di Armando Lancellotti
Lorenzo Benadusi, Vincenzo Lagioia, a cura di, In segreto. Crimini sessuali e clero tra età moderna e contemporanea, Mimesis, Milano-Udine, 2022, pp. 226, € 22,00
Dei cinque capitoli in cui si articola questo volume recentemente pubblicato da Mimesis Edizioni – due, insieme all’Introduzione, scritti dai curatori del libro Lorenzo Benadusi e Vincenzo Lagioia e gli altri tre da Tommaso Scaramella, Vincenzo Lavenia e Marco Marzano – i primi quattro analizzano e studiano la questione degli abusi su minori e della pedofilia all’interno della Chiesa da un punto di vista storico, mentre il quinto segue l’approccio delle scienze sociali ad un problema che, negli ultimi vent’anni circa, a partire cioè dal caso Spotlight in poi e attraverso altre inchieste giornalistiche e vari casi giudiziari, ha calamitato l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, esplodendo in tutta la sua gravità criminale e morale ed investendo in pieno una Chiesa ancora troppo restia ad aprirsi ad un serio ed approfondito confronto pubblico su questa piaga che attraversa la sua millenaria storia.
L’approccio sociologico a questo fenomeno – scrive Marco Marzano nell’ultimo capitolo – è reso difficile da alcuni fattori, in particolare dalla scarsa disponibilità di dati e materiali su cui esercitare l’analisi. Se, infatti, gli psicologi e gli psichiatri si avvalgono dei casi clinici da loro seguiti e gli storici delle carte dei tribunali (civili o ecclesiastici) del passato, delle cronache e, per l’epoca più recente, delle fonti di stampa, i sociologi, che tentino di comprendere se ci siano elementi strutturali dell’assetto organizzativo ed istituzionale della Chiesa e dei suoi organi di formazione che facilitino il compimento di abusi sessuali su minori da parte dei religiosi, si scontrano con la difficoltà di raccogliere in misura congrua dati, sia quantitativi sia qualitativi, a cui si aggiungono la sostanziale indisponibilità della Chiesa ad aprirsi ad effettive forme di collaborazione e la mancata istituzione di specifiche commissioni di inchiesta nazionali, eccezion fatta per alcuni paesi, soprattutto quelli anglosassoni.
Marzano articola il suo ragionamento su tre livelli, quello quantitativo, riguardante le dimensioni del fenomeno, il numero dei preti coinvolti ecc.; quello qualitativo, che concerne le caratteristiche strutturali del mondo clericale che possono agire da fattori scatenanti del fenomeno ed infine quello che coinvolge gli atteggiamenti dei vertici della Chiesa nei confronti del fenomeno.
Dal punto di vista quantitativo, laddove inchieste accurate si sono svolte, emergono dati molto simili che pertanto si avvalorano e si verificano reciprocamente e che rilevano percentuali analoghe di sacerdoti colpevoli di abusi sul totale della popolazione clericale dei differenti paesi; ma il dato sicuramente più allarmante è quello che riguarda il confronto con le altre chiese cristiane e con altre istituzioni sociali che aggregano bambini e giovani.
«Dal confronto è emerso che l’ambiente cattolico è il più rischioso per l’integrità sessuale dei minori, in una misura più che tripla rispetto alle scuole pubbliche, ai campi estivi, ai club sportivi e a quelli nei quali si svolgono attività culturali o artistiche» (p. 197). Rilievi simili emergono dal confronto tra il comportamento del personale religioso delle varie confessioni/chiese cristiane: le commissioni di inchiesta statunitense ed australiana, per esempio, mostrano come sul totale dei casi di abusi sessuali su minori compiuti all’interno di istituzioni religiose, quasi due terzi siano avvenuti in ambienti cattolici e per di più in paesi in cui il cattolicesimo non è la regione maggioritaria.
