Linea della fermezza? “Via libera” al blitz dato personalmente dall’Unto? Più che altro, una grande farsa allestita a scopo elettorale, sotto la coltre del “silenzio-stampa” imposto dal governo dopo una lunga serie di gaffes e inopportune ammissioni. Attendiamo verifiche, ma pare proprio che il governo abbia trattato tramite gli ulema – com’era già chiaro e dato per scontato (e addirittura ufficialmente rivendicato) da settimane – e pagato un riscatto, com’era incresciosamente sfuggito alla governatora Contini, che poi si è rimangiata la frase.
Del resto, se c’è stato un blitz, è ben strano che non ne esista un filmato e che le tivù nazionali in perenne orgia patriottarda non ce lo mostrino orgogliose, in una guerra dove tutto, ma proprio tutto viene ripreso, fotografato, mediatizzato. Vabbe’, ma che cce frega? Tutti in piazza ad accogliere festanti gli “eroi”! Quale sarebbe poi l’impresa eroica che hanno compiuto? Boh. Che ci stavano a fare là esattamente? Boh. Una lunghissima sequenza di “boh”. [wm1]
da peacereporter.net (i grassetti sono nostri) …
Per i tre ostaggi italiani pagati nove milioni di dollari
Una fonte di PeaceReporter rivela: “Gli ostaggi italiani sono stati consegnati alle forze Usa, non c’è stato nessun blitz”.
10 giugno 2004 – “Quella casa al numero 17 di Zaitun Street era disabitata da almeno due mesi. Fino a lunedì sera tardi (7 giugno, n.d.r.) quando, intorno alle 23, si è sentito un gran trambusto. Io, che abito al 13, ho visto arrivare alcune auto e fermarsi davanti a quella casa. Sono entrate un po’ di persone. Era buio, non abbiamo visto bene. Poco dopo se ne sono andati via ed è tornata la calma”.
“Il mattino seguente, intorno alle 9:30, sono arrivate cinque auto militari americane, di colore verde oliva. Si sono fermate davanti a quella casa. Ne sono scesi alcuni uomini vestiti in abiti civili e con gli occhiali scuri. Erano sicuramente uomini del mukhabarat (servizio segreto, n.d.r.) americano. Hanno aperto la porta dell’abitazione, senza forzarla, come se fosse già aperta, e sono riusciti subito con solo quattro uomini, che poi abbiamo saputo essere i tre ostaggi italiani e un ostaggio polacco.
Li hanno caricati su un furgoncino bianco e se ne sono andati via. Il tutto con la massima calma. Non è stato sparato un colpo. Nella casa, a parte gli ostaggi, evidentemente non c’era più nessuno. Non è stato assolutamente un blitz militare come è stato annunciato tre ore dopo. Quelli sono tutta un’altra cosa. Lì si è trattato di una semplice presa in consegna. Gli americani sono andati lì a colpo sicuro. Sapevano che gli ostaggi erano stati portati lì, si erano messi d’accordo. Il vostro governo ha pagato un riscatto: nove milioni di dollari. Qui ormai lo sanno tutti. Adesso però basta parlare al telefono, non è sicuro”.
A parlare, raggiunto al telefono da PeaceReporter, è un iracheno, il signor Fahad, che assieme ad altri due suoi vicini, il signor Mohammed e il signor Ibrahim, è stato testimone oculare della liberazione di Agliana, Cupertino e Stefio. Fahad parla dalla sua casa, al 13 di Zaitun Street, ad Abu Ghraib, il sobborgo occidentale di Baghdad divenuto tristemente famoso per lo scandalo delle torture sui prigionieri iracheni.
La sua versione dei fatti è confermata da un’altra fonte irachena raggiunta da PeaceReporter, vicina al braccio politico della guerriglia. Una fonte che ha voluto rimanere anonima, e che ha fornito la sua versione di tutta la vicenda del sequestro, delle trattative e della liberazione.
La fonte inizia facendo un nome, quello di Salih Mutlak. “Mutlak dice è un facoltoso commerciante iracheno arricchitosi con le speculazioni e il contrabbando durante il periodo dell’embargo. Da molti è definito semplicemente come un ‘mafioso’. Lui è il personaggio chiave della vicenda della liberazione dei tre ostaggi italiani, assieme al già noto Abdel Salam Kubaysi (solo un omonimo di Jabbar al-Kubaysi), ulema sunnita e docente all’università di Baghdad, salito all’onore delle cronache televisive internazionali per il suo ruolo nella trattativa per il rilascio – dietro pagamento di riscatto – degli ostaggi giapponesi”.
