Intervista a cura di Luca Baiada
È una persona perbene, non come quei mariuoli giustizialisti. E se non l’hanno eletto in Parlamento, è perché il collegio Roma-Primavalle è in un quartiere malfamato. Solo quattromila voti, vergogna; quella gente non è degna di lui. La magistratura l’ha destituito? Lo so, e la Cassazione ha confermato perché è un museo di ermellini impagliati. Quando la verità verrà a galla, sarà uno scandalo! Sui nemici di Palamara ci sono le prove: è vittima di una montatura, c’è un complotto peggiore di Mani pulite, più grave di quello di Antonio Di Pietro! Ma ho un poker d’assi. La sappiamo lunga, su certa gente. Ne vedremo delle belle.
I magistrati devono smetterla di essere un sottopotere, un ostacolo alla volontà popolare. Mi serve il tempo per riorganizzarmi. Non mollare. Dove ho messo le mie famose palle? Certo, fare le riunioni proprio all’Hotel Champagne, cazzo, vicino alla stazione Termini. Io andavo al Raphael, tutta un’altra cosa ed è a un passo da piazza Navona. Un momento, mando un fax a Ugo Intini.
La politica ha ancora bisogno di me, lo sento. Prendiamo la questione del lavoro. Togliendo la scala mobile, abbiamo insegnato come si garantisce il benessere. Altro che salario come variabile indipendente! E nelle fabbriche facciano tutte le assemblee che vogliono. Anzi, le facciano nei campi di pomodori. Oppure le facciano nei magazzini Amazon, le facciano nelle scuole per i concorsi pubblici sognando il posto fisso, magari da magistrato, le facciano nel traffico portando le pizze.
Ma quale tassa e tassa! Cazzate! L’inflazione non è una tassa occulta sul salario, piantiamola. Sono fumisterie da sindacalismo straccione. La sinistra non si è ancora liberata dal marxismo, dai professori rimbambiti. Molto meglio Proudhon, ovvio. Per questo il nostro impegno, erede di una grande tradizione – no, erede non lo scriva, sa di morto – innovatore nel solco di una grande tradizione, è il tramite fra la coscienza della storia italiana e la realizzazione di un grande avvenire. Cosa significa? Ma la finisca di rompere!
Smettiamola coi moralismi. Berlusconi l’ho salvato col decreto sulle televisioni, quello caduto alla conversione in legge; l’ho ripresentato ed è passato con l’appoggio dei fascisti. Lo rifarei. La modernizzazione lo richiedeva, e poi c’era bisogno delle televisioni private. La Fininvest, con Marcello Dell’Utri e l’Opus Dei, garantiva equilibri solidissimi. E poi: Milano da bere! E anche Milano da svaligiare, Milano da sequestrare, Milano da rapinare, e la questione dei costi della politica non è mai stata risolta. Venga sulla terrazza.
Ci voleva una direzione autorevole. Quando batte l’orologio della storia, lo so io cosa si deve fare. Un uomo di Stato conosce il suo posto e il suo destino. Quando batte l’orologio della storia, ebbene allora bisogna prenderlo, controllare che sia d’oro, metterselo in tasca e poi battersela alla svelta. E insomma, la Confindustria era con me, l’Intersind doveva garantire la linea delle partecipazioni statali. Stare al governo non è un gioco, sa? Ma guardi che luce, verso il mare. Pensi che laggiù c’è l’Italia, da qui ci volano gli uccelli migratori. Che tenerezza. E adesso basta ciance.
Chi è attento alle esigenze del paese deve favorire la riconversione. Adesso, poi, non c’è più quella seccatura, la preoccupazione per le oscillazioni monetarie. Ma ci sono altre sfide: l’emergenza sanitaria, l’economia. C’è da attirare capitali senza spigoli. Se poi hanno gli spigoli, bisogna limarli, raccogliere le limature e venderle. Sono cose da mettere in conto. Conto «Protezione», s’intende, via Lugano e senza tracciamento.
Occorre modernizzare tutti i poteri pubblici, anche la magistratura. Qui, a Hammamet, c’è un punto di riferimento serio, una casa ospitale dove uomini di valore come Palamara, Cosimo Ferri, Luca Lotti sono benvenuti. Anche ogni fine settimana, per esempio, per unire a un clima simpatico lo slancio per nuovi progetti italiani. Non ci si può permettere che la giustizia protegga i mestatori, gli scontenti per mestiere, con le loro storielle ideologiche; e questo mentre le toghe perseguitano chi realizza iniziative che sono l’orgoglio italiano nel mondo. Una magistratura confusa, rissosa, ostile al rinnovamento è intollerabile. Scusi, mando una mail a Claudio Martelli.
