di Nico Maccentelli

Secondo Luciano Canfora, tutte le tendenze di sinistra oggi, pur richiamandosi al’antifascismo, “sono scese a patti con il capitalismo” (1.), per esempio contrastandone lo strapotere attraverso l’organizzazione sindacale”. Questo lo vediamo per esempio in quei contesti in cui le socialdemocrazie hanno ancora una funzione contenitiva e antiliberista delle tendenze politiche dominanti del capitalismo.

Ma fondamentalmente sappiamo che questo ottimismo dell’eminente filososofo è sempre meno giustificabile di fronte alla sussunzione di tali politiche dentro la sinistra stessa. Per cui l’anticapitalismo non è più tale in gran parte delle sinistre soprattutto governanti nei paesi atlantisti, ossia del blocco geopolitico in capo agli USA. E l’antifascismo di conseguenza diviene paravento pseudo-ideologico d’innanzi a quelle forze trasversali la società, dominate per lo più da settori di borghesia “perdente” nella redistribuzione sociale della ricchezza e dei poteri, definite “sovraniste” per contendere elettoralmente il governo. Un antifascismo di facciata che  si muove al tempo stesso dentro il solco della svolta autoritaria del capitale monopolistico e finanziario, delle multinazionali, che in Occidente sta permeando anche attraverso l’emergenza  (di volta in volta sanitaria, bellica, ambientale…) le nazioni della catena imperialista a dominanza USA.

L’antifascismo su questo falso terreno, non certo anticapitalista, ma del tutto strumentale alle politiche dominanti, diviene anche un’arma di distrazione di massa poiché il ruolo che il fascismo italiano del ventennio, o di un Pinochet, o dei colonnelli greci hanno avuto, al netto di tutte le distinzioni degli uni con gli altri e riguardo un sistema dove sulla carta vige la democrazia parlamentare (giusto sulla carta…), ossia di adozione di un regime totalitario contro l’avanzata sociale e di classe e le sue istanze emancipatrici, era ben altra cosa rispetto i fascismi odierni, che hanno ancora questo richiamo ideologico (in Italia Casapound e Forza Nuova). Il ruolo è molto simile a quello attuale dei governi che agiscono per conto dell’atlantismo a dominanza USA. E senza distinzioni tra sinistra europeiste e destre finto-sovraniste (da non confondersi con le destre vero-sovraniste alla Orban). Una dimostrazione sta per esempio nel DDL 1660 del governo Meloni e negli attacchi concreti dei dem alla libertà di espressione, come avvenuto in varie parti d’Italia verso i “putiniani”: il divieto del sindaco Lepore a delle Case di Quartiere di proiettare film “filorussi”, la pressione della vicepresidente del Parlamento Europeo Pina Picierno fatta a ciacca contro l’iniziativa sui bambini di Lugansk, o a Ravenna presso chi dava lo spazio per il film Donbass, ieri oggi domani e l’interrogazione dell’on. Serracchiani contro i manifesti della campagna “la Russia non è il mio nemico” (3). O per finire le pressioni su Lepore per vietare un’iniziativa oggi a Bologna sulla Transnistria con la presenza di Nicolai Lilin, evocando strumentalmentwela Medaglia d’Oro della città felsinea, ma bypassando la manifestazione nello stesso giorno di Forza Nuova: un antifascismo un po’ strano… In ogni caso sono tutti interventi antidemocratici, che ledono diritti costituzionalemente ammissibili e legittimi con argomentazioni del tutto pretestuose e che seguono i diktat di ben altre forze in un contesto bellico che non deve essere messo in discussione in alcun modo.

