di Armando Lancellotti
Andrea Cominini, Il nazista e il ribelle. Una storia all’ultimo respiro, Mimesis, Milano-Udine, 2020, pp. 446, € 24,00
Le vicende ricostruite, narrate ed analizzate da Andrea Cominini nel suo libro Il nazista e il ribelle. Una storia all’ultimo respiro si svolsero prevalentemente ad Esine, piccolo centro della media Val Camonica e sulle montagne circostanti della medesima vallata lombarda, che si estende nelle province bergamasca e bresciana e che tra l’8 settembre del 1943 e il 25 aprile del 1945 – vale a dire nel periodo in cui accaddero i fatti raccontati da Cominini – faceva da confine tra la Repubblica sociale italiana e il territorio dell’Alpenvorland, che, oltre il passo del Tonale, comprendeva le province di Trento, Bolzano e Belluno, direttamente amministrate dalle autorità di occupazione germaniche e del tutto sottratte alla sovranità del collaborazionista governo di Salò, così come accade più a est nell’Adriatisches Küstenland.
Ed Esine è il luogo in cui cresce l’autore – docente di lingue e letterature straniere – che fin da bambino ascolta i racconti degli adulti nella casa dei nonni sulla guerra civile e la lotta partigiana in Val Camonica e su di un episodio in particolare, quello che vide come protagonisti un giovanissimo partigiano esinese, morto ad appena vent’anni per mano di un giovane sottoufficiale tedesco, a sua volta linciato e ucciso nella piazza centrale del paese un paio di mesi dopo, a guerra terminata da qualche giorno: “il nazista e i ribelle”, come per l’appunto recita il titolo del volume.
Il nazista si chiamava Werner Maraun, nato a Berlino nel 1914, sottufficiale della Wehrmacht che concluse la guerra con il grado di maresciallo; un giovane istruito e con una spiccata propensione per l’apprendimento delle lingue straniere, che gli permise di essere impiegato, sui diversi fronti in cui fu inviato a combattere (Francia, Russia, Italia), soprattutto in compiti di intelligence, quali prendere contatto con la popolazione civile locale, intrecciare una rete di spie ed informatori, organizzare la repressione della resistenza locale, perseguitando e combattendo le formazioni partigiane. Nonostante si trattasse di un sottufficiale di grado non certo elevato, Maraun si mise in luce per le sue capacità nell’esecuzione dei compiti a lui affidati e si guadagnò la stima dei suoi superiori, come il colonnello Richard Kotz, a capo della Waffenschule OB Südwest, con sede a Boario Terme, nella quale Maraun era inquadrato e che presiedeva alla lotta antipartigiana in Val Camonica, riferendo regolarmente al comando delle SS di Desenzano. Pertanto, Werner Maraun venne individuato dalla popolazione della Val Camonica – e forse in modo un po’ sbrigativo ed eccessivo – come il principale responsabile delle azioni tedesche di contrasto alla lotta partigiana e come il simbolo della violenza e della crudeltà naziste. Intransigenza spietata contro le formazioni partigiane che il maresciallo Maraun aveva di certo ampiamento sperimentato e appreso sul fronte orientale, dal quale provenivano lui e molti dei reparti della Wehrmacht o delle Waffen SS che si resero protagonisti dei peggiori eccidi e dei più brutali crimini di guerra in Italia tra il 1943 e il 1945.
Il ribelle si chiamava Bortolo Bigatti, nato ad Esine nel febbraio del 1925, un giovane esuberante e sicuro di sé, estremamente coraggioso, al punto da risultare il più delle volte eccessivamente imprudente, poco disposto ad attenersi agli ordini dei suoi superiori e più incline ad agire istintivamente ed individualmente. Bigatti, soprannominato Móha, militava nelle Fiamme Verdi, le formazioni partigiane cattoliche, che rappresentavano circa il 15 per cento dell’intera organizzazione militare resistenziale ed erano particolarmente attive proprio nel bergamasco e nel bresciano. Per il grande coraggio, che spesso però sfiorava l’avventurismo sconsiderato, Móha si conquistò una certa fama tra i suoi compaesani e l’eccessiva sicurezza nei propri mezzi o nella benevolenza della fortuna, insieme alla più che probabile delazione di alcuni esinesi che collaboravano con fascisti e tedeschi, gli costarono care, quando il 6 febbraio del 1945 fu catturato nell’osteria del paese, immediatamente riconosciuto ed arrestato a colpo sicuro dal maresciallo Werner Maraun, che aveva ricevuto una precisa segnalazione e che lo freddò con un colpo di pistola alla tempia nella piazza centrale del piccolo borgo camuno.
