1981: l’arresto collettivo dei familiari di Cesare Battisti
a cura di Francesca e Stefania Battisti
Il magistrato Armando Spataro, spalleggiato dal suo collega Edmondo Bruti Liberati e da altri, non perde occasione di intervenire in tutte le sedi possibili per affermare che, nella repressione delle organizzazioni armate operanti in Italia tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, non si uscì mai dal quadro della “normalità” legale. Non vi fu mai, dunque, “emergenza” di sorta, o pratica disinvolta degli strumenti repressivi. Semmai rigore, come ammette con ritrosia Luciano Violante.
Ciò fa sorridere chi conserva buona memoria. A chi l’ha smarrita, oppure non era ancora nato, offriamo una documentazione difficilmente controvertibile. Si tratta delle testimonianze dei congiunti di Cesare Battisti su ciò che accadde loro dopo l’evasione di questi. Va ricordato che la famiglia Battisti, di solida tradizione comunista (PCI) e di condotta irreprensibile, non condivise mai le scelte di Cesare, politiche o personali che fossero.
Cominciamo dalla sorella Assunta. Molte altre testimonianze seguiranno.
Ci chiediamo se Armando Spataro considererà questi racconti riflesso di “normalità giuridica” (VE).
ASSUNTA BATTISTI
Come sei venuta a conoscenza dell’evasione di Cesare?
Domenica 4 ottobre 1981, alle ore 17-17,30, mi trovavo a casa di mia sorella Rita per informarla delle condizioni di mia madre, che era ricoverata gravissima all’ospedale Gemelli. Ero appena ritornata, visto che avevo fatto la notte e gran parte della giornata. A informarmi dell’evasione ci hanno pensato i carabinieri di Latina.
Descrivici la notte in cui ti portarono via. Ti spiegarono il perché? Sapevi dove saresti stata condotta?
La sera stessa del 4, verso le 20,30, sono tornati i carabinieri e senza tanti scrupoli (ero stanca per le nottate passate ad assistere mia madre, e preoccupata per mio fratello) mi hanno prelevata. Mi dissero che mi avrebbero portata alla caserma di Frosinone, perché il procuratore voleva interrogarmi, visto che ero l’ultima persona che era andata a colloquio con Cesare. Non ricordo per quante ore sono stata interrogata quella notte, ma ricordo bene gli urli e le minacce, ero la sorella più vicina a lui e quindi dovevo sapere.
Quanto sei stata trattenuta? Che trattamento ti hanno riservato?
Mi hanno trattenuto in cella di sicurezza a Frosinone, per quattro giorni terribili: interrogata da più persone (si alternavano), insultata, maltrattata anche fisicamente. Ero distrutta psicologicamente, non sapevo più chi ero e dove mi trovavo, non potevo nemmeno andare al bagno, non mi potevo lavare, né mangiare. Il tutto aggravato dal fatto che, essendo una fumatrice accanita, non mi davano nemmeno le sigarette.
Durante il fermo ti sono mai stati detti con chiarezza i capi d’accusa, le motivazioni dell’arresto ed eventuali prove a tuo carico?
Accusa? Sono la sorella di Cesare Battisti. Comunque i capi d’accusa con cui mi hanno tenuta dentro per due lunghi mesi erano: concorso in evasione, associazione a banda armata, detenzione e porto di armi da guerra, furto d’auto (per l’evasione), lesioni alle guardie carcerarie.
Hai comunicato con un avvocato? Ne hai fatto richiesta?
Quando ho capito che non mi avrebbero mandata a casa e che mi stavano portando in cella, ho chiesto l’avvocato, che in quei giorni non avevo mai visto. Appena arrivata al carcere di Latina sono stata messa in cella d’isolamento per venti giorni: uscivo solamente per essere interrogata, e questo avveniva notte e giorno, senza mai la presenza dell’avvocato. Solo qualche volta veniva chiamato. Questi interrogatori erano basati sulla crudeltà mentale, tipo interrogarmi senza sosta a qualsiasi ora, ma penso che la cosa più brutta sia stata farmi addirittura credere che fosse stata arrestata mia figlia quattordicenne. In quel momento ho avuto una crisi di nervi e ho perso i sensi. Dopo circa una settimana ho saputo che tutti i miei familiari erano stati arrestati, e che a casa erano rimasti i bambini, mio padre malato di tumore e mia madre ricoverata. A quel punto ero fisicamente distrutta e mentalmente annientata, tanto che durante un interrogatorio ho detto quello che volevano sentire, cioè un’auto-accusa, e così tutti i miei familiari sono stati rimandati a casa.
Come hanno reagito i tuoi figli?
Mia figlia quattordicenne, oltre allo spavento per essersi vista portare via la madre, confusa dalle notizie terribili della stampa, doveva occuparsi della casa e dei bambini di mia sorella Rita. Ma tutto questo non bastava, perché ha dovuto sopportare abusi psicologici da parte dei carabinieri, che ogni notte la prelevavano per portarla in caserma e interrogarla, e ascoltare offese contro me e suo padre.
Quale fu lo stato d’animo dei genitori tuoi e di Cesare, ormai anziani e gravemente malati, nel vedere arrestare tutta la famiglia?
Mia madre era così grave che al momento non si è resa conto della situazione, neppure dei carabinieri che passeggiavano lungo il corridoio dell’ospedale, sperando in una visita di Cesare. Mio padre era uscito da una settimana, dopo essere stato ricoverato per cinque mesi, a causa di un tumore. Come si può descrivere il dolore di questo pover’uomo, con un figlio ricercato e gli altri in galera? Non usciva più di casa, vergogna e dolore lo hanno immobilizzato.
Cosa ti rimane di tutta quell’esperienza? La puoi considerare superata?
Non posso considerare superate le ferite morali e fisiche che mi sono state inferte, se dopo ventitre anni, anche se in maniera diversa, sto vivendo le stesse cose. Con tutto quello che la stampa continuamente riporta, stanno nuovamente facendo di Cesare un mostro, e calpestando la dignità di tutti noi.
Hai potuto rivedere Cesare solo dieci anni dopo, quando la Francia gli concesse lo status di rifugiato politico. Come hai vissuto quegli anni di incertezza e di mancanza di notizie?
Ho vissuto dieci anni di angosce e di preoccupazioni. Migliaia di volte mi sono svegliata pensando a lui e chiedendomi: E’ ancora vivo? Dove sarà? Lo rivedrò mai?
Lo hai poi ritrovato a Parigi con una moglie e una figlia. Com’è cambiato in tutti quegli anni?
Quando sono arrivata alla stazione di Parigi, Cesare era a pochi metri da me e io non l’ho riconosciuto. Non c’era più il ragazzo che io ricordavo, ho ritrovato un uomo provato e dimesso. Il tempo e le sofferenze lo hanno maturato. Cesare è ora padre di due figlie che sta aiutando a crescere insegnando loro la legge dell’amore e del rispetto, quegli insegnamenti che egli stesso ha ricevuto.
Cosa ne pensi di tutti gli articoli pubblicati ultimamente, che parlano del suo come di un esilio dorato?
Menzogne! Ma di quale esilio può parlare, chi ha sempre avuto di tutto e di più? Chi esce dal proprio paese giusto per fare una vacanza, il portafoglio pieno di euro? Costoro non possono o non vogliono capire che esilio significa solitudine, fame ed emarginazione. La vita di un esiliato è durissima e umiliante. Se poi vogliamo dire che avere una sola stanza all’ultimo piano di un vecchio palazzo e lavare le scale significa essere miliardari, allora tirate voi le conclusioni.
(Continua. Prossima testimonianza: Vincenzo Battisti)