di Diego Leandro Genna
“La prego, non mi bastano i soldi per comprare il latte alla bambina…”
Nadira stava in piedi davanti al bancone, reggeva in braccio la figlia di appena sette mesi, il volto deformato da un’espressione mista di fatica e supplica. Era stata una bellissima ragazza, dai lineamenti gentili, ma la vita, adesso, l’aveva ridotta all’ombra appuntita di se stessa. La bimba, con i suoi occhioni scuri, fissava il volto imperturbabile del negoziante. Dal naso le scendevano due corsie di moccio indurito dalla polvere. Di tanto in tanto ruotava la testa, senza fare alcun suono.
“Se dovessimo fare la carità a tutte quante potremmo chiudere bottega. Le posso fare un prezzo di favore. Anch’io ho una famiglia da mantenere!”
Il ventilatore appeso all’angolo della parete emetteva un logoro e intermittente cigolio.
Nadira abbassò lo sguardo, le mani dell’uomo premevano la confezione di plastica trasparente contro il bancone.
“Me lo lasci, verrò a pagare tra qualche giorno. Lo giuro.”
“Non se ne parla nemmeno.”
“Me lo hanno rubato. Come faccio ad andare in giro senza?”
“Non sono affari miei.”
Nadira uscì dal negozio. Risputata dalla penombra del locale alla luce abbacinante della strada si sentì mancare. Una luce feroce, rovente. Si sistemò la bimba sul petto e prese a camminare a passo spedito. L’aria era irrespirabile. Le vie erano quasi deserte. Teneva la testa chinata, lo sguardo sui suoi piedi sporchi, in modo che l’affresco di desolazione intorno a lei passasse inosservato. Sperando che lei stessa passasse inosservata, diventando invisibile, come per miracolo.
Palazzi sventrati, caprette rachitiche, carcasse di automobili abbandonate, cumuli di macerie e rifiuti. Faceva attenzione a non calpestare escrementi o frammenti di vetro. Udì il suono di una camionetta alle spalle e affrettò il passo per raggiungere la sua baracca. Però non troppo, non doveva dare nell’occhio. Potevano essere loro.
Da alcune settimane la Polizia Religiosa setacciava le strade della città per punire le donne che andavano in giro senza il velo. Uscire a volto nudo era diventato un reato inammissibile. Si erano sentite le urla delle pene fisiche, inflitte alla luce del sole, per tutto il paese. Urla strazianti, come di animali torturati.
Nadira pensò che la sua unica salvezza sarebbe stata la bambina. La strinse ancora più forte al petto. Camminava e la paura le tratteneva il respiro. Avanzava e il cuore le risaliva la gola. A testa bassa, piegata sulla figlia, sentiva l’angoscia implodere. Presto la camionetta fu al suo fianco. Nadira si arrestò. Erano loro. Gli occhi di cinque uomini armati la puntarono. Viscidi, ottusi, infidi. Un coacervo di avversità che fece raggelare il sangue nel corpo esile della donna. Le barbe lunghe, le bocche sdentate.
Uno di loro, basso e corpulento, forse il capo, scese faticosamente dalla camionetta. Lo stemma del regime, ben in mostra nella fiancata sporca del veicolo, venne coperto interamente dalla stazza dell’uomo. Si avvicinò con sdegno alla donna pietrificata.
“Bene, bene, bene… Un’altra che non rispetta le regole.”
“Vengo dal negozio all’angolo, volevo comprarne uno ma non ho soldi a sufficienza, andate a chiedere se…”
Lo schiaffo la colpì come un tuono in pieno giorno.
Un altro uomo era sceso dalla camionetta e si stava avvicinando.
“Avete sentito? La signora, vuole che andiamo a chiedere al negozio qui all’angolo.”
I tre rimasti sul mezzo sguainarono una risata unta di disprezzo.
“Vuoi che ti andiamo a prendere anche un tè?”
Il secondo schiaffo per poco non fece cadere Nadira e la sua piccola per terra. Altre risate rimbombarono nella sua testa.
“La purezza ha un costo, mia cara.”
Nadira aveva gli occhi chiusi e piangeva, la bambina contro la sua spalla si stava dimenando, anche lei aveva cominciato a piangere.
“Vi prego, non fate del male alla mia bambina.”
“Speravi che ti fosse regalato? Povera ingenua.”
La voce non era quella caustica di chi l’aveva colpita, ma una voce più molle, appiccicosa, e apparteneva all’uomo che con due dita stava sollevando il mento di Nadira e la fissava con la testa leggermente inclinata.
“La mammina dovrebbe pensarci prima a non mettere in pericolo la sua piccola.”
