di Paolo Lago
Tommaso Lisa, Memorie dal sottobosco. Un coleottero dei funghi, Exorma, Roma, 2021, pp. 189, € 15,00.
Tommaso Lisa, in Memorie dal sottobosco, uscito recentemente per Exorma, allestisce una scrittura diaristica che ruota attorno a un oggetto intimo e privato legato alla sua passione di entomologo, il coleottero Diaperis. Se la scrittura scientifica ha ormai già detto tutto a proposito del Diaperis, quella privata e personale ancora no. Ed è proprio quello che l’autore si propone di fare: «Se nella dimensione pubblica del linguaggio tutto sembrava quindi essere stato già detto, nel rapporto privato tra me e l’insetto c’era una vasta zona oscura da indagare, sul perché avessi scelto di studiare questa specie: come fosse nata, appunto, la “relazione”». Il coleottero diventa quindi oggetto di una scrittura attenta e precisa, a volte intarsiata di intonazioni poetiche che sembrano ergersi in una dimensione lirica e contemplativa fino a ricercare «il limite fin dove il linguaggio può spingersi verso il “privato” prima di perdere senso, scivolando nel delirio». Il discorso messo in atto da Tommaso Lisa si articola perciò su diversi piani: «entomologico, etologico, antropologico e psicanalitico».
Eppure, in una scrittura così precisa che fa precipitare i termini tecnici e scientifici dell’entomologia in una dimensione intima e privata, appare estremamente importante anche il piano ecocritico, inteso nel senso di uno sguardo capace di raccogliere in sé le dense problematiche che investono le relazioni tra esseri umani e natura. Infatti, nel discorso srotolato dall’autore, c’è la volontà di «individuare il limite del “vedere-come” il Diaperis in maniera oggettiva, senza rendere il coleottero un simbolo o una metafora. Volevo mettermi al suo pari, regredendo nella giungla – “Cuore di Tenebrionide” – ma in fondo al nero della materia non ho scorto “l’orrore”». In fondo non c’è l’orrore perché è messo in atto un approfondito percorso di regressione in un «alternativo “paese delle meraviglie”», il sottobosco in cui vive l’insetto. “Vedere-come” il Diaperis nel suo ambiente naturale implica un certo processo di identificazione che conduce l’esperimento narrativo di Lisa in una prospettiva diversa da come si pone il tema ‘dell’io di fronte alla natura’ che, secondo Niccolò Scaffai, rappresenta una delle principali articolazioni messe in campo dagli scrittori italiani contemporanei per esprimere la propria idea di natura e paesaggio1.
Lo sguardo dell’autore non è soltanto quello dell’entomologo, scientifico e distaccato ma, proprio in virtù di questa forte dimensione privata che riveste la sua scrittura, diventa sguardo intimo e personale, confessione psicanalitica, memoria e ricordo che risale dai momenti dell’infanzia e che si esplicita, durante tutto l’arco della narrazione, negli spazi della casa paterna, che assumono quasi una valenza regressiva. Lo stesso autore, per “vedere-come” il Diaperis, va oltre l’‘io di fronte alla natura’ ed entra in una dimensione quasi fiabesca nella quale è «come se fossi rimpicciolito e mi trovassi a vagare, simile a Nausicaä, nella Valle del vento». Successivamente, in un altro momento della narrazione, si chiede: «Che io stia forse lentamente diventando quest’insetto, con sforzi pari a quelli d’una kafkiana metamorfosi?». Ma una possibile metamorfosi che può investire l’io narrante non è soltanto quella in insetto, bensì anche in albero: «Perciò, infine il Diaperis abita nel mio corpo, nella carne fatta albero. Nel tronco del torace, fino nelle midolla, nel cuore. Nel silenzio del sottobosco». Fino a divenire, quasi in forma mitica come nelle Metamorfosi ovidiane, sia insetto che albero, corteccia, fungo: «Sono situato dentro una corteccia. Io sono la corteccia, il fungo, l’insetto, in un procedimento infinito di echi e di mimesi».
L’operazione attuata da Tommaso Lisa si avvicina, per certi aspetti, a quella realizzata da Italo Calvino col suo racconto La formica argentina. Sempre secondo Scaffai, «anche per Calvino, come sarà poi per Pasolini, l’immaginario ecologico è la forma letteraria assunta dalla riflessione storico-sociale; anche per Calvino, l’unico esito possibile è sostanzialmente regressivo»2. E, continua lo studioso, «anche per Calvino, come per Pasolini, l’immagine emblematica è quella di un insetto: quel che la lucciola rappresenterà negli Scritti corsari, qui nei Racconti è la formica»3.