Le priorità sono negli investimenti. Per esempio, è stato un errore non fare l’Expo a Venezia, per l’opposizione di gente meschina. E smettiamola di chiamare «Doge» Gianni De Michelis, solo per qualche amicizia sul Canal Grande! Pensi invece come avrebbe fatto bene alla città. Ma si faranno grandi cose, a Venezia. Un G7, o un G10, un G quaranta ladroni e cento modelle. Anzi, si può allargarla, Venezia. Ecco, ho un’idea: portiamoci dentro le navi. Grandi, attrezzate, confortevoli. Se su una cosa non puoi mettere le mani, mettici davanti i piedi. Un giorno mi ringrazieranno.
Guardiamo all’avvenire. Ci vuole il Ponte sullo Stretto, ci vuole il TAV verso la Francia, verso l’Albania, e anche fra Roma e la Sardegna, e poi fra Brindisi e il Cairo. Alta velocità, con sala VIP e piscina. Ci vogliono infrastrutture, sul modello di «Italia ’90». Cosa?! ancora questa storia dei morti sul lavoro! È demagogia, teppismo. Vaffanculo. Non ne voglio neanche parlare. Noi siamo con i lavoratori. Un momento, faccio una pec a Lelio Lagorio.
Conosciamo le esigenze della sicurezza, e il nostro è un socialismo della nazione, l’abbiamo dimostrato a Sigonella. È il nostro Vangelo socialista. È un socialismo, ecco, direi un nazionalismo socialista, un socialnazionalismo. Ne sono certo: il futuro sarà del Partito socialista italiano uscito dal congresso del Midas, e non ci sarà bisogno neanche di chiamarlo partito, che sa di vecchio: potremo chiamarlo coalizione, solidarietà, governo dei migliori, dei responsabili, della ripresa, della resilienza, del futuro, di quello che ci pare, di invidia crepa, dei cazzi nostri. Niente formalismi.
Tutti quei criticoni, per la mia idea del consiglio di gabinetto a Palazzo Chigi. La Costituzione, la Costituzione, non sapevano dire altro. Occorre un governo che governi: consiglio di gabinetto, oppure cabina di regia, o cabinato con bandiera di Montecarlo, ma efficienza. La nostra formula per la governabilità è il successo del paese. Un giorno la imiteranno. E i paroloni sulla collegialità dell’esecutivo, lo so io dove se li metteranno, insieme all’indipendenza della magistratura.
Gli enti locali? L’elezione diretta dei vertici è stata adattata solo in parte alle esigenze della nazione, ci sono ancora sacche di indisciplina. Ma una grande forza sa farsi valere. Quanto alla questione del lavoro, la presenza di Renato Brunetta è una garanzia che non si apprezza abbastanza. E si ricordino, lor signori della triplice, che non siamo stati noi a spaccare il sindacato, ma loro, incapaci di scegliere bene fra sviluppo e interessi corporativi. Continuavano a piagnucolare sul potere d’acquisto, loro. Il potere d’acquisto, volevano, il potere d’acquisto, ma la questione era l’acquisto del potere; acquisto senza pagare, s’intende, al limite pagando coi soldi degli altri.
Il nostro passato dimostra che abbiamo le carte in regola. E quelli che dicevano «nani e ballerine» riconosceranno i nostri meriti. E dovranno ammetterlo: non è vero che diventano ministre le amichette di Berlusconi. È il contrario: Berlusconi si circondava di statiste in erba, persone promettenti che l’età rendeva non ancora consapevoli delle loro energie. Questo, proprio questo è il personale politico che fa il bene del paese. Che? Cosa penso di Giacomo Matteotti? E chi è? Stia zitto, non mi interrompa.
