di Diego Gabutti
Nella casa degli specchi che era il mondo delle spie, inesistente non significava irreale. (Mick Herron, Slow Horses)
Richard («Ika», «Ramsay») Sorge
Agente segreto sovietico, Richard Sorge crea un’importante rete d’agenti in Cina e Giappone, dove lavora come corrispondente di gazzette tedesche. Per un po’ lui e la sua prima moglie lavorano per l’Institut für Sozialforschung, l’Istituto di Scienze sociali guidato da Marx Horkheimer e Th.W. Adorno, universalmente noto come Scuola di Francoforte. Sorge è nipote di Friedrich Sorge, membro della Lega dei comunisti dal 1848, amico personale di Marx ed Engels e ultimo segretario della Prima internazionale, quando la sua sede centrale viene trasferita da Londra a New York.
Nei primi anni venti Richard Sorge è uno dei più noti giornalisti di sinistra tedeschi, nonché un membro eminente del partito comunista. Nondimeno, da un giorno all’altro, riesce a convincere i nazisti d’essersi convertito all’hitlerismo. Non è l’unico comunista a saltare il fosso: passano alla svastica intere sezioni di partito. Ma Sorge non è un comunista qualunque. È vissuto per anni a Mosca, è un marxista convinto, ha scritto libri leninisti, è uno dei primi esemplari di radicalismo chic novecentesco. Eppure i nazisti lo accolgono nelle proprie fila. È lui a intortare loro? O sono loro a intortare lui e il Ghepeù? Non si saprà mai.
Corrispondente a Yokohama di due importanti testate tedesche, il Borsen Zeitung e il Tagliche Rundschau, è grazie a un suo agente nell’ambasciata tedesca a Tokyo che nell’aprile del 1941 il Cremlino è informato dell’imminente attacco tedesco. Stalin, che dopo il patto Molotov-Ribbentrop considera Hitler un amicone, stabilisce che l’informazione è falsa: la solita dezinformatzija, decreta, dell’intelligence inglese. Meno d’una settimana più tardi Leningrado è assediata dai tanks tedeschi, Mosca è minacciata e i bolscevichi di riguardo, Iosif Vissarionovič in testa, corrono a gambe levate lontano dalla capitale lasciando nelle peste i moscoviti di sangue plebeo.
Nell’ottobre dello stesso anno Sorge è tratto in arresto come agente sovietico dai servizi segreti giapponesi. Finisce sulla forca tre anni più tardi, nel 1944. Passano un paio di decenni e «nei primi anni sessanta» – come scrive Anya von Bremzen, L’arte della cucina sovietica, Einaudi 2014 – «i francesi producono un documentario sulla storia di Sorge e tentano di venderlo alla Russia. Chruščëv assiste alla proiezione. “Cosí dovrebbe essere l’arte!” esclama entusiasta quando le luci si riaccendono. “È una storia inventata, ma non ho staccato gli occhi dallo schermo”. “Vede, Nikita Sergeevič”, gli spiegano, “Sorge non è un personaggio di fantasia… è esistito veramente”. Chruščëv chiama il Kgb. Gli confermano sia l’effettiva esistenza di Sorge sia la sua carriera nell’Intelligence. Senza indugio, Chruščëv gli conferisce l’onorificenza postuma di Eroe dell’Unione Sovietica e ordina che sia celebrato come campione massimo delle spie sovietiche». Come più tardi Kim Philby, anche lui finisce sui francobolli.
Nemmeno rivelando all’NKVD di Lavrentij Pavlovič Berija «i segreti atomici» il fisico tedesco Klaus Fuchs, marxista-leninista e grande traditore, si guadagna l’Ordine di Lenin, o quello di Marx: la scienza sovietica, secondo la vulgata, ha spaccato l’atomo da sola, senza l’aiuto delle spie. Nato a Rüsselsheim, in Assia, nel 1911 da un pastore luterano dal carattere anche troppo forte e da una donna che si suicida quando lui è ancora molto giovane, Fuchs s’iscrive al partito comunista da ragazzo, quando frequenta la facoltà di scienze. Sono gli anni dell’ascesa di Hitler e Fuchs è in prima fila nelle battaglie di strada contro le SA di Ernst Röhm. Anche le sue due sorelle e suo fratello sono membri delle organizzazioni di partito e lasciano come lui la Germania quando Hitler diventa cancelliere. Continua gli studi in Francia, poi in Inghilterra, dove in virtù del suo QI e della qualità delle sue intuizioni teoriche sale subito ai piani alti della ricerca scientifica angloamericana: il circolo segreto degli scienziati atomici. È uno scienziato, e pertanto studia volentieri i problemi tecnici, teorici e persino un po’ metafisici della folle corsa che, dal 1942 al 1946, porta dal Progetto Manhattan a Hiroshima e Nagasaki e infine al mondo bipolare, sorvegliato a vista da migliaia di testate nucleari pronte all’uso: l’esercito di guerrieri di terracotta della guerra fredda.
