di Marco Codebò
Il primo è tornato il giorno di Santo Stefano. Tranquillo, ben rasato, ha aperto la porta di casa, appeso all’attaccapanni il loden verde oliva che indossava il giorno del rapimento e una volta in cucina, tirati fuori dalla credenza la moka e il barattolo della miscela Lavazza, si è preparato una tazzina di caffè come Dio comandava. Due ore dopo lo travolgevano gli abbracci della moglie e delle figlie, rientrate a casa dopo un pranzo dagli zii non si aspettavano di trovarlo lì, in un’onda piena di emozione saggiamente mantenuta all’interno delle mura domestiche. Come se nessuna brutale violenza l’avesse mai interrotta, la vita ha ripreso il suo trantran il giorno dopo: lavoro, pausa pranzo, lavoro, ritorno a casa, cena, televisione, riposo notturno, sveglia. Una discretissima azione di polizia ha ridotto le indagini all’espletamento di una serie di pratiche burocratiche, mentre dal canto loro sia i vicini che i colleghi, e persino i compagni di scuola delle ragazze, riducevano al minimo le domande come in un tacito accordo a tenere basso il profilo di quel ritorno. O forse perché non c’era proprio niente da chiedere e tutti lo sapevano e basta cos’era successo.
Pian piano anche gli altri sono tornati. Seguendo lo stile del primo tutti si sono comportati con grande sobrietà, in questo seguiti dalle famiglie e dagli amici. Nessuna gioia esagerata, ridotto al minimo il contatto coi media, peraltro essi stessi alquanto misurati nel dare risalto alla vicenda, del tutto assente, soprattutto, il desiderio di indagare, e nel caso rivendicare e ottenere giustizia. Sia come sia dopo due anni da quand’era cominciata, con il ritorno a casa degli ultimi sequestrati qualche giorno prima di Natale, quella tragica storia poteva dirsi se non risolta, perché troppi misteri rimanevano insoluti, per lo meno conclusa.
Ma non per tutti. Verso la metà di febbraio tre redattori di quegli stessi quotidiani di Centralia che tanto si erano battuti per l’accertamento della verità e avevano pagato un certo prezzo, no di sangue no, ma certo di angoscia e paura, hanno ricevuto la lettera di una certa Rachele, che è un nome d’arte che ho scelto per garantire l’anonimato dell’autrice della missiva. Scriveva Rachele che suo fratello mancava da casa da un anno e mezzo, era al lavoro, l’officina comunale per lo smaltimento dei rifiuti tossici, e lì erano venuti a prelevarlo tre tipacci mal rasati in giacca di pelle e guanti neri. Lei si era subito data da fare. Aveva chiesto aiuto in parrocchia, al sindacato dei dipendenti comunali, ad un noto avvocato da sempre impegnato in coraggiose battaglie civili, e aveva anche iniziato discrete indagini ascoltando i discorsi per strada e in autobus o leggendo le incontrollabili teorie dei bloggers sul web. E non ci aveva messo molto a capire che non c’era nulla da fare, alle prese con una forza muta tanto più potente di lei, non le rimaneva che tenere in ordine la camera del fratello, spolverare i mobili, spazzolargli i vestiti, spazzare il pavimento, qualche volta persino rifargli il letto, ed aspettare. E il tempo se n’era andato così, con lei che teneva orecchie e occhi sempre ben aperti finché come tutti si era resa conto che qualcuno degli assenti era di nuovo al suo posto, che certe facce tese che prima incontrava in metro si aprivano ora in larghi sorrisi, che insomma era questione di far passare qualche settimana, un mese forse o al massimo due e avrebbe sentito la chiave del fratello girare nella serratura della porta di casa. Di tempo ne era passato molto di più, scriveva, e qualcosa non tornava. Non poteva esserne certa perché lei le sue notizie le raccoglieva, come aveva detto, o per strada o su internet, ma sospettava che la pratica dei sequestri fosse finita da tempo e la gran parte dei prigionieri fosse ormai rientrata in famiglia. Questa appunto era la ragione della sua lettera, concludeva Rachele, voi che per mestiere diffondete informazione per favore confermate o smentite quel che sto per dirvi, no non desidero conoscere nessun dettaglio che possa compromettere la vostra sicurezza o quella delle vostre fonti, cerco solo uno cenno d’assenso o di smentita, ma è vero che i sequestrati sono stati in gran maggioranza, o addirittura tutti come si sente dire liberati? Uno dei giornalisti interpellati da Rachele era proprio quel giovane redattore della Gazzetta di Centralia che una volta si era posto tutte quelle domande etiche e aveva deciso che se non si metteva alla tastiera a comporre un pezzo di prudente denuncia, allora l’idea che si era fatta del giornalismo e in fondo anche un po’ di sé stesso non avrebbe avuto più senso. Non ha risposto naturalmente, come non l’hanno fatto i suoi due colleghi dei giornali concorrenti, e Rachele che se lo aspettava ha deciso di uscire allo scoperto.