Non ho mai visto le forze dell’ordine volgersi nella stessa direzione in cui vanno le proteste

E che dire dei dispostivi anti-migranti di Minniti fatti a suo tempo? Dove sta il fascismo nella destra come nella sinistra italiana? Le differenze si assottigliano sotto qualsiasi pretesto fino a sparire e chi fa le spese è il diritto dei cittadini a esprimersi e manifestare. Più che fascismo, dunque, possiamo definirlo autoritarismo bipartisan delle classi dominanti che con la repressione di ogni dissenso incompatibile devono affermare un ruolino di marcia indiscutibile, che non ha nulla a che vedere con gli oggetti delle emergenze create ad arte attraverso i media e la politica: virus, pericolo russo in Europa, disastro dell’ecosistema (che c’è, ma guarda caso i dispositivi non risolvono nulla e rientrano negli ingenti profitti delle multinazionali che fanno green e degli speculatori finanziari che creano asset ad arte). Ma che invece ha a che fare con la dottrina neoliberista che va dalla messa a profitto di ogni ambito della vita civile e dei beni comuni, con la precarizzazione del lavoro e dell’esistenza di larghe fasce sociali fino alla guerra imperialista dell’Occidente collettivo.

Senza voler fare delle distinzioni tra le varie fasi del fascismo in Italia: diciannovisti “anticapitalisti”, ventennio corporativo e proclami “socialisti” della RSI, che alla fine sono questione di lana caprina, il fascismo classico non c’entra più nulla con l’attuale epoca di un capitalismo che è dominio reale che attraversa e usa ogni ideologia utile, ridotta a marketing. L’ultimo grande regalo fatto da quel fascismo per la sua funzione inaugurale della fase di contrattacco neoliberista della finanza con l’esperiento dei Chicago Boys di Milton Friedman, la fece Pinochet nel 1973. Ma oggi è più corretto parlare di un autoritarismo capitalista che attraversa ogni forza politica borghese, ogni regime della catena imperialista.

Il fascismo ideologico oggi è più strumentale che elemento governante: lo si vedeva già con lo squadrismo e la strategia della tensione in Italia, per arrivare a tutte le organizzazioni nere di ogni tipologia e dai mazzieri di ogni latitudin. E oggi continua a essere strumento del capitalismo imperialista come gli ucronazi del golpe di Euromaidan e i battaglioni nazi della guerra della NATO alla Federazione Russa, fino all’ibrido di regimi nazi e parafascisti nell’Europa dell’Est: dalla già menzionata Ucraina, che ha il viatico di forze politiche “di sinistra” come il PD, alla Polonia e ai paesi baltici, tutti insieme  nell’alleanza NATO. Il che, alla fine ha fatto sdoganare l’estrema destra all’ex Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel (4). Un andamento schizofrenico della politica di Bruxelles che equipara il comunismo al nazismo e poi sdogana i nazisti da Kiev al Baltico.

E dentro il solco schizofrenico europeista, lo stesso ruolo di esegeti della macchina repressiva e guerrafondaia che era propria del fascismo lo svolgono allegramente le sinistre di ogni fatta (vedi la nota 2 per non ripetermi).

Dunque, l’antifascismo in senso classico, oggi, non è la chiave di lettura corretta per definire l’autoritarismo delle borghesie dominanti nelle sue caratteristiche politiche, culturali e sociali: è bene capirlo per evitare di finire dove finisce gran parte del popolo di sinistra nostalgico, davanti al quale viene agitato un drappo nero, mentre dall’altra gli passa sopra di tutto.

Decolonizzazione è antifascismo

Ma per comprendere le dinamiche politiche attuali a partire dall’Italia, occorre capire le traiettorie politiche che ha avuto l’antifascismo dal Novecento a oggi. Un concetto fondamentale di fascismo nel pensiero marxista soprattutto italiano: Gramsci, Togliatti, Secchia, sin dalle Tesi di Lione del 1926 (5) inquadra il fascismo come la risposta estrema delle classi dominanti all’avanzata delle classi lavoratrici in un dato contesto nazionale. Il fascismo sarebbe l’altra faccia del liberalismo borghese che in tempi di basso conflitto sociale esercita la sua egemonia classista attraverso la democrazia parlamentare, o meglio dire la democrazia borghese. Mentre la lotta di classe nel suo sviluppo porta inevitabilmente la borghesia ad armarsi sul piano repressivo nei confronti delle classi popolari e delle loro organizzazioni politiche e sindacali, sopprimendo i diritti politici e gli spazi di democrazia dati in una fase politica di democrazia borghese.

