di Sandro Moiso
Goffredo Fofi (a cura di), I giorni della Comune. Parigi 1871, con una cronologia di Mariuccia Salvati, edizioni e/o, Roma 2021, pp. 208, euro 9,00
Per chiunque si ritenga nemico dell’attuale modo di produzione e, allo stesso tempo, si sforzi di immaginare un modo per uscire dal medesimo attraverso una differente organizzazione sociale e politica, il centocinquantesimo anniversario della Comune di Parigi avrebbe dovuto costituire l’anniversario più importante da celebrare nel corso di quest’anno.
Purtroppo non è stato così. Tra i fasulli “mea culpa” e i tardivi guaiti di dolore comparsi su quotidiani come Repubblica, solitamente indirizzati alla criminalizzazione di ogni forma di conflitto di classe (si pensi soltanto alla posizione costantemente assunta dal quotidiano romano nei confronti della lotta No Tav), destinati a celebrare, ancora una volta, una sconfitta del movimento in occasione dei vent’anni trascorsi dal G8 di Genova del 2001 e l’eccessivo spazio concesso, in ogni ambito, all’attuale, infruttuoso e fuorviante dibattito sul green pass (considerati anche i numeri “reali” delle piazze e delle “stazioni” e i limiti di un discorso incentrato quasi esclusivamente sul diritto e il sentire “individuale”), il ricordo di uno degli episodi più luminosi (poiché illuminante anche per l’oggi e per il domani) della storia della lotta di classe, e della rivolta della specie contro la devastazione politica, economica e sociale prodotta dal capitalismo imperante, è passato praticamente sotto silenzio.
Poche sono state le pubblicazioni dedicate quest’anno a quella fiamma che per alcuni mesi incendiò la Francia e indicò il divenire dello scontro sociale, costringendo prima Marx e poi Lenin a posare saldamente i piedi nell’esperienza prodotta dall’auto-organizzazione e dalla spontanea riflessione di un movimento che della guerra di classe aveva fatto il suo inestirpabile baricentro. Ieri come oggi, e forse proprio questo ha contribuito a far sì che si preferisse rimuoverne il ricordo quasi in ogni ambito di informazione e discussione.
Poi dicono…la memoria e la sua importanza…
Come al solito dipende sempre da quale memoria e di cosa o chi.
Per questo motivo l’agile libretto curato da Goffredo Fofi, e pubblicato nella collana Piccola Biblioteca Morale (PBM), ci è sembrato uno dei migliori, anche se in realtà si tratta di una selezione di articoli di giornali della Comune tratta da una ben più ampia raccolta curata da Mariuccia Salvati nel 1971 (quando la forza dei movimenti di classe si vedeva dalla capacità di imporre anche l’agenda degli anniversari e il corretto uso della memoria)1.
Così, prima di continuare con il discorso sulla Comune e i suoi giornali, sembra utile ricordare qui l’intento della collana delle edizioni e/o proprio attraverso le parole del suo curatore che, immancabilmente, rinviano anche a quanto qui si è fino ad ora detto.
Riprendere oggi la Piccola Biblioteca Morale2 significa per noi reagire all’abulia della cultura di questi anni, dominata dal narcisismo, dal flusso delle mode, dalla decadenza di figure intellettuali forti […]. Sono stati sostituiti costoro, da branchi di professionisti della cultura, di ratificatori delle scelte del potere e non di suoi critici oppositori; sono stati sostituiti da masse di scriventi da cui ben di rado si distaccano figure di scrittori e di studiosi all’altezza delle necessità del nostro tempo, che i più avvertiti giudicano estremamente critico o addirittura prefinale, proprio nel senso di una possibile fine della natura e fine della società umana. Quando le politiche in fatto di ecologia e di frontiere e di interessi finanziari mettono in dubbio la possibilità stessa di un futuro per il pianeta e per i suoi abitanti, quando gli stati cedono ai privati rinunciando alle responsabilità verso le collettività e finiscono quasi ovunque in mano ad avventurieri senza scrupoli, torna ad essere urgente guardare al presente con occhi ben aperti sulle sue storture e i suoi pericoli, dando voce , per il poco che si può fare, a chi ancora si ostina a pensare e a proporre, in funzione di una risposta, di un agire individuale e per gruppi piccoli e grandi, per comunità collettive.
La nuova Piccola Biblioteca Morale questo cercherà di fare, scovando il pensiero che più può esserci utile là dove ancora viene prodotto e recuperando dal passato le lezioni che ancora servono a capire e ad agire3.
Ecco allora che tutte le questioni poste in essere dall’esperimento comunardo e dal grande assalto al cielo tentato dal proletariato parigino, ma non solo, intercorso tra la sconfitta dell’esercito francese a Sedan ad opera dei prussiani e la feroce repressione della Comune messa in atto dal medesimo esercito nazionale, una volta riarmato ad hoc dai prussiani stessi, può rivelarsi ancora di grande attualità e di aiuto, non soltanto per comprendere la storia del movimento antagonista di classe, ma anche per provare a dirimere alcuni dei dilemmi politico-sociali che si pongono oggi.
