Nell’estate del 2010 librerie e centri commerciali esposero edizioni di Cime tempestose di Emily Brontë recanti in copertina un bollino stampato in vernice rosso sangue, al cui interno si leggeva: «I libri preferiti di Bella e Edward». Si parlava di libri, al plurale, poiché la stessa sorte era toccata anche a Romeo e Giulietta e a Orgoglio e Pregiudizio. Bella e Edward sono i protagonisti di Twilight, la saga di Stephenie Meyer di cui Mondadori stava sfruttando l’enorme successo di pubblico, in particolare tra le teen-ager, per rilanciare classici della letteratura inglese in una veste che ne evidenziasse l’aspetto romantico.
Per via di un paradosso piuttosto comune in letteratura sembra quasi che Povere creature!, romanzo di Alasdair Gray del 1992 (oltre dieci anni prima dell’uscita di Twilight) finalmente approdato in Italia grazie a Safarà, prenda avvio proprio da questa vicenda. Anche Gray menziona Brontë più di una volta, e lo fa all’interno di una narrazione concentrica costruita attorno al manoscritto (fittizio) di un medico scozzese che racconta la storia del suo matrimonio in ottica romantica, mettendo insieme i capisaldi del romanzo gotico inglese. Nel manoscritto, Archibald McCandless attribuisce alla sua straordinaria moglie un’origine sovrannaturale per mano di uno scienziato mostruoso di nome Godwin (“God” per gli amici) che ne è diventato il tutore dopo aver rianimato il suo cadavere trapiantandole il cervello della bambina che portava in grembo. “God” si aspetta che Bella gli sia riconoscente di averle dato la vita al punto da affidarsi totalmente a lui, ma lei gli procura uno shock letale scegliendo di sposare l’umile McCandless, non prima di aver fatto la sua personale esperienza del mondo.
A prima vista sembra la storia di un triangolo amoroso dalla connotazione bestiale al cui centro si trova una giovane donna di nome Bella, esattamente come nella saga di Twilight. Meyer non ha mai fatto mistero di aver scelto il nome della sua protagonista in riferimento a La bella e la bestia, e lo stesso deve essere successo a Gray prima di lei, dal momento che il titolo è citato dalla stessa Bella in un passo di Povere creature! in cui l’eroina dichiara la sua volontà di scegliersi da sola il suo destino letterario:
«Non ho letto dall’inizio alla fine La bella e la bestia o Le pietre di Venezia di Ruskin o Il gobbo di Notre-Dame di Dumas oppure è di Hugo nella traduzione inglese per Tauchniz con legatura leggera che costava due scellini e sei pence, ma ho appreso abbastanza su queste potenti epopee della nostra razza per capire che la maggior parte delle persone considera God e me una coppia molto gotica. Si sbagliano. Nel nostro cuore siamo dei comuni agricoltori come Cathy e Heathcliff in Cime tempestose, scritto da una di quelle sorelle Brontë.»
Per quanto il discorso sia attribuito a Bella, le sue parole sono riportate da McCandless, che non si scomoda a distinguere tra Emily, Charlotte e Anne; probabilmente perché un romanzo scritto da una donna gli appare come poco rilevante. Eppure, è evidente che lo ha letto; così come lo ha letto il curatore del manoscritto (che, identificando sé stesso in Alasdair Gray, rivela di esserne pure l’autore reale), perché sia la struttura del manoscritto che quella del romanzo in cui è contenuto richiamano quella di Cime tempestose in un gioco di cornici concentriche che consente al suo autore (o alla sua autrice) di prendere il più possibile le distanze dalla storia grazie all’inserimento di un secondo narratore (Gray ne aggiunge pure un terzo sul finale, quando Bella decide di smentire la versione del marito raccontando da sé la sua storia) e arrivando addirittura a moltiplicare le voci narranti grazie all’espediente di una corrispondenza riportata. E come Cime tempestose, che a metà si spacca su sé stesso per introdurre una nuova storia (da Cathy nasce Cathy; così come Bella, che è nata a nuova vita col cervello della figlia, ha in certo modo generato sé stessa), anche il manoscritto di McCandless fa una brusca virata verso un evidente richiamo a un’altra storia: Jane Eyre, a opera di un’altra di «quelle sorelle Brontë».