La piazza principale di Centralia è un rettangolo lungo circa duecento metri con in mezzo una grandiosa fontana circolare che la notte è illuminata dai fasci di luce convergenti di quattro riflettori. Il lato nord è dominato dall’imponente palazzo del Governo, un compatto parallelepipedo di quattro piani sulla cui facciata in marmo bianco si aprono due serie di sei finestroni, poste ai lati di un triplice portone protetto da guardie armate fino ai denti. Sul lato opposto si slancia verso il cielo la cattedrale, con i suoi tre portali gotici sovrastati da una facciata romanica a strisce orizzontali in marmo e ardesia; al centro spicca un gran rosone con vetrata istoriata raffigurante il Battista, mentre al di sopra della porta di destra, per chi guardi dalla piazza, svetta l’unica torre campanaria. Per una lunga tradizione i cittadini di Centralia al momento di darsi una appuntamento dicevano ci vediamo dal Governo o dalla Chiesa, con questo volendo indicare il lato della piazza dove si sarebbero incontrati.
Rachele ha deciso che per saperne di più di quel fratello che continuava a mancarle da casa la cosa più opportuna era andare dalla Chiesa verso le sei di sera, era già aprile e le giornate si erano intiepidite, e percorrere più volte, pensava di metterci in tutto più o meno un’oretta, come un gran triangolo isoscele i cui due vertici di base sarebbero stati i portali laterali della cattedrale e quello in alto il bordo del marciapiede circolare che faceva da corona alla fontana centrale. Giorno dopo giorno, questo era il progetto, avrebbe spostato in avanti la punta del triangolo, fino ad oltrepassare la fontana ed avvicinarsi così pian piano al Governo. Alla fine ne sarebbe venuta fuori come una freccia che partendo dalla zona più popolata della piazza, gelatai, mangiafuoco, bambini in bicicletta di istinto si piazzavano dal lato Chiesa così che l’altra metà rimaneva di solito deserta, avrebbe puntato dritta verso le soglie del potere. Avrebbe portato bene in vista una foto del fratello, no non vi avrebbe scritto sotto nessun sottotitolo del tipo scomparso o chi l’ha visto, tanto la gente l’avrebbe capito subito di cosa si trattava. Non aveva ancora terminato il primo triangolo e sarà stata ad una decina di metri dalla cattedrale, quando un sacerdote in clergyman appena fuori dal portale di destra con grandi segni della mano l’ha invitata ad avvicinarsi, le ha chiesto di riporre la foto e l’ha pregata di seguirla all’interno. L’ha guidata lungo la navata laterale fino alla porta della sacrestia da dove, prima attraverso un usciolino a fianco della sala dei paramenti e poi per uno stretto corridoio, le ha fatto strada fino ad una specie di cella arredata con un minuscolo scrittoio, due sedie ed un inginocchiatoio sormontato da un’immagine della Madonna dell’Assunta. Vede cara sorella, ha cominciato, la chiesa comprende il motivo della sua sofferenza, ma la supplica di non coinvolgerla in