di Francisco Soriano
È da qualche anno che sosteniamo, con assoluta convinzione, che la prospettiva di un cambiamento strutturale del sistema politico e sociale in Iran possa avvenire solo grazie all’intransigenza legittima delle donne iraniane. Sulla natura e l’origine della protesta molto si è discusso e, nella concordia generale, si è accertato che la crisi economica, gli afflati di libertà della giovane società iraniana, la repulsione verso la corruzione e la costante mancanza di etica nelle relazioni fra classe dirigente e popolazione, sono alla base del conflitto in atto con i risultati visibili e riscontrabili su ogni mezzo di comunicazione. Il contratto sociale non solo è in discussione, ma è completamente logoro e senza prospettiva. La comunicazione fra generazioni è irrimediabilmente interrotta. La crisi sociale, economica e istituzionale ha risvegliato antiche velleità separatiste di varie etnie, soprattutto nel sud del Paese con sommosse violentissime nella città di Zahedan.
Poco o nulla, invece, si è discusso sulla mancanza di un vero riferimento in termini di guida politica fra gli antagonisti al regime che sia in grado di dirigere, veicolare o indirizzare con progetti di cambiamento e modalità di protesta i giovani iraniani, protesi al cambiamento radicale del regime. Su questa dinamica apparentemente senza risposta o dettata da una irrazionale ondata di rivolte, bisognerà soffermarsi, constatando una serie di cause abbastanza chiare da decifrare.
Nel Paese le voci dissenzienti, gli oppositori che mostrano una certa pericolosità in termini di opposizione strutturata, intellettuali e giornalisti, altri esponenti della società civile che si mostrano poco inclini al rispetto dell’ordine sciita duodecimano, vengono incarcerati, torturati e spesso anche cancellati fisicamente, senza la possibilità che possano formare un blocco, seppur embrionale, di opposizione politica. Questa strategia propinata con estrema violenza viene materializzata capillarmente in ogni settore della società iraniana, con un sistema di spionaggio efficiente e collaudato. A questo si aggiunge la frammentazione del quadro politico ufficiale, quello composto da chi, tra riformisti e conservatori, si scontra dialetticamente e quotidianamente senza raggiungere alcun risultato in termini di reale cambiamento. Nelle rivolte del 2009, denominate “Moje Sabz”, dopo l’elezione di Mahmood Ahmadinejad a discapito del riformista Mohammad Khatami, la deriva di un propagarsi della violenza, ormai copiosa nelle strade delle maggiori città, costrinse quest’ultimo a dichiarare che i rivoltosi avrebbero dovuto ritirarsi nelle proprie abitazioni perché il cambiamento era possibile soltanto nella “cornice delle regole islamico-sciite stabilite dopo la vittoriosa rivoluzione islamica attuata da Ruhollah Khomeini”. La reazione delle forze di sicurezza, con alla testa i famigerati bastonatori fascio-islamici basseji, non si fece attendere, con più veemenza e orrore: restano famose le ultime tragiche ore di alcuni studenti di ingegneria, a Teheran, asserragliati nella loro università e, una volta raggiunti, gettati dai tetti dell’ateneo legati e bendati senza possibilità di difendersi.
Il disincanto provocato da questi accadimenti e, soprattutto, l’incapacità dei riformisti di porre basi serie alle richieste della popolazione, soprattutto femminile, hanno creato un disincanto senza precedenti, sedimentatosi nel tempo e ampiamente radicatosi in tutta la società iraniana. Rimane una base forte di consenso al regime, molto consistente, che rende l’operazione di sollevamento popolare molto problematica e incerta. Il consenso non è certo quello dei tempi della guerra contro l’Iraq che fu, al contrario, elemento catalizzatore. Neppure è servita la capillare propaganda e i lavaggi di cervello dalle scuole dell’infanzia, fino alla fine di tutti gli ordini di scuola, con investimenti ragguardevoli e importanti che farebbero impallidire i funzionari nostrani del ministero della pubblica istruzione. Inoltre, molti sono a busta paga dello Stato come delatori, spie, personaggi di dubbia moralità e faccendieri che, disseminati e irriconoscibili fra la popolazione, compiono atti di vero disgusto morale denunciando anche persone legate a loro da vincoli familiari. Pochi pongono l’accento sull’organizzazione sociale di interi quartieri delle città iraniane, inclusa la metropoli Teheran, dove i più bisognosi vengono sostenuti da un sistema di regalie e donazioni direttamente distribuite dalle moschee, ricordate come “rohane va berenj”, cioè la consegna di riso e olio solido per sostenersi almeno nei bisogni alimentari più basici. Il consenso è fortemente sostenuto da intere famiglie pienamente integrate nel sistema di sicurezza del Paese che, oltre alle forze armate, vanta il corpo d’élite dei pasdaran, i guardiani della rivoluzione e, ancor più pericolosamente soprattutto per chi dissente dai basseji, reclutati dalle periferie e dalle zone subalterne dei grossi centri urbani, per la maggioranza estremisti senza alcun timore di bastonare, torturare, sequestrare e uccidere le persone. Questi ultimi hanno accesso privilegiato in uffici e università, nei raduni e nelle manifestazioni a sostegno delle politiche di regime. Sulle motociclette o ammucchiati su camion vengono distribuiti nei centri nevralgici delle città con la licenza di uccidere, completamente tutelati e al di fuori del diritto.