L’antifascismo novecentesco di segno comunista era la bandiera rossa per affrontare lo scontro con la borghesia ponendo la questione del potere  della dittatura del proletariato per il socialismo come meta finale del processo di guerra civile, e concependo tale guerra come guerra di classe. Ma non era così per buona parte del restante antifascismo italiano. Infatti, nel suo complesso, dall’Aventino alla Resistenza, l’antifascismo non è stato storicamente associabile al solo anticapitalismo: abbiamo avuto forze politiche e culturali antifasciste dentro il pensiero liberale borghese. Gobetti docet, tanto per fare un esempio. Ma sulla traiettoria degenerata post-bellica di queste forze borghesi antifasciste ci ritorno in seguito. Se prendiamo la strategia politica del PCI in tutta la sua storia, dalla nascita a Livorno nel 1921, indubbiamente il suo antifascismo era tutto interno alla lotta di classe, anche nei decenni postbellici, sotto la direzione togliattiana, con la strategia della democrazia progressiva, che era sempre una strategia per conquistare il potere dello stato e con esso raggiungere il socialismo per via pacifica (ci sarebbe da discutere su questa impostazione strategica già ben criticata dal PCC ai tempi di Mao).

Ma in realtà tale strategia è stata azione politica per affermare quella democrazia parlamentare che di fatto non metteva in discussione l’ordine delle cose, ossia il potere del capitale e della borghesia, nell’idea ingenua che questa affermazione potesse riportare su basi più avanzate, con concessioni popolari progressive al socialismo. Fu questa impostazione politica del PCI, durante la Resistenza e dopo la guerra, di fatto un elemento politico che ha contribuito allo sviluppo (questo sì progressivo) di un antifascismo che andava perdendo la sua carica popolare sovversiva verso il capitalismo, nel suo voler conservare di fatto la democrazia borghese nell’unità di tutti e facendo da collante per tutte le forze partecipanti alla Liberazione e alla Costituzione.

Il Partito d’Azione per esempio, i cattolici, persino i monarchici di Badoglio, con inflessioni ideologiche diverse tra loro, erano accomunati da questo antifascismo puramente democratico in senso borghese, che lasciava aperta la porta a quelle spinte autoritarie non collocabili nel fascismo tradizionale, ma che decennio dopo decennio, sotto il dominio USA in Italia e in Europa hanno portato a questa situazione di sottomissione conclamata: un dominante che successivamente non ha esitato a mettere in campo le strategie più brutali e sanguinarie per mantenere tale dominio con la complicità degli “antifascisti”: bombe stragiste, repressione poliziesca sulle lotte sociali, squadrismo fascista con l’organizzazione dietro le quinte dei servizi statuinitensi, atlantisti e italiani. Dinamica che con altre modalità non meno pericolose e terroristiche si ripete anche oggi.

L’antifascismo di facciata, liturgico ha portato a distrarre dai veri meccanismi autoritari in tutti questi decenni. E se oggi andiamo ad esplorare l’imprinting dell’attuale antifascismo anti-meloniano, strumentale, scopriamo che ciò nasce da “padri nobili” del pensiero liberale per poi trasfigurarsi definitivamente in modo osceno in un antifascismo da falsa coscienza borghese, di maniera, di costume, superficiale e relativo alle dinamiche dello scontro politico tra i bipartisan dell’atlantismo europeista, dove gli “antifascisti” sarebbero gli ipocriti delle armi e del sostegno dato a dei veri nazisti come i banderisti del regime di Kiev, contraddizione stridente ma sapientemente occultata dai media. Ma di più, lo stridere è anche in quell’“antifascismo” comportamentale, dove sociologicamente uno è dichiarato fascista per cosa pensa e fa nei riguardi di determinate categorie sociali o avversari politici. Per cui fascismo diventa tutto e nulla dentro quella pozzanghera dello scontro politico italiano, che non mette mai in discussione l’autoritarismo dell’imperialismo dominante.

