di Gioacchino Toni
Julia Boyd, Turisti nel Terzo Reich. Viaggiare in Germania all’epoca del nazismo, Luiss University Press, Roma, 2023, pp. 424, € 26,00 stampa, € 14,99 ebook
Dopo la fine della Prima guerra mondiale, la Germania esercitava ancora una forte attrazione sugli stranieri presentandosi come un paese incantevole e incontaminato, con le sue città, i suoi borghi medievali, i suoi castelli e le sue cattedrali risparmiati dal conflitto, a cui si aggiungeva il fascino della sua cultura romantica e della sua tradizione musicale. La quantità di stranieri che, per vari motivi, soggiornavano e attraversavano il paese – in buona parte statunitensi e britannici – era decisamente elevata, tanto da arrivare a toccare nel 1937 quasi il mezzo milione di presenze l’anno.
Raccogliendo le testimonianze di tanti studenti, giornalisti, diplomatici, letterati, musicisti ecc., il corposo volume di Julia Boyd ricostruisce lo sguardo con cui i viaggiatori stranieri osservavano la quotidianità tedesca nel periodo hitleriano. Molti di loro avevano già un’idea ben precisa della Germania hitleriana prima di mettervi piede e la loro permanenza in terra tedesca, spesso, non faceva che confermare le loro aspettative; pochi cambiarono idea dopo avervi soggiornato. Tra gli stranieri presenti in Germania, almeno fino al 1937, a denunciare la deriva intrapresa dal paese erano soprattutto giornalisti e diplomatici ma, in molti casi, ai loro allarmi si guardava con disinteresse in patria.
Non è facile, sostiene, Boyd, trovare una spiegazione al perché così tanti statunitensi e britannici inviassero i loro figli a soggiornare nella Germania nazista persino quando la guerra sembrava sempre più imminente. Nonostante a livello internazionale non mancassero i timori che Hitler potesse condurre a un nuovo conflitto, molti visitatori desideravano vedere in lui un uomo di pace. Inoltre, l’enfasi nazista sull’ordine e sulla ferrea disciplina non mancava di esercitare un certo fascino sugli stranieri.
Nonostante fosse passato poco tempo dalla fine del primo conflitto mondiale, molti dei britannici che mettevano piede in Germania tendevano a guardare a quel paese come a un modello a cui ispirarsi. I viaggiatori statunitensi, sottolinea Boyd, pur stupiti dalla diffusione capillare di proclami antisemiti, faticavano ad affrontare criticamente la persecuzione nei confronti degli ebrei non solo in quanto, in molti casi, erano antisemiti loro stessi, ma anche perché ciò li avrebbe costretti a fare i conti con le discriminazioni praticate nel loro paese nei confronti degli afroamericani.
Inizialmente, per conquistarsi i favori stranieri, i nazisti insistevano molto nel presentarsi come baluardo alla minaccia “bolscevico-ebraica”. E se diversi viaggiatori di fede antibolscevica erano pronti a denunciare l’onnipotenza della polizia segreta, la propaganda martellante e l’autoritarismo del paese di Stalin, non altrettanto erano disposti a fare nei confronti di quello di Hitler, forse che le finalità di quest’ultimo bastassero a far passare del tutto in secondo piano tutto il resto.
Le prime testimonianze raccolte dal volume fanno riferimento al periodo weimariano, quando gli stranieri, nel visitare la Germania, non potevano che notare quanto fosse diffuso il risentimento per le condizione imposte dal Trattato di Versailles accentuato dall’impressionante livello di malnutrizione e povertà che toccava anche il ceto medio soprattutto nelle grandi città.
A stupire i viaggiatori britannici e statunitensi erano anche le tante espressioni artistiche, cinematografiche e teatrali d’avanguardia, il livello di emancipazione femminile, il libertinismo che si respirava a Berlino e, più in generale, la tendenza a un’esibizione del corpo del tutto sconosciuta nei loro paesi di provenienza. Negli ultimi anni della Germania weimariana a colpire i visitatori stranieri era anche l’incredibile attenzione riservata alle aggregazioni giovanili da parte di associazioni ecclesiastiche e formazioni politiche.
