di Marcella Farioli
Colette Guillaumin, Sesso, razza e pratica del potere. L’idea di natura (traduzione, prefazione e cura di Sara Garbagnoli, Vincenza Perilli, Valeria Ribeiro Corossacz), Ombre Corte, Verona 2020, pp. 244, € 22,00 (tr. di Sexe, race et pratique du pouvoir. L’idée de nature, Éd. côté-femmes 1992, Éd. Ixe 2016).
Nel 1972 esce in Francia nelle edizioni Mouton il volume di Colette Guillaumin L’idéologie raciste. Genèse et langage actuel. La sociologa e militante femminista e antirazzista, ricercatrice del CNRS e dal 1977 collaboratrice della rivista teorica del femminismo materialista francese Questions féministes, opera in questo saggio una vera svolta epistemologica nell’analisi dei «rapporti sociali di razza». Guillaumin scardina infatti la concezione dominante all’epoca secondo cui il razzismo si definisce in quanto trattamento ostile di gruppi “naturali” preesistenti, rovesciando questa prospettiva e il rapporto causale di matrice idealista che essa sottende: se l’ideologia razzista si diffonde parallelamente alla diffusione su larga scala dello schiavismo e del colonialismo, soprattutto a partire dal XVII secolo, è perché essa è chiamata a giustificare una dominazione e uno sfruttamento già in atto. La legittimazione dei rapporti sociali di razza avviene attraverso «l’idea di natura», ovvero la credenza nell’esistenza di categorie naturali, chiuse e dotate di un determinismo interno e di caratteristiche particolari: tale concezione, attraverso il procedimento della naturalizzazione, permette di perennizzare e di pensare come immutabile la subordinazione da parte del gruppo dominante, la «razza bianca», del gruppo sociale minoritario e dominato, la «razza nera». Se le razze non esistono sul piano biologico, esiste tuttavia la brutale realtà delle razze socialmente costruite.
Il razzismo dunque, lungi dal configurarsi come un fenomeno culturale “curabile” attraverso strumenti educativi che dissolvano la “paura del diverso”, come oggi sovente si proclama, non costituisce la causa, ma l’effetto, l’espressione ideologica e discorsiva di un rapporto sociale materiale preesistente, che Guillaumin definisce «appropriazione»: non solo la dominazione e lo sfruttamento della forza lavoro di un individuo, ma la sua completa reificazione fisica e psicologica, la sua riduzione a «macchina-forza-lavoro» (machine-à-force-de-travail). I neri, per intendersi, non erano e non sono schiavizzati e sfruttati perché sono neri, ma il colore della pelle diviene a posteriori rilevante per marcare e legittimare la loro schiavitù e il loro sfruttamento.
Negli anni successivi, Guillaumin riflette sulle analogie che accomunano il razzismo e il sessismo in quanto espressione ideologica di rapporti sociali concreti: il concetto di razza in quanto prodotto di determinati rapporti potere e il procedimento di razzizzazione (racisation) dei gruppi oppressi attraverso l’ideologia naturalistica si prestano, secondo la sociologa, ad essere estesi anche ai rapporti sociali di sesso. Il volume Sexe, race et pratique du pouvoir. L’idée de nature, pubblicato per la prima volta nel 1992 dalle Éditions côté-femmes e ora curato e tradotto in italiano da Sara Garbagnoli, Vincenza Perilli e Valeria Ribeiro Corossacz, è il frutto di questa riflessione. Il rapporto sociale di appropriazione in quanto accaparramento fisico e psicologico dell’individuo, del suo tempo, della sua sessualità, dei prodotti del suo corpo e della sua forza lavoro si applica in maniera pertinente alla dominazione e allo sfruttamento delle donne attraverso il sexage (un neologismo di Guillaumin che le traduttrici scelgono opportunamente di tradurre con il calco «sessaggio»). Tale appropriazione è, anche nel caso delle donne, giustificata dall’«idea di natura»: alcuni tratti biologici in sé privi di una specifica pertinenza, come il colore della pelle o la morfologia dell’apparato riproduttivo, divengono “marchi naturali” utili a fondare processi di categorizzazione e gerarchizzazione.
Colette Guillaumin mostra così che il sesso e la razza sono costruzioni sociali su base economica e politica proprio come la classe, e che essi sono empiricamente imbricati. L’articolo Razza e Natura. Sistema dei marchi, idea di gruppo naturale e rapporti sociali tradotto nel volume (pp. 181-201) illustra il funzionamento del sistema dei marchi, che, mentre rende visibili i dominati in quanto alterità e naturalizza la loro oppressione, invisibilizza i rapporti di dominio e i dominanti, che vengono a coincidere con la norma, l’implicito, il neutro universale. Ciò avviene sia nel razzismo sia nel sessismo; «l’invenzione della natura» insomma «non può essere separata dalla dominazione e dall’appropriazione degli esseri umani» (p. 201). Il marchio, che facilita a causa della sua evidenza concreta i processi di naturalizzazione, non è percepito come tale, ma come fonte dei rapporti sociali di dominio.