“Donna, vita, libertà” è lo slogan scelto dopo l’uccisione di Mahsa Amini, una giovane ragazza in gita a Teheran, ritrovatasi fra le grinfie delle agenti di una delle tante squadracce di torturatrici e torturatori distribuiti a controllare il perseguimento dei costumi e della moralità delle persone. Dunque, la questione è sembrata nascere dal velo-hijab che le donne sono costrette a indossare dopo gli editti dell’ayatollah Khomeini, proteso a una ossessiva persecuzione nei confronti delle donne. Oltre all’applicazione della sharia, le donne sono costrette a subire materialmente condizioni di inferiorità decretate dal codice civile, penale e quello riguardante la famiglia.
La reazione delle donne a questo sistema patriarcale-fascio-islamico ha dell’incredibile, perché sostenere che siano semplicemente eroiche non rende il senso dello sforzo sostenuto. Quote azzurre sono state decretate per consentire, anche a un numero di studenti di sesso maschile, l’iscrizione nelle università, perché altrimenti la schiacciante maggioranza delle donne vincitrici di concorso per l’accesso avrebbe completamente soppiantato una intera generazione di maschi nelle cariche pubbliche e dirigenziali. Le donne sacrificano se stesse e rendono questo Paese più competitivo nonostante le enormi difficoltà progettate nei loro confronti. Con la rivoluzione islamica, a differenza della vergognosa politica pedagogica del periodo dello shah, l’alfabetizzazione ha raggiunto vette che toccano il 98% dell’intera popolazione su tutto il territorio. Una strategia esemplare che era certo diretta a tutta la popolazione, al fine di sostenere culturalmente e scientificamente la rivoluzione khomeinista, sotto l’egida di una pedagogia rivoluzionaria che evidentemente non attecchisce più neanche tra i figli di coloro i quali, la rivoluzione islamica, la fecero per davvero. Su 86 milioni di abitanti, il 51% ha meno di trent’anni: questo è un punto su cui ci sono pochi margini di ragionamento. A differenza delle altre rivolte, precedenti a questa, sono state coinvolte le classi rurali e gli operai delle grandi imprese del settore energetico.
L’elezione di Ebrahim Raissi conosciuto alla comunità internazionale per aver ordinato, a capo di una commissione giudicante durante la rivoluzione del 1979, l’uccisione-esecuzione di circa 30.000 persone, ha aggravato la situazione economica in quanto incapace di gestire situazioni complesse dal punto di vista finanziario abbastanza difficili da risolvere. Le autorità hanno fortificato la loro condizione di privilegio attraverso la “fessad”, la corruzione in tutti i settori economici attraverso le “reshveh”, le bustarelle che accomodano i vari interessi in un Paese ricchissimo, dove i due terzi del PIL dipendono da organizzazioni e uffici pubblici. Un’appropriazione indebita di tre miliardi di dollari ha interessato la Mobarakeh Steel Company, fra le più grandi acciaierie del vicino oriente, con la sospensione del titolo in borsa. Uno scandalo senza precedenti che non ha sortito giustizia e reintegro delle ruberie. Le sanzioni criminali degli USA hanno colpito in modo specifico solo la popolazione che, ormai, vive in uno stato di perenne stress, non potendo procacciarsi in molti casi neppure il minimo sostentamento. Le persecuzioni contro attrici, cineaste e protagoniste nei centri di cultura hanno portato all’esasperazione le persone, in un campo dove gli iraniani sentono questa grave intrusione come una vera e propria espropriazione.