In apertura degli anni Trenta, la crisi dilagante aveva ridimensionato la presenza di visitatori stranieri in Germania, inoltre, le prime forme di turismo organizzato diminuirono le spese pro capite dei gruppi rispetto a quelle dei viaggiatori in proprio. Dopo la presa del potere da pare di Hitler, non pochi stranieri notarono come pian piano i tedeschi, a prescindere dalle precedenti posizioni politiche, si allineassero sempre più al nazismo per questioni di sopravvivenza.
Nel volume sono riportati gli sguardi attraverso cui i viaggiatori stranieri guardarono al rogo dei libri, ai sempre più frequenti prelievi di oppositori operati nottetempo e alle persecuzioni nei confronti degli ebrei. A proposito di queste ultime, dalle testimonianze raccolte, emerge come molti stranieri tendessero a ritenerle “un piccolo prezzo da pagare” per la rinascita di una grande nazione di cui si comprendeva, tutto sommato, il risentimento post Versailles.
Nel 1933 così vedeva invece le cose il giornalista francese di sinistra Daniel Guérin:
Per un socialista, visitare la Germania al di là del Reno era come esplorare le rovine di una città dopo un terremoto. Qui, fino a poco tempo fa, c’era il quartier gemerle di un partito politico, di un sindacato, di un giornale,là una libreria per i lavoratori. Oggi a quegli edifici son appese enorme bandiere con la svastica. Questa era solita essere una strada rossa; qui sapevano come si combatte. Oggi ci si imbatte solo in uomini silenziosi, dagli sguardi tristi e preoccupati, mentre i bambini ti spaccano i timpani con i loro “Heil Hitler!” (p. 114)
Quegli ostelli che solo poco tempo prima erano gremiti di giovani escursionisti pacifici ora erano occupati da giovani nazisti con cinturoni, stivali e la cravatta della Gioventù hitleriana indossata sulla camicia color cachi, indottrinati a ricordare agli stranieri che era grazie a loro se si stava salvando il pianeta dal bolscevismo. Non era difficile immaginare come questi giovani così entusiasti della disciplina a cui erano stati assoggettati prima o poi sarebbero stati ben disposti a prender le armi.
Oltre a notare quanto i giovani fossero stati coinvolti dal movimento nazista, qualche osservatore straniero restò stupito dal vedere come il ceto medio fosse disponibile a rinunciare a diverse libertà conquistate nel periodo weimariano e come molte donne, in nome dell’“interesse del popolo tedesco”, accettassero di abbandonare il lavoro per occuparsi solo della famiglia e di essere riprese se fumavano in pubblico o se andavano in giro truccate.
Se molti viaggiatori stranieri preferivano non guardare troppo in profondità la realtà tedesca, Guérin aveva notato come esistessero ancora luoghi nelle città tedesche in cui i nazisti preferivano non avventurarsi: nei bassifondi di Amburgo, ad esempio, continuavano a comparire sulle mura scritte come “Morte a Hitler!” e “Lunga vita alla rivoluzione”. Per qualche tempo, osservando piccoli comportamenti quotidiani, alcuni viaggiatori dedussero che non tutti i tedeschi sembravano in realtà convinti nazisti.
Consapevole dell’importanza del turismo come strumento di propaganda, il regime si adoperò per mostrare ai visitatori stranieri quanto la Germania fosse una nazione “amante della pace”, gaudente e ospitale: «“Venite a vedere con i vostri occhi” vantava un opuscolo “i progressi che sta facendo la Germania: disoccupazione assente, produzione ai massimi livelli, sicurezza sociale, grandi opere per lo sviluppo industriale, pianificazione economica, efficienza organizzata, una dinamica volontà di unire le forze, un popolo felice ed energico, lieto di condividere i sui successi con voi”» (p. 119).