una protesta che è estranea alla sua missione. Sì è vero che nessuna delle sue azioni di oggi sembra comprometterci direttamente ma la prego di considerare da dove è iniziata la sua dimostrazione, dai gradini che portano alla casa di Dio, un luogo sacro da cui non si lanciano campagne che le ripeto non hanno niente a che fare con i compiti della Chiesa nel mondo. Il suo dolore? certo che ci appartiene come quello di tutti i nostri fratelli e sorelle, ma vede noi siamo impegnati in una partita più difficile, non lenire le sofferenze individuali che sono connaturate alla condizione umana, ma la salvezza delle anime, di tutte, è la posta a cui puntiamo. A volte ci sono tragedie immani che vanno accettate perché sono parte di un disegno più vasto, sia Lassù che quaggiù. No, non dica rassegnarsi con quel tono, la rassegnazione è un dovere che abbiamo verso noi stessi, ci insegna ad attendere la vera felicità, quella che è estranea a questo mondo, e poi mi ascolti, quando è il caso, il cristiano sa assumersi con coraggio la propria individuale sofferenza se questo serve a far sì che la coesione sociale resti integra. Cosa può fare allora? non permetta a nessuno di strumentalizzare il suo personale cammino di dolore e se camminare in compagnia della foto di suo fratello la fa sentire, come dire, prossima al suo congiunto, continui a farlo, niente glielo impedisce, purché non comprometta la santità del luogo che ci ospita in questo momento, e sì ha capito benissimo quel che intendo dire, c’è tutto un enorme spazio, metà della piazza almeno, ma certo che è quella al di là della fontana, che si presta per questo genere di manifestazioni, perché se ho ben capito non è alla Chiesa che lei imputa la sua disgrazia, non è vero?
No di certo Padre, ah bene mi fa piacere che lo riconosca e che in fondo, anche se di soppiatto, si sia rivolta a noi nell’ora del dolore, ma certo che la decisione di aspettare è per lei la più saggia in questo frangente, e pregare naturalmente, si affidi a chi sta più in alto di tutti noi, non si faccia ingannare dalla maestà dei palazzi, tutti si muteranno prima o poi in rovine, sapere almeno, lei dice, se è un vivo o un morto che dovrà attendere, sì potremmo, accertare con sicurezza no quello no, ma esplorare, spendere una parola giusta nel momento opportuno con chi forse è a conoscenza del destino di suo fratello questo sì, non posso impegnarmi sull’esito naturalmente, ma un passo nella giusta direzione le garantisco che lo farò personalmente, no non mi chieda una data, mi metterò io in contatto con lei al momento giusto, e continui pure la sue manifestazioni la prego, solo non qui, questo non è il palazzo di Cesare mi permetto di ricordarglielo, sì sono uno dei canonici del Capitolo ma non è il caso che venga a cercarmi, gliel’ho detto che mi farò vivo io, ora devo andare, sono atteso per il Vespro, ma lei sappia pazientare, rinunci all’orgoglio e mi raccomando stia serena.