È uno scienziato, ma anche un comunista militante e non appena capisce a cosa sta lavorando pensa bene di stabilire un contatto con lo spionaggio sovietico. Attraverso gli amici del KPD, il partito comunista tedesco, che come lui sono riparati in Inghilterra, comincia a passare segreti atomici all’NKVD: centinaia di cartelle fitte di calcoli, resoconti d’esperimenti riusciti e falliti, ipotesi, formule, equazioni. Collabora con Berja e i suoi ragazzi dai laboratori inglesi, poi da Los Alamos e, finita la guerra, di nuovo dall’Inghilterra. È instancabile: uno degli agenti segreti più produttivi d’ogni tempo, e forse il solo agente segreto che con le sue informazioni abbia «cambiato la storia del mondo» (così Mike Rossiter, autore della Spia che cambiò il mondo, Newton Compton 2014).
Klaus prolunga di decenni l’esistenza del Gulag e del «campo socialista». Dapprincipio, prima di capire su quale miniera d’oro hanno messo le mani, i servizi sovietici prendono le rivelazioni di Fuchs sottogamba. «Scienza borghese degenerata», strapensano (come si straparla) i cekisti: la meccanica quantistica, «che costituisce il fondamento della fisica moderna, è ritenuta in contrasto col materialismo dialettico, dogma ideologico del comunismo sovietico». È solo quando a Stalin entra finalmente nella zucca il potenziale distruttivo della bomba atomica che i quanti vengono adottati dal Cremlino. Grazie a Fuchs, che la nutre di pappa fatta, la scienza sovietica raggiunge in poco tempo e con costi irrisori i risultati che a Los Alamos sono stati raggiunti soltanto con enormi spese e dopo molti anni. Quanto a Londra e Washington, dove la scienza esoterica dei fisici moderni è presa molto sul serio, si prendono sottogamba le idee politiche di Klaus Fuchs. Da giovane, okay, è stato comunista, e tuttora professa opinioni radicali. Ma è solo un professore, via, e non c’è scienziato atomico che non sia per definizione un po’ pazzo e radicale (guardate Einstein, con quella zazzera).
Alla fine, quando il team di crittografi e decodificatori del Progetto Venona (i cui risultati furono desecretati solo decenni più tardi) decifra tra gli altri un messaggio che inchioda anche Fuchs insieme ai coniugi Rosenberg, è per tutti una sorpresa, Intelligence inglese in testa. Prima di cedere e confessare i suoi rapporti con lo spionaggio sovietico, Fuchs vende cara la pelle. Ma la volpe è una, i cani tanti, e finisce come deve finire: con una confessione e una condanna a 14 anni di prigione. Ne sconta nove. Esce di galera nel 1959 e ripara a Berlino Est. C’è, a margine, anche una storia d’amore: appena tornato in Germania, passate poche settimane, anzi pochi giorni, Fuchs sposa la sua più vecchia fiamma, Grete Kleison, già segretaria del segretario del Comintern Georgi Mihajlov Dimitrov e membro del CC del KPD, che lui ha conosciuto molti anni prima a Parigi, dove lei era una sperimentata combattente clandestina. Forse è stata lei a reclutarlo nei servizi segreti sovietici. Sono stati lontani per 26 anni. Ma eccoli tubare come due piccioncini. Puro Festival di Sanremo, roba più borghese e decadente della meccanica quantistica. Fuchs passa a miglior vita nel 1988. Appena in tempo. In questo modo gli è risparmiata l’umiliazione di vedere la Caduta del Muro di Berlino. Un’umiliazione, diciamolo, che si sarebbe meritato.
Agente del Comintern dell’NKVD, nata in Missouri nel 1892, ex compagna di Richard Sorge, nonché «amica del popolo cinese» e grande giornalista, toccherebbe a lei intervistare Mao Zedong e gli altri capi comunisti nelle grotte di Yenan, dove l’armata contadina ha trovato rifugio dopo la Lunga marcia (12.000 chilometri, 80.000 morti, un anno di cammino). Ma al suo posto parte Edgar Snow, anche lui americano, però di gran lunga meno radicale e, al suo confronto, un novellino anche come giornalista. Ciò la fa andare su tutte le furie. È il 1936, e le sembra d’aver mancato lo scoop della vita.