A colpire gli stranieri era anche l’utilizzo propagandistico del festival wagneriano di Bayreuth, della festa del raccolto sulla collina di Bückeberg nei pressi di Hamelin, della rappresentazione della Passione di Oberammergau, di cui si accentuavano i caratteri antisemiti già presenti alla sua nascita secentesca. Probabilmente a sbalordire maggiormente i visitatori stranieri erano le tante iniziative neopagnane che celebravano il solstizio d’estate spronando i giovani al fervore patriottico. Molti stranieri raccontarono degli imponenti festeggiamenti annuali tenuti sulla collina di Hesselberg, scelta come Montagna Sacra dai nazisti, in cui si danzava attorno a un grande falò rivolgendo preghiere al sole e venerando Hitler. Centinaia di viaggiatori stranieri parteciparono agli oceanici raduni di Norimberga organizzati tra il 1933 e il 1938 e in diverse loro testimonianze raccontarono di quanto fossero coinvolgenti.
Nei primi tempi il campo di Dachau, inaugurato nel 1933, veniva mostrato con orgoglio ai visitatori stranieri. Le testimonianze riportate nel volume sono di diverso tono; mentre alcuni visitatori mettevano l’accento sul terrore che si poteva leggere negli occhi dei reclusi, consapevoli di essere in balia del totale arbitrio delle guardie, altri evidenziavano come, dopotutto, non si trattasse che di una modalità di rieducazione attraverso il lavoro. «L’antisemitismo era diffuso nell’alta società inglese, come pure in Francia e in buona parte dell’America. Analogamente il destino dei comunisti, degli zingari, degli omosessuali e dei “malati di mente”, che finivano a Dachau insieme agli ebrei, non rappresentava di certo una questione scottante per molti» (p. 154).
La testimonianza di uno straniero che aveva voluto sperimentare la partecipazione a un campo di lavoro nei primi anni del regime hitleriano riporta la facilità con cui era risuscito a integrarsi con lo spirito cameratesco dei giovani presenti e, soprattutto, come le esercitazioni fisiche che si tenevano – come nelle scuole –, pur essendo eseguite senza armi, si sarebbero potute rivelare un ottimo addestramento per un futuro conflitto militare.
Stando a Boyd non erano pochi gli statunitensi presenti a Berlino nel 1934 per il congresso battista – che si diceva contrario al razzismo e all’antisemitismo – ad apprezzare la Germania hitleriana per aver «dato alle fiamme cumuli di libri e riviste diseducativi» facendo «piazza pulita delle librerie ebraiche comuniste» (p. 140). A visitare il paese erano anche diversi letterati europei e statunitensi. Anche in questo caso l’esperienza diretta aveva confermato il giudizio che già avevano del regime.
Nel volume viene racconta anche l’esperienza di un gruppo di studenti cinesi decisi a passare un periodo di vacanza a Berlino anche perché meno costosa rispetto alla capitale francese ove studiavano. Dai resoconti di questi studenti emerge un certo fastidio per l’ossessione con cui i tedeschi si esibivano costantemente in saluti a braccio teso e, soprattutto, la piena consapevolezza delle politiche repressive riservate agli ebrei.
Rimettendo piede in Germania dopo alcuni anni, qualche visitatore aveva notato come la popolazione apparisse improvvisamente più bionda; nel solo 1934 erano state vendute nel paese oltre 10 milioni di confezioni di tinta per capelli, mentre il rossetto, considerato non in linea con l’ideale femminile ariano, era letteralmente scomparso.
Nel 1936 si erano svolte in Germania sia le olimpiadi estive che quelle invernali e ciò aveva portato nel paese – soprattutto a Berlino – un numero elevato di stranieri, seppure, a conti fatti, inferiore alle attese. Per il regime nazista si trattava di una grande occasione per mostrare al mondo la rinascita e l’efficienza del paese. Se qualche inviato straniero colse l’occasione per denunciare quanto i giochi intendessero nascondere il totalitarismo del regime, così invece si esprimeva l’antisemita e razzista presidente del Comitato olimpico americano Avery Brundage: «Nessuna nazione dai tempi dell’antica Grecia ha colto il vero spirito olimpico come la Germania» (p. 218).
Anche nel biennio 1937-1938 il numero di visitatori stranieri in Germania restava alto. Nel commentare la sua visita alla mostra di Arte degenerata inaugurata a Monaco nel 1937, un commentatore straniero si diceva colpito dall’insistita presenza presenza tra le opere esposte di didascalie, punti esclamativi e interrogativi, «quasi come se i nazisti avessero paura che i visitatori non le schernissero abbastanza» (p. 270).