Stridere perché viene stigmatizzato come “fascista” anche quel soggetto politico o sindacale che contende in piazza lo spazio e la libertà di espressione che oggi viene negata con atti, questi sì fascisti e di regime, come il dispositivo 1660 nuovo di zecca. Una visione di potere che unisce da decenni “antifascisti” e destre nel condannare la violenza quando proviene da chi lotta per rompere una gabbia politica e sociale, una condizione economica imposta dalle classi dominanti, mentre dall’altra nel glissare sulla violenza poliziesca nel paese, come sui vari teatri in cui il nostro regime in sintonia e secondo il comando atlantista fornisce armi, istruttori, poligoni come in Sardegna, per sostenere attivamente tutto il fronte imperialista che va dall’espansionismo bellico nell’Est Europa alla pulizia etnica in Palestina: dagli ucronazi ai nazi-sionisti.

Il fascismo non ha più ideologie, anzi, ne ha tante: quelle che servono…

Partire dallo smascheramento di tale falso antifascismo, significa andare a disvelare chi oggi assolve il compito guerrafondaio, repressivo di guerra interna, di terrore emergenziale per conto dell’imperialismo a dominanza USA e delle nostre classi dominanti asservite.

Lo scopo di questa disamina è stato quindi quello di puntualizzare che anche l’antifascismo, come altre questioni apparentemente libertarie e strumentali sui diritti civili, un certo dirittumanitarismo sono tutti in realtà asset culturali creati da agenti imperialisti spesso dentro i movimenti stessi per deviarli, controllarli e orientarli nella metodologia e nella strategia politica messa in campo nelle “rivoluzioni colorate”.

Ma questa puntualizzazione, è questa sì, un atto di antifascismo all’altezza della situazione, perché disvela gli intenti del nemico di classe e antipopolare e orienta una battaglia politica e culturale “per linee interne” dentro i movimenti stessi e contro quei gruppetti dirigenti che di fatto sono organici alle politiche imperialiste, con un po’ di cipria su temi secondari o comunque ammissibili nel “do ut des” tra gruppi di potere e stati maggiori di un falso antagonismo. Ricordo che l’amore per gli ucro nazi con la scusa di un libertarismo che è internazionalista o nazionalista a tiramento, secondo convenienza, è la variante “centrosocialara”, “municipalista” (a chiacchiere…) del mantra filo-ucraino del centrosinistra dem, PD, +Europa, dell’euroimperialismo di sinistra che per markenting sociale ha bisogno anche delle propaggini che usano il radicalismo a questo scopo (contraccambiando nel mercato delle vacche locali) per confezionare i serbatoi di voti “tanto antagonisti” per chi antagonista non è e che è il potere imperialista che ringrazia gli utili idioti. Questi “radicali” e “libertari” possono così mercanteggiare all’ombra dell’autoritarismo che distrae con l’antifascismo antagonistico-liturgico (altra variante) da se stesso, mettendo a posto le coscienze con la vulgata mainstream sulla Russia cattiva che invade un paese buono stile Mulino Bianco.

Il fascismo della propaganda, della censura di guerra

Un compito immane, dunque, attende i comunisti e chi intende oganizzare e mobilitarsi per una nuova resistenza a un autoritarismo che del fascismo ha preso le forme più adatte a reprimere ogni dissidenza e ogni protesta politica e sociale. La battaglia è sul piano politico, affrontando tutti gli insulti che provengono da più parti e cha vanno da amici dei fascisti, rossobruni, putiniani e via via sempre peggio. Spesso comminati anche da coloro che erano tuoi compagni di viaggio. 

Ma è una strada obbligata, perché come è accaduto durante le restrizioni pandemiche col pretesto dell’emergenza sanitaria: ossia la discesa in campo di un movimento vasto come non se ne vedeva da anni in Italia, non è mica detto che anche l’emergenza guerra sarà merce digeribile per la nostra popolazione. E occorre prepararsi, perché in gioco stavolta c’è la pelle di tutti. La prova generale fatta negli ultimi tre anni suggerisce a lor signori di procedere con più prudenza, aggredendo i grumi di resistenza alla propaganda bellica atlantista USA-NATO-UE, cercando di stroncarli sul nascere come fa la nostra cara vicepresidente del Parlamento Europeo. Il nostro compito è organizzarci per poter organizzare la lotta nello sviluppo di un’opposizione sociale alla guerra, all’economia di guerra con tutti le ricadute in termini di partecipazione e di vita degradata che ci aspettano.