E aspettare è quello che Rachele ha fatto, fedele ai consigli del canonico, almeno in parte, perché marciare solitaria dal Governo, abbandonare l’abbraccio, no non esageriamo e nemmeno la compagnia è chiaro, ma almeno la vicinanza quella sì della gente che oziava dalla Chiesa e affrontare tutta sola la lunga distesa di mattonelle bianche che dalla fontana portava al triplice portone del Palazzo, no quell’idea non l’attraeva proprio e infatti se n’è rimasta a casa a guardare la TV. Più o meno dopo una settimana una mail del canonico l’aveva informata che c’erano novità, così si è presentata la sera in sacrestia e dopo il solito rituale della porticina e del corridoio si è ritrovata nella stessa cella dell’altro giorno davanti all’inginocchiatoio con la Madonna dell’Assunta. La persona a cui lei tanto tiene sta bene, ha attaccato il prete, e anzi vuole che lei non si preoccupi, che rimanga fiduciosa…vede che le cose stanno andando come avevo previsto io? Accogliere con serenità il proprio carico di dolore quasi sempre conduce l’uomo se non a quella felicità che non ci spetta quaggiù per lo meno a una visione meno angosciata della vita, e badi che spesso quando lo sguardo si fa più tranquillo riesce ad afferrare particolari, a intravvedere soluzioni, che nell’ora del turbamento non aveva colto, preso com’era dall’affanno e dalla disperazione. Ma mi consenta però di dirle che lei ha scambiato l’accettazione del suo posto nel mondo con la passività, mi aspettavo di vederla apparire sul lato nord della piazza, se ho controllato? sì tutti i giorni, certo che lei mi sta a cuore, è una creatura che il Signore mi ha affidato, è vero che lo ha fatto senza che io né lei lo sapessimo, ma Lui fa così sa? non deve mica avvisarci, spetta a noi capire la strada che ci indica e la mia adesso è al suo fianco, ma tocca a lei lasciarsi guidare, avere fiducia anche per le questioni terrene, se sono un uomo di Dio? certo da più di trent’anni ma vede noi sacerdoti è la storia che ci ha costretto ad apprendere anche le vie del mondo, cosa vuol dire? ma come fa a non capire, se a noi due è stato dato di incontrarci è perché lei ha bisogno di una guida, quel suo andare in cerchio, no guardi veramente era un triangolo, non sottilizzi la prego non si affidi ad un razionalismo capzioso, quel suo camminare senza una meta, le dicevo, non era già testimonianza di confusione?
Mettiamola pure così se proprio ci tiene, ha fatto la Rachele, ma mi sembra che ci sia qualcosa che lei mi vuol dire col suo discorso lacrimoso proprio da prete, che sembra sempre che facciate le cose per forza, perché una chiamata dall’alto ve lo ordina se no vi dedichereste a dell’altro, e insomma lasci stare tutti questi giri di parole e me lo dica cosa dovrei fare nelle vie del mondo come le chiamate voi. Tornare là fuori con la foto di mio fratello? e perché mai, so che è vivo ed è già tanto, non vorrà mica farmi credere che me lo restituiranno solo perché batto il marciapiede, non usi questo linguaggio nella casa del Signore e solo mi ascolti per un attimo, non sia presuntuosa e stia a sentire chi ha più esperienza di lei, se solo uscendo allo scoperto per pochi minuti ha già ottenuto di sapere che suo fratello è vivo perché non continuare, ma con più audacia, non solo la foto esibisca del suo caro, aggiunga un messaggio esplicito, dica che lo vuole libero subito e lo scriva che chi lo tiene prigioniero deve stare in quel palazzo là, ha detto il canonico un po’ agitato adesso col dito puntato verso la sede del governo, ma era una cosa di immaginazione perché in quella cella non c’erano finestre e così sembrava che l’indice dell’uomo di Dio ce l’avesse con la Madonna dell’Assunta. Lo ha guardato dal basso all’alto la Rachele e se proprio ne è così sicuro io posso anche provarci, ma solo per un paio di sere e senza impegno gli ha detto, perché non è che ci creda molto sa a quello che lei mi propone, e non capisco nemmeno poi perché questa storia sia tanto importante per lei, si va bene ho capito che la sua missione le impone di camminare a fianco degli oppressi però guardi io ora devo andare al Policlinico, no sto benissimo non si preoccupi solo che faccio l’infermiera e fra un po’ inizia il mio turno e anche quello è un dovere sa, non sarà importante come il suo ma ha i suoi obblighi, l’orologio, il cartellino, l’uniforme, comunque le farò sapere la mia decisione fra qualche giorno, anzi non c’è nemmeno bisogno che la chiami se mi vede in piazza vuol dire che avrò seguito suoi consigli se no sarà il contrario.