Secondo la fonte, con Mutlak e con Kubaysi il governo italiano avrebbe trattato segretamente per settimane al fine di ottenere il rilascio di Agliana, Cupertino e Stefio, rapiti il 12 aprile assieme a Quattrocchi, ucciso il 14 aprile. Si scoprirà poi che aveva in tasca un porto d’armi rilasciato dalle forze britanniche e un pass della Coalizione.
I contatti tra i nostri servizi segreti, il Sismi, e la coppia Mutlak-Kubaysi sono iniziati subito dopo quei tragici giorni, e già il 20 aprile erano cominciate a trapelare notizie sull’accordo con il governo italiano per il pagamento di un riscatto di 9 milioni di dollari.
Il 22 era stato lo stesso governatore italiano di Nassiriya, Barbara Contini, a lasciarsi scappare che non c’era nulla da stupirsi del fatto che il governo pagasse un riscatto. “Si è sempre fatto così” aveva detto. Subito dopo aveva smentito questa dichiarazione, e il ministro degli Esteri, Franco Frattini, aveva detto che si trattava di “storie prive di fondamento”. Lo stesso giorno, una qualificata fonte dei servizi segreti italiani rivelava all’agenzia Ansa: “La trattativa, avviata da giorni, è già stata definita in tutti i suoi aspetti, sia para-politici, sia economici. Quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto”.
Dopo questa burrasca il Sismi ha protestato per queste fughe di notizie che rischiavano di far saltare le trattative in corso. A quel punto, il governo ha deciso di imporre il silenzio stampa assoluto sulla vicenda.
“Le trattative – spiega la fonte – sono proseguite fino a quando, all’inizio di maggio, Salih Mutlak è andato in aereo a Roma. Ragione ufficiale del suo viaggio: affari. E’ rimasto nella capitale italiana per una ventina di giorni, tornando a Baghdad alla fine di maggio con una valigetta piena di soldi. Cinque milioni di dollari, prima tranche di un riscatto complessivo di nove milioni di dollari. Gli altri quattro, questi erano gli accordi da lui presi, sarebbero stati consegnati ai rapitori dopo la liberazione degli ostaggi”.
Dopo il ritorno di Mutlak con i soldi, nei primi giorni di giugno si è consumato un duro scontro all’interno delle fila dei guerriglieri iracheni. Da una parte il braccio ‘militare’ dei guerriglieri, quelli che detenevano materialmente gli ostaggi e che, tramite Mutlak e Kubaysi, erano in contatto con il governo italiano: per loro l’importante era solo incassare il malloppo. Dall’altra parte il braccio ‘politico’ che non voleva fare la figura di una banda di delinquenti che rapiscono per soldi e che quindi non volevano accettare il riscatto.
“Noi ci siamo opposti a questo gioco sporco. Questa storia del riscatto e della messa in scena della liberazione sostiene la fonte avrebbe rovinato l’immagine della nostra causa, facendoci passare per dei volgari banditi, e poi avrebbe giovato al governo italiano e quindi prolungato l’occupazione militare dell’Iraq. Noi volevamo consegnare gli ostaggi, senza alcun riscatto, nelle mani di rappresentanti del mondo pacifista italiano, sia laico che cattolico, con cui eravamo già in contatto da tempo e con i quali eravamo vicinissimi a una conclusione“.
Ancora domenica scorsa 6 giugno, i rappresentati della Santa Sede in Iraq si dicevano infatti certi che la liberazione dei tre italiani sarebbe stata questione di ore. Anche il governo italiano sentiva che la questione era giunta a un punto decisivo: venerdì scorso, 4 giugno, il ministro Frattini ha annullato una sua importante visita a Tokyo per “motivi familiari”. Forse quello è stato un giorno decisivo.
