di Carlo Formenti
Da tre anni viviamo in un mondo postapocalittico. L’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre 2001 ha definitivamente sepolto la prima fase della rivoluzione digitale (già ferita a morte dalla crisi della New Economy) e inaugurato l’epoca della “guerra al terrorismo” (che sarebbe più adeguato definire l’epoca del terrorismo della guerra). Alla speranza di un mondo senza confini, di una società, una politica e un’economia aperte non solo al flusso delle merci e della finanza, ma anche e soprattutto al flusso delle conoscenze e delle persone in cerca di opportunità per migliorare la propria condizione di vita, è subentrato l’orrore di un nuovo tipo di guerra, una guerra che, non potendo tracciare chiari confini geopolitici fra amico e nemico, protende ovunque le sue metastasi, mietendo vittime inermi in tutti i continenti, senza distinzione di appartenenza etnica, ideologica, religiosa, di età o di genere.
La strage in Ossezia, l’assassinio di Enzo Baldoni, il sequestro delle pacifiste italiane in Irak, sono segnali di un ulteriore salto di qualità nella logica del terrorismo di guerra, segnali che richiedono un approfondimento dell’analisi sugli strumenti politici e culturali, prima per sopravvivere all’apocalisse, poi per riprendere a marciare verso un mondo aperto e capace di gestire i conflitti senza ricorrere alla guerra.
La Proposta di Discussione, firmata da me e da Franco Bifo Berardi e apparsa lo scorso 10 maggio su queste pagine, abbozzava un’ipotesi in merito alla “direzione ideologica” da imprimere alla marcia: rifondere il patrimonio di esperienza dei nuovi movimenti (da Seattle in avanti) con quello del neonato Partito Verde Europeo, per costruire un’alternativa di progetto a una sinistra incapace – tanto nella sua componente riformista quanto in quella antagonista – di lasciarsi alle spalle la fallimentare eredità novecentesca.
Il documento indicava, fra gli altri: 1) l’obiettivo di smascherare gli equivoci dell’ideologia neoliberista, incalzando le destre sul terreno della più rigorosa difesa delle libertà individuali e collettive (ivi compresa la difesa delle libertà economiche contro monopoli e protezionismi travestiti da campioni del libero mercato); 2) valorizzare gli aspetti più innovativi e rivoluzionari dell’economia di rete (libera condivisione delle conoscenze, economia del dono ecc.) contro i crociati della proprietà intellettuale e contro i tentativi dell’amministrazione Bush di fondare la ripresa economica sul keynesismo di guerra; 3) liquidare le illusioni di espansione illimitata – alimentate dal boom della Net Economy degli anni ’90 – procedendo all’integrazione dell’economia immateriale nel paradigma ecologista dello sviluppo sostenibile; 4) sottrarre il processo costituente dell’unità europea alla logica della polarizzazione antagonista fra Occidente e resto del mondo, trasformandolo in un terreno di sperimentazione per lo sviluppo di nuove forme di governo democratico di una società aperta e cosmopolita.
Per lavorare in questa direzione, scrivevamo, è indispensabile superare la concezione – tipica della tradizione marxista – del capitalismo come sistema totalizzante, e cominciare a considerare l’economia capitalista come uno strato di pratiche, valori, comportamenti, segni che si sovrappone a un complesso ambiente culturale e antropologico il quale conserva la propria dimensione plurima e resiste tenacemente a qualsiasi sovradeterminazione totalizzante. Traducendo in parole più semplici: la lotta non è fra due campi chiaramente delimitati, fra amico e nemico, ma una battaglia ininterrotta per ridefinire di volta in volta le direzioni evolutive di una società e un’economia sempre più complessi e integrati a livello planetario, battaglia in cui schieramenti e alleanze sono per definzione fluidi, e dove gli stessi protagonisti, nel corso del tempo, possono cambiare ruolo e perfino identità.
Se questo è vero, il salto di qualità del terrorismo – che oggi attacca direttamente civili inermi, donne, bambini e militanti pacifisti – non deve farci precipitare a nostra volta nella logica della semplificazione: il terrorismo di guerra non è un blocco monolitico (Bush e il terrosimo integralista come “due facce della stessa medaglia”), bensì un campo complesso di ideologie, identità, interessi economici e politici che hanno in comune soprattutto un obiettivo: mascherare la propria natura teatralizzando l’eterno scontro fra bene e male. Evitiamo di cadere nella trappola (come rischia invece di succedere, come testimoniano le liti di questi giorni in merito ai gradi di “purezza pacifista” di questa o quella componente di movimento).
Qui si ferma la mia personale celebrazione dell’infausto anniversario odierno. E da qui dovrebbero partire ulteriori considerazioni sul fitto dibattito che, su queste stesse pagine e su quelle di Rekombinant, ha fatto seguito alla pubblicazione della Proposta di Discussione. Un dibattito che, fra i tanti interventi, ha visto anche il ripensamento critico di Bifo nei confronti di alcune delle tesi sostenute nel documento di cui è coautore (ne ho parlato nei miei Pensierini estivi di inizio agosto). Ma preferisco rinviare le considerazioni in questione per annunciare che il dibattito potrà d’ora in avanti contare su una nuova sede. Su iniziativa degli amici di Precog, è infatti nata una mailing list che, dopo una fase di sperimentazione riservata a pochi invitati, intende ora aprirsi ai lettori di Rekombinant e Quinto Stato (oltre che, ovviamente, a quelli della stessa Precog). Alla lista, che si chiama Neurogreen (neurogreen@liste.rekombinant.org) ci si può iscrivere da una pagina di Rekombinant. L’amico Alex Foti è inoltre autore di un manifesto di cui riproduciamo qui di seguito l’Invito Finale; invitando caldamente i lettori più “moderati” di Quinto Stato a non lasciarsi “spaventare” dallo stile immaginifico e trasgressivo dell’autore: la lista non vuole raccogliere solo le voci più radicali e ideologizzate del popolo della rete, ma intende misurarsi con tutte le sue componenti aperte al confronto culturale e politico.
INVITO
Cognitari insorgenti, ciclisti d’assalto, italyani e negriani di seconda generazione, gay militanti e lesbiche radicali, amanti della clorofilla, cultori della buona vita, retroingegneri della realtà, p2peekers della rete, libertari delle sostanze psicotrope, termodinamisti convinti, economisti a piedi scalzi, atei e panteisti tolleranti con i monoteisti, neuropei di ogni gender e taglia sono caldamente invitate/i a postare su neurogreen.
Per partecipare a neurogreen, non bisogna essere dei verdi né pensare di votare verde o votare affatto. La lista è non moderata, pubblica e aperta
all’iscrizione. Per quanto riguarda il rapporto fra san precario e neurogreen, san precario (e precog che dispone la sua volontà) esprime la conflittualità biosindacale, neurogreen esprime la produttività biopolitica.
Non vogliamo più lasciare il monopolio della rappresentazione del movimento
e delle sue idee politiche ai mille rivoli del comunismo italyano e del socialismo neuropeo. Non vogliamo un ritorno al passato. Vogliamo un futuro possibile in cui dominio e controllo pervasivi, distopia e sofferenza generalizzate non siano più le funeste ombre che incombono sulle nostre vite. Siamo da neuro?