Poco più di due mesi dopo, a guerra ormai terminata in Italia, Werner Maraun, che probabilmente per ordine dei suoi superiori si era attardato nelle operazioni di evacuazione e di trasferimento verso nord delle truppe germaniche, fu intercettato e riconosciuto da un posto di blocco partigiano, arrestato, condotto in paese per essere incarcerato ed interrogato, ma, giunto nei pressi di quella piazza dove lui stesso aveva freddato il partigiano Móha, fu assalito e linciato dalla popolazione di Esine e colpito a morte quasi certamente da qualcuno di coloro che dopo essere stati informatori e spie di tedeschi e fascisti, vollero al più presto eliminare chi avrebbe potuto facilmente rivelarne l’identità alle autorità partigiane, che confidavano proprio in questo per perseguire e colpire i collaborazionisti fascisti dell’intera valle. Era il 28 aprile 1945, lo stesso giorno in cui – come è noto – sempre in Lombardia – ma a Dongo, sul lago di Como – Benito Mussolini veniva fucilato e poi trasportato a Milano, a piazzale Loreto, il giorno successivo. La piccola piazza Garibaldi del borgo di Esine e piazzale Loreto a Milano; un episodio di storia locale e il grande evento che pose fine a più di vent’anni di dittatura italiana; la “microstoria” che si congiunge con la “grande storia”, alimentandola, così come un piccolo affluente porta le proprie acque ad ingrossare quelle di un grande fiume.
Non è di certo possibile, in poche righe, dare conto della complessità e della ricchezza del volume di Andrea Cominini, che in quattrocento pagine dense e coinvolgenti concentra un lungo e paziente lavoro di ricerca durato molti anni e nel quale si dimostra capace di intrecciare e di fare interagire diversi piani di lavoro, molteplici prospettive di osservazione e analisi, differenti modalità di scrittura per trattare una enorme quantità di fonti e documenti, di volta in volta rinvenuti con perizia e passione negli archivi locali della Val Camonica e del bresciano o in quelli nazionali italiani e tedeschi, a cui si aggiungono le testimonianze orali raccolte in Italia e in Germania, le numerose interviste a testimoni ancora in vita, le lettere e i documenti di archivi privati o conservati da parenti ed eredi dei protagonisti delle vicende ricostruite. Basti, come esempio della meticolosa competenza dell’autore e del rigore impiegato nella ricerca, la minuziosa ricostruzione della figura di Werner Maraun e della sua vita precedente all’arruolamento nella Wehrmacht e alla guerra, che si è avvalsa della preziosa collaborazione e della disponibilità dell’anziana figlia del maresciallo della Waffenschule OB Südwest.
L’accurata attenzione con cui Cominini raccoglie ogni informazione utile che riguardi Bortolo Bigatti e Werner Maraun, le loro vite indipendentemente da quegli eventi storici che li avrebbero messi l’uno contro l’altro, determinando la morte di entrambi, consente all’autore di trasformare due personaggi di secondo piano di uno degli innumerevoli episodi della lotta partigiana e della guerra civile italiane in attori protagonisti di una storia che, pagina dopo pagina, trascende il piano della rigorosa ricerca storiografica locale e diviene narrazione, quasi romanzo e pertanto capace di assurgere ad esempio paradigmatico di quanto accaduto nei tanti luoghi dell’Italia centro-settentrionale teatro della Resistenza italiana. Cominini opportunamente sceglie di costruire l’intero libro secondo un montaggio in parallelo delle figure dei due protagonisti e delle vicende di cui furono attori che conduce ai cruciali capitoli 23^ (Martedì 6 febbraio 1945: la retata), che ricostruisce la cattura e la morte di Bortolo Bigatti e 29^ (Sabato 28 aprile 1945: la resa dei conti), che tratta la cattura e il linciaggio di Werner Maraun.
L’efficacia della resa narrativa non si separa mai – ed è questo un altro merito che va attribuito all’autore – dal rigore della ricerca storiografica, che correda ogni pagina ed ogni capitolo del volume di un ricchissimo e scrupoloso apparato di note, che consentono di mantenere sempre stretto il legame tra narrazione dei fatti e ricerca storica, tra micro-storia locale e macro-storia generale, tra riflessione su vicende particolari e quadro storiografico complessivo. Un libro denso, interessante ed originale che aggiunge una tessera preziosa al ricco mosaico della saggistica e della letteratura sulla storia del movimento partigiano e della guerra in Italia tra il 1943 e il ’45.