Il fatto che quell’esperienza, già ampiamente documentata nei ricordi di Louise Michel o Hyppolite-Prosper-Olivier Lissagaray (solo per citare due dei testimoni e protagonisti più accreditati) e analizzata in alcune delle opere più significative di Karl Marx, Michail Bakunin, Kropotkin e Lenin, sia vista attraverso la testimonianza diretta di quei giorni, tratta da i giornali editi in quel periodo rende, poi, il tutto più utile e diretto.
Furono decine i giornali pubblicati in quel periodo e ventisei quelli dai quali furono tratti gli articoli scelti dalla Salvati per la sua opera originale del 1971. Oltre naturalmente a manifesti, proclami ed editti dello stesso periodo che compaiono anche, pur se ridotti complessivamente a circa sessanta testi, nelle pagine del volume curato da Fofi.
La Comune, attraverso questi testi, ci “parla”, direttamente e senza, soprattutto, il sovrapporsi di interpretazioni ideologiche e critiche interessate espresse a posteriori che, vista la permanente contrapposizione tra anarchismo e socialismo, rischiano sempre di spostare l’attenzione del lettore dal fatto o dal “detto” concreto alla sua valutazione di carattere filosofico-politico.
Carta canta si sarebbe detto un tempo e, in effetti, quei giornali cantano ancora: una canzone di rivolta, presa di coscienza, organizzazione, battaglia e determinazione. Mai il piagnisteo percorre quelle pagine, mai l’allusione a generici “diritti umani”, mai la rivendicazione di un diritto strettamente individuale. Tutti gli articoli, anche se espressi da giornali di diversa tendenza, diventano espressione di una voce collettiva. Sia che si tratti di editti, analisi dei fatti, considerazioni sulla vita della Comune o anche dell’organizzazione di un Museo, è sempre chiaro che attraverso quelle righe, poche o tante che siano, si esprime una volontà collettiva… Se ci sono errori, e in una realtà vitale sono inevitabili, vi è sempre la possibilità di correggerli o rivederli. Insieme.
La vita è magmatica, non è un percorso ben ordinato e tale fu la vita, intensissima anche se breve, di quel primo radicale esperimento di società “altra” da quella del capitale. Anzi ci sarebbe da dire che proprio là dove regna l’ordine, come a Parigi dopo la semaine sanglante o come a Berlino dopo la repressione dei moti spartachisti, là regna la morte.
Alla faccia di tutti coloro che, utopisti o stalinisti o altro che fossero o siano, immaginano un processo rivoluzionario o l’organizzazione di una nuova società come un percorso ben ordinato e determinato dalle direttive di “un partito” o di un nucleo scelto di militanti.
Un autentico processo rivoluzionario integra tra di loro realtà differenti, sessi, classi e frazioni di classe potenzialmente nemiche del Capitale, per le quali l’eventuale egemonia politica di una di esse può essere soltanto condivisa con e dalle altre, mai imposta. Come ci insegnano la Comune stessa, le donne e gli uomini del Rojava e, ancora, i movimenti in difesa delle comunità e dell’ambiente come quello No Tav.
La vita è disordine creativo, la lotta e la rivoluzione disordine determinato, dai fatti oggettivi e dalle iniziative collettive. Tutto il resto è fuffa, volontarismo, centralizzazione autoritaria, deviazione opportunistica dagli obiettivi che si vanno invece meglio definendo nella polemica costruttiva, nel confronto collettivo e nelle battaglie condotte insieme. Anche sul piano militare, perché la pace, soprattutto tra chi sta in basso e chi sta in alto, oggi come ai tempi della Comune, può essere sventolata come bandiera soltanto da chi vuol mantenere un sempiterno status quo.
Può così risultare curioso, oggi, leggere sulle pagine del n° 131 del «Journal Officiel» dell’11 maggio 1871 un appello che la Federazione dei massoni e dei compagni di Parigi rivolge ai fratelli della Francia e del mondo intero.
Essendo state riprese le ostilità con un odio indescrivibile da parte di coloro che osano bombardare Parigi, i massoni si riunirono il 26 aprile allo Châtelet, e decisero che il sabato 29 sarebbero andati solennemente a fare adesione alla Comune di Parigi, e a piantare le loro bandiere sui baluardi della città, nei luoghi piùminacciati, sperando che avrebbe portato la fine di questa guerra empia e fratricida.
Il 29 aprile, i massoni, in numero di 10-11.000, si recarono all’Hôtel de ville, seguendo le grandi arterie della capitale, in mezzo alle acclamazioni di tutta la popolazione paerigina; arrivati all’avenue dela Grande Armée malgrado le bombe e le raffiche di mitraglia, inalberarono sessantadue delle loro bandiere di fronte agli assalitori.
