di Valerio Evangelisti
Il fatto che ultimamente abbiamo riaperto le pagine di Carmilla On Line ai contributi tradizionali, dopo un mese e mezzo in cui erano quasi interamente dedicate al caso Battisti, non vuole dire che ci siamo dimenticati di quest’ultimo. Certo, sommerso da altri avvenimenti, oggi non ha più una posizione centrale sulla stampa italiana, e forse chi ha insozzato Cesare Battisti in ogni maniera possibile crede di avere vinto la propria battaglia. Sia da noi che in Francia, dove pressioni furibonde provenienti dall’Italia hanno indotto taluni giornali a repentini cambiamenti di posizione.
I nemici di Cesare Battisti, a nostro avviso, si illudono: li attendono sorprese. Nel frattempo, e mentre premono ulteriori contributi (tra cui l’ultima parte di “E Frankenstein fabbricò la sua creatura”), iniziamo a pubblicare un’esposizione completa e pacata dell’intero caso, fatta di domande e risposte. Il lettore non prevenuto (e per fortuna abbiamo un numero di lettori superiore a quello di molti piccoli quotidiani) potrà farsi un’idea obiettiva di tutta la vicenda.
(Nell’illustrazione, Cesare Battisti in un disegno di Jacques Tardi).
Perché Cesare Battisti fu arrestato, nel 1979?
Fu arrestato nell’ambito delle retate che colpirono il Collettivo Autonomo della Barona (un quartiere di Milano), dopo che, il 16 febbraio 1979, venne ucciso il gioielliere Luigi Pietro Torregiani.
Perché il gioielliere Torregiani fu assassinato?
Perché, il 22 gennaio 1979, assieme a un conoscente anche lui armato, aveva ucciso Orazio Daidone: uno dei due rapinatori che avevano preso d’assalto il ristorante Il Transatlantico in cui cenava in folta compagnia. Un cliente, Vincenzo Consoli, morì nella sparatoria, un altro rimase ferito. Chi uccise Torregiani intendeva colpire quanti, in quel periodo, tendevano a “farsi giustizia da soli”.
Cesare Battisti partecipò all’assalto al Transatlantico?
No. Nessuno ha mai asserito questo. Si trattò di un episodio di delinquenza comune.
Cesare Battisti partecipò all’uccisione di Torregiani?
No. Anche questa circostanza — affermata in un primo tempo — venne poi totalmente esclusa. Altrimenti sarebbe stato impossibile coinvolgerlo, come poi avvenne, nell’uccisione del macellaio Lino Sabbadin, avvenuta in provincia di Udine lo stesso 16 febbraio 1979, quasi alla stessa ora.
Eppure è stato fatto capire che Cesare Battisti abbia ferito uno dei figli adottivi di Torregiani, Alberto, rimasto poi paraplegico.
E’ assodato che Alberto Torregiani fu ferito per errore dal padre, nello scontro a fuoco con gli attentatori.
Perché dunque Cesare Battisti viene collegato all’omicidio Torregiani?
Perché, per sua stessa ammissione, faceva parte del gruppo che rivendicò l’attentato, i Proletari Armati per il Comunismo. Lo stesso gruppo che rivendicò l’attentato Sabbadin.
Cos’erano i Proletari Armati per il Comunismo (PAC)?
Uno dei molti gruppi armati scaturiti, verso la fine degli anni ’70, dal movimento detto dell’Autonomia Operaia, e dediti a quella che chiamavano “illegalità diffusa”: dagli “espropri” (banche, supermercati) alle rappresaglie contro le aziende che organizzavano lavoro nero, fino, più raramente, a ferimenti e omicidi.
I PAC somigliavano alle Brigate Rosse?
No. Come tutti i gruppi autonomi non puntavano né alla costruzione di un nuovo partito comunista, né a un rovesciamento immediato del potere. Cercavano piuttosto di assumere il controllo del territorio, spostandovi i rapporti di forza a favore delle classi subalterne, e in particolare delle loro componenti giovanili. Questo progetto, comunque lo si giudichi (certamente non ha funzionato), non collimava con quello delle BR.