La scena del matrimonio di Bella con McCandless, interrotto dall’improvvisa apparizione del primo marito, è presentata come il negativo fotografico del tentato sposalizio di Jane con Rochester, il quale davanti all’altare si trova braccato dai legali della moglie venuti a reclamare che lo sposo è già sposato. È questa la scena che rivela la vera natura di Rochester, universalmente considerato come un eroe romantico anche in assenza di bollini e fascette in copertina, ma che invece è un personaggio patriarcale alla sua massima potenza. Se Bella ha dimenticato il suo passato (o ha voluto dimenticarlo, fuggendo dal marito), Rochester si è invece tenuto quel passato tutto il tempo sulla testa, avendo recluso la moglie in soffitta dopo che è stata dichiarata pazza. Pur senza utilizzare il linguaggio clinico ed esplicito del manoscritto di McCandless, Charlotte Brontë lascia intuire che la signora Rochester sia stata diagnosticata un’erotomane, per il semplice fatto di aver dimostrato di trarre piacere dall’intimità col marito in un contesto sociale che da una donna delle classi medio-alte si aspetta che si presti all’atto sessuale contro voglia e unicamente per senso del dovere. In Povere creature! la stessa diagnosi, per le stesse ragioni, è applicata a Bella, che ergendosi per i propri diritti con l’aiuto di “God” riesce in qualche modo a riscattare anche la povera Bertha Mason (the madwoman in the attic, come titola un caposaldo della critica letteraria femminista).
In entrambi i casi il risultato è invariato: l’ex coniuge è spazzato via da un atto provvidenziale che consente ai protagonisti di convolare a nuove nozze senza eccessivo sforzo e senza forse aver compreso fino in fondo quanto quella vittoria sia solo apparente, almeno per il lato femminile della storia. Jane Eyre ha infatti uno dei finali più grami della letteratura vittoriana, che la vede condannata a vita al lavoro di cura gratuito nei confronti del marito cieco e della ragazzina che questi insiste di non avere avuto da una relazione clandestina con una ballerina francese; Bella sceglie di studiare e di diventare medico solo per passare il resto della vita a rispondere agli attacchi e alle continue derisioni in una società che non è pronta a vedere una donna in un ruolo professionale di rilievo, soprattutto se in campo scientifico.
E non è andata troppo bene neppure alla sua versione romanticizzata, che aveva tutte le carte per redimersi e vivere felice dal momento che, spazzando via la sua memoria, il suo creatore l’aveva liberata dagli orrori dell’educazione patriarcale (in modo simile a quello in cui Charlotte Brontë in Shirley scelse di regalare alla sorella Emily un’esistenza migliore, rendendola per nascita bella, ricca e in salute), se non fosse che lei stessa si è mostrata smaniosa di recuperarla. Beninteso: siamo ancora nella versione di McCandless, l’uomo che l’ha sposata per pura convenienza, che sceglie di lasciare a lei l’avanzata professionale preferendo restare a casa con i figli, che scopriamo addirittura omosessuale, e che ridicolizza il femminismo della moglie al punto da aprire il suo capitolo finale con un calco speculare della celebre dichiarazione di Jane Eyre «Lettore, l’ho sposato», rovesciata in «Lettore, lei mi ha sposato» – dove l’enfasi è sempre posta sulla libertà di scelta della donna, ma con risultati (probabilmente) opposti. Difficile comunque stabilirlo, poiché di questa storia abbiamo tutte le versioni; e più dettagli si aggiungono, più diventa difficile capire dove stia la verità. A mancare all’appello è proprio la voce di “God”, ragione per cui la verità è destinata a restare un mistero. Ma se è vero che «Solo le religioni scadenti si basano su misteri, proprio come i governi scadenti si basano sulla polizia segreta», forse la cosa migliore da fare è smetterla di farsi domande, dimenticare tutto quello che gli uomini ci hanno insegnato e iniziare a godersi la vita come una splendida avventura.