Guillaumin mutua la categoria di «classe di sesso» da un altra sociologa materialista e fondatrice di Questions féministes, Christine Delphy, che applica all’asse del sesso la categoria marxiana di classe sociale. Su questa base Guillaumin definisce il rapporto sociale di sessaggio come una duplice appropriazione, collettiva e privata, della classe delle donne da parte della classe degli uomini: la prima agisce attraverso il modo di produzione domestico (analiticamente distinto dal modo di produzione capitalistico), lo sfruttamento del lavoro non pagato delle donne e il luogo comune che queste ultime siano “per natura” a disposizione degli uomini; la seconda si attua attraverso il matrimonio, ed è possibile solo perché esiste la prima. Tale sistema di dominio si declina in un’ineguaglianza e gerarchizzazione tra i sessi a differenti livelli: divisione del lavoro, condizioni materiali di esistenza, proprietà di beni, salari, scambio sessuo-economico, autonomia, anche psicologica; «quando si è materialmente appropriate» infatti, «si è mentalmente spossessate di sé» (p. 55).
Analogamente a quanto affermato per il razzismo, dunque, anche nel meccanismo del sessaggio viene invertito il rapporto causale così come è stato radicato nella percezione comune dalla vulgata naturalistica: le donne non vengono appropriate perché sono donne, ma è la costruzione sociale di un gruppo sociale-donne, che non sarebbe socialmente pertinente in assenza del rapporto sociale di appropriazione, a nascere dalla necessità di legittimare l’appropriazione stessa di un gruppo sociale da parte di un altro.
Nonostante l’innegabile radicalità e originalità del pensiero antinaturalista di Guillaumin, la ricezione e circolazione delle sue opere, come di quelle delle altre materialiste, non è stata adeguata alla forza della loro rivoluzione epistemologica in seno agli studi femministi e al valore degli strumenti euristici offerti all’analisi dei sistemi di dominazione. In Italia questa rimozione è stata più evidente che in altri paesi, sia in ambito militante sia in ambito accademico. Di essa le curatrici offrono un triplice ordine di spiegazioni: la lunga egemonia nel nostro paese del pensiero della differenza sessuale, la riduzione del femminismo francese – nella narrazione mainstream – alla triade Hélène Cixous, Julia Kristeva, Luce Irigaray, e infine il tentativo di cancellazione della nostra storia coloniale; motivazioni cui si possono aggiungere l’avversione dilagante per il marxismo e per la visione materialistica della storia, la tendenza postmodernista a rifiutare le interpretazioni generali della realtà, la riluttanza ad estendere il paradigma materialista ai rapporti sociali di sesso, l’insopprimibile angoscia che la categorizzazione dei gruppi sociali finisca per peccare di essenzialismo o per elidere la loro (peraltro evidente) assenza di omogeneità, la negazione del conflitto e delle sua cause concrete in materia di rapporti tra i sessi a favore dell’irenica convinzione che l’educazione alle differenze eliminerà le basi – rigorosamente culturali – delle diseguaglianze. Ma la differenza, come Guillaumin insegna, non è biunivoca, e nasconde sempre un rapporto gerarchico: «se le donne sono differenti dagli uomini, gli uomini, loro, non sono differenti (…). I negri sono differenti (i bianchi sono, semplicemente)» (pp. 84-85).
In verità, il pensiero di Guillaumin appare particolarmente attuale e fecondo in questo momento storico in cui assistiamo a una prepotente rinaturalizzazione del genere e della razza, e in cui infuria la violenza maschile, che ha le sue radici proprio nell’appropriazione collettiva della classe di sesso delle donne: come la sociologa osserva, infatti, la violenza maschile «è la sanzione socializzata del diritto che si arrogano gli uomini sulle donne: tale uomo su tale donna, così pure come su tutte le donne che “non sanno stare al loro posto”». Il pensiero di Guillaumin, sempre attento a non disgiungere l’elaborazione teorica dalla ricerca militante di vie pratiche per la trasformazione dell’esistente, rappresenta un formidabile antidoto contro la concezione diffusa di una complementarietà naturale tra i sessi, che invisibilizza i rapporti di forza, culturalizza e psicologizza la violenza maschile, perpetua le diseguaglianze, e nasconde le basi materiali e i meccanismi sociali che le producono.
La traduzione italiana di Sexe, race et pratique du pouvoir, che contiene buona parte degli scritti di Guillaumin tra il 1977 e il 1992, colma dunque un vuoto non irrilevante nel panorama editoriale italiano e del più generale dibattito accademico e militante attorno al razzismo e al sessismo. Il volume è introdotto da una prefazione italiana (Il pensiero anti-naturalista di Colette Guillaumin) di Sara Garbagnoli, Vincenza Perilli e Valeria Ribeiro Corossacz, studiose che da anni perseguono lo sforzo di diffondere in Italia il pensiero del femminismo materialista francofono: va in questo senso la pubblicazione nel 2013 dell’antologia Non si nasce donna (Roma, Alegre), prima raccolta in lingua italiana di testi del femminismo materialista.
L’introduzione del volume, divisa in tre sezioni principali e ricca di riferimenti bibliografici, propone un quadro storico e culturale di insieme, che consente di contestualizzare il pensiero di Guillaumin nell’ambito del femminismo materialista, delle sue protagoniste e della loro reciproca influenza; su di esso si innesta la disamina chiara e concisa degli snodi fondamentali del pensiero di Guillaumin, della loro attualità e della loro importanza nel quadro della sociologia del razzismo e del sessismo e del pensiero femminista. Per un approfondimento di questi temi e sull’approccio delle curatrici al femminismo materialista e a Guillaumin, si può leggere l’ampia e interessante intervista a Garbagnoli, Perilli e Ribeiro Corossