di Alessandra Daniele
Il ritmo di Breaking Bad è sempre stato ispirato a quello dei western di Sergio Leone (che Tarantino ha ripreso): lunghi momenti di tensione, e fulminanti accelerazioni violente e sanguinose.
L’atmosfera da western crepuscolare è particolarmente intensa in Felina, l’ultimo episodio, non il finale, quanto piuttosto il terzo atto del finale di quella che ha saputo confermarsi la migliore serie di sempre.
Segue spoiler
Breaking Bad è anche uno studio sulla leadership. Tutti i boss della serie sono spinti dall’orgoglio, dal culto della propria immagine, a cominciare da Walter White/Heisenberg. Tutti sono come Kronos padri cannibali: dopo avere negli anni passati guardato con orrore sia Tuco che Gus uccidere uno dei propri picciotti, quest’anno anche Walter sconfitto ha finito per ordinare la morte di Jesse.
Nel primo atto del finale di Breaking Bad, il potente e perfetto Ozymandias, abbiamo assistito alla terribile caduta di Heisenberg, il sovrano. Nel secondo, lo stupendo, crudele Granite State, alla struggente consunzione dell’uomo, Walter White.
Dalle ceneri di entrambi, grazie a un momento di cristallina consapevolezza, è rinato un nuovo Mr. White, sintesi e quintessenza dei due, completamente cosciente delle proprie vere motivazioni e dei propri obiettivi, che nel magistrale Felina come Ulisse è tornato a casa per scrivere a modo suo l’ultima pagina della sua Odissea.
E c’è riuscito.
Grazie all’affinata astuzia di Heisenberg e alla ritrovata umanità di Walt, ormai indissolubilmente fuse in una sola personalità, Mr. White ha vinto.
Completamente e definitivamente.
Realizzando tutti i suoi obiettivi.
È riuscito con l’inganno ad assicurare ai suoi familiari la sua ricca e sanguinolenta eredità che avevano rifiutato con orrore.
Ha sterminato la gang neonazista che aveva ucciso Hank e osato rubare il brand della Blue Meth, la creazione sulla quale Mr. White ha di nuovo imposto il suo nome, simboleggiato da un’impronta insanguinata a forma di W.
Ha d’impulso salvato Jesse, che s’è così trasformato nella sua occasione per la morte eroica, rapida e auto-assolutoria che voleva, e nell’ultimo scambio di sguardi gli ha persino regalato una scintilla del passato legame, dell’eterna chemistry fra i due.
È morto libero, nel suo laboratorio, sfuggendo sia alla polizia che al cancro.
Questo non è un happy ending come gli altri, perché Mr. White non è un protagonista come gli altri.
È un genio del crimine, e non ne è affatto pentito.
Tutti i suoi avversari commettono l’errore fatale di sottovalutarne la pericolosità perché lo considerano un dilettante. In effetti Walter non è un professionista, non lo fa per denaro.
È un artista. Lo fa perché gli piace.
Anche per questo è il migliore.
Anche per questo i metodi che sceglie per uccidere sono spesso ingegnosi quanto teatrali come un’installazione pop: kamikaze a rotelle, droni mitragliatori. Cavalli di Troia.
Walter White ha scelto di regnare all’inferno non solo perché lo preferisca al servire in paradiso, ma anche perché in fondo è proprio all’inferno che gli piace regnare.
La sua vittoria definitiva è una sovversione delle rassicuranti regole della narrazione Tv, alle quali invece l’ambiguo finale de I Soprano s’è inchinato, e il finale moraleggiante di Dexter ha obbedito stolidamente.
Walter White/Heisenberg, contemporaneamente eroe e villain della sua storia invece esce dallo schermo ed entra nel mito da vincitore, per sempre scolpito nell’immaginario collettivo come tale.
Ed è quello l’inferno dal quale si regna sul mondo.