[Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano TarantoOggi e su Inchiostro Verde il 12.07.2013]
È arrivato ieri il via libera della Camera al decreto 61 del 4 giugno, meglio conosciuto come “salva Ilva bis”: 299 i sì, 112 i contrari (M5S e Lega), 34 gli astenuti (SEL). Il provvedimento originario dall’affascinante titolo “Nuove disposizioni urgenti a tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro in imprese di carattere strategico nazionale“, sarà applicato all’Ilva di Taranto e di Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica, ma varrà anche per tutti gli altri complessi industriali che dovessero trovarsi in una situazione analoga. Il testo è stato modificato sia nelle commissioni riunite Ambiente e Attività produttive che dall’Assemblea e passa ora all’esame di Palazzo Madama (salvo altri emendamenti oltre i 30 inseriti a Montecitorio).
Come riportato nei giorni scorsi, tra le modifiche più rilevanti vi è la possibilità che il commissariamento possa riguardare il solo ramo di azienda che non abbia rispettato le prescrizioni AIA (autorizzazione integrata ambientale) e non tutta l’impresa, ma soltanto «in caso di reiterai pericoli gravi e rilevanti»: se ne accade uno alla settimana o al mese, non ci saranno “problemi”. Inoltre, il commissario avrà facoltà di intervenire solo nei siti industriali di interesse strategico nazionale con non meno di mille dipendenti (cassa integrazione compresa).
Ma le novità più “interessanti” sono tutte in ambito AIA: confermata l’abrogazione della figura del Garante per l’attuazione delle prescrizioni, introdotta con la legge 231/2012 dal governo Monti: adesso sarà lo stesso commissario Bondi, d’intesa con Regione ed enti locali, a fornire ai cittadini “dettagliatissime” e “continue” informazioni sul reale andamento delle operazioni di risanamento all’interno dell’Ilva. Confermata anche la previsione del termine di tre anni per attuare le prescrizioni. Ma i dolori, purtroppo, sono ben altri. Il rapporto di Valutazione del danno sanitario introdotto da una specifica legge regionale la scorsa estate, non potrà modificare le prescrizioni AIA. Ovvero viene cassato l’unico motivo per cui quella legge avesse un senso. Del resto, dopo che lo scorso 29 maggio il direttore di ARPA Puglia, Giorgio Assennato, durante l’audizione in V Commissione presieduta da Donato Pentassuglia, illustrò il rapporto elaborato dall’ente regionale per la protezione ambientale nell’ambito della valutazione del danno sanitario prevista dalla legge regionale 21/2012, la decisione non poteva certo essere diversa.
Lo studio presentato da Assennato, di ben 99 pagine, ha infatti sostenuto che «i miglioramenti delle prestazioni ambientali, che erano conseguiti con la completa attuazione della nuova AIA (prevista per il 2016), comportano un dimezzamento del rischio cancerogeno nella popolazione residente intorno all’area industriale». Dato poi rivisto fortemente al ribasso dall’ISDE, come relazionò il dott. Agostino Di Ciaula durante la sua audizione alla commissione Ambiente della Camera dei Deputati lo scorso 26 giugno: al termine della relazione, Di Ciaula avvisò i presenti di come nonostante il nuovo decreto legge e la futura applicazione dell’AIA, la salute dei tarantini «resta ancora negoziabile».
Non è dato sapere il perché quella relazione non abbia ancora oggi visto la luce su nessun organo di informazione locale o nazionale, tranne che su queste colonne (e sul sito di informazione www.inchiostroverde.it). Tuttavia, alla Regione un contentino è stato garantito: la stessa potrà infatti chiedere il riesame dell’AIA: l’ennesimo. Restando in ambito controlli, gli ispettori ISPRA avranno la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria nello svolgimento delle attività di accertamento, contestazione e notificazione delle violazioni. All’ente saranno destinati 90mila euro all’anno per il personale che «svolga attività che richiedano particolare impegno».
