di Sandro Moiso
«Guardate il dio incatenato e doloroso, il nemico di Zeus, il detestato da tutti gli dei, perché amò i mortali oltre misura» (Prometeo incatenato, Eschilo)
La guerra in Ucraina e, soprattutto, la disinformazione e la propaganda bellicista che la circondano sembra averci fatto dimenticare che in realtà una guerra altrettanto sfiancante e spietata percorre le strade e i quartieri periferici delle metropoli occidentali. Una guerra di classe tra lo Stato e i settori più disagiati della società che, ormai, non possono nemmeno più identificarsi collettivamente come “classe operaia”. Ce lo ricorda, però, con forza il magnifico film Athena di Romain Gavras, prodotto e distribuito da Netflix, e co-sceneggiato con Ladj Ly già regista dell’altrettanto bello «Les Misérables».
La prima osservazione, la più semplice da fare, è che i giovanissimi protagonisti del film di Ladj Ly sono cresciuti, esattamente dello stesso numero di anni trascorsi tra quello (2019) e il film attuale (2022), e che la situazione di scontro e odio sociale in Francia, e nel resto delle periferie delle metropoli occidentali, non è affatto migliorata, anzi…
La trama prende le mosse dall’uccisione, dopo un alterco, di un giovanissimo ragazzo di origini nordafricane, Idir, ad opera di un commando vestito con le divise della polizia. Quando però il film inizia l’omicidio è già avvenuto e i rappresentanti delle forze dell’ordine cercano di rassicurare una folla preoccupata e nervosa e uno dei fratelli, Abdel (interpretato da Dali Benssallah), militare e veterano decorato delle guerre neo-colonialiste francesi nel Mali.
Il lancio di una molotov di un altro fratello più giovane, Karim (interpretato da Sami Slimane), è il segnale per un assalto al commissariato da parte dei giovani abitanti del quartiere ghetto di Athena.
Durante il quale gli assalitori riescono a portare via armi, mezzi, divise e caschi degli agenti, prima di ritirarsi tra le “mura” del ghetto. Da quel momento si dipana una autentica tragedia, ispirata sia a quella greca che a quelle shakespeariane.
Narrata per mezzo di lunghi piani sequenza in cui lo spettatore si trova coinvolto negli eventi, senza il tempo necessario per riflettere o decidere cosa sia effettivamente meglio fare, l’opera di Romain Gavras (classe 1981), figlio del regista Costa-Gavras e già autore di controversi e violente videoclip musicali e del lungometraggio Le monde est à toi (2018) oltre che di Our Day Will Come (Notre jour viendra) del 2010, si ispira infatti esplicitamente alla tragedia greca. Come ha affermato lo stesso regista:
Da sempre, sono ispirato dalla tragedia greca. Mi affascinano il suo significato metaforico, l’unità di tempo e il modo di trascendere la realtà. Era mio desiderio avvicinarmi a questo metodo di narrazione per tradurlo in immagini e creare una coinvolgente esperienza cinematografica.
Athena è una storia familiare ma racconta anche una storia più ampia: la forma della tragedia greca era quindi essenziale […] Crea l’impressione di svolgersi in tempo reale: come i personaggi in scena, neanche gli spettatori avranno il tempo di pensare. Sperimenteranno l’intensità del momento e lo vivranno a pieno. Il film abbraccia l’epico e il personale. […] Non ho paura dell’eccesso, dello spettacolo e della potenza delle immagini.
La funzione svolta dal coro nella tragedia greca viene qui svolta proprio dall’intensità e dal ritmo delle immagini che coinvolgono lo spettatore e lasciando allo stesso, se ne avrà il tempo, la possibilità di decidere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato nella sequenza degli avvenimenti.
Non tentano regista e co-scenggiatore, come era gia anche avvenuto con Les Misérables (recensito qui su Carmilla), di descrivere sociologicamente i fatti; quel che conta è penetrare all’interno dell’intreccio di sentimenti, passioni, interessi famigliari, di classe, criminali e istituzionali attraverso la rappresentazione “epica” e realistica allo stesso tempo dei fatti. Fatti sovra-determinati sì dalla situazione sociale, economica e politica delle banlieu francesi, ma allo stesso tempo guidati dalla hybris dei singoli protagonisti che, più che dar vita ad un’unica figura di eroe, mostrano le molteplici e disperate sfaccettature dello stesso. Inevitabilmente destinate tutte, come in Eschilo, alla sconfitta.
Un eroe, se si vuole, antico, tormentato dal dubbio e dal dolore oppure vinto dalla sua stessa superbia. Come nel caso di un altro dei fratelli, Mokthar (interpretato da Ouassini Embarek), che, pur colpito dalla perdita del fratello più piccolo, è interessato a perseguire i propri interessi criminali più che a essere partecipe della rivolta e della vendetta.
Toccherà a Abdel e, soprattutto, a Karim essere l’incarnazione metropolitana di Prometeo. Portatori del fuoco della violenza e della rivolta più che della conoscenza. Comunque e sempre incerta e tradita. Eroi orgogliosi e primordiali, annullati e azzerati dai fatti, lontani dall’immagine dell’Io borghese che troppo spesso accompagna le rappresentazioni degli stessi in altri contesti.
Le trame sfuggono di mano, le idee si confondono, le scelte sono dettate dal caso e dal momento, mentre l’unico che sembra perseguire una sua strategia di distruzione, pur fingendosi demente, è il militante radicale islamico. Unico ad essere lucidamente conscio del proprio e dell’altrui destino.
Mentre sullo sfondo della trama e dell’inconscio dei personaggi aleggia la figura di una Mater dolorosa magrebina che fin dai primi istanti sembra sapere che le sue sofferenze non solo non sono ancora terminate, ma destinate ad aumentare.
Un film lontano da ogni buonismo e da qualsiasi rigurgito ideologico che, pur poco o nulla pubblicizzato sui canali televisivi italiani durante l’ultima Mostra dell’arte cinematografica di Venezia di cui l’unica cosa che sembrava interessare erano le presenze delle star sul red carpet, proietterà tutti gli spettatori nelle contraddizioni, ineludibili e insanabili, di una società occidentale che si pretende ancora stabile, benestante e democratica. Riassunte tutte in un sintetico dialogo tra Abdel e la sorella, un attimo prima che la situazione precipiti:
«Qual è il tuo problema? Ti piace ancora obbedire agli ordini?»
«E’ meglio che non ci sia la guerra, specialmente qui.»
«Ma non capisci che è già cominciata la guerra?!»
(Qui il trailer originale del film)