Curiosi sono i commenti rilasciati da un uomo di provate simpatie naziste come Crawford, consigliere del re d’Inghilterra, a margine della sua partecipazione (su invito) a una delle crociere a basso prezzo che lo stato, tra il 1933 ed il 1939, offriva ai lavoratori tedeschi: stupito dal cameratismo e dalla naturalezza con cui i tedeschi rispondevano con entusiasmo agli ordini loro impartiti – cosa, a suo avviso, inimmaginabile per i britannici –, con ironia espresse il convincimento che i tedeschi fossero gli unici al mondo «nati socialisti».
Parrebbe che persino i viaggiatori fondamentalmente ostili al nazismo guardassero istintivamente oltre il regime e vedessero quella che immaginavano essere la reale Germania: un paese che, nonostante tutto, conservava la sua inossidabile capacità di sedurre e incantare (p. 281).
A partire dal 1938, quando si assistette a una vera e propria escalation di violenze, la visione della Germania da parte dei viaggiatori stranieri iniziò a cambiare; diversi “scoprirono” quanto sino ad allora non avevano saputo o voluto vedere e si resero conto di come la guerra fosse sempre più imminente. Non a caso nel 1939 le presenze straniere sul suolo tedesco diminuirono decisamente e molti tra i presenti optarono per abbandonare velocemente il paese. Poi arrivò la guerra. «Tutti i racconti che ci hanno tramandato gli stranieri ancora in grado di viaggiare in modo indipendente nel Reich durante gli ultimi tre anni di guerra sono raccapriccianti e commoventi al tempo stesso. Un tema li accomuna, i bombardamenti» (p. 229)
Ricostruendo le modalità con cui tanti viaggiatori stranieri avevano guardato alla quotidianità tedesca durante il regime hitleriano, il volume di Boyd, pur non aggiungendo nulla di nuovo sulla Germania del periodo, ha il merito di mostrare come a lungo, soprattutto i britannici e gli statunitensi avessero voluto vedere soltanto ciò che confermava il giudizio che già avevano sul regime e come, in diversi casi, forti delle convinzioni antibolsceviche e antisemite, che di certo non mancavano nei paesi d’origine, vi avessero guardato con una certa benevolenza, almeno fino allo scoppio della guerra.
Certo, non erano mancate voci dissonanti, provenienti da chi politicamente manifestava convincimenti risolutamente antinazisti, ma, complice anche la composizione sociale dei viaggiatori, i più non trovarono poi così disdicevole il totalitarismo incontrato visto che questo garantiva, ai loro occhi, l’efficiente rinascita di una nazione umiliata dal Tratto di Versailles e, soprattutto, un baluardo al comunismo. E pazienza per chi ne faceva e ne avrebbe fatto le spese con lo scoppio della guerra.
Attorno alla metà degli anni Trenta molti viaggiatori stranieri erano stati favorevolmente colpiti dal livello di idealismo e patriottismo manifestato dai tedeschi comuni, cosa che ritenevano del tutto impossibile nei loro paesi. Altra cosa che, come testimoniano diversi racconti, aveva profondamente colpito gli occhi dei visitatori era l’ostinato desiderio dei tedeschi di essere apprezzati, capiti e rispettati dagli stranieri.
Persino alla fine degli anni Trenta era ancora possibile per uno straniero passare settimane in Germania e non provare niente di più spiacevole di una puntura d’insetto. Tuttavia c ’ è una differenza tra “non vedere” e “non sapere”. E dopo la Notte dei cristalli del 9 novembre 1938 non potevano esserci scusanti per un viaggiatore straniero che affermasse di “non conoscere” la vera natura dei nazisti (p. 362).
A distanza di tempo, la disinvoltura con cui si tende ad appiccicare l’etichetta “nazista” a tutto ciò che si presenta autoritario rischia di sminuire la portata di quanto accaduto. Meglio sarebbe non dimenticarsi mai cosa è stato davvero il nazismo e di cosa è stato capace.