In conclusione di questa prima parte sottolineo che ho voluto evidenziare una netta separazione tra chi scimmiotta l’antifascismo e chi lo pratica riconoscendo le varie sfaccettature dell’autoritarismo imperialista. E preparare così le basi di analisi per un altro aspetto che tratterò in seguito. 

L’antifascismo, se è la riproposizione strumentale di una categoria anacronistica per autolegittimarsi nel portare avanti un autoritarismo imperialista, ebbene questi va smascherato e attaccato, spostando la questione fascismo su un terreno all’altezza delle mutate condizioni storiche, sociali e politiche. L’autoritarismo imperialista si alimenta socialmente di quelle fasce sociali di media borghesia legate per clientelismo, corruzione al carrozzone del grande capitale finanziario e alle sue articolazioni politiche culturali. È un autoritarismo che si serve indistintamente della cancel culture come del nazismo baltico e ucraino. Non ha un’ideologia unitaria e coerente se non quella di un insieme culturale omogeneo che riporta all’”uomo a una dimensione”, alla distruzione di ogni legame sociale che non rientri nella mercificazione e nelle performance produttivistiche del bio-tecno-cybercapitalismo. L’ideologia è quella dell’uomo protesi della tecnoscienza classista e discriminante. In realtà un autentico antifascismo si basa sul riconoscere questo nuovo biofascismo della tecnologia pervasiva e del controllo, per combatterlo nelle nostre comunità. È una guerra sociale esistenziale di fronte alle emergenze che il capitale inventa e impone, non ultima la guerra imperialista.

Attualità di Carpenter

E allora occorre tornare ai fondamentali per smascherare questo falso antifascismo e riprendere un concetto molto semplice. Al XIII Plenum dell’Internazionale Comunista (6) venne data la miglior definizione di fascismo, quella che collega il fascismo di allora all’autoritarismo dai mille volti di oggi:

«Il fascismo è una dittatura terrorista aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti, più imperialisti del capitale finanziario».

Questa definizione fa piazza pulita di ogni sociologismo comportamentale di cui si serve questo nuovo fascismo o autoritarismo che dir si voglia, dell’assenza di ideologia.

Ma fa piazza pulita anche di argomentazioni alla Fusaro che sostengono che l’opposizione fascismo-antifascismo non esiste più, restando anch’esso nell’ambito superficiale dello scontro tra comportamenti e visioni limitate a una tornata elettorale. 

Fa piazza pulita di un antifascismo che non c’è più e che è quello della corrente liberale che nella Resistenza al nazifascismo andava dagli azionisti ai badogliani. E che è stata usata in modo strumentale dai nipotini di Parri. I La Malfa, gli Spadolini, iniziarono a usare l’antifascismo come sostegno a un nuovo autoritarismo cresciuto nel grembo del capitalismo italiano sin dal dopoguerra. E oggi ha raggiunto l’apice nell’atlantismo guerrafondaio, nella società dei wallet e della sorveglianza, diuna società disciplinare e sempre più liberticida e distopica.

L’intera esperienza del PCI è stata fagocitata da questo liberalismo pseudo-antifascista. E oggi il PD, che coniuga PCI e DC è l’alfiere principale di questa post-ideologia del capitale neoliberale.

E qui arriviamo al secondo punto che tratteremo nella seconda puntata. Il liberalismo ha perso per strada l’antifascismo trasfigurandosi nel suo opposto, anche sotto mentite spoglie e aggregando le culture politiche residuali del comunismo togliattiano. L’ha perso ma lo usa “pro domo sua”. Ne usa un placebo, un surrogato ininfluente sul piano della critica sociale all’esistente. Ma il faro guida per un nuovo antifascismo, che è continuità con l’antifascismo di inzio e metà secolo, è proprio nella frase prima citata dell’I.C., e che ci dice che non esiste antifascismo (anti-autoritarismo) senza anticapitalismo.