È stato infine previsto l’allentamento del Patto di stabilità interno della Regione Puglia per favorire le azioni di bonifica. L’ente potrà sforare il patto per 1,3 milioni nel 2013 e per 40 milioni nel 2014 per le spese necessarie agli interventi previsti. Ma i calcoli qui non tornano per niente. Perché il protocollo firmato lo scorso 26 luglio, prevedeva fondi stanziati per 119 milioni. Lo sforamento di 41,3 milioni sino al 2014, non garantirà infatti l’adeguata copertura per gli interventi previsti: 40 milioni per la sola messa in sicurezza delle aree PIP di Statte, 21 per la “Bonifica e messa in sicurezza permanente dei sedimi contaminati da PCB nel Mar Piccolo”, altri 50 per la “Messa in sicurezza e bonifica falda superficiale” (anche in questo caso con la dicitura “copertura da definirsi a carico dello Stato”), ed altri 8 per la “Messa in sicurezza e bonifica dei suoli contaminati del quartiere Tamburi”, stanziati dalle “Risorse MATTM presenti nel bilancio 2012”. Da dove saranno presi questi soldi?
Ma il dramma non finisce certo qui. Perché mentre alla Camera si votavano gli emendamenti al decreto, al ministero dell’Ambiente andava in scena un vertice tra il ministro Andrea Orlando, il commissario Ilva Enrico Bondi, il subcommissario Edo Ronchi, il governatore della Puglia Nichi Vendola ed il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno. Al termine della cabina di regia, il subcommissario Ronchi ha finalmente scoperto le carte di quello che è un clamoroso inganno, che su queste colonne denunciamo da esattamente un anno. «Si sta predisponendo un piano finanziario che attraverso una negoziazione con le banche e la BEI, metterà a disposizione 1,8 miliardi di euro in tre anni per l’attuazione delle disposizioni contenute nell’AIA».
Dunque, come ampiamente previsto e dimostrato in questi mesi, non solo il gruppo Riva non scucirà un euro per il risanamento degli impianti dell’area a caldo, ma non lo farà neppure l’Ilva Spa. Eppure, al comma 2 dell’articolo 1 del testo del decreto ancora oggi si legge che «la prosecuzione dell’attività produttiva durante il commissariamento è funzionale alla conservazione della continuità aziendale ed alla destinazione prioritaria delle risorse aziendali alla copertura dei costi necessari per gli interventi AIA». Del resto da sempre denunciamo come l’Ilva Spa non disponga delle risorse finanziarie per espletare una sola delle prescrizioni più importanti inserite nell’AIA. Lo stesso responsabile delle relazioni Martino infatti, ha spiegato ieri ai sindacati che le risorse generate dall’attività industriale bastano soltanto per pagare stipendi, materie prime e fornitori.
Stando così le cose, è ancora più probabile che siano state le stesse banche e la BEI ad indicare Enrico Bondi come unica persona adatta a ricoprire l’incarico di commissario, con il governo che si è dovuto piegare pur sapendo di palesare alla luce del sole un conflitto d’interessi macroscopico, visto che lo stesso Bondi era stato nominato soltanto ad aprile scorso dalla famiglia Riva come ad dell’Ilva Spa. Saranno invece circa 300 i milioni che saranno impegnati per le bonifiche “di acque, rifiuti e discariche” all’interno del siderurgico (per cui però mancano ancora le prescrizioni AIA), ha spiegato Ronchi, che ha aggiunto come si stia predisponendo «una struttura con elementi anche esterni, che avrà al suo interno un gruppo dedicato all’innovazione tecnologica, per creare quel know-how ambientale utilizzabile anche dopo l’adozione delle misure». Inoltre, Ronchi ha assicurato come sia in fase di «progettazione esecutiva gli interventi prioritari come la copertura dei parchi minerari». Fase che l’Ilva annuncia essere in corso da oltre un anno e la cui presentazione progettuale, che l’AIA prescriveva entro lo scorso 27 aprile, è stata già bocciata dal Comune di Taranto per carenza dei documenti preparati dall’azienda.
Ciliegina finale: il piano industriale dell’Ilva sarà pronto soltanto dopo l’estate. Auguri.