Exorma, Roma 2022, pagg. 174 € 16,50
di Mauro Baldrati
Giacomo Sartori è un agronomo, quindi studioso degli innesti, una varietà vegetale che si fonde con un’altra; ed è anche specializzato in scienza del suolo, le stratificazioni, le densità e le composizioni chimiche dei terreni. Forse è un caso, o forse no, ma nei suoi testi – e soprattutto nel suo ultimo romanzo – gli innesti e le stratificazioni non solo le ha studiate all’università, ma le applica nella sua attività di scrittore. In questo libro, che in vari punti è una spietata autopsia lautreamontiana/cronemberghiana, dove i personaggi sono stesi sul tavolo operatorio con gli organi interni scoperti, troviamo uno stile in orgogliosa controtendenza con le moderne scritture che occupano gli spazi che un tempo remoto erano a disposizione della creatività e della sperimentazione. Niente struggenti incursioni nell’animismo dell’autore-artista, niente vittimismi, ma periodi lunghi, ostinati, di imprinting proustiano. Periodi che se ne fregano degli algoritmi che pretendono frasi brevi minimali, suggellate da dispotici punti che non ammettono divagazioni democratiche. E la lingua è ricca, colorata, scorre come un serpente di grossa taglia, un cromatico cobra reale, fluida, ma senza essere mai esibizionista né autoreferenziale. E questo gli permette di sfuggire alla trappola del virtuosismo, dove tutto è sterile, perché conta solo la tecnica, come la celebrity che sfila sul red carpet e si mangia coi segni mondani dell’apparenza la persona reale.
Mi è impossibile dimenticare quel mantra vieni a casa, quel salvagente lanciato alla mia incapacità di trovare un bilanciamento nella corrente dei giorni e di essere pago, quel dono inaspettato che mi ha accompagnato giorno per giorno negli anni seguenti, anni difficili, sempre più difficili, nel dolore fisico costante, con il capestro impietoso della codeina, in una guerra ormai cronica, ormai spietata, prevedibilmente imprevedibile, con battaglie feroci e fugaci tregue, talvolta dolci, tiepide di nostalgia e rimpianti, il duello tra due infelicità che si accanivano a essere ancora più derelitte, e anche riguardo alla mia anima, anch’essa in guerra con sé stessa, ma pur sempre con quella nuova sicurezza che mi seguiva, la certezza di avere almeno un riparo, un appartamento con dentro un guardiano che, nel bene o nel male, anche se le cose andavano sempre peggio, mi aspettava, che qualunque cosa fosse successa mi avrebbe atteso, non foss’altro per gridarmi recriminazioni e improperi che sono pur sempre manifestazioni di amore.
Ma Proust, oltre che nello stile, è presente anche nella trama fitta della ragnatela, soprattutto in uno dei componenti che sorreggono la gigantesca impalcatura della Recherche: la discesa agli inferi dell’amore e della sua componente strutturale: la gelosia. Questo sentimento si insinua nella coppia – e il modello base è costituito dal romanzo nel romanzo Un amore di Swann – e la devasta, come un demone, o un angelo sterminatore. Nelle Separazioni il Ragnarok è costituito da un doppio legame distruttivo e autodistruttivo, costituito da aggressioni, accuse reciproche infamanti, che sembrano cementare ancora di più una convivenza malata, un legame totalitario che pare spezzarsi di continuo per ricostituirsi immediatamente. L’ossessività è la stessa, il delirio viaggia sulla stessa semiretta.
Gli innesti, o forse l’innesto, qua e là avviene con uno scrittore unico nel suo genere, Samuel Beckett. Non sappiamo se Sartori l’ha letto, ma non è importante. Succede in vari campi, pittura, musica, un autore ne evoca un altro, senza neanche conoscerlo. Molloy è un vecchio vagabondo con movenze, riflessioni autistiche, da straniero che vaga chiedendosi dove diavolo si trova e perché, straniato ai massimi livelli. Il narratore delle Separazioni è giovane, viaggia su vari strati di giovinezza, dalla “prima morosa” alla moglie dalla quale deve separarsi; ma un suo libro precedente si intitola appunto Autismi, e ricorda fortemente un Molloy modernizzato, col quale condivide una certa anaffettività stupita, autistica appunto, ma anche un’autocoscienza minimalista e spietata, di sé, dell’altro/a, e del mondo.