[…] E’ da Versailles che sono partiti i primi colpi, e un massone ne è stato la prima vittima […]
No! massoni e compagni, voi non vorrete permettere che la forza bruta l’abbia vinta, voi non sopporterete che ritorniamo nel caos, ed è quello che avverrebbe se voi no foste con i fratelli di Parigi che vi richiamano alla riscossa.
Agite di concerto, tutte le città insieme, gettandovi davanti ai soldati che combattono, loro malgrado, perla peggiore causa “quella che non rappresenta che degli interessi egoisti”[…]
Voi sarete benemeriti della patria universale, voi avrete assicurata la felicità dei popoli per l’avvenire.
Viva la Repubblica!
Viva le Comuni di Francia federate con quella di Parigi!4.
Citare questo episodio non significa andare a cacca di curiosità storiche, ma sottolineare come l’idea della federazione di Comuni ovvero di comunità in lotta e auto-organizzate contro lo stato autoritario centralizzato e le alleanze imperialiste avesse pervaso tutto il tessuto sociale di Parigi e della sua resistenza al ritorno all’ordine precedente, anche in settori inaspettati.
Ma non del tutto, considerato ciò che lo stesso Marx annotò a proposito di alcuni provvedimenti della Comune: «Una parte rilevante della classe media ha aderito alla guardia nazionale di Belleville. I grandi capitalisti hanno pianto, quando i piccoli affaristi e gli artigiani andarono con la classe operaia.[…] I decreti sugli affitti e sugli effetti cambiari sono realmente due colpi magistrali, senza di essi i tre quarti dei piccoli uomini d’affari e degli artigiani sarebbero andati in bancarotta»5.
Sono, questi, solo degli esempi dell’attualità dell’insegnamento comunardo: vivo, presente, utile e battagliero. Senza pentimenti, senza renitenze, senza piagnucolii. I Comunardi, dalle pagine dei loro giornali, sembrano ancora dirci: Abbiamo assaltato il cielo e non ce ne siamo mai pentiti, ma adesso tocca a voi!
Il centenario della Comune di Parigi, che sia Marx che Bakunin considerarono la novità decisiva nella storia della classe operaia e dei “ceti subalterni” e delle loro lotte per una società egualitaria e solidale, per il socialismo, cadde nel 1971 a poca distanza dal ’68. E il movimento studentesco seppe appropriarsi di quell’anniversario finanche nelle sue frange “maoiste” e indicare la Comune come il primo modello della sua rivolta, in giro per il mondo ma in particolare in Francia dove la Comune era esplosa. Ma dopo, un pesante e cupo silenzio ha circondato quella storia […]
Prima dei “codici” staliniani che costrinsero le arti nella retorica e nel “culto della personalità”, anche nella Russia sovietica la Comune era additata come il punto di svolta nella storia dell’umanità6, una concreta esperienza rivoluzionaria di “potere al popolo”[…]
Nonostante le derive staliniane, nonostante le retoriche dell’intellighenzia borghese e piccolo-borghese di ieri ( e specialmente di oggi, quella che ha osato dirsi comunista), la Comune è stata e continuerà a essere il punto di riferimento di tante e vere rivolte, e in particolare ha dato ai popoli in lotta il modello di modi di organizzarsi, anzi di auto-organizzarsi, nel legame tra mandanti e rappresentanti, dentro una giusta comunanza di intenti e di pratiche (anche tra i sessi). Sotto – ne scrisse il ragazzo Rimbaud – “il gran sole carico d’amore”7.
Mariuccia Salvati (a cura di), I giornali della Comune. Antologia della stampa comunarda 7 settembre 1870 – 24 maggio 1871, Feltrinelli, Milano 1971, pp. 460 ↩
La collana era infatti nata, per lo stesso editore, già negli anni ’90 – NdA ↩
Goffredo Fofi, Piccola Biblioteca Morale, in G. Fofi (a cura di), I giorni della Comune, edizioni e/o, Roma 2021, pp. 205-206 ↩
cit. in G. Fofi, I giorni della Comune, op. cit., pp. 139-142 ↩
Appunti di un discorso di Karl Marx sulla Comune parigina in Karl Marx, 1871 La Comune di Parigi. La guerra civile in Francia, edizione integrale con annessi i lavori preparatori ed altri inediti. Edizioni International – Savona e La vecchia Talpa – Napoli, 1971, p. 428 ↩
Come avrebbe affermato nel corso del ‘900 Amadeo Bordiga, dopo la Comune non sarebbe più potuto esserci in Europa alcuna alleanza tra Capitale e Proletariato – NdA ↩
Goffredo Fofi, Introduzione a op. cit., pp. 5-7 ↩