cui si diceva che quando tutti sono contro uno, vale la pena sentire le ragioni di chi è rimasto solo. Possibile che siamo entrati a marcia indietro nell’epoca in cui è d’obbligo prendersela sempre con i più sfigati? E’ così difficile da capire il perché anche un Papa è costretto a ricordarci che siamo tutti sulla stessa barca? Oppure queste parole perderebbero valore, se a ripeterle fosse il prossimo emigrante a morire in mare, o un detenuto condannato alla gogna popolare? Nel contempo, anche persone insospettabili si mettono a fare eco a falsi profeti che venderebbero il paese pur di restare in sella alla politica predatoria.

Ma torniamo alla questione carceraria, quella trasformata in laboratorio di raggiri da politicanti mascalzoni e mercanti di parole. Se non sono i richiami alla compassione, chissà che non siano i numeri ad essere ascoltati.

I dati che seguono sono del Decreto Ministeriale del 07 agosto 2015: un detenuto costa allo Stato circa €. 137,00 al giorno. Questa spesa però, non serve a coprire solamente le esigenze personali del detenuto. Oltre l’80% di questi €. 137,00 è destinato a spese per personale civile e polizia penitenziaria. Le spese inerenti ad ogni detenuto sono in pratica meno di €. 20,00. Questi venti euro dovrebbero coprire le spese di igiene, lavanderia, sanità, vitto, area trattamentale, corredo e una voce non ben specificata di mantenimento. Non abbiamo percentuali relative ad ognuna di queste voci, salvo per il vitto e il corredo, così ripartite: colazione €. 0,27, pranzo €. 1,09, cena €. 1,37, per un totale di €. 2,73, interamente rimborsati allo Stato dallo stesso detenuto. Per il corredo, risulterebbe una spesa di €. 0,89 al giorno, ci si chiede a cosa si riferisce questa voce poiché di vestiario dell’Amministrazione non c’è traccia. Gli €. 2,73 per il vitto giornaliero si commentano da soli, sono una vergogna. Senza contare il contorsionismo dell’Impresa rifornitrice e delle Amministrazioni locali per abbattere ancor più i costi, servendosi di prodotti spesso destinati ai rifiuti e, comunque, preparando meno della metà di pasti, sapendo che i detenuti si arrangeranno col solito piatto di pasta, comprato al sopravitto fornito dalla stessa impresa. I prezzi del quale sono notevolmente superiori alla media nazionale. Non si sa quanti di quei meno di €. 20,00 siano destinati all’igiene. Per dare un’idea, in questo carcere il detenuto riceve una volta al mese: quattro rotoli di carta igienica, una saponetta, uno straccio e un litro di disinfettante diluito. Ma veniamo alla voce che dovrebbe costituire l’asse portante, la missione (sic) per eccellenza di tutto il sistema penitenziario: l’area trattamentale. Abbiamo detto che degli €. 137,00 al giorno stanziati dallo Stato, solo meno di €. 20,00 sono destinati al detenuto. Ma quanti di questi quasi €. 20,00 sono destinati all’obiettivo imprescindibile di un sistema che si dice rieducativo? Non lo sa nessuno. Oppure, tutti i fattori che dovrebbero intervenire nella complessità del sistema di rieducazione e al reinserimento del detenuto nella società sono talmente sparsi e indefiniti da rendere impossibile un calcolo preciso. Faremo prima a dire che, salvo rari Istituti che si sono notoriamente distinti nel compimento della loro missione, l’area trattamentale nel carcere esiste appena sulla carta come forma di appannaggio. Il detenuto è lasciato in balia di se stesso o affidato alla Polizia Penitenziaria, il cui compito, non è colpa loro, è quello di sorvegliare e punire. Questo è solo un aspetto, il più ovvio della squallida situazione che regna nelle carceri italiane.

Abbandonati dalla società civile disinformata, vittime della vendetta e della incapacità dello Stato di amministrare giustizie e democrazia, i detenuti si ripiegano su se stessi per sopravvivere alla pena impietosa e agli improperi. Si organizzano tra loro, affinché anche i più sventurati abbiano di che sfamarsi e resistere alle deficienze del sistema. E alla corruzione generalizzata, che alimenta l’animosità di chi sta pagando per tutti ed è pubblicamente insultato. Il detenuto cerca riparo nei codici ancestrali, perché non gli è dato conoscere strumenti diversi per affrontare con dignità la vita. La popolazione detenuta soffre in silenzio, mentre i fabbricanti di opinione pubblica brandiscono figure terrificanti. Grandi nemici della società, dicono con la bava alla bocca, grazie ai quali si giustificherebbero anche le torture. Sono sempre gli stessi ad essere mostrati alla folla inferocita. Si amplifica il loro ruolo criminale dando fiato agli sciacalli di ogni colore, che hanno rimosso il tempo in cui banchettavano tutti assieme allo stesso tavolo.

Questo è il mondo marcio del detenuto, altro che hotel a cinque stelle! Dire che neanche le bestie sono trattate allo stesso modo sarebbe fare un torto all’orso M49 che proprio in questi giorni sta passando in mezzo alle forche umane.

A proposito di sciacalli. Se ad insultare un comunista fosse un nemico di classe, sarebbe un orrore. Ma trattandosi di un caporale, fa solo pena.

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