È per questo che nella seconda parte tratterò dell’antifascismo strettamente legato all’anticapitalismo. Partendo dal presupposto che non esiste un fascismo senza che esso sia strumento o dispositivo del potere borghese, del capitale, dell’imperialismo che su scala globale ha sottratto sovranità ai popoli, aggredisce paesi non allineati al Washington consensus. E lo fa utilizzando più leve ideologiche, anche pseudo-libertarie e dirittumanitarie, che non toccano mai gli assi portanti del sistema dominante del capitale: la tecnocrazia dello sfruttamento, del controllo, della sorveglianza e, sul piano politico, un potere, che al di là dei suoi volti, non è più collocabile tra fascismo e democrazia borghese perché è un potere già dato di per sé, sistemico. È questo tipo di fascismo poliedrico, che mette in campo tools operativi e ideologici alla bisogna il vero nemico. È l’autoritarismo dell’imperialismo globalista che oggi diviene ancora più pericoloso d’innanzi ai forti mutamenti geopolitici che stanno facendo emergere il multipolarismo e la decolonizzazione. E’ questo il cuore della lotta e della posta in gioco.

C’è quindi chi a ragion veduta tratta del fascismo, definendo come tale il golpismo, il suo essere terrorismo ed elemento oggi della guerra ibrida che la CIA e i servizi atlantisti e sionisti in generale portano avanti contro paesi e popoli che non rientrano ne Washington consensus. Mi riferirò in buona sostanza a quell’antifascismo che dalla dottrina Monroe in America Latina, dal Piano Condor si è battuto contro le dittature sanguinarie della CIA e delle Corporation USA. In dettaglio, il progetto di Rete Internazionale Antifascista avviata mesi or sono in Venezuela dalle forze bolivariane per svilupparla in tutto il pianeta, rappresenta il miglior antifascismo oggi presente. Poiché ha compreso che a capo dei fascismi sempre eterodiretti vi sono oligarchie imperialiste che si servono di questi: dall’Ucraina ai cadidati fasulli venezuelani come Guaidò. Contrastare la controrivoluzione, perché di questo si tratta, anche dove la rivoluzione nemmeno si intravede, e riconoscere le forze della controrivoluzione, il loro ruolo negli specifici contesti geopolitici e nazionali, con il fine di combattare e sconfiggere il disegno sovversivo o restauratore del capitale imperialista e delle sue classi dominanti è tutt’altra cosa dallo starnazzare fuorviante degli antifascisti da ztl contro il governo Meloni.

Fascismo è suprematismo in tutte le sue pratiche

L’autoritarismo capitalista lo si può chiamare come si vuole, anche fascismo, ma la sostanza delle cose non cambia: non muta ciò che l’autoritarismo di stampo o meno fascista è: dominio assoluto del capitale su popoli, paesi e classi sociali. La costruzione della rete antifascista internazionale è un passaggio fondamentale nel combattere il capitalismo imperialista, smascherandone la sua perfida e ambigua natura, ogni propaggine: dalle più evidenti, quelle ideologiche e golpiste, militari come in Est Europa, come l’internazionale nera riunitasi a Madrid a maggio di quest’anno e variante e serbatoio (politica e all’occorrenza terroristico-militare) essa stessa dell’imperialismo (e non alternativa a esso come molti spacciano), alle varianti più dirette del terrorismo militarista finanziato dalla CIA e dalla NATO come gli ucronazi del protettorato USA banderista e il nazi-sionisto genocida e della pulizia etnica in Palestina dei gruppi dirigenti israeliani (7) e delle bande terroristiche del colonialismo da insediamento,  alle associazioni pseudo-pacifiste che fomentano rivoluzioni colorate (Ucraina, Georgia, la stessa Russia, nei paesi del ex URSS, la lista è lunga) prendendo spunto da rivendicazioni sociali (8) di cui non frega ovviamente nulla ai manovratori (NED National Endowment for Democracy e CIA che agiscono in tandem) che puntano a destabilizzare i paesi e a creare regimi fantoccio filo-USA e UE, che fanno capo a ong e fondi di investimento del capitale finanziario attivo sulla falsa riga della “democrazia”. 