La finta dolcezza in quelle parole fece contorcere le viscere di Nadira.
“Come ti chiami?”
Nadira aprì gli occhi e vide il volto di quest’uomo, il secondo che era sceso dalla camionetta, gli parve un volto conosciuto, una brutta cicatrice sulla guancia destra, gli occhi piccoli e infuocati, la bocca umida. Dove lo aveva visto? Nadira non ricordava. Rimase in silenzio, sospesa. Non riuscì a rispondere dalla paura. La guancia pulsava e bruciava al pari di un’ustione.
“Lo sai che fine fanno le donne irresponsabili come te?”
L’uomo continuava a fissarla, aveva ritirato la mano dal mento e la squadrava dalla testa ai piedi.
“Vi supplico…”
Nadira cadde in ginocchio, le lacrime le colavano giù dal volto, sul collo, sul corpo della bambina, anche lei in lacrime, per poi sparire dentro la veste scura. Aveva sentito le urla delle donne punite pubblicamente, e sapeva di quali atroci trattamenti erano capaci i distinti signori che l’avevano appena fermata. Sarebbe toccato anche a lei.
“Venite qui, prendete la bambina e legate mani e piedi di questa peccatrice!”
Il sarcasmo iniziale del capo divenne rigido ordine, dal tono spietato. Gli uomini sulla camionetta si mossero senza troppa fretta.
“Noooo!”
L’urlo di Nadira fu così straziante che per un istante tutto il resto del mondo sembrò svanire, risucchiato nella sua gola.
“Aspettate. Lasciamola stare. Diamole un’altra occasione.”
Le parole di quell’uomo con la cicatrice sul viso risuonarono come un miracolo. Si era scambiato un segno d’intesa con il capo. Nessun altro dei presenti lo aveva colto.
“Tornatene a casa. La prossima volta non saremo così buoni.”
I compagni sembrarono sorpresi da quello slancio di clemenza, quasi divertiti e stuzzicati da un improvviso cambiamento di programma.
“Hai capito, donna impura, pensaci bene la prossima volta prima di mettere il tuo bel nasino in mostra. È il tuo giorno fortunato. Non siamo mai così buoni!”
Era stato di nuovo il capo a parlare, ma lei fissava l’uomo che la stava salvando, quel volto che credeva di conoscere.
L’umiliazione di Nadira fu suggellata da uno sputo che in parte andò a finire sopra la bambina, seguito da un insulto biascicato.
I due uomini risalirono sulla camionetta che presto scomparve dagli occhi increduli di Nadira.
Un miracolo?
Quando raggiunse la baracca, la figlia si era appena addormentata. Richiuse la lamiera alle sue spalle trascinandosi dentro una strana inquietudine. Le era rimasto appiccicato addosso lo sguardo viscido di quell’uomo. Cercò di abbandonarsi ai pensieri mettendosi sdraiata sul materasso sudicio, l’unico che possedeva, accanto alla sua bambina. Adesso ricordava. Quell’uomo che l’aveva salvata, aveva capito il perché, lo conosceva, e anche lui l’aveva riconosciuta, era stata a scuola con la sorella più piccola, e da ragazze spesso giocavano insieme, sì, era lui, qualche volta veniva ad accompagnare la sorella, abitavano poche strade più in giù della casa in cui lei era cresciuta con i genitori, quando ancora aveva una famiglia, e una casa. Pochi anni che sembravano secoli. La guerra aveva cambiato molte cose da allora. La cicatrice le aveva reso più difficile il riconoscimento. E così era scampata al pericolo, ma c’era qualcosa in tutta questa storia che ancora doveva concludersi. La grazia che le era stata concessa aveva un prezzo. E Nadira aveva smesso di credere nei miracoli. Sapeva che il destino, puntuale, sarebbe venuto a chiederle il conto. E quel destino sarebbe piombato sul suo corpo senza la minima riserva, e la sua sensibilità di donna e madre sarebbe stata oltraggiata, brutalmente. Pensò al destino che gli aveva portato via il marito quando lei era ancora incinta, morto in battaglia, pensò al destino che l’aveva lasciata da sola, al destino crudele che le aveva riservato un’esistenza miserabile, e forse al destino prossimo, che l’avrebbe presa nella maniera più volgare e umiliante che potesse immaginare. Pensò che presto avrebbe bussato alla porta, quel destino, e con la divisa di un potere terrificante le avrebbe strappato via i vestiti e fatto di lei ciò che avrebbe voluto.
Non passò molto. Quando sentì bussare alla porta era pronta per l’offerta. Per il sacrificio.