Dati quantitativi così allarmanti confermano la necessità di un approccio qualitativo al fenomeno che sappia mettere a nudo «i fattori istituzionali e organizzativi» – della Chiesa e dei suoi organi di educazione e formazione dei chierici – «che influenzano il perpetuarsi di abusi da parte di membri del clero». (p. 202)
«L’elemento attorno a cui tutto ruota», osserva Marzano, «è costituito dal celibato obbligatorio per il clero cattolico. L’esistenza di questa norma e l’importanza che essa assume nell’intero impianto organizzativo e formativo della Chiesa assumono un’importanza gigantesca nella questione degli abusi». (p. 203) L’obbligo celibatario e la conseguente castità assoluta, imposti ai chierici, assurgono ad ideale normativo supremo a cui il seminarista deve tendere e che, frequentemente, è fonte di sensi di colpa, di frustrazione, di grave difficoltà ad affrontare la sfera della sessualità, dei desideri e degli affetti, che subiscono un processo di tabuizzazione ed un tentativo, tutt’altro che agevole ed indolore, di rimozione, che produce a sua volta effetti disfunzionali molto gravi, come la solitudine esistenziale, che isola il sacerdote, sia in seminario sia nella vita parrocchiale e che è riconosciuta come una delle cause principali della dismissione dell’abito talare.
Altra conseguenza seria e rilevante della coercizione al celibato è l’immaturità sessuale, dovuta al senso di colpa e alla segretezza con cui il seminarista prima e il prete poi vivono la sessualità, repressa, stigmatizzata e colpevolizzata dalla rigida disciplina ecclesiastica, che induce a nascondere i propri sentimenti e desideri per sottostare alla gerarchia. Insomma, osserva Marzano, molti preti abusatori di fatto «si trovano in uno stato di maturazione sessuale simile a quello delle loro vittime». (pp. 207-208)
Ulteriore ripercussione è l’anaffettività, «che nel caso degli abusi, si manifesta come incapacità di mettersi nei panni delle vittime, ovvero dei minori abusati» (p. 208), anche perché prevale nella mentalità clericale la tendenza a giudicare l’abuso sessuale come un vizio morale e un peccato, che pertanto riguardano soprattutto il soggetto stesso che li compie e non come un reato, che produce i suoi traumatizzanti effetti sulle vittime, ossia i minori abusati. «I preti trascorrono un’intera esistenza […] immersi in una “cultura del segreto” all’interno della quale tutte le cose rilevanti della vita intima, della sfera affettiva, emotiva e personale sono impossibili da rivelare in pubblico». (p. 209)
Il nascondimento e la “cultura della segretezza”, che di fatto sfociano nella connivenza, contraddistinguono anche l’atteggiamento complessivo della Chiesa nei confronti dei propri preti sospettati o accusati di abusi sessuali, il più delle volte “coperti” attraverso il ricorso allo spostamento di sede e all’allontanamento dal luogo in cui si è consumato l’abuso. Le gerarchie ecclesiastiche individuano nella protezione degli interessi della Chiesa stessa la finalità essenziale da perseguire e fino a quando è possibile si sforzano di evitare l’esplosione dello scandalo pubblico, «per poi abbandonare il sacerdote abusatore a se stesso una volta che le sue colpe non possano più essere sottratte alla vista e al giudizio dell’opinione pubblica». (p. 214)
Conclude Marzano: «Da questo punto di vista, il cambiamento di atteggiamento, che pure c’è stato passando dal “negazionista” Giovanni Paolo II a Benedetto XVI e poi a Francesco […], non è nemmeno lontanamente sufficiente per produrre un qualche cambiamento significativo della situazione, dal momento che non incide in alcun modo, al di là delle buone intenzioni, sui fattori “strutturali”» (p. 216) ed organizzativi dell’istituzione Chiesa.
I precedenti quattro capitoli affrontano l’argomento dei crimini sessuali del clero da una prospettiva differente, quella storica: un approccio tanto interessante quanto necessario, perché consente di inquadrare il fenomeno nella cornice più vasta delle sue costanti e delle sue varianti attraverso i secoli e che richiede la messa a punto e la definizione di alcuni concetti, termini e strumenti interpretativi indispensabili, senza i quali si rischierebbe di appiattire la prospettiva storica sul presente e di non comprendere adeguatamente l’oggetto di studio. Se ci si riferisce al passato, dall’età medievale fino a quella moderna e per tutta la durata dell’antico regime, non si può trascurare o dimenticare la compresenza negli Stati europei di una pluralità di fori chiamati a giudicare gli atti degli uomini: oltre al foro “interno” della coscienza, di pertinenza del confessore e della guida spirituale, quelli “esterni”, articolati nel foro ecclesiastico e nel foro civile, il primo relativo al corpus iuris canonici ed il secondo al corpus iuris civilis, a cui si deve aggiungere il riconoscimento ai chierici, dai primi secoli dell’era cristiana in poi, del privilegium fori, che li sottrae dalla competenza dei tribunali civili.
