di Maria Vittoria Vittori
Ce la ricordavamo come un tipo dark, invece ora Banana Yoshimoto è una donna ammorbidita dalla recente maternità. Ma è sempre amatissima dal pubblico italiano: Giorgio Amitrano, finissimo yamatologo traduttore dei suoi romanzi, ricorda che quando è venuta all’Orientale di Napoli e all’Istituto culturale giapponese di Roma è stato necessario scortare la scrittrice come fosse stata un’autentica rockstar. E si preannuncia un bagno di folla anche in questa occasione del Festival delle letterature a Roma. Il gusto Banana, conosciuto attraverso i quattordici romanzi pubblicati in Italia da Feltrinelli dal romanzo “cult” Kitchen in poi, continua a piacere moltissimo. In che cosa consiste? Nella scelta di ingredienti essenziali, come la realtà quotidiana, il mistero che vi si annida, l’amore e l’abbandono, la pulsione di morte e la gioia di vivere, ma soprattutto in un particolare modo di cucinarli: ”a vapore”. Che non li altera, che ne conserva il gusto e l’aroma , che non fa ingrassare i lettori.
Signora Yoshimoto, è per caso appassionata di cucina?
L’ultimo libro che ho letto è un saggio scritto da un ex chef della corte imperiale, che racconta le difficoltà del mestiere. Uno chef della corte imperiale deve aver pratica di tutte le cucine, non solo di quella giapponese.
E lei, che ingredienti usa?
Sono quelli della mia cultura, del teatro No: il rapporto tra la natura e gli uomini, il continuo interscambio tra vita e morte. Ma sono anche i miei ingredienti, quelli che prediligo.
Sono molto apprezzati anche dai giovani, a quanto pare.
Ho una home page attraverso la quale comunico quotidianamente con loro, e così mi rendo conto delle loro difficoltà. La caratteristica fondamentale dei giovani è l’incertezza, e dentro di me, avendo superato parte delle mie incertezze solo da poco tempo, ho dei lati ”giovani” che mi permettono di capirli.
Il titolo del suo ultimo libro è categorico: Il corpo sa tutto. Ne è proprio convinta?
Riguardo al rapporto che intercorre tra il corpo e la mente, posso dire che alcuni anni fa nel corso di una malattia, ho vissuto una condizione fisica fortemente negativa. E mi sono resa conto di una cosa: che pensare troppo, concentrarsi solo sulla mente, non è la soluzione giusta. Nei racconti di questo libro ho provato a far scendere la mente nel mio corpo.
[da “Il Mattino”, 4 giugno 2004]