di Sandro Moiso
Francesco Schirone (a cura di), L’Utopia concreta. Azione libertaria e Proletari autonomi. Milano 1969-1973, Volume I, Zero in Condotta, Milano 2023, pp. 382, 25 euro
[Per Autonomia operaia] Intendiamo la lotta (in tutte le sue espressioni, dal momento dell’esecuzione materiale e di tutti gli altri momenti riflessivi) di quegli strati che vivono nella condizione proletaria; una lotta che si ponga sempre in posizione antagonistica e mai unificante con gli interessi del sistema organizzato dello sfruttamento; una lotta condotta unicamente nel metodo della convenienza proletaria e non con quello della convenzione del legalitarismo democratico-borghese (vedi sindacalismo, parlamentarismo, ecc.); una lotta il cui potere di gestione sia tutto nelle mani delle masse proletarie sfruttate (autogestione) ripudiando ogni forma di delega di potere decisionale, usando solo il metodo dell’azione diretta. (Spunti per una discussione sul sociale e sull’autonomia proletaria – Proletari autonomi, marzo 1973)
Per uscire, una volta tanto, dalla narrazione “operaista” della nascita e dello sviluppo dell’Autonomia, si rende utile e necessaria la lettura di questo primo volume, edito da Zero in condotta, sull’esperienza dei gruppi anarco-consigliaristi, soprattutto milanesi, che tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta fornirono un impulso organizzativo e nuove ipotesi di riflessione allo sviluppo di un movimento, allora, vivace e allo stesso tempo caotico che avrebbe dato vita e motivi di rinnovamento politico ai movimenti antagonisti di quel periodo attraverso innumerevoli spoglie ideologiche.
Non si tratta, però, qui di stabilire primati, diritti di prelazione o di prima nascita di sigle, teorizzazioni e formule che avrebbero caratterizzato in seguito i movimenti e il dibattito politico al loro interno, ma, piuttosto, di cogliere, come sempre si dovrebbe fare in questi casi, che tutte le varie formule e gli espedienti organizzativi e politici che quegli stessi finirono col produrre e riprodurre affondavano le loro radici non nelle teste dei singoli, nelle idee o in formulazioni ideologiche predefinite in anticipo da partiti o intellettuali più “di mestiere” che rivoluzionari “di professione”, ma nella concreta realtà dello sviluppo delle ribellioni proletarie e operaie, giovanili e studentesche di quegli anni.
Lotte e moti spontanei di rivolta, nelle fabbriche e nei quartieri, nelle strade e nelle università e scuole, che derivavano da concrete condizioni materiali di sfruttamento e oppressione, molto prima e molto più radicalmente di quanto qualsiasi ideologia, dottrina “scientifica” e ipotesi politica o sindacale avesse potuto prevedere in anticipo o con precisione. Da questo punto di vista un certo spontaneismo, termine con cui troppo spesso un’ortodossia, sempre farlocca, vorrebbe bollare tutte le iniziative che sfuggono ai suoi parametri interpretativi, era frutto della spontaneità e della immediatezza delle lotte. Per lungo tempo imprevedibili, tanto per i “padroni” che per i “bonzi” sindacali o di partito.
Se è vero dunque che qualsiasi sistemazione o interpretazione politica o storica delle lotte e delle loro finalità non può avvenire altrimenti che ex post, è altrettanti vero che spesso l’immediatezza dell’idea di azione diretta di stampo anarchico costituisce il primo “sentire” di avvenimenti in corso di maturazione ed evoluzione. Primo “sentire” che spesso si lascia irretire, talvolta, da formulazioni e da utopie sociali un po’ troppo semplicistiche (ma non lo sono, forse, tutte le Utopie?), ma che ha l’indubbio pregio di cogliere l’immediatezza dei fatti, senza per forza costruirvi intorno subito, magari in seguito poi sì, formule teoriche e organizzative che troppo spesso finiscono, nella loro magniloquenza e pretesa affermazione di autorità e verosimiglianza, col dividere gli stessi movimenti da cui sono nate e cui devono le loro concrete origini materiali.
Ecco, allora, che il titolo scelto per la raccolta di saggi, articoli, testimonianze, pagine di giornali e volantini curata da Franco Schirone, L’Utopia concreta, è davvero perfetto. Nelle sue pagine si tratta, infatti, dell’”Utopia concreta” che scaturì dall’unione tra pensiero e azione anarchica e lotte operaie e proletarie non solo in quel di Milano, in cui alcuni dei gruppi che animarono quell’esperienza ebbero origine e sede, ma anche in altre parti d’Italia.
Non a caso, la citazione posta in esergo a questa recensione è tratta da un ciclostilato distribuito come supplemento al n° 1 e 2 di “Proletari Autonomi”, edizione per la Sardegna e ciclostilato a Cagliari nel marzo del 1973. L’ampia raccolta documentaristica inclusa nel volume riesce così a ricreare la memoria di fatti che dalla persecuzione deli anarchici dopo la strage di piazza Fontana alla manifestazione dell’anno successivo in cui nella stessa data della strage, 12 dicembre, morì lo studente Saverio Saltarelli, ammazzato dalle forze del disordine, come diceva la canzone, con una bomba al cuore.