Lo studio da un punto di vista storico degli abusi sessuali su minori, non solo quelli del clero, deve tener conto inoltre dei modi differenti in cui l’infanzia viene concepita e trattata dagli adulti nel corso dei secoli e lo stesso dicasi sia della percezione sociale dell’atto violento che ha come vittima un bambino, sia delle variabili modalità di calcolo e definizione delle età e dei passaggi dall’una alle altre (infanzia, puerizia, adolescenza), calcolo che incide sulla considerazione della gravità del reato e sul fatto che nell’età medievale e moderna l’abuso su un minore non assuma gli stessi significati che più tardi e oggi si attribuiscono alla pedofilia. Per molti secoli, inoltre, rimangono incerti i confini tra il peccato, di pertinenza della sfera religiosa e il reato, di pertinenza della sfera giuridica e laica. Al peccato consegue la penitenza, per espiare una macchia morale che può e deve essere ripulita; mentre al reato deve conseguire la pena, intesa in senso laico, come riparazione del danno, come monito e deterrente.
Determinante per la comprensione storica del fenomeno è anche la questione terminologica, come fanno notare Vincenzo Lagioia e Tommaso Scaramella nel primo e nel secondo capitolo, in cui considerano casi di abuso sessuale su minori compiuti da religiosi in Italia tra Seicento e Settecento. Il crimine nelle carte degli archivi ecclesiastici e civili è solitamente rubricato come stuprum pueri seu sodomia ed è colpito sia dal diritto canonico sia da quello civile e questo fa sì che talvolta, pur vigendo ancora il privilegio del foro ecclesiastico, il caso di abuso compiuto da un chierico coinvolga anche il foro secolare. In sostanza, nelle carte del passato e per molto tempo si sovrappongono e si confondono pederastia, sodomia e stuprum cum puero, con l’effetto di ingenerare e corroborare preconcetti in parte ancora oggi diffusi.
Dalla giurisprudenza e dalla criminologia dei secoli dell’età moderna, riflette Scaramella, l’abuso sessuale (in cui l’uomo è solitamente considerato il soggetto attivo) veniva poi classificato come stuprum cum virgine, cum vidua (se riguardava soggetti femminili, bambine, donne adulte nubili, vedove o monache) o stuprum cum puero, se compiuto su maschi minori; in questo caso lo stupro poteva essere associato o considerato prossimo alla sodomia, in generale stigmatizzata come vitium nefandum et super omnia detestandum. Era allora fondamentale determinare in modo preciso l’età del soggetto abusato e la sua eventuale imputabilità, visto che per la sodomia, anche se forzata e violenta, il soggetto che la subiva era considerato egualmente perseguibile, colpevole e punibile. La pena capitale quindi (nel caso per esempio della Serenissima Repubblica di Venezia) colpiva entrambi ed unico discrimine, che poteva attenuare la pena per il soggetto passivo, era appunto l’età.
Lagioia esamina carte processuali e documenti relativi ad alcuni casi del XVII secolo: il contesto è quello di monasteri, abazie, collegi e spesso i minori abusati sono poveri e di umili origini, lusingati ed attratti dalla promessa di regali e di cibo. In fase processuale si presta molta attenzione all’accertamento dell’età del minore, alla verifica attraverso l’ispezione di medici e chirurghi degli effetti della violenza subita, alla avvenuta o solo tentata penetrazione, alla effusione del seme; gli accusati si appellano al privilegium fori e questo quasi sempre li salva dalle conseguenze peggiori e consente loro di cavarsela con un trasferimento di diocesi o di convento.