Fresco come un garofano, ecco il programma per l’Italia. Da qui, da Hammamet, vedo lontano. Le opere pubbliche devono essere rilanciate. L’arrivo di denaro dall’Europa è un’opportunità da utilizzare, senza farsi condizionare dalla vecchia politica. E lo scriva, lo scriva, non siamo noi a ricattare il governo. E non vogliamo certo mettere il fondo dei pantaloni sul Quirinale, al limite ci mettiamo due cosce in tailleur. Anche cosce cattoliche, o laiche, o tutte e due le cose, grasse o scheletriche, dotte o chiacchierone, non importa. Possiamo anche far finta di metterci il tailleur e poi invece metterci i pantaloni, o viceversa. Noi siamo per la modernità e non ci facciamo fregare. Abbiamo un programma serio. Lo dico a testa alta: andrà a ruba. Un attimo, mando un piccione viaggiatore a Mach di Palmstein.
Sul petrolio, non facciamo gli schizzinosi. Il mondo islamico ci serve, e sulla Achille Lauro non ho niente da nascondere. L’installazione degli euromissili in Sicilia è merito mio; niente euromissili, niente caduta del blocco sovietico: la guerra fredda l’ho vinta io. Leon Klinghoffer che viaggiava troppo l’hanno stecchito gli arabi, Mordekai Vanunu che non si faceva i cazzi suoi l’ha rapito il Mossad, e il nuovo Concordato col Vaticano è in linea con la tradizione democratica, col fatto che da ragazzo stavo per entrare in seminario e con la mia passione per Giuseppe Garibaldi.
Sfruttare le forze in campo. Idrocarburi e gasdotti senza sorprese, cemento e commesse pubbliche, imprese ecologiche o che lo sembrino. Poi grandi cose, osare. Un condono edilizio, con un nome che dia fiducia: pace urbanistica, oppure valore città, al limite mattone civico. E ancora basso costo del lavoro, debito senza darsi pensieri, titoli garantiti oppure riscossione di contributi dando garanzie sul lavoro degli altri, e il gioco è fatto. Al limite, farà da perno un banchiere affidabile, che abbia fatto gli studi in Italia coi gesuiti e la pratica in una banca americana coi protestanti e con gli ebrei; meglio, se in Europa piace ai tedeschi. Se ne trovano, di banchieri: basta promettergli qualcosa, e poi mantenere, oppure fregarlo alla grande, questi dettagli si vedono dopo. Bruxelles capirà, e un giorno il continente sarà come me.
Per l’economia, evitare complicazioni e regole astruse. Rinnovamento, procedure snelle: e la nave va! Ecco perché la questione della giustizia va impostata bene. Basta, col protagonismo di certi giudici. Ha visto che quel Carlo Palermo ha messo sotto inchiesta la mia famiglia? È sopravvissuto a un’autobomba, lo so; col traffico bisogna stare attenti. Su Giovanni Falcone, ha ragione Sciascia: la mafia si combatte con il diritto. Il diritto è la via, la strada, la strada sicura, l’ampia strada del futuro, anzi via: l’autostrada. Per l’Italia vogliamo un successo dirompente, che faccia rumore.
La giustizia sarà riformata. Devono vergognarsi di mezzo secolo di correntismo, di convegni intellettualoidi, di culturame, di chiacchiere demagogiche, di stronzate egualitarie, di persecuzioni. Il processo a Enzo Tortora lo dimostra: Andreotti è innocente. E il Consiglio superiore della magistratura deve smettere di essere incontrollabile; che amministrino, presto e bene: riunioni in piedi, senza riscaldamento, senza condizionatore, scalzi, col bar nell’aula, anche il biliardino; dadi e croupier so da chi possono affittarli. E separazione delle carriere, subito: i giudici separati dai pubblici ministeri, e i pubblici ministeri alti da quelli bassi, e i giudici grassi da quelli magri. E poi gli scapoli dalle vedove, i vegetariani dai patentati, e i mancini dai calvi e dai presbiti. Ne va del diritto alla difesa, e ne so qualcosa io, che sono un perseguitato dal diabete.
Gli investimenti devono contare sulla fiducia. Se mi firmo Ghino di Tacco è perché aspetto tutti al varco di un’occasione storica. La mia. Quella di quando vincerò, vinceremo, il mondo sarà come me, sarà un giro virtuoso, faremo le sinergie, seguiremo un cronoprogramma, avremo le mani in pasta, metteremo i piedi nel piatto, spezzeremo le reni, ci metteremo la faccia, useremo le palle. E quindi, lo ripeto, uomini come Palamara sono preziosi. Fare a meno di persone col suo talento significherebbe condannarsi all’immobilismo, a una burocrazia imbalsamata. Ma gli italiani sanno da che parte stare. Adesso ho da fare, fuori dai coglioni.