di Sandro Moiso
Diego Gabutti, Storie del mare, Gog Edizioni 2021, pp. 240, 17 euro
È inappropriato chiamare questo pianeta Terra,
quando chiaramente è Mare. (Arthur C. Clark)
Questa è la domanda che si pone l’autore al termine del secondo capitolo del libro appena uscito per le edizioni Gog. Raccolta di saggi e riflessioni collegati tra di loro dalla presenza del mare, dei suoi dei e dei suoi eroi. Un testo che rivela ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, come Diego Gabutti possa essere definito una versione in chiave “pop” di Roberto Calasso, recentemente scomparso.
La stessa vasta erudizione, lo stesso spirito di osservazione, la stessa curiosità intellettuale, soltanto applicate, oltre che a temi cari anche allo scomparso direttore editoriale di Adelphi (in questo caso, per esempio, le figure di Gilgameš, Simbad e Utnapishtim), anche alla fantascienza, al fumetto, al cinema (alto e basso, Steven Seagal compreso) e, passando anche per Bob Dylan, allo sterminato e diversificato immaginario pop e pulp.
L’autentico “frullato” di cultura alta e bassa, vorticosamente mescolate in ogni pagina, serve a delineare una storia dell’immaginario riconducibile al mare, dalle origini ai nostri giorni, che disvela al lettore come il “mare” non abbia soltanto costituito il primo elemento di quel “brodo primordiale” biologico da cui è sorta ogni forma di vita del pianeta che abitiamo, ma anche l’ambiente mitopoietico da cui, direttamente o indirettamente, hanno preso forma gran parte delle narrazioni elaborate dagli uomini fin dal delinearsi nell’antichità delle prime società complesse. Un autentico Oceano dei fiumi dei racconti, come Somadeva scrittore indiano originario del Kashmir, definì la sua vastissima antologia, Kathasaritsagara, composta fra il 1063 e il 1081, vera e propria collezione dell’intera novellistica indiana a lui precedente e coeva.
Dal diluvio universale che caratterizza le narrazioni sulla rinascita del mondo dopo una immane punizione divina, sia nelle tradizioni sumeriche che in quella biblica o in quella greco-antica, fino a Odisseo e al vecchio marinaio della ballata di Samuel Coleridge; dalle avventure filosofiche di Gulliver ai calcoli di “fattibilità” del naufrago-imprenditore Robinson Crusoe e dai mostri di Lovecraft fino a Moby Dick, il mare costituisce non solo lo sfondo narrativo o un espediente narratologico, ma rappresenta anche il caos che circonda, minaccia e, talvolta, distrugge le civiltà.
Spesso costituisce lo strumento con cui dei beffardi, crudeli, iracondi e vendicativi, sostanzialmente così simili ai villain della tradizione pulp, puniscono gli uomini, non soltanto per i loro peccati presunti o reali ma anche, come nel caso di Ulisse-Odisseo, per aver osato sfidare la loro volontà, anche solo per riuscire a salvarsi dalle mani violente e dalle fauci di un antropofago come Polifemo, figlio, appunto, del dio del mare, Poseidone.
Che si tratti di divinità antiche, come quelle che da sempre abitano il pianeta in incognito secondo quanto narrato nel romanzo di SF The Time Masters di Wilson Tucker1, oppure più vicine a noi, come il dio della Bibbia o gli dei dell’Olimpo; che si tratti quindi di Yahweh, «dio malmostoso», o degli dei detti Anunnaki che ha cacciato dai deserti compresi tra il Mediterraneo e la Mesopotamia, come Nergal e Ishtar, Ea e Ereshkidal, Enki e Marduk oppure, ancora, delle divinità litigiosissime dell’Olimpo, pare che ad ogni piè sospinto il maggior divertimento possibile, per le stesse, sia quello di ricordare all’uomo e alla sua stirpe che egli non è altro che un grumo di sangue e carne, dominato dalla e con la paura, il cui unico destino è quello di soccombere, possibilmente nel più atroce dei modi possibili. Tranne poi salvarne uno, il marinaio Noè che ha sostituito il superstite Utnapishtim della tradizione mesopotamica, per ridare inizio al gioco, in un continuo e mai interrotto lancio di dadi sul tavolo verde divino. In tal modo è sempre un oscuro navigante a dare inizio a un nuovo capitolo della storia universale.