A tradire Agnes Smedley è Sun Chingling, sua vecchia amica, nonché vedova di Sun Yat Sen (fondatore e primo presidente nel 1911 della repubblica cinese, poi amico dei comunisti) e cognata di Chiang Kai-shek (signore della guerra e capo del Kuomintang antibolscevico). Sun Chingling e la leadership comunista apprezzano Smedley, che si è stabilita in Cina alla fine degli anni venti, e che si è fatta notare come attiva militante antimperialista fin dal primo dopoguerra. Sun Chingling e i capi maoisti non mancano di servirsi di lei. Chu The, il generale rosso che zigzagando tra mille insidie conduce a Yenan i 20.000 superstiti dell’esercito popolare, è un suo grande amico (è lei a scriverne l’autobiografia: Chu Teh, La lunga marcia, Editori riuniti 1974, uno dei grandi libri sulla Cina della guerra civile).
Smedley conosce bene anche il Presidente Mao, che da lei impara a ballare il fox trot, ma che per mantenere la pace in famiglia deve rifiutarle la tessera del partito quando lei, mettendo il dito tra moglie e marito, interviene in difesa della sua giovane interprete, che la seconda moglie di Mao ha beccato in compagnia del marito. Più che il dito, in realtà, Agnes mette l’intera mano: stende la signora Mao, che le ha allungato una sberla chiamandola «sgualdrina», con un diretto al mento, in puro stile rissa da saloon. Smedley piace un po’ a tutti i capi maoisti (meno alle loro signore, che si sentono minacciate, adesso che la poligamia è finita, dalle sue prediche pro libero amore). Però i generalissimi comunisti non se ne fidano davvero.
Spia russa, secondo quanto dichiara il suo ex compagno Richard Sorge dopo l’arresto, non le piacciono i russi (che nel 1940 liquidano il rivoluzionario indiano Viren Chatto, un altro suo ex compagno). Figlia del popolo, anzi Daughter Of The Earth, figlia della terra, come dice il titolo della sua autobiografia, che nel 1929 le ha dato la celebrità, Smedley non sta dalla parte dei poveri e degli oppressi per sentirsi «parte dell’apparato» e nemmeno per avvertire, come si diceva negli ambienti radicali newyorchesi, «un meraviglioso senso di appartenenza a un grande ordine segreto».
Costretta a lavorare fin da bambina, orfana di madre, con un’istruzione sommaria e un padre alcolizzato e violento, Smedley è una rivoluzionaria per istinto. Prima che il maccartismo, con l’inizio della guerra fredda, cancelli anche il ricordo del suo contributo al giornalismo americano, dove il suo nome si legge ancora ma ormai a malapena, semicancellato dal grande censore, il tempo che passa, Smedley fu una scrittrice e una giornalista famosa, ma soprattutto una donna tosta. Non le piacciono gli stalinisti, ma non le piacciono nemmeno i trotskisti, con i quali rompe ogni rapporto negli anni della grande purga. Toglie il saluto anche a un’amica della prima ora, l’anarchica Emma Goldman, che ha conosciuto a Manhattan nel primo dopoguerra e di cui ha preso le difese quand’era stata arrestata a Mosca dalla Ceka (l’autobiografia della Goldman, Vivendo la mia vita, La Salamandra 1980-1985, 3 voll., è un classico della memorialistica radicale americana).
Christopher Isherwood e W.H. Auden, che la incontrano a Hankow, nell’Hubei, nel corso del loro Viaggio in una guerra, Adelphi 2007, scrivono che è «impossibile non amarla e rispettarla, così decisa, aspra e appassionata; così spietatamente critica nei confronti di chiunque, compresa se stessa, mentre se ne sta seduta davanti al fuoco, rannicchiata, come se tutte le sofferenze e tutte le ingiustizie del mondo torturassero le sue ossa al pari dei reumatismi».
Muore a Londra, nel 1950, entrando in coma dopo un’operazione allo stomaco. J. Edgar Hoover e il Comitato che indaga sulle attività antiamericane avrebbero voluto farla tornare in America per interrogarla come sospetta spia. Ma è tardi per le risposte, e tardi anche per le domande. Nel 1951 le sue ceneri sono traslate a Pechino e interrate sotto una lapide di marmo nel cimitero dei martiri della rivoluzione. Richard Sorge, super spia e suo ex compagno, pensa che «le donne non sono adatte per il lavoro di spionaggio. Ma Agnes», dice, «è diversa. Come moglie non vale granché, ma ha una mente brillante e fa bene il suo lavoro di giornalista: è come un uomo».
(Fine prima parte – continua)
N. B.
Le biografie delle spie pubblicate qui e nelle prossime due puntate sono tratte da un’Appendice prevista, ma successivamente esclusa dall’ultima opera di Diego Gabutti (Segretissimo, Magog 2023) recensita su Carmilla qui.