Il quadro comincia a cambiare radicalmente rispetto al Medioevo e ai primi secoli della modernità in seguito ai processi di secolarizzazione della società e della mentalità che prendono il via a metà Settecento grazie alla filosofia dei Lumi e che con la rivoluzione francese e con l’età napoleonica raggiungono il loro culmine. Il giurisdizionalismo aspira alla rimozione dei privilegi ecclesiastici, ormai percepiti come anacronistici; il rafforzamento degli stati secolari mette in discussione l’autorità della Chiesa, così come la diffusione del pensiero illuministico, che di essa fa il bersaglio preferito dei propri strali polemici contro oscurantismo e dogmatismo; l’inurbamento crescente della popolazione indebolisce la capacità di presa della Chiesa sulle masse; la carriera ecclesiastica diviene molto meno attrattiva rispetto al passato per i ceti medio alti della società. Grandi dinastie cattoliche come gli Asburgo e i Borbone intraprendono politiche giurisdizionalistiche e smantellano gli organi (come il tribunale dell’Inquisizione) attraverso i quali la Chiesa per secoli aveva esercitato il potere e difeso i propri privilegi giudiziari, come quello del foro ecclesiastico; gli ordini contemplativi vengono osservati negativamente, accusati di essere parassitari e la potente Compagnia del Gesù è fatta oggetto di così tante critiche che il papato ordina il suo momentaneo scioglimento in quasi tutta l’Europa. A questa onda crescente di laicismo e secolarizzazione, la Chiesa risponde arroccandosi su una posizione di chiusura, difesa ad oltranza della tradizione e di denuncia reazionaria della modernità.
La svolta è veramente epocale, in quanto «il diritto canonico finì sempre più per coincidere col diritto ecclesiastico (ovvero con una serie di norme destinate a disciplinare soltanto il clero), mentre si chiudevano circa otto secoli di storia della giustizia nel mondo occidentale e, dopo il Cinquecento, in quello cattolico soltanto, epoca durante la quale il foro ecclesiastico e il foro secolare avevano concorso, talvolta confliggendo, nel sorvegliare e nel punire i fedeli-sudditi. Il crimine e il peccato furono separati da ordinamenti giudiziari e di polizia fondati ormai su chiari codici e norme secolari che occuparono anche il campo dei reati di opinione e contro la moralità comune. Tra questi, la sodomia e gli abusi sessuali commessi dal clero a danno di adulti e di minori, che potevano sì essere sanzionati da ciò che restava del foro ecclesiastico […], ma con effetti disciplinari ben distinti dal castigo inflitto dai tribunali dello Stato». (p. 93) Ma se da un lato il diritto e la società vanno incontro a profondi processi di cambiamento e modernizzazione, dall’altro la Chiesa si mostra ostinatamente decisa a difendere il proprio tradizionale privilegio, evitando di denunciare alle autorità secolari i chierici che si macchino di reati sessuali e limitandosi a colpirli con procedimenti disciplinari interni, ancora, come in passato, sottesi dalla logica dell’espiazione penitenziale del peccato e del recupero del peccatore.
Un’altra svolta storica fondamentale è quella rappresentata dal positivismo e dallo scientismo ottocenteschi, che fanno sì che all’attenzione per il peccato, per il vizio morale e per la loro espiazione penitenziale si sostituiscano definitivamente l’attenzione per la patologia criminale e la cura; è il passaggio alla medicalizzazione del crimine e di quelli sessuali in particolare ed in questo contesto viene coniato il termine pedofilia che entra nel novero delle forme di alienazione mentale. La psicanalisi e il riconoscimento dell’esistenza della sessualità infantile arricchiscono e complicano ulteriormente il quadro entro il quale devono essere ora ricondotti gli abusi su minori compiuti dal clero.
Il tutto si riflette poi sul piano politico, in una società (per esempio quella francese di cui principalmente parla Vincenzo Lavenia nel terzo capitolo) che si polarizza tra una sinistra radicale, progressista, laica, socialista e una destra reazionaria, ultracattolica, antirivoluzionaria, legittimista e antisemita. Gli atti di violenza sessuale compiuti dal clero, sempre più spesso considerati e amplificati da una stampa che tende a trattare l’argomento secondo modalità scandalistiche, diventano oggetto di uno scontro politico aspro tra le forze politiche radicali, che denunciano l’inclinazione alla perversione del clero cattolico e quelle reazionarie, che gridano al complotto contro la religione di massoni ed ebrei. Clericalismo e anticlericalismo sono al tempo stesso atteggiamenti, modi di pensare e anche orientamenti politici. È lo “schema Dreyfus” che si ripete secondo le medesime dinamiche.
