Ci riprovo, per l’undicesima volta. Perché ho iniziato a scrivere questa lettera già dieci volte, per rivolgermi a voi italiani, e anche a voi francesi. Ma l’emozione e la tensione sono tali, le parole che mi accusano così violente, e ciò che accade è così enorme e stupefacente che sono paralizzato da un senso di incredulità e di impotenza. Come può farcela la mia sola voce d’uomo ad affrontare tutte le grida che si sono riversate su di me? Come posso oppormi alle voci che mi assillano: “odioso criminale”, “assassino”, “sicario” … Quest’uomo, che non sono io, porta il mio nome sui giornali, dappertutto. Quest’uomo, quest’omicida, io non lo riconosco.
Ma come farmi ascoltare? Come dividere e isolare le verità individuali dal più vasto clima di emergenza e di conflitto sociale di un tempo, e dai numerosissimi processi che ne seguirono, la cui natura fu necessariamente eccezionale? Che cosa dirvi, e cosa donarvi? La mia sincerità. La mia verità. E’ tutto quello che possiedo di fronte a tali assalti. Certo, ho fatto parte di un gruppo armato, come migliaia di altri giovani di quell’epoca, e non sono stato il “capo” di nessuno. Avendo perduto la fiducia nella giustizia del mio paese, sono evaso per cercare esilio all’estero. Così mi hanno processato in mia assenza, senza alcuna possibilità di difendermi, senza aver mai potuto parlare a un avvocato. In queste condizioni, venni condannato all’ergastolo sulla base della parola dei “pentiti”, che così poterono contrattare le loro pene detentive.
La mia verità. La “rivoluzione” mi ha afferrato per caso in una piazza in fermento, sovrapponendosi a quel “sogno comunista” che udivo raccontare a casa mia, in campagna, fin dall’infanzia. L’impegno politico che ne derivò devo riconoscerlo per forza. Fa parte del mio passato, di quell’infatuazione dissolta, superata dalla maturità, punita con l’esilio. E’ anche parte della storia del mio paese. Questa storia tragica che ha provocato morti e lutti, morti che non possono né devono essere dimenticati, vittime che assillano la nostra memoria collettiva.
Sono ormai anni che scrivo per capire e far capire, che vado ovunque in cerca di giovani cui raccontare il mio percorso caotico, affinché il loro istinto ribelle non li trascini verso itinerari drammatici quanto i miei. Questi brevi anni di sbandamento che cerco di risparmiare loro, io li ho pagati con parecchi anni di prigione e oltre vent’anni d’esilio. Informato della parola data dallo Stato francese, che apriva le sue porte agli italiani, mi sono rifugiato in questa terra quattordici anni fa, e la sua giustizia mi ha dichiarato non estradabile.
Ma oggi, senza che io riesca a capire né come né perché, l’estradizione mi minaccia ancora, e con essa la reclusione perpetua. In questo inesplicabile incubo le cui ragioni mi sfuggono completamente, non posso e non riesco a dirvi che una cosa sola: se questo dovesse essere il mio destino, allora, veramente, giustizia non sarà fatta.
Cesare Battisti