di Valerio Evangelisti
Di recente, a un intervistatore che mi chiedeva quali fossero gli autori italiani di fantascienza che ultimamente mi avevano colpito, risposi con tre nomi: Tommaso Pincio, Wu Ming 5 e Federica Vicino. Tutti e tre i nomi sorpresero il mio interlocutore, visto che, nel caso dei primi due, la loro collocazione corrente era nell’ambito della letteratura generale; quanto al terzo, gli era completamente sconosciuto.
Eppure la scrittrice pescarese Federica Vicino ha scritto, con Il Clone (Edizioni Clandestine, 2003), uno dei più interessanti romanzi di fantascienza degli ultimi anni, già recensito da Carmilla (clicca qui); e forse il destino della sf italiana più vitale è quello di uscire dall’ambito delle pubblicazioni specializzate per fondersi con la narrativa senza aggettivi, come accade ormai in tutto il mondo.
Ma Federica Vicino non esaurisce nella forma romanzo i suoi talenti. Autrice di numerosi lavori teatrali (La guerra dei murales, Multipli di zero, Ballerine di fila, La guerra degli ottoni, L’eredità di Dossi, Le streghe, i primi due imparentati con la fantascienza), è anche poetessa raffinata, con composizioni oscillanti tra la delicatezza e la rabbia: i sentimenti che le suggerisce l’osservazione attenta dei tempi che corrono.
Dalla sua ultima raccolta (Poesie per una recita a braccio, Edizioni Tracce, Pescara 2003, pp. 66, € 7,00) ho scelto un po’ a caso qualche verso che mi sembrava significativo. Non sarà comunque l’ultima apparizione su Carmilla di una delle giovani scrittrici italiane più interessanti e più prossime alla sensibilità di questa rivista.
Due poesie di Federica Vicino:
GENERAZIONE X
Siamo stati
sana gioventù di provincia
con in tasca tutti i soldi di chi merita la fiducia
ed in testa tutti i pensieri di chi
è destinato al successo
con la politica sterile
del sabato sera
e la pizzeria come ritrovo
con la verginità come valore
e il preservativo come peccato (veniale)
Siamo stati sani sognatori
e poveri illusi
acculturati di tivvù
con in testa i gingie dei commerciai
e nel cuore Biade Runner
senza pensiero
ma con molta economia
Siamo stati
studenti perbene di perbene università
figli delle istituzioni
ad esse asserviti
buoni servitori della patria
ineccepibili osservatori della legge
pessimi osservatori della legge divina
(oppure: peccatori)
Siamo stati
discutibili eroi
inammissibili perdenti
giocatori d’azzardo della schedina
blandi frequentatori di stadi
insopportabili confessori d’insopportabili confidenze
Siamo stati
luce delle mie pupille – gioia di mammà e papà
sempre sul punto di spiccare il volo
mai sul punto di rischiare la pelle
sempre al di qua della barricata
mai in prima linea
sempre ben protetti
sempre in compagnia di amici fidati
sempre on holiday
accoppiati sempre alla stessa ragazza
e sempre così fragili e indifesi
nell’amore!
Siamo stati
cavalieri senza macchia e senza paura,
ma ancora in cerca – dopo anni –
di un capitano coraggioso; mai silenziosi
sempre aperti al dialogo
sempre malinconici
prudenti fino alla vigliaccheria nella battaglia
penosi nelle sconfitte
pronti alla lacrima facile
al cinema
e mai davanti al feretro dell’ultimo che se ne andava;
sempre in cerca di un come
e mai di un perché
lamentosi
riguardosi
ritrosi
permalosi
curiosi delle novità
ed al tempo stesso spaventati
invincibili solo negli intenti
e nell’egoismo
terrorizzati solo dalla vecchiaia
(imminente
o già passata)
Siamo stati
così vicini nell’amicizia
e così lontani nel cuore…
Siamo stati capaci di perderci di vista
proprio quando la vita iniziava
forse per paura
(paura di vedere la fine)
ci siamo tormentati l’anima
per una nottata persa
per una festa finita a fiasco
per un’avventura
per un esame andato male
per una donna capricciosa
e mai per quelli che partivano
senza destinazione nota
per non tornare mai più
no, questo
nemmeno ce lo siamo detti
(e mai ce lo diremo, amici)
la tristezza è la gioia
di chi si annoia
POESIA IN FORMA DI ROSE
Come Pier Paolo Pasolini cerco una forma.
Non ho da far proclami. Vorrei solo
abbracciare la vulva di fuoco del tulipano
baciarla, leccarla
godere del suo calore che non c’è
e del gelo dei suoi umori.
Come Pier Paolo Pasolini vorrei sfogliare
un amore
un petalo alla volta
e non giungere mai alla fine.
Dimenticare cosa sono
e cosa hanno fatto di me…
come mia madre (e come ogni madre)
vorrei sorridere in forma di rosa.