Questa fusione, questa materia primordiale, cavernosa ed elegante nella sua abissale oscurità, scorre con precisione chirurgica, spaziando dalle fidanzatine, alla famiglia “anarco-fascista” del narratore, dalla cittadina bigotta-cattolica (Trento?) in cui ha vissuto, prima di emigrare altrove, sempre disaggregato, molloyzzato, all’agonia della madre, in un capitolo “struggente e disabitato”, come la voce di lei morente; dal ritratto crudo della moglie, alticcia e crudele, al Mon cœur mis à nu del narratore.
Il risultato è un’opera originale e affabulatoria, ma con dinamiche complesse, che obbligano il lettore a riflettere, mentre assiste, come uno psicanalista che è anche paziente, a una guerra terminale di coppia dove Una lascia Altro, o perlomeno lo crede, perché Altro lavora sotterraneamente per farglielo credere, per cui potrebbe essere la lasciatrice in realtà a essere lasciata.
Fisica delle separazioni è un romanzo che ci riguarda, perché è politico: forse qualcuno può obiettare che le vicende di coppia non lo sono? Che sono affari privati? Sbagliato. Quando, sempre nel tempo remoto, la rivoluzione era vissuta – o sperata – nella sua totalità, i legami interpersonali costituivano uno degli elementi portanti. Lotta Continua è on line, basta consultare qualche numero degli anni Settanta per verificare quanto fosse ritenuto importante il rapporto uomo-donna, con tutte le sue contraddizioni e fascismi sotterranei.
Di seguito pubblichiamo un estratto, aprendo il libro a caso, a pag. 99, il “quinto movimento”. Lei è la sua prima fidanzatina, “che aveva un odore lieve ma pieno, altalenante tra due apici sempre in agguato di gomma per matita e pavimento di falegnameria”.
Con lei imparavo tante cose. Io non sapevo che esistessero individui che si arrogano la signoria sull’esistenza di persone più giovani, e che questi grotteschi despoti venissero chiamati genitori. A casa mia ognuno aveva sempre fatto e faceva quello che voleva, non c’era una vera distinzione di ruoli e di generazioni. Le direttive di stampo anarco-fascista erano introiettate e scaturivano dall’intimo, non potevano certo essere imposte con le parole, o peggio ancora con le minacce e i castighi. Da noi ognuno cercava di sfangarla come meglio poteva, come succede su tutte le navi che affondano. Forse, prima di me, era stato diverso, ma adesso restavano solo ruderi con travi annerite dal fuoco, solo di rado puntate al cielo, e resti di quotidianità devastate, cumuli di macerie dove i passanti preferivano non attardarsi.
A casa sua invece tutto era ordinato e asettico, lo si capiva dalle cere specchianti del pavimento e dal bouquet sfaccettato di prodotti per le pulizie. Tutti gli oggetti erano nel contempo dimessi e vistosi, scarni e paludati, rivelavano una schizofrenica coerenza sociologica. A vegliare su questo museo della normalità c’era sua madre, che pur non essendo anziana aveva delle pantofole e un’andatura un po’ curva: era una CASALINGA. Io non sospettavo che esistesse una specie del genere, marcata dalle stigmate della detenzione a perpetuità. Questo individuo sconfitto a priori dalla vita metteva pur sempre il becco dappertutto. Il vero despota rientrava però il pomeriggio, e si trattava di un signorotto tutto nervi e muscoli, scavato e diritto, un inquieto Pasolini in versione impiegatizia, che si faceva chiamare babbo.
Tali genitori sessuofobi mi hanno accolto come un cucchiaino di sale nel loro caffè, un ciuffo di capelli nella minestrina serale: la guerra che mi facevano era totale e sporca, si avvaleva di appoggi e informatori, anche proprio nel concentrazionario ambiente liceale. Poco ci importava. Nel frattempo la vita extrascolastica ci strattonava per appartamenti provvisoriamente liberi e bar fumosi e gruppi clandestini per l’interruzione della gravidanza, e anzi spesso era proprio scontrandomi con queste primizie che mi si aprivano nuovi orizzonti che si rivelavano fondamentali. Sperimentavo le rifrattometrie dei rapporti intimi, i misteri dei sentimenti.