Anche in Italia la questione degli abusi sessuali e della pedofilia del clero produce fenomeni di reazione sociale, politica e mediatica simili, tra fine Ottocento, inizio Novecento e in età giolittiana, come spiega Lorenzo Benadusi nel quarto capitolo, in concomitanza e come conseguenza della nascita della società di massa, dello sviluppo di una mentalità puerocentrica e della diffusione del giornalismo, che sfociano nella antitetica ed aspra contrapposizione tra anticlericali e clericali, in uno Stato che vive la contraddizione paradossale di essere, per la quasi totalità della sua popolazione, cattolico praticante, ma non riconosciuto dalla Santa Sede, che con Pio IX, Leone XIII e Pio X adotta e mantiene a lungo misure ostruzionistiche antirisorgimentali ed antiunitarie, di cui il non expedit di papa Mastai Ferretti è l’esempio più eclatante.
I casi, che vengono alla luce e che si susseguono sempre più numerosi e più gravi nel corso degli anni, producono indignazione diffusa e scandalo via via crescenti, perché «il pericolo viene da chi esercita la funzione di educatore, maestro e guida spirituale» (p. 134) e perché spesso l’adescatore fa leva sul fattore economico, ricompensando materialmente le proprie vittime ed inducendole a tacere insieme ai loro familiari.
Le conseguenze dell’esplosione dello scandalo si producono e si declinano su vari piani e livelli: su quello mediatico, la stampa dà ampio risalto ai diversi casi e cavalca il clamore da essi provocato presso l’opinione pubblica, ricorrendo sbrigativamente alla tecnica della creazione del mostro da sbattere in prima pagina, tralasciando le più elementari regole garantiste e non preoccupandosi nemmeno della tutela delle vittime, spesso condannate alla gogna mediatica tanto quanto i loro predatori. Alla stampa militante anticlericale, che spesso sconfina nella volgarità becera, risponde quella militante clericale, che ricorre al cliché del complotto, immancabilmente ordito da massoni, ebrei, socialisti, paesi stranieri, ecc. Dal punto di vista delle reazioni collettive e sociali, nei casi più gravi, come a La Spezia, in seguito allo scandalo di Varazze che provoca il coinvolgimento e la reazione dell’intera regione, si arriva all’assalto ai luoghi di culto, con danneggiamento di quadri e arredi, alle sassaiole e alle aggressioni contro frati e preti, a cui le autorità rispondono con la repressione violenta dei carabinieri, che sparano sulla folla, ferendo numerosi dimostranti ed uccidendone uno. Seguono, da un lato, la proclamazione dello sciopero generale in città e, dall’altro, quella dello stato d’assedio.
Evidentemente dal piano giudiziario e della cronaca si è passati a quello politico con il posizionamento sulle rispettive barricate del fronte laicista ed anticlericale delle forze politiche di sinistra, radicali e socialiste e di quello clericale, di destra, ultracattolico, reazionario e antisocialista. La classe politica liberale e Giolitti si trovano tra due fuochi, accusati dall’una e dall’altra parte di opportunismo trasformistico che porta il governo ora a sposare le battaglie laiche dell’anticlericalismo contro gli interessi della Chiesa, ora ad assecondare le pretese del Vaticano per scopi ed interessi elettorali, come nel caso dell’accordo Bonomi-Tittoni, in vista della sospensione in alcuni collegi elettorali e in funzione antisocialista del non expedit per le elezioni del 1904
Per concludere, questo curato da Benadusi e Lagioia è un volume di grande interesse e utilità, che da un’angolazione prevalentemente storica getta uno sguardo su un campo di ricerca che sicuramente in futuro dovrà conoscere ulteriori analisi, approfondimenti ed interpretazioni.