Autori emergenti e affermati per un cd controcorrente
di Tiziana Lo Porto
Si sarebbe dovuto chiamare “I libri sono noiosi”, oppure “Alcuni dei nostri amici sono famosi”. Poi però è diventato As Smart As We Are, che a dirlo in italiano sarebbe più o meno: “Fichi come siamo”. A suonare e cantare sono i One Ring Zero, band fondata nel ’95 a Richmond, Virginia, da Michael Hearst e Joshua Camp. L’idea era quella di fare musica usando strumenti assurdi, come pipe ad acqua, una non meglio definita “claviola” e cose così. Dalla Virginia il duo approdò nel giro di due anni a New York, incappando più o meno per caso nella libreria di Dave Eggers (quello di Opera struggente di un formidabile genio).
Eggers li ascoltò e, folgorato dal nonsense della loro musica, li reclutò come band ufficiale della sua casa editrice, McSweeney’s. Da quel momento in avanti una serie di esibizioni per accompagnare i reading organizzati da Eggers, sfociate in quello che è indiscutibilmente il disco più à la page dell’America intellettuale e radicalchic: As Smart As We Are, per l’appunto.
Chiamati a scrivere i testi — sui quali i due One Ring Zero hanno poi scritto le musiche — autori affermati o emergenti della narrativa americana (quelli che in Italia corrispondono pressappoco alla scuderia Minimum Fax). Ovvero, in ordine di apparizione sulla cover del disco: Paul Auster, Daniel Handler, Darin Strass, Rick Moody, Lawrence Krauser, Clay McLeod Chapman, Dave Eggers, Margaret Atwood, Aaron Naparstek, Denis Johnson, Neil Gaiman, Amy Fusselman, Myla Goldberg, A.M. Homes, Ben Greenman, Jonathan Ames e Jonathan Lethem. Un team di tutto rispetto, fatto di gente capace di trasformarsi in quattro e quattr’otto in abili parolieri. E se qualcuno manca all’appello non è che da cercare tra i versi delle canzoni. Uno per tutti: Donald Antrim citato alla lettera nelle strofe della geniale The Ghost of Rita Gonzalo di Dave Eggers. Si divertono a citarsi tra loro, o a citare padri e madri, come nel caso di Margaret Atwood e della sua Frankestein Monster Song (la più divertente del disco), che fa dell’orrenda creatura di Mary Shelley un mostro infelice che implora il suo creatore di cucirgli una ragazza che sia tale e quale a lui. Canzoni d’amore comiche, divertite e a modo loro militanti (malgrado l’annunciata King George Blues di Paul Auster sia poi inspiegabilmente uscita come Natty Man Blue). Perché, a detta di Jonathan Lethem (che con il testo della sua Water non può che far pensare a Mio cuggino di Elio e le Storie Tese), “siamo talmente fichi che usiamo l’acqua al posto del cibo”. Come a dire: anche se da quelle parti tutto è più o meno uno schifo, loro se ne infischiano e cantano.
[da DWEB]