“Alla fine prosegue la fonte, con tono infuriato l’hanno spuntata i ‘militari’ senza scrupoli, che nei giorni scorsi, assieme a Mutlak, hanno organizzato in gran segreto il trasferimento dei tre ostaggi italiani dal loro luogo di detenzione, cioè Ramadi, un centinaio di chilometri a ovest di Baghdad, fino alla periferia occidentale della capitale, nel sobborgo di Abu-Ghraib. I tre sono stati lasciati in una casa e poi la loro posizione è stata comunicata ai servizi italiani e a quelli americani perché li venissero a prelevare. Il loro piano era di far sembrare tutto come un blitz militare che si concludesse con l’arresto dei sequestratori. Ma non è andata così”.
E in effetti, fonti vicine ai servizi italiani hanno rivelato che i due arresti effettuati in connessione con il presunto blitz erano in realtà solo due pastori iracheni, che nulla avevano a che fare con la guerriglia e che erano stati pagati per farsi trovare lì.
Di certo, il fatto che a condurre l’operazione siano stati militari americani, e non italiani, preclude alla magistratura una effettiva indagine sui “liberatori”.
In Iraq, al mercato nero delle armi, un kalashnikov costa tra i venti e i trenta dollari. Con nove milioni di dollari se ne possono comprare centinaia di migliaia.
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Daniele Mastrogiacomo, inviato di Repubblica a Baghdad, è andato in Zaitun Street a vedere che cosa c’era. Gli hanno sparato addosso.
“Sono arrivato stamattina ad Abu Grahib, in Zaitun street. Cercavamo la casa del signor Abu-Kaiza al-Alzawi. Nessuno ci diceva nulla, anzi, la gran parte degli abitanti di Zaitun, negava addirittura che in quella via abitasse il signor Abu-Kaiza al-Alzawi”. Comincia così il racconto dell’inviato di Repubblica al telefono da PeaceReporter.
Poi, la guida ha un lampo di genio. Ha chiesto ad un ragazzino dove abitava quel signore. Gli ha detto che eravamo amici, e che avevamo una macchina da lasciargli.
“Il ragazzino – continua Mastrogiacomo- ci ha indicato subito la casa, che spiccava rispetto alle altre. L’unica pitturata di fresco, linda e pulita in una strada dove le case sono tutte piuttosto malandate”.
Gli accompagnatori dell’inviato, una guida e l’autista, suonano al cancello. Il signor Abu-Kaiza al-Alzawi esce. E da subito il suo nervosismo è evidente. Mastrandrea è ancora in macchina, i primi scambi sono affidati alla guida. Poi, anche l’inviato di Repubblica scende dall’auto, e comincia a chiacchierare con il signor Abu-Kaiza al-Alzawi. “Non so nulla – dice al-Alzawi a Mastrogiacomo – di quello che mi state chiedendo. Qui non è successo proprio nulla. E qualsiasi cosa succeda da queste parti – gli dice al-Alzawi- state certi che lo saprei”.
Ma il suo nervosismo si fa sempre più evidente. Come succede quasi sempre, Mastrogiacomo, la guida e l’autista vengono invitati a fermarsi per la colazione. Gentilmente rifiutano. “Dovevamo tornare al lavoro”.
Fanno quattro passi per la strada, e Mastrogiacomo telefona al giornale. Subito dal bazar vicino arriva un gruppo di iracheni che, con fare minaccioso, chiedono al gruppo di qualificarsi. Chiedono che fanno lì, perché sono lì a telefonare. “Andiamo via, qui si mette male, mi dice il nostro autista. E ripartiamo. Torniamo sulla via principale di Abu Grahib, dove c’è il bazar. Tempo sei minuti e ci piomba davanti una macchina che ci blocca tagliandoci la strada. Scendono quattro iracheni, sui 25 anni, armati di pistole. Ci chiedono di fermarci. Per fortuna il mio autista è bravissimo. Scarta sulla sinistra, sperona la macchina e riesce a prendere contromano la via della fuga. In quegli attimi, i quattro cominciano a sparare. Non miravano a noi, Volevano fermarci, probabilmente rapirci. Sparavano verso le gomme e nel motore della nostra auto. Ci hanno inseguito, continuando a spararci, per un bel pezzo. Abbiamo attraversato Abu Grahib e siamo rientrati a Baghdad a 180 all’ora” conclude Mastrogiacomo.
La casa che erano andati a cercare l’inviato di Repubblica e i suoi accompagnatori è quella di uno dei testimoni oculari di qual che è accaduto in Zaitun street la mattina della liberazione degli ostaggi.
Maso Notarianni