di Giorgio Bona
Il dottor Živago fu scritto da Boris Pasternak tra il 1946 e il 1955, durante il periodo in cui lo scrittore era emarginato dal circuito letterario sovietico.
Fu il giornalista Sergio D’Angelo a recarsi in Unione Sovietica su incarico affidatogli da Giangiacomo Feltrinelli per incontrare lo scrittore, proponendogli una pubblicazione nel nostro paese.
La censura sovietica aveva negato la sua uscita in patria con la rivista letteraria “Novyj Mir”, che rifiutò con un secco no il romanzo.
L’editore italiano, nel frattempo, rischiava di provocare uno strappo violentissimo vista la posizione dei comunisti italiani: Feltrinelli era ancora iscritto al Partito comunista quando le autorità sovietiche chiesero la restituzione del manoscritto, affidandosi a un tentativo di intercessione proprio dei comunisti di casa nostra.
Non ci fu nulla da fare.
A questo punto il tentativo fu di ritardarne l’uscita con la scusa di poterlo prima pubblicare in Unione Sovietica. Addirittura una delegazione di comunisti italiani si trovò nel paese del socialismo reale in occasione della festa della gioventù sovietica, e vi fu il coinvolgimento in una discussione sul caso Pasternak. Quando tornarono avevano con loro una lettera firmata e sicuramente apocrifa in cui lo scrittore diffidava l’editore italiano a pubblicalo.
Fu un buco nell’acqua. Il romanzo comparve in Italia nel 1957 e l’anno successivo lo scrittore venne insignito del Premio Nobel per la letteratura, anche se poi costretto a rinunciarvi su pressione delle autorità.
Il romanzo rimase out in Russia fino al 1988, quando la politica del Nuovo Corso promossa da Michail Gorbačëv consentì di vedere la luce.
Il romanzo divenne un film nel 1965 diretto da David Lean e fu presentato al Festival di Cannes vincendo cinque Golden Globe e cinque Oscar, tra cui quello per la sua colonna sonora, Tema di Lara, musicato dal compositore francese Maurice Jarre che ebbe un’estrema popolarità con molte rielaborazioni pop come Somewhere, My Love di Paul Francis Webster nell’interpretazione di Ray Conniff and The Singers.
A questa ne seguirono altre. Anche la musica pop italiana accolse Tema di Lara con un testo scritto da Giorgio Calabrese e interpretato da Rita Pavone, Dove non so (1967). Sarà Orietta Berti a riprenderlo (2000) con un’interpretazione fortemente melodica.
Quel che molti ascoltatori della canzone non sanno è che la donna amata da Jurij Živago, quella donna che offre senso a un amore destinato a resistere al gelo, alla rivoluzione, alla malattia, alla morte di lui, un amore che non si spegnerà neanche quando lei diviene “numero tra i numeri di qualche imprecisato elenco” avesse tratti reali.
La scena finale del film in cui Živago, appena salito su un tram vede camminare Lara per strada e cerca di richiamare la sua attenzione prima di essere schiantato dall’infarto è molto famosa, e viene ripresa anche da Nanni Moretti in Palombella rossa, dove gli spettatori gridano “Voltati!”, “Fatelo scendere!”, “Corri!” come reagiremmo noi d’istinto a scena tanto struggente.
In realtà il personaggio di lei trova un riscontro nella realtà di quel durissimo periodo sovietico. Lara ha un nome: Olga Vsevolodovna Ivinskaya (1912-1995), una donna che ha amato il poeta allo stremo, fino a sopportare la tortura e il gulag. Una storia intensa, fatta insomma non soltanto di letteratura e poesia, ma di vita concreta.
Boris Pasternak era sposato con Zinaida Nikolaevna che diceva pubblicamente che prima del marito e dei figli c’era Stalin. Stalin su tutto e tutti. Anche Nadežda Mandel’štam lo racconterà nelle sue memorie, quando lei e il marito Osip facevano la posta al sommo poeta per incontrarlo e cercare di ottenere un lavoro che potesse permettere loro di continuare a vivere.
Pur ricoprendo un ruolo di prestigio all’interno della Cooperativa Scrittori, Boris Pasternak non si espose più di tanto per difendere e aiutare un poeta che pure stimava e che come tanti colleghi di quel periodo si trovava alla deriva di una condizione disperata. Anche Marina Cvetaeva vedeva in Boris l’uomo con cui avrebbe potuto costruire un futuro dentro un paese difficile, e lui interruppe subito ogni rapporto facendo cadere tra loro una cortina di gelido silenzio.
Boris conobbe Olga quando lei lavorava per la rivista “Novyj Mir”. Lei era di ventidue anni più giovane e già vedova due volte, d’un primo marito suicida e un secondo morto in guerra.
Olga non si perdeva una lettura pubblica del sommo poeta e il loro incontro avvenne nel 1946, anno d’inizio della stesura de Il dottor Živago. Da quel momento Boris e Olga non smisero di vedersi, fino al 1949 quando lei venne arrestata e condotta alla Lubjanka, la sede dei servizi segreti a Mosca. Per giorni interi subì sevizie, torture, durissimi interrogatori, che tuttavia sopportò senza cedere.
Volevano colpire Pasternak, farle rilevare che stava scrivendo un libro antisovietico e riuscire a metterlo sotto processo mostrando a Stalin che si era sbagliato sul suo conto. Per lo stesso motivo, a luglio del 1950 Olga venne condannata a cinque anni di rieducazione nel gulag di Potma. Nei fatti, Pasternak aveva ancora un filo diretto con Stalin, mentre non era amato da molti burocrati del partito. Fu abile nel trovare un equilibrio tra la realtà sovietica e una qualche irreale dissidenza letteraria, camminando sempre come su un filo sospeso nel vuoto.
Olga sopportò anche questo. Non aprì bocca, subendo torture tali da provocarle un aborto – era incinta del figlio di Pasternak. Dopo la detenzione, la loro relazione riprenderà fino alla fine dei giorni del poeta nella sua dacia di Peredelkino (1960).
È Anna Pasternak, pronipote dello scrittore, a rompere il silenzio imposto dalla famiglia sulla figura di Olga che i discendenti avevano voluto nascondere tra gli affetti importanti del poeta.
Raccontare Boris Pasternak diviso tra la moglie Zinaida e Olga era come entrare nel romanzo dello scrittore e riconoscere chi stesse dietro le figure di Tonya e Lara, e una storia d’amore che diventa un romanzo, anche se di fatto in questa storia viene identificata una resistenza al potere sovietico.
Le molte poesie che Živago dedica a Lara nel romanzo sono quelle che Boris Pasternak dedicava a Olga.
La figura di Lara, quella che il pubblico ha amato fino alla commozione è esistita davvero, e nella realtà visse una vita di stenti e di sofferenze ben più dure e terribili di quelle della Lara del romanzo.
Ma mentre nel finale del film Lara scompare deportata in qualche campo di lavoro numero tra i numeri di qualche imprecisato elenco, Olga tornò dalla prigionia trasferendosi in una piccola casa vicino alla dacia di Boris, a Peredelkino, e la loro storia riprese da dove era stata interrotta.
“Ho amato Boris, e non posso ingannarmi quando penso che la mia persona è stata a lui necessaria, sono riconoscente al destino che mi ha riservato questo posto di privilegio accanto a lui, nella sua disperazione del tempo”.