di Franco Pezzini

Hyde in Time, a cura di Mario Gazzola, ricerche iconografiche e grafica a cura di Roberta Guardascione, pp. 251, € 20, EdiKiT, Brescia 2023.

Tra i miti dell’età vittoriana passati transmedialmente nell’orizzonte postmoderno, uno notissimo riguarda il personaggio duplice ed eponimo della novella gotica Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde di Robert Louis Stevenson (1886). Può interessare poco in questa sede la plausibile ispirazione al caso di Eugène Marie Chantrelle (1834-1878), conosciuto personalmente da Stevenson, assassino della moglie ed ex-pupilla Elizabeth Dyer e impiccato a Edimburgo, la cui vicenda piuttosto squallida tuttavia è ben lungi dall’esaurire la ricchezza di spunti dello Strange Case stevensoniano. Sull’onda dei quali, ma con inevitabili impoverimenti, questo troverà infiniti trasposizioni e derivati – teatrali, su schermo eccetera –, assurgendo a mito pop di straordinaria fortuna. Il cinema ne miscelerà la saga con quelle di altre storie nere vittoriane (soprattutto Jack the Ripper, 1888, e Sherlock Holmes, ma si arriverà alle fantasie pseudostokeriane su The Mummy) o precedenti (le “iene di Edimburgo” Burke & Hare, 1828): e tutto ciò in un crescendo al pastiche che traghetterà il dottore e il suo scimmiesco alterego (Darwin scànsete) all’interno di summae geniali come Anno Dracula di Kim Newman (a partire dal 1992) e The League of Extraordinary Gentlemen di Alan Moore (a partire dal 1999). Dove però il discorso si sposta semmai sulle ragioni e potenzialità dello strumento pastiche, in riferimento alla specifica scelta dello sfondo vittoriano.

Tale vortice di imprestiti e adattamenti per cui Hyde diventa di volta in volta la versione (non più bruta, ma) più disinvolta e faustianamente giovane del vecchio dottore, o quella femminile, o altro (parodie comprese), è evocato con ironia, consapevolezza e una buona mappatura di citazioni da questo Hyde in Time, a cura – o piuttosto a firma – di Mario Gazzola, che tra gioco semiotico e fantasia pop impazza sul tema dei manoscritti ritrovati: ben tre, già a suggerire una tensione a mappare le più diverse variabili. Hyde e l’altro si presenta come apocrifo di Stevenson, presunta prima versione “estrema” della novella; Il lupo di Whitechapel attribuito a Samuel Lloyd Osbourne, figlioccio di Stevenson, vede la rivincita di Hyde nei panni di Jack the Ripper; Hyde in Time di Samuel Osbourne II, ultimo della famiglia, presenta nerissime ricadute della storia nel XXI secolo, tra arte e psicoterapia. Strepitose le tavole di Roberta Guardascione, che gioca liberamente con stili dell’Otto (Walter Sickert compreso) e del Novecento. Il gioco è colto e divertente, il libro intelligente e godibile: emerge evocato tra l’altro un ricco tessuto di scoperte e novità tecniche d’epoca, a denunciare una buona ricerca alla base.

Poi ovvio, sul tema la fantasia di un narratore popolare insegue oggi, quasi inevitabilmente, le tinte dell’estremo: violenza e componenti sessuali esplicite sono fatti reagire in termini sornioni con le agenzie immaginali delle diverse società susseguitesi, dai paradigmi dell’età vittoriana profonda al crepuscolo di quel mondo e fino alle odierne categorie psicopatologiche. E tutto questo può avere un senso nell’ambito di una narrativa popolare, di cui accoglie un fitto tessuto di citazioni sottese. Quindi successo dell’operazione.

Resta un dato da ricordare, non solo per pignoleria critica ma proprio per ragionare su eventuali nuove provocazioni narrative: Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde come Stevenson ce lo affida è una straordinaria e sottile opera letteraria, che non si esaurisce nella brillantezza di una trama e neppure nell’oggettivo interesse di un contesto (le scienze umane in età vittoriana, eccetera). E di fronte all’insistenza di riletture odierne – comprensibile, sensata – sulle dimensioni estreme richiama a una chiave letteraria molto più censurata, con tutto ciò che il gioco di allusioni comporta e attiva. Questo tipo di narrativa impregnata di puritanesimo almeno culturale implicava ineludibilmente nella sua evocazione dell’orrore – pensiamo anche a Carmilla, a Dracula… o a tanto Poe, quando evoca nefandezze peggiori di quelle di Erode, Caligola o Eliogabalo (che saranno mai?) – proprio una straniante dimensione censoria, uno sforzo mitologico di tenere tanta roba sotto il tappeto.

Nelle trasposizioni e in questo libro, troviamo Hyde perpetrare eccessi – potremmo dire – a luci rosse: per quanto riguarda quello di Stevenson, al contrario, vediamo assai poco. Un omicidio brutale, la violenza cieca nel calpestare una bambina, una serie di allusioni dall’eco sessuale che potrebbero far pensare alla frequentazione di prostitute e a sodomia, ma nell’ambito di una nebulosa mitica sul sesso perverso le cui censure linguistiche risultano infinitamente più minacciose nella loro vaghezza di qualunque tentativo di puntarvi i riflettori. Perché giocate al filtro di un sentire meglio espresso dall’allusione che da qualunque visione diretta: un sentire mitologico, di impliciti e indicibili, di pelle più che di ascolto di notizie. Il lettore odierno potrebbe persino chiedersi: Tutto qui? Ma non comprenderebbe quel magma di turbamenti che sta in fondo dietro a tutto il nero vittoriano e agli spettri del suo registro narrativo.

Il che costringe forse a ricordarci che non è tanto la trama a suggerire un sapore gotico, ma il rapporto di echi, allusioni e non detti con i brividi e i perturbanti, con le censure e i desideri inconfessabili di una società. Più che vedere Hyde, il Nascosto per antonomasia, dovremo dunque sentirlo: al filtro delle censure nostre, di ciò che per noi è un’esperienza limite – ma lui sta oltre. Potremmo obiettare che i vittoriani, catafratti da pudori e fantasmi puritani oggi dismessi un po’ ovunque in occidente, vincono facile, e forse anche per questo un certo tipo di immaginario ha saputo restare nel tempo, adattandosi attraverso infiniti mascheramenti, declinando diversamente gli oggetti dei fremiti ma mantenendo un’ambigua numinosità.

Eppure il nostro tempo che crede di poter vedere tutto, di poter mostrare tutto, non è esente da censure – saranno meno evidenti, ma forse non meno gravide di mito. Vi entrerà il sesso, con ogni probabilità; plausibilmente la politica, forse la religione, ma così si resta fin troppo sul generico. Però per capire il Nascosto o almeno provarci, occorre costringerci su questa pista. Non tanto per comprendere se Hyde sarà scimmiesco, o invece giovane e belloccio, o magari di un diverso genere sessuale; ma per mettere a fuoco cosa davvero ci turbi, ci provochi e non riusciamo a dire, cosa i miti del nostro tempo qualifichino come indicibile o irriducibile al vocabolario. Forse per questo, al di là di un eterno ritorno condotto anche con intelligenza – come senz’altro in questo caso – la sfida oggi dello scrivere gotico (o weird) non riguarda tanto un’originalità di contenuti ma di tagli per parlarne, di passi e di forme. Che non sono mai semplici vestitini della sostanza, ma identificano una voce.