Il dottor Armando Spataro, tra i PM del processo Torregiani, ha detto di recente che gli aderenti ai PAC non superavano la trentina.
Ha cattiva memoria. Gli indagati per appartenenza ai PAC furono almeno 60. La componente maggiore era rappresentata da giovani operai. Seguivano disoccupati e insegnanti. Gli studenti erano tre soltanto.
30 o 60 fa poca differenza.
Ne fa, invece. Cambiano le probabilità di partecipazione alle scelte generali dell’organizzazione, e anche alle azioni da questa progettate. Teniamo presente che, se le rapine attribuite ai PAC sono decine, gli omicidi sono quattro. La partecipazione diretta a uno di questi diviene molto meno probabile, se si raddoppia il numero degli effettivi.
Cesare Battisti era il capo dei PAC, o uno dei capi?
No. Questa è una pura invenzione giornalistica, creata negli ultimi mesi. Né gli atti del processo, né altri elementi inducono a considerarlo uno dei capi. Del resto, non aveva un passato tale da permettergli di ricoprire un ruolo del genere. Era un militante tra i tanti.
In sede processuale Battisti fu però giudicato tra gli “organizzatori” dell’omicidio Torregiani.
In via deduttiva. Avrebbe partecipato a riunioni in cui si era discusso del possibile attentato, senza esprimere parere contrario. Solo con l’entrata in scena del pentito Mutti — dopo che Battisti, condannato a dodici anni e mezzo, era evaso dal carcere e fuggito in Messico — l’accusa si precisò, ma ancora una volta per via deduttiva. Poiché Battisti era accusato da Mutti di avere svolto ruoli di copertura nell’omicidio Sabbadin, e poiché gli attentati Torregiani e Sabbadin erano chiaramente ispirati a una stessa strategia (colpire i negozianti che uccidevano i rapinatori), ecco che Battisti doveva essere per forza di cose tra gli “organizzatori” dell’agguato a Torregiani, pur senza avervi partecipato di persona.
Eppure, di tutti i crimini attribuiti a Battisti, quello cui si dà più rilievo è proprio il caso Torregiani.
Forse si prestava più degli altri a un uso “spettacolare” (si veda l’impiego ricorrente di Alberto Torregiani, non sempre pronto, per motivi anche comprensibili, a rivelare chi lo ferì). O forse — viste certe proposte recenti del ministro Castelli, in tema di autodifesa da parte dei negozianti — era l’episodio meglio capace di fare vibrare certe corde nell’elettorato di riferimento.
Comunque, chi difende Battisti ha spesso giocato la carta della “simultaneità” tra il delitto Torregiani e quello Sabbadin, mentre Battisti è stato accusato di avere “organizzato” il primo ed “eseguito” il secondo.
Ciò si deve all’ambiguità stessa della prima richiesta di estradizione di Battisti (1991), alle informazioni contraddittorie fornite dai giornali (numero e qualità dei delitti variavano da testata a testata), al silenzio di chi sapeva. Non dimentichiamo che Armando Spataro ha cominciato a fornire dettagli — per meglio dire, un certo numero di dettagli — solo quando ha visto che la campagna a favore di Cesare Battisti rischiava di rimettere in discussione il modo in cui lui e gli altri magistrati coinvolti (Corrado Carnevali, Pietro Forno, ecc.) avevano condotto istruttoria e processo. Non dimentichiamo nemmeno che il governo italiano ha ritenuto di sottoporre ai magistrati francesi, alla vigilia della seduta che doveva decidere della nuova domanda di estradizione di Cesare Battisti, 800 pagine di documenti. E’ facile arguire che giudicava lacunosa la documentazione prodotta fino a quel momento. A maggior ragione, essa presentava lacune per chi intendeva impedire che Battisti fosse estradato.
Comunque, quello a Cesare Battisti e agli altri accusati del delitto Torregiani fu un processo regolare.
No, non lo fu, e dimostrarlo è piuttosto semplice.
(CONTINUA)