Un capitolo destinato a popolarsi di sempre nuovi marinai, tutti destinati a misurarsi, come il primo tra loro, con l’ineffabile e il divino in qualche sua forma, per lo più spaventosa. Ne cito qualcuno, apparentemente a caso: Aladino, Lord Jim, Odisseo, Popeye, Fletcher Christian del Bounty, Corto Maltese, Barbanera, il Capitano Nemo, Emilio di Roccabruna signore di Ventimiglia, Achab di Nantucket, Francis Drake, Gordon Pym, Cristoforo Colombo, Marlow, Kurtz, Capitan Blood, Charles Darwin, Jenny dei pirati, Samuel Gulliver, Vasco da Gama, James Cook. Senza dimenticare gl’innumerevoli marinai senza nome o lignaggio che nei millenni trascorsi tra l’Età del bronzo e oggi hanno preso il mare sfidando gli dèi del vento e delle maree, a cominciare dai marinai ittiti, i quali praticavano il culto del dio delle tempeste, che era contemporaneamente il dio dell’ordine (come Two-Face, il nemico di Batman, e come Giano, dio delle porte e dei passaggi: ogni storia ha due facce). C’erano marinai ammutinati sulle navi inglesi e sulla Corazzata Potëmkin. Furono i marinai di Kronštadt i primi a ribellarsi contro i tiranni bolscevichi. Un marinaio americano, George Mendonsa, decretò la fine della Seconda guerra mondiale, il 14 agosto 1945, scoccando un bacio a una ragazza incontrata a Times Square. Anche Martin Eden, l’eroe di Jack London, era un marinaio; e così Sandokan, Sean Connery in Caccia a Ottobre rosso, le piratesse Anne Bonny e Mary Read, Long John Silver, Humphrey Bogart nell’Ammutinamento del Caine e in Acque del sud, film tratto da Avere e non avere di Ernest Hemingway (autore anche di Il vecchio e il mare: un Moby Dick dei poveri). Ci sono oceani privi d’acqua, come quelli che Peter O’Toole, nella parte di Lawrence d’Arabia nell’omonimo kolossal del 1962, illustra all’Emiro Feysal (Alec Guinnes) citando un po’ a spanne il Corano: «Il deserto è un oceano in cui non affonda il remo. E in questo oceano i bedù vanno dove vogliono e colpiscono dove vogliono». Fate caso infine a Donald Duck, da noi Paolino Paperino: è vestito da marinaio2.
L’avventura, sembra suggerire il testo, è sempre costituito dall’attraversamento di un mare, spesso burrascoso, caratterizzato da onde gigantesche e abitato da terrori informi e innominabili che sorgono, prima di tutto, dalle profondità della psiche. E non sono soltanto i testi compresi in Storie del mare a suggerirlo, se è vero che lo stesso Dante costruì l’intero XXVI canto dell’Inferno, quello di Ulisse e Diomede, senza aver mai letto o consultato l’Odissea, ma solo sulla scorta della memoria mitica che ne era stata tramandata fino ai suoi tempi.
L’avventura, dunque, consiste nell’iniziare o, perlomeno, nel tentare di tornar a dare vita a qualcosa: che sia una speranza o un mondo intero poco importa. Così come, tutto sommato, dal punto di vista delle narrazioni antiche o moderne poco importa che le religioni non siano altro che un sottogenere della narrativa fantastica, «esattamente come l’horror cosmico di H.P. Lovecraft o l’hard boiled californiano sono un sottogenere della narrativa d’evasione».
Il fatto che, nelle infinite possibilità offerte dalle narrazioni scritte o orali, la fine del mondo non sia stata possibile solo attraverso l’affogamento dello stesso, ma possa essere avvenuta o avvenire in altri modi, non cambia poi molto. Se gli scritti biblici: «Attribuiscono, infine, la grande inondazione a uno scatto d’ira del loro Iddio ombroso e diffidente, Yahweh delle piaghe, signore delle Leggi, delle punizioni e delle colpe (più spesso presunte che comprovate, come lamenteranno in futuro gli eretici)»3, questo non potrà impedire che
non sempre si riparta dal Diluvio. Forse, come dicevamo all’inizio, qualche volta è un incendio smisurato, o una scossa spaccatutto di terremoto, oppure è un meteorite fine del mondo, come quello che cancellò in un istante i dinosauri dalla faccia del pianeta ottantacinque milioni d’anni fa. Vedi mai che il prossimo begin again non venga affidato ai tirannosauri ermafroditi di Jurassic Park, o allo scienziato che per caso o per colpa genererà un buco nero giocando con l’acceleratore di particelle del CERN di Ginevra. E chissà, nel caso, a chi sarà affidato il compito di rigenerare il mondo dopo la catastrofe cosmica provocata dall’espansione a sorpresa d’un buco nero. E di chiunque si tratti, chissà come assolverà un simile compito, per quanto assistito dagli onnipotenti. Come Elvis Presley, nella parte del marinaio che nell’Idolo di Acapulco (1963) si tuffava dalla scogliera prima che l’acqua rifluisse lasciando scoperte le rocce trentacinque metri più sotto, il prossimo Deucalione si tufferà, famiglia e tutto, nell’orizzonte degli eventi del buco nero alla ricerca di mondi paralleli da popolare?4.
Se, come il sottoscritto, passerete in riva al mare qualche giorno delle prossime festività, questo è sicuramente il libro da portarsi appresso, ma, anche se sarete in pianura o in montagna, preparatevi almeno con una buona lettura come questa, visto che, con il riscaldamento globale in atto, prima o poi il mare arriverà a raggiungervi o a sommergerci. Forse, per una volta tanto, non soltanto per volontà degli dei.