di Giorgio Bona
Sacha Rosel, Rezia, pp. 166, € 17, Qed Edizioni, Praia a Mare CS 2025.
Sacha Rosel ha condotto studi universitari (Lingue e Letterature Straniere Europee, Lingue e Civiltà dell’Asia Orientale, con specializzazioni in lingua inglese e in lingua cinese) sulla letteratura di ispirazione femminista. Scrive – sia in italiano che in inglese (come nel suo blog, (www.sacharosel.substack.com) – opere fantastiche nell’ambito di un ampio panorama del fantasy alla fantascienza, unendo elementi horror a tematiche taoiste.
Nella prefazione a questo libro Giuliana Misserville, tra le massime voci italiane di critica femminista nel fantastico, apre dicendo: il bianco mi ha sempre affascinato. E cita, non a caso, il giardino bianco di Vita Sackville-West, i bianchi dei dipinti di John Singer Sargent, i kimono indossati da Setsuko Hara nei film di Yasujiro Ozu, i panorami ghiacciati di The Left Hand of Darkness di Ursula K. Le Guin.
Per alcune culture non occidentali il bianco rappresenta il lutto e al tempo stesso la transizione dell’anima verso una nuova fase. Ma il bianco rappresenta anche il colore di una forma di torture psicologiche volte alla completa privazione sensoriale dell’individuo che arriva a perdere, oltre ai cinque sensi, anche ogni senso di identità. È una lenta agonia in quanto all’individuo non vengono inflitte percosse, ma viene aggredito nei sensi. La tortura consiste nel chiudere la vittima dentro una stanza completamente bianca, dai muri, al pavimento, al soffitto.
Però non partiamo assolutamente da un aspetto violento, nemmeno di pietismo e di commiserazione: c’è qualcosa di ben più alto in questo libro. Angelo Lumelli nel suo Bianco è l’istante (il Verri, 2015) scrive: “il sentimento patetico, a sua volta, sembra appartenere alla grande categoria della carità, alla quale mai è stato chiaro se vi appartenga anche l’amore”. E Sacha Rosel parte proprio da questo colore con una profonda riflessione, articolando una ricerca complessa attraverso la voce della sua protagonista.
Lucrezia Leuco è una quarantenne che vive con la madre malata, in una condizione disperata, imprigionata in una vita anonima e senza futuro. Cercherà riparo nel passato dando vita al ricordo, caratterizzato dalla scoperta del colore bianco e della pittura, accompagnata da un soggiorno forzato in una clinica psichiatrica.
Eppure, qualcosa in lei non si è ancora arreso. Che sia fede o rimpianto, qualcosa trattiene ancora la sua volontà, spingendola a tossire nel segno di una ribellione estrema, per gettare un segno definitivo della sua presenza a discapito di ogni cosa – o forse per rassicurarmi, per inscenare per me e per lei un ultimo tentativo di comunicazione a cui far aggrappare entrambe.
Ecco l’attacco narrativo che ti fa subito entrare dentro l’immagine di un ricovero, un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) a causa dell’instabilità mentale della protagonista, che coltiva il desiderio di diventare pittrice.
Qui Lucrezia incontrerà una ragazza svizzera, Gisele Rhodopas. Conoscendo Gisele, scoprirà l’importanza di un nuovo colore: il viola. Il colore viola rappresenta la magia, la capacità di fantasticare che i propri desideri vengano realizzati. Sarà un caso che l’autrice associ questo colore ai desideri di Lucrezia di diventare scrittrice? A proposito del viola Sacha Rosel riprende la concettualizzazione che ne ha dato un artista come Derek Jarman, emanazione di una mente bloccata e affamata di libertà.
E poi un altro colore, il grigio:
e il grigio dominava su tutto, uniforme e compatto su quegli schizzi di giallo neon appesi al soffitto per simulare la luce, e allontanare la luce assente del bianco. Grigio nel cuore e delle ossa, un amo di ombre a trafiggere le frontiere per seppellirvi il mio cadavere, e riportarmi al presente incontaminata. Il grigio regalava riposo alla fatica e al dolore rendendomi ombra; ritraendosi dal colore riusciva a proteggermi, riparandomi dai miei stessi colpi.
Il grigio è uniforme, ma non unico come il bianco. Accomuna ogni cosa e distribuisce la realtà in parti uguali per tutti, ciascuno secondo le proprie possibilità. È comune perché trasforma l’anonimato in una comunità. È asfalto e cenere, è saio francescano e polvere secca. Non come le parole che invadono il mondo con acari sonanti. Il grigio è il meridiano dei giorni, invisibile stampella che accompagna la terra e ne smuove il concime, la formica che fa provviste d’ombra per i momenti più duri, il cemento rassicurante della cella di un eremita. Uguale a se stesso, dimesso e austero come un burocrate ma timido e indifferente come un pedone, il grigio attutisce le immagini e le lascia passare senza che possano aggredire gli occhi.
In queste pagine troviamo passi di vera poesia, una poesia che si tramuta in prosa, un percorso avviato dalla letteratura gotica e che fanno propria anche autori mainstream, perché “nulla può trattenermi in questo salto cieco che rinasce senz’argini nei miei occhi. Dove sono i miei occhi?”.