Sono tutte parti di un tutto e vanno comunque combattute a oltranza e senza inclinazioni “dirittumanitarie” che sono sempre di facciata. Anzitutto vanno comprese uscendo da vecchi schemi, capendo che se c’è in questi dispositivi autoritari un nuovo fascismo, deve esserci anche una nuova Resistenza internazionale, anticapitalista e antimperialista, a fianco dei popoli in lotta e contro i governi bipartisan nostrani che si candidano a rappresentare il capitale finanziario, tirando dentro o meno dei settori sociali di riferimento che sono di volta in volta ceti medi corrotti e clientelari, piccolo capitale che vuole il suo ruolo nella grande mangiatoia, con nazionalismi e campanilismi di facciata e strumentali al target sociale dato, che nulla hanno a che vedere con quella resistenza sociale di comunità alle politiche di controllo e alle restrizioni che il capitale mette in atto, pur tentando di strumentalizzare la spontaneità dei movimenti di massa, come si è visto in questi ultimi tre anni: i tanti apprendisti stregoni durante e dopo, tra le spoglie del movimento no greenpass. 

Antifascismo consapevole di essere anticapitalismo e antimperialismo significa combattere su più fronti a partire dal proprio contesto sociale e politico nazionale, sapendo che c’è un filo nero che lega tutte queste pratiche, ideologie, culture al servizio dell’imperialismo occidentale, degli USA e dei suoi stati vassalli.

 

§ § § § § § § § §

NOTE:

1. In questo video ci sono i ragionamenti di Luciano Canfora in merito ad antifascismo e anticapitalismo

2. David Harvey nel suo “Breve storia del neoliberismo” analizza bene la correlazione tra fascismo e neoliberismo, avvenuta con il golpe in Cile del 1973 e la successiva e conseguente dittatura di Pinochet, in cui mette in rilievo il laboratorio economico sociale, la matrice del neoliberalismo oligarchico e titalitario, del TINA (there is not alternative) da cui si avviò quella che divenne l’onda lunga neoliberista e di cui paghiamo tutt’oggi le conseguenze. Harvey scrive:«Messo da parte il generale Gustavo Leigh, keynesiano e rivale del leader golpista, nel 1975 Pinochet portò quegli economisti al governo, dove il loro primo compito fu di negoziare prestiti con il Fondo monetario internazionale. Lavorando a fianco dell’FMI, i «Chicago boys» ristrutturarono l’economia secondo le loro teorie. Revocarono le nazionalizzazioni e privatizzarono beni pubblici, resero le risorse naturali (pesca, legname ecc.) accessibili a uno sfruttamento del tutto privo di regole (che in molti casi calpestò senza alcuno scrupolo i diritti delle popolazioni locali), privatizzarono la previdenza sociale, agevolarono gli investimenti stranieri diretti e il libero scambio; fu garantito il diritto delle società straniere al rimpatrio dei proventi delle loro operazioni in Cile; alla sostituzione delle importazioni si preferì una crescita basata sulle esportazioni.»

Uomini e no

3. A tal proposito si veda il mio articolo pubblicato qui.

 4. Si veda la nota ANSA: le euroburocrazie non hanno proprio più ritegno: mentre attaccano le destre scomode, che non accettano le imposizioni sovranazionali di Washington e Bruxelles, come quella di Orban al governo dell’Ungheria, dall’altra, pur di proseguire il macello imperialista in Ucraina sostengono le destre estreme dei paesi baltici, della Polonia, mettendo a rischio nell’estensione del conflitto in quella regione europea, le popolazioni e l’intero continente e oltre e mettendo in conto con noncuranza l’imbarbarimento antidemocratico di quei sistemi politici in funzione anti-russa.

