di Davide Verazzani
[da sedicinoni]
“Fame chimica” rischia di passare alla storia quasi solo per la particolarità del progetto produttivo; nasce infatti nel 1997 come fiction documentaria, impostata dai due registi per raccontare, attraverso interviste ai ragazzi della Barona, i cambiamenti in atto in uno dei quartieri più disagiati di Milano, e cresce poi, dopo il sostegno di Filmaker, fino a raggiungere la dignità di lungometraggio di fiction, attraverso una forma particolare di associazione fra i partecipanti al progetto che, caso unico in Italia (almeno a livello “ufficiale”), fa sì che ognuno sia proprietario del film per una parte corrispondente alla quota versata per creare la Cooperativa Gagarin, che per l’appunto produce la pellicola. Sarebbe però un peccato che ci si dimenticasse del suo valore intrinseco, già peraltro consacrato da un’acclamata proiezione a Venezia nella sezione Nuovi Territori e dalla partecipazione ad alcuni importanti festival europei.
Con una regia misurata ed una sceneggiatura finalmente all’altezza del compito, che non si perde in stereotipi linguistici ma fa propri alcuni tic e linguaggi reali dei giovani milanesi, i due registi fotografano in un colpo solo sia le difficoltà della vita giovanile in una periferia vuota di valori e ideali (emblematica, la piazza dove, dice uno dei personaggi, “una volta c’erano le sezioni di partito, ed ora ci sono solo negozi che ad uno ad uno chiudono per paura”), sia i problemi derivanti dall’integrazione con razze diverse. E’ una tipica guerra tra poveri, quella messa in scena nel film: da una parte, gli sfaccendati figli dell’immigrazione, che non riescono neanche ad assurgere al ruolo di nuovi vitelloni, persi come sono dietro ad una quotidianità fatta di piccole violenze, canne e pasticche, e senza nemmeno la prospettiva di un sogno, sia esso anche solo quello di andarsene da lì; dall’altra parte, gli extracomunitari, che non riescono e non vogliono integrarsi, e sanno solo ripetere gli stessi gesti dei loro coetanei italiani. In mezzo, i “bravi cittadini”, che riescono alla fine, grazie all’aiuto di un assessore fascistoide, a far erigere la cancellata, per poi accorgersi (grazie ad una delle scene-cardine di tutto il film) che quel nuovo “muro” uccide anche la loro libertà. Claudio, Manuel e Maja sono emblematici: non appartengono ormai più a nessun gruppo, sono individualisti ma nel contempo bisognosi di affetto, di sentirsi importanti, e percepiscono confusamente che qualcosa si può ancora cambiare senza fuggire dalle proprie responsabilità. I tre protagonisti rendono bene le difficoltà dei loro personaggi, e se per Marco Foschi,discreto attore teatrale, e per l’emergente Valeria Solarino, intensa e affascinante, si può trattare di una conferma del loro talento, straordinaria è l’aderenza al ruolo di Matteo Gianoli, scovato dai registi su una panchina, che in pratica interpreta se stesso con un’intensità quasi rosselliniana. Non tutto è perfetto, naturalmente: gli sviluppi dei personaggi (soprattutto quello di Maja, abbozzato solo in parte) a volte tendono allo stereotipo, e forse qualcosa di più poteva essere detto sugli extracomunitari che affollano la piazza; inoltre, lo stile della pellicola, mantenuto quasi sempre molto asciutto e realistico, rischia di venire rovinato dagli interventi di Zulu,cantante dei 99 Posse (che cura l’adeguata colonna sonora), che in alcuni inserti rap cerca di spiegare le motivazioni dei personaggi: la trovata fa molto “tragedia greca”, ma l’ambizione di volare alto in questo caso danneggia i due registi (forse ingannati dal loro stesso passato di video-maker), poiché toglie respiro alla narrazione ed inserisce un corpo estraneo che distoglie l’attenzione dalle vicende principali. Peccati veniali, peraltro, perché il valore del film non viene affatto diminuito. Spiace solo che venga distribuito in un numero di copie davvero troppo esiguo, che rende complicato farlo uscire dal tipico circuito Roma-Milano; ma credeteci, rischia davvero di diventare un piccolo “cult”.
La trama
Manuel e Claudio abitano alla Barona, un quartiere-dormitorio alla estrema periferia di Milano. Sono amici d’infanzia, ma molto è cambiato negli ultimi anni. Nella piazza in cui si ritrovavano da ragazzi, piazza Gagarin, ha aperto da poco un bar gestito e frequentato da extracomunitari, malvisti dagli abitanti del quartiere; la diffidenza ha fatto nascere un comitato, capitanato dal combattivo tabaccaio della piazza, che sta cercando di far erigere una cancellata che protegga il parco giochi per i bambini dall’invadenza degli stranieri, visti come delinquenti e spacciatori. In realtà, l’anima dello spaccio nella piazza è proprio Manuel: è il boss riconosciuto, non lavora ma ha sempre molti soldi a disposizione, ha un suo proprio sistema di valori che lo rende diverso dai molti sfaccendati che affollano la piazza, e lo fa rimanere comunque vicino a Claudio. Questi invece sta cercando di uscire dall’emarginazione, avendo accettato un lavoro regolare, anche se sottopagato e a rischio, presso una cooperativa di facchinaggio gestita dallo zio. L’amicizia fra i due ragazzi rischia di essere messa a repentaglio dal ritorno di Maja, la bella figlia del tabaccaio emigrata a Londra in cerca di fortuna. La ragazza è tornata solo per qualche giorno, per raggranellare i soldi necessari a riprendere il volo per l’Inghilterra senza più ritornare. Claudio si innamora di lei, ma anche Manuel non sembra insensibile al suo fascino, e questo provoca attrito fra i due amici. Quando la situazione sembra appianata, però, succede un fatto che costringe i tre a guardare in faccia il proprio futuro, e a fare scelte importanti.