Si guardò bene naturalmente la Rachele dal mettere in pratica i suggerimenti del canonico che glielo avevano mandato tra i piedi apposta appena si era arrischiata a uscire fuori dal gregge, altro che le imperscrutabili vie del Signore, gliel’avevano detto che era vivo questo sì, ma intanto non c’era modo di sapere se la notizia era vera e poi è chiaro che quel prete ha giocato sporco, prima si è fatto bello dell’informazione segretissima che la sapevano solo lui e la divina provvidenza e poi ha cercato di montarmi addosso, per modo di dire anche se con quelli lì non si sa mai, e fare il boss, ma chissà poi perché vogliono che torni sulla piazza e che lo dica chiaro che è il Governo che l’ha preso mio fratello, che lo sappiamo tutti da quando è cominciata questa storia chi è che li ha fatti sparire e se li è tenuti per un bel po’ prima di mollarli, anche se uno di loro manca ancora e se solo capissi perché è proprio Ismaele, un altro nome d’arte devo aggiungere io che scrivo questa storia, uno che non glien’è importato mai nient’altro che di farsi qualche canna, vedere la partita con gli amici, mettersi i soldi da parte per le vacanze e d’estate andarsene a Ibiza o Mykonos, insomma in quei posti là dove si rifaceva la vista dopo un anno di rifiuti tossici. Ma proprio perché vogliono che io mi esibisca con foto, nome, cognome e indignata denuncia dei responsabili, allora è meglio tapparsi in casa e uscire solo per andare in ospedale e al supermercato, per il resto internet e TV, ho da vedere tutta la serie della Nouvelle Vague cominciamo dai 400 colpi quando sarò a metà di Truffaut vedrai che il canonico mi manda un sms, vie signore infinite venga ke parliamo.
È successo due giorni dopo quando ha finito di vedere Jules et Jim che si erano già fatte le sette e ha pensato bene di dare un’occhiata al telegiornale intanto che si preparava un’insalata. Era la prima notizia della serata, subito un campo lungo sulla piazza principale di Centralia poi la ripresa ravvicinata di un capannello di gente, un nucleo, ma vorticoso, di individui che si spingevano roteavano sembravano sul punto di fare a cazzotti poi la telecamera si avvicinava ancora di più e allora si vedeva che quella specie di polipo non era fatto di tentacoli ma di braccia tese verso un punto centrale che doveva essere importantissimo perché le mani dove quelle braccia terminavano stringevano microfoni, registratorini, cellulari, videocamere, iPhones, tutti puntati verso un’indistinta figura che ora di colpo appariva nitida perché la piovra lasciava all’improvviso la presa per permettere a quelli del telegiornale di farsi avanti e inquadrarla in primo piano quella donna sulla trentina vestita esattamente come lei una settimana prima, ballerine, jeans, felpa blu di UCLA e un cartello da uomo-sandwich al collo con su una foto di Ismaele ad Ibiza, ora chiarissima per via della zumata che permetteva anche di leggere una scritta in stampatello, deve aver usato un pennarello ha pensato, liberate Ismaele da quasi due anni nelle mani del governo, poi la ripresa si allontanava bruscamente e tornava al campo lungo della piazza con la voice over del giornalista che ripeteva praticamente parola per parola la storia che lei aveva raccontato al Canonico, sì diceva proprio così, che quella donna lì Rachele XX, cioè io si è detta la vera Rachele quella che aveva appena visto Jules et Jim e non stava in piazza ma a casa sua, reclamava la libertà di Ismaele sequestrato com’è noto quasi due anni fa da agenti del governo.
Ci è rimasta proprio di sale la Rachele a fissare la foto del fratello che non avrebbe rivisto mai più, perché adesso lo capiva che tutta quella specie di gioco a rapire e liberare serviva a inchiodargli ad ognuno in testa chi è che era il più forte e quanto lo era, e che alla fine c’era bisogno di qualcuno che facesse praticamente come da ostaggio, sì uno che se lo tenevano solo per ricordare, ma allora non era più un’operazione segreta che guai a parlarne anzi diventava una cosa sfacciata che bisognava farla vedere in televisione con nome e cognome, per ricordare a tutti quanti, dicevo, che quello ch’era accaduto una volta sarebbe successo ancora.
La prima parte del racconto è stata pubblicata il giorno 23 gennaio 2023