Il punto controverso fra studiosi e addetti ai lavori è definire la natura delle proteste che si stanno compiendo in Iran da più di tre mesi. Anche se tecnicamente non si può parlare di rivoluzione, questo movimento nato come protesta di genere ha una forte carica psicologica, che in altri casi ed epoche storiche non ha mai avuto. Non solo la dilatazione del tempo nelle proteste caratterizza questo movimento più degli altri in passate rivolte, ma anche la radicale richiesta di cambiare dalla base il sistema khomeinista fa saltare definitivamente il banco: a partire dal “velayati faghi”, il diritto di veto su tutti gli atti di qualsiasi genere da parte della guida suprema. La richiesta è il superamento assoluto del regime islamico che si è dimostrato monolitico nel difendere i propri interessi e sfruttare le risorse del Paese ai propri fini e secondo i propri interessi personali. Neanche questo punto sembra essere più discutibile e così rimarrà fino a quando gli ayatollah non saranno messi in condizione di andarsene.
La “democrazia” iraniana sbandierata come una originalità nell’intera area geografica, nonostante i diversi e complessi “punti di vista” degli interpreti istituzionali, è rimasta monoliticamente legata alla propria idea misogina, autoritaria e violenta nella gestione del potere. È su questo punto che molti analisti nostrani hanno mostrato limiti di comprensione, chiedendo un cambio di regime più dilatato nel tempo e senza spargimenti di sangue. È quello che tutti avrebbero voluto, ma risulta essere non percorribile. Questo non è avvenuto in passato e non avverrà in futuro, perché alla base del sistema istituzionale iraniano nato dalla rivoluzione, vi è riconoscimento solo e sempre della autorità strutturata in forma piramidale e teocratica: non è possibile tollerare dialettica e dissenso democratico all’interno della cornice islamico duodecimana. Sarebbe una contraddizione per gli iraniani impossibile da concepire e rimane, per la moltitudine che vive in occidente evidentemente poco comprensibile. Quante vite verranno spezzate è semplice prevederlo. Fino a quando la protesta non si amplierà e il terremoto politico avverrà con veemenza maggiore, gli ayatollah continueranno a reprimere perché l’intolleranza è nel loro verbo e la condivisione delle idee dissenzienti è al di fuori della loro comprensibilità. Bisogna pertanto prestare il doveroso, legittimo e civile sostegno alle donne e ai giovani antagonisti iraniani.
Nella Bastiglia-Evin continuano le torture. Le uccisioni, gli stupri, gli orrori di un mondo che sembrava essere stato superato. Tutto questo succede in un Paese dove l’elaborazione culturale, in termini letterari, filosofici, scientifici, è stata all’avanguardia da millenni. Il movimento “Donna, vita, libertà” è un movimento acefalo. Le giovani e i giovani iraniani lo vogliono così. Senza capi o guide che potrebbero tradirli, ancora una volta. Il disincanto li ha forgiati, maturati, resi consapevoli. Bisognerà capire (ancora una volta non si comprende questo straordinario Paese), che questa volta il blocco antagonista vincerà questa sfida immane, con forze in campo assolutamente preponderanti dalla parte degli oppressori. È questione di tempo.
Questa volta il movimento di lotta ha le sue guide in ogni donna e uomo che protesta senza preoccuparsi della propria vita. Questa volta si è compreso che la libertà è una caratteristica insita in ogni persona, nel DNA in ogni individuo che, come monadi, si muovono singolarmente e, allo stesso momento insieme. Per questo si spiega l’orrore di una repressione senza eguali, vergognosa e ormai non più cancellabile. Lo Stato iraniano ha fatto ricorso a ogni forma di violenza disumana che varrà l’incriminazione alle corti che tutelano i diritti delle persone a livello internazionale: ha sparato alla testa giovani inermi, ha stuprato, ha torturato spezzando gli arti ai rivoltosi pacifici, ha avvelenato e gettato dai tetti giovani donne fingendone il suicidio, ha attuato ogni genere di violenza distruggendo autovetture, proprietà e beni in modo indiscriminato per incutere paura.
Le giovani iraniane non hanno più paura perché nel nome della loro storia millenaria di donne e di persone dignitose hanno smascherato il mostro, quell’angelo del male che le uccide in nome di dio.