Infatti, come già notato, l’immaginario ecologico non manca davvero nella narrazione di Memorie dal sottobosco, ed esso assume una spiccata impronta ecocritica. Le riflessioni che seguono scaturiscono, probabilmente, dalla capacità dello sguardo dell’entomologo di trasformarsi in insetto e in albero, nonché di rimpicciolirsi e di vagare nel sottobosco:
L’ecologia dell’economia umana, di scala come di sussistenza, è inconciliabile con quella degli ecosistemi naturali. L’ecologia dell’economia ha come fine la messa a frutto della natura. Ossia il suo sfruttamento tramite il lavoro, che porta al logorio, all’usura. All’estinzione. Non credo che homo sapiens possa emanciparsi dall’economia predatoria, fondata sullo sfruttamento delle risorse, tratto costitutivo della sua natura. Tramite la parola, l’essere umano apre la strada alla tecnologia e rompe l’equilibrio con l’ecosistema naturale in cui vive: il processo degenerativo che deriva da questo disequilibrio è inarrestabile. Le buone pratiche ecologiste sono un palliativo. Allungano i tempi, come per un malato terminale. La natura si è già estinta ai miei occhi di cittadino. Sopravvivo in spazi antropizzati. Questa periferia senza centro in cui sono intrappolato da una vita, uniforme nel suo alternarsi senza soluzione di continuità di centri commerciali, auto, tram, cemento, asfalto.
Fuori dalla finestra della casa paterna, i “non-luoghi” della periferia non sono poi troppo diversi da quelli dell’alienazione industriale tratteggiata da Calvino negli anni Sessanta. Soltanto che, adesso, si tratta di «non-luoghi di una periferia planetaria globale»: «Fuori dalla finestra di quest’appartamento in condominio vedo il quartiere oltre il quale seguono uno dopo l’altro i non-luoghi di una periferia planetaria globale: lo Sprawl, la scansione asettica di aeroporti, stadi e centri commerciali». Chiuso nel suo appartamento-scatola, uguale a tante altre scatole enormi che svettano nella periferia industriale della contemporanea società digitalizzata, l’autore riflette su ciò che lo circonda: «C’è ancora splendore oltre i giardini, le baracche, i fili spinati e le reti, i cantieri delle autostrade, gli aeroporti più grandi, i nuovi stadi, gli hotel in vetro e acciaio, i centri commerciali con insegne accese e casse aperte tutto il giorno. Mi sento estraneo in questa casa».
Le Memorie dal sottobosco mettono quindi in moto diversi livelli di narrazione: quella lucida e precisa (intrisa di termini tecnici e scientifici) dello sguardo dell’entomologo che osserva i suoi campioni, tutti riposti nelle loro scatole custodite nella libreria; quella di carattere memorialistico e psicanalitico, per cui l’insetto osservato, come oggetto dal forte valore simbolico, assume anche connotazioni feticistiche; quella di carattere poetico, che include riflessioni sul passare del tempo impresse sulla pagina per mezzo di un lirismo perfettamente sposato col tecnicismo scientifico; quella, infine, di carattere ecocritico che sviluppa riflessioni sulla condizione dell’individuo contemporaneo alle prese con una forse imminente ‘apocalisse’ quando tutta la tecnologia dell’uomo si bloccherà e ci sarà solo «una smisurata luna nel cielo nero. O un sole all’orizzonte zigrinato di cirrostrati, tondo e rosso come il Diaperis».
Cosa può comunicarci, perciò, lo sguardo ecocritico dell’entomologo? Le sue osservazioni vanno al di là del puro impianto riflessivo: come tutte le parole della letteratura che, in qualche modo, si occupa di ecologia, sono infatti proiettate in una dimensione ben reale e ben attuale. Per mezzo dello sguardo del Diaperis, dell’albero e delle piante, dei funghi, di tutto il sottobosco, la parola letteraria di Tommaso Lisa ci inchioda al qui e ora, al nostro tempo, al momento attuale: quello in cui dobbiamo agire per invertire la rotta, prima che sia troppo tardi.