Su su, oppure se preferite giù giù, fino alle cronache delle lotte operaie e alla nascita dei comitati operai e di quei consigli di fabbrica, prima irregolari poi sempre più inquadrati dai sindacati confederali negli anni successivi, oppure ancora alla rivolta di Reggio Calabria del 1970. Una storia dei movimenti e delle loro lotte che, attraverso testimonianze dei protagonisti di allora e dei fogli scritti e ciclostilati di quel tempo, ricostruisce anche lo sviluppo di un’idea di autonomia di classe che iniziatasi nel gruppo Kronstadt (nomen omen) di Milano e dall’esperienza di Azione libertaria (gruppo anarco-sidacalista-consigliare), nel 1969-1972, darà poi vita, dal 1972 al 1974, a Proletari Autonomi, gruppo di discussione teorica che raccoglieva compagni militanti in differenti collettivi autonomi e che, a seguito di una divisone interna, avrebbe poi dato vita, dal 1974 al 1980, al Centro Comunista di Ricerche sull’Autonomia Proletaria (C.C.R.A.P.) e successivamente, ancora, a Collegamenti, fondando l’omonima rivista. Da cui sarebbero ancora derivati, nel 1975-77, «La fabbrica diffusa», rivista milanese di analisi e intervento sulla figura dell’operaio sociale e, dal 1981 al 1983, al foglio che dal 1983 si sarebbe unito a «Collegamenti» per dare vita alla rivista «Collegamenti-Wobbly», fino alla primavera del 1994.
Una storia lunga come si può vedere da questo fin troppo rapido excursus, anche se questo primo volume si occupa specificamente del primo periodo dal 1969 al 1973, mentre resta in preparazione un volume successivo che si occuperà del periodo dal 1973 al 1982. Una storia che, come ci ricorda Giorgio Sacchetti, nasce dall’idea che, al contrario di quanto ha rivelato ancora una volta la sottomissione confederale all’Autorità statale, così tanto e spesso invocata dai sindacati confederali, in occasione dello sciopero “generale” del 17 novembre: «all’origine del movimento operaio non c’era lo Stato, ma l’idea di far da sé, di autogestione e di azione diretta»1.
Tocca però a Cosimo Scarinzi, testimone e protagonista di quell’esperimento fino ed oltre «Collegamenti-Wobbly», nella sua prefazione al testo, elencare per sommi capi le caratteristiche di quella esperienza, sia nella novità, che ebbe modo di rappresentare, che nei suoi limiti, visibili a cinquant’anni di distanza.
1. La critica radicale dei sindacati individuati come strumento di integrazione della classe anche nelle loro forme più estremiste e democratiche. Da ciò un giudizio negativo dello stesso “sindacato dei consigli” la cui “democratizzazione” ci parve , in maniera per certi versi unilaterale, una trasformazione volta a recuperare e inquadrare le stesse lotte più radicali.
2. La critica altrettanto radicale dei partiti della sinistra che si stendeva coerentemente ai gruppi della nuova sinistra di orientamento leninista giudicati non solo autoritari ma espressione degli interessi di una piccola borghesia parassitaria che cerca di utilizzare le lotte degli operai per occupare spazi di potere nell’apparato statale e sindacale.
3. Una differenziazione rispetto alla componente maggioritaria dello stesso movimento anarchico percepito come chiuso rispetto al conflitto di classe e troppo legato alla salvaguardia di una tradizione rispettabile ma talle da bloccare l’azione. Fuori dalle passioni dl tempo a chi scrive quel giudizio appare eccessivo e, in alcuni casi, ingeneroso ma era parte del nostro sentire che aveva alcune ragioni.
Guardando oggi a quelle vicende appare evidente che la nostra eresia era, per molti versi, un ritorno a un’ortodossia, non all’ortodossia […].
Mi piace, a proposito del mio/nostro operaismo radicale, ricordare come mi colpì quanto mi disse una volta Lea Melandri, una femminista molto conosciuta che frequentava i nostri ambienti, che mi fece rilevare come il proletariato tenda all’integrazione non, o non principalmente, per l’influenza della malefica piccola borghesia parassitaria ma proprio per il suo essere classe di questa società volta a migliorare, magari con lotte radicali, la propria condizione all’interno dei rapporti sociali dominanti2.
L’Utopia concreta, come afferma infine Roberto Brioschi nella seconda parte della Prefazione al testo, «è la inedita ricostruzione e proposizione della esperienza rivoluzionaria antiautoritaria degli anni dal 1968 al 1982 […] Anni che videro il tentativo cogente della abolizione del cosiddetto ordine capitalistico». Per poi concludere, poco dopo, affermando:
Un ribaltamento tutt’ora celato, temuto ed esorcizzato poiché rappresenta una storia che non è più una cronaca temporale dell’avvicendarsi di un Potere sopra ad un altro ma diviene Storia di liberazione sociale, collettiva ed individuale, propria di un immaginario che diventa realtà. Oggi più che mai bisogna tornare ad essere in grado di immaginare la vita altra e di realizzarla, ora3.
G. Sacchetti, Milano, un laboratorio del sindacalismo conflittuale, Introduzione a Francesco Schirone (a cura di), L’Utopia concreta. Azione libertaria e Proletari autonomi. Milano 1969-1973, Volume I, Zero in Condotta, Milano 2023, p.13. ↩
C. Scarinzi, Azione Libertaria e l'”eresia operaista”, prefazione a L’Utopia concreta, op. cit., p.15. Sul punto sottolineato da Lea Meandri si veda anche Michele Castaldo, Marx e il torto delle cose 1871 – 1917 – 2017, Edizioni Colibrì, Milano 2017. ↩
R. Brioschi, In punta di matita, prefazione a L’Utopia concreta, op. cit., p.16. ↩