di Mauro Baldrati
Da bambino ricordo che mio padre teneva sempre sul comodino la rivista Selezione Dal reader’s Digest. Incuriosito, la sfogliavo, perché conteneva un sacco di testi, con foto e disegni. Mi stupiva che mio padre si interessasse di un tale numero di argomenti, per me misteriosi e inarrivabili.
C’erano anche dei racconti. Molti racconti. Una tipologia mi attraeva particolarmente. Anzi, mi impressionava. Erano racconti firmati sempre dallo stesso autore, illustrati con immagini “forti”, che mi facevano strabuzzare gli occhi: donne semivestite, con le gonne strappate, in pose drammatiche o sensuali, abbinate a mani maschili che impugnavano pistole o coltelli. Oppure uomini di spalle, coi cappelli americani, minacciosi, equivoci. C’era un che di violento, di proibito, di peccaminoso. Come avrei potuto dimenticare il nome dell’autore, la griffe che tanto mi scombussolava? Mickey Spillane.
Mickey Spillane: per anni vederlo scritto mi ha evocato quelle emozioni, quel senso di eccitazione perversa. Proprio come la madeleine del Temps Retrouvé, una delle scoperte letterarie più importanti degli ultimi secoli: la capacità di evocare, attraverso i segni, non la nostalgia o il ricordo, ma il tempo segmentato, cristallizzato, il tempo rovinato, e renderlo di nuovo attuale.
Mickey Spillane: ma chi era? Doveva essere uno massiccio, uno che spaccava. Doveva avere scritto cose turche, cose proibitissime. Cose letali.
Poi, quando iniziai a interessarmi di thriller, di noir, e lessi Hammett, e Chandler, qualcuno (forse proprio Raymond Chandler) mi rivelò che Mickey Spillane rappresentava una pessima letteratura hard boyled americana, la peggiore. Scriveva “fumetti”, non romanzi (cosa che effettivamente ha fatto), e ci metteva dentro violenza, ma non romanzesca, puro odio. Scrittura scorretta insomma, scarica di emozioni deteriori solo per compiacere gli istinti bassi dei lettori.
Così, cestinai la fantasia turbolenta di Mickey Spillane, lo scrittore peccaminoso e violento, e passai ad altro. Finché un paio di mesi fa, mentre facevo la fila nella sala d’aspetto di un patronato sindacale, andai a curiosare nella bibliotechina gratuita che da qualche tempo molti enti tengono nelle loro sedi, per il libero scambio. E notai un vecchissimo volume col dorso mezzo strappato, con una canna di pistola che sbucava da una superficie grigia, come un fallo metallico col mirino. Era proprio lui. Mickey Spillane. Quello vietato. Quello cattivo. I Gialli celebri, Club degli Editori, 1974, 2.000 £. La madeleine lanciò un paio di scariche. Perché no? Ero anche senza letture in quel momento. Così lo chiesi in prestito (che poi non li prestano, li regalano), e una volta a casa, con qualche esitazione, mi decisi a scoprire chi era questo Mickey Spillane, un mistero sepolto nella psiche inconscia e nei ricordi.
La prefazione, di Alberto Tedeschi, fugò in un attimo ogni dubbio. Scrittore ultracommerciale, come dichiarato apertamente, sbruffonescamente proprio da lui stesso: “Io sono uno scrittore, e non un autore; uno scrittore è come un fabbricante, un costruttore, è un uomo d’affari. Scrivo solo ciò che si vende; se la gente comperasse quello che scrive Thomas Wolfe, bé, state certi che io scriverei come Thomas Wolfe (…) Il posto dove preferisco vedere il mio nome è un assegno e non un libro”.
Anticomunista viscerale, mccarthysta convinto, collaboratore dell’FBI, fautore della guerra fredda, era pure un testimone di Geova, tanto per non farsi mancare nulla. E’ stato uno degli autori hard boyled del principio, ma che differenza con Dashiell Hammett, comunista iscritto al partito che finì in carcere, mentre Spillane vendeva milioni di libri e faceva la bella vita.
E subito sorge il dilemma: è possibile leggere le avventure di un personaggio – l’investigatore privato Mike Hammer – macho, misogino, puritano e al contempo assassino, creato da un autore che ne rispecchia le caratteristiche, in simbiosi con gli ammazza-comunisti della guerra fredda, e nonostante tutto ammirarne il talento narrativo? la risposta è: sì. Spillane è uno scrittore con una concezione abietta della letteratura, ma sa narrare. Ha tecnica, ritmo, senso del suspence e del mistero, sa calibrare bene la violenza con l’indagine, il sesso (ovviamente adeguato all’epoca), e non manca mai la sorpresa, quando rivela che tutto ciò che abbiamo letto non è come sembra, che c’è il trucco, e i buoni sono in realtà, dei fetenti, per cui non possiamo mai stare tranquilli.