5. Il concetto viene espresso piuttosto chiaramente nelle Tesi di Lione del 1926, quando nel punto 15 si sostiene:

«Il fascismo, come movimento di reazione armata che si propone lo scopo di disgregare e di disorganizzare la classe lavoratrice per immobilizzarla, rientra nel quadro della politica tradizionale delle classi dirigenti italiane, e nella lotta del capitalismo contro la classe operaia. (…) Alla tattica degli accordi e dei compromessi esso sostituisce il proposito di realizzare un’unità organica di tutte le forze della borghesiain un solo organismo politico sotto il controllo di un’unica centrale che dovrebbe dirigere insieme il partito, il governo e lo Stato. Questo proposito corrisponde alla volontà di resistere (tenete da conto questo verbo, nda) a fondo ad ogni attacco rivoluzionario, il che permette al fascismo di raccogliere le adesioni della parte più decisamente reazionaria della borghesia industriale e degli agrari.» 

Ora cosa c’entra tutto questo con lo scontro tra governo e “opposizione” oggi? Ci sarebbe una sorta di fascismo che contrasta forse un attacco delle classi lavoratrici?

Al netto delle dovute differenze storiche, sociali, politiche non c’è alcun “attacco rivoluzionario” e men che meno lo è quello delle sinistre corrotte e organiche al grande capitale oligarchico multinazionale e atlantista lo è. Pertanto, di cosa stiamo parlando? Il governo non fa alcuna marcia su Roma, non sta raccogliendo le adesioni della parte più reazionaria del capitale, al contrario è il campo largo dem a trovare i maggiori favori della parte più reazionaria e antipopolare del capitale oligarchico internazionale, non certo la Meloni che però ci prova rimangiandosi le promesse pelose e riprendendo paro paro l’agenda Draghi. La realtà dei fatti vede dem e finto-soranisti, ossia forze euroatlantiche bipartisan, in lizza tra loro per chi deve gestire la linea politica dominante delle oligarchie di cui prima. Questo non è fascismo vecchio stampo ma una forma di autoritarismo che come una lebbra sta divorando per conto terzi le conquiste di decenni delle masse popolari taliane, distruggendo definitivamente la nostra sovranità nazionale, la nostra Carta, riducendo definitivamente il paese a un protettorato degli USA e a un terminale delle filiere industriali del capitale anglo-americano e nord europeo. Un processo politico durato oltre mezzo secolo e un quarto. Mai come oggi abbiamo avuto masse popolari così assoggettate e disorganizzate proprio in a causa di un deterioramento di tutte le leve e spazi sociali e di un imbonimento culturale che sono l’artiglieria di questo autoritarismo. Altro che attacco rivoluzionario!

6. Dicembre 1933, impostazione attribuita a Georgi Dimitrov che divenne poi nel 1934 Presidente del Komintern.

7. Ilan Pappè li descrive bene nella “Brevissima storia del conflitto tra Isaele e Palestina”, gruppi dirigenti che rispecchiano le due anime nere del sionismo, che Pappé suddivide in Stato della Giudea e Stato di Israele, dove il primo, messianico e teocratico sta divorando quello “democratico” (ma non per i palestinesi ovviamente) nel nome della Grande Israele, dal Mar Rosso al Libano.

8. Persino dentro l’antagonismo nostrano c’è chi si batte per il popolo palestinese, ma anche contro “l’invasione Russa in Ucraina” pensando così che (false) posizioni di principio che ignorano le cause profonde e la geopolitica inerente all’aggressione (in realtà) militarista della NATO alla Federazione Russa, siano sempre giuste e anticapitaliste, quando in realtà costoro fanno il gioco della triade: ong, fondi d’investimento, intelligence imperialiste e delle forze politiche dem che devono puntellare la narrazione altrettanto falsa filoeuropeista e atlantista di cui sono alfieri. E non è un caso che “municipalisti” tutti d’un pezzo diventano mercanti elettorali per la compagine peggio atlantista del paese.

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