Ma possiamo godercelo solo ridacchiando tra i denti, distaccandoci dalle miserie di una narrazione dove l’odio trasuda dalle pagine, e la scrittura viene svilita della sua missione, quella cioè di “elevare” il rapporto col male, ripulirlo il più possibile dal “nostro” male interno, per superarlo e combatterlo, senza negarci il divertimento.
Invece, sentite qua, da Tragica notte, il secondo romanzo della raccolta, violenza anticomunista pura: “Ho una piccola filosofia mia (la filosofia di Mike Hammer NDA), brutta come quella di coloro che combatto, se volete. Non me ne importa niente né della vita degli altri né di quella mia. Volete sentire di che filosofia si tratta? Oh, è abbastanza semplice: dare addosso ai pezzi grossi (del comunismo NDA). Oh, non arrestarli, non trattarli con la dignità del processo democratico delle corti e dei tribunali… trattarli allo stesso modo in cui loro tratterebbero voi… far loro provare il gusto niente affatto piacevole della morte improvvisa. Prenderli e spedirli là dove non si torna, e allora saranno in pochi coloro che desidereranno ancora diventare pezzi grossi. Uccidete a destra e a sinistra, uccidete, uccidete, uccidete, uccidete! Fate vedere che dopo tutto non siamo debole!”
Questa è la visione della democrazia dell’eroe di Spillane, per difendere l’America da “quei dannati comunisti che infestano la città”, quei “maledetti rossi che ricorrono a ogni trucco per mettere in ridicolo una corte, per trasformare un processo in una specie di pagliacciata”. Ricorre, ovviamente, anche alla morfologia fisica contro gli “sporchi comunisti”: sono sempre brutti, preferibilmente bassi e grassi, malvestiti, sgradevoli, che si riuniscono nei bassifondi dove “al posto degli uomini ci sono i ratti”. Sono sadici, bugiardi, torturatori, privi di anima. E’ giusto ucciderli. Ma non solo, gode nell’ucciderli. Si ferma anche sui particolari, se può gli pianta una pallottola nel ventre, per farli morire più atrocemente. Vuole gustarsi la loro morte lenta, come un piatto di alta gastronomia. Questo, tra l’altro, è anche l’asse portante del suo primo romanzo, Io ti ucciderò, 1947.
Insomma, è una sorta di Tarantino serio, un Tarantino al contrario. Là dove il regista ricorre al gioco, e alla giustizia purificatrice del bambino che punisce i cattivi, gli ingiusti, Mike Hammer è il cattivo, il reazionario. Ed è serio, ci crede, non trascende, non riscatta un bel niente, non si eleva ma si abbassa, si compiace.
Ma non è solo quello. La lettura di Tragica notte per me oggi è stata divertente, con tutti quei comunisti-ratti-freak inseguiti e sterminati dal giustiziere privato Mike Hammer, che li abbatte come birilli. Davvero Spillane non si nega nulla: è maschilista fino alla fustigazione, punisce con la cinghia la donna, il demone con la pelle bianca e la natura infingarda, tentatrice, sempre fatale, provocante (e qui ha forse introdotto uno degli stereotipi femminili – diversi dalla dark lady chandleriana e hammettiana – del quale molti scrittori di thriller moderni sono tutt’ora succubi). Mike Hammer, che fuma una lucky dopo l’altra e beve cisterne di whisky, è sempre sotto attacco, insidiato delle “femmine”. Ma lui resiste, o almeno cerca di resistere alle loro continue avances; si stacca dagli abbracci, anche se ne subisce il fascino diabolico.
In definitiva, per seguire uno degli insegnamenti del blues: bisogna studiare gli altri, ascoltarli, gettare via le scorie e, là dove è possibile, prendere ciò che c’è di buono e di utile. Spillane insegna una scrittura puramente materialista, cruda, essenziale, avvincente, portata avanti da un investigatore-fascista che sa anche essere una sagoma, single e solitario, che disapprova il sesso fuori dal matrimonio (poi però “la carne è debole”), spesso alticcio, che si nutre quasi esclusivamente di uova al prosciutto, che qua e là si considera una merda umana, uno peggiore dei suoi nemici “comunisti”, o quanto meno sullo stesso piano, ma insomma, è la sua natura. In Tragica notte è ossessionato dalla condanna morale di un severo giudice che lo accusa di essere un rifiuto della società, uno che disprezza le leggi, uno che crede di essere al di sopra dei doveri e dell’etica. Un rifiuto umano, un antisociale, un pericolo per la convivenza civile. Si rivolge continuamente a questo giudice-padre, cerca di dimostrargli che è nel giusto, che sono necessari quelli come lui, quelli che non si fermano, perché, in fondo, sono degli angeli della morte al servizio del loro paese.
E lui è Mike Hammer.
Un pazzo.
Un assassino.
Un santo.
Un Amerikano.
[Le immagini: Mickey Spillane in una classica posa da macho.
La copertina originale di Tragica notte: la donna appesa alla corda è torturata dai comunisti, sullo sfondo si intravede Mike Hammer col mitra pronto per la strage.
Mike Hammer interpretato da Stacey Keach in due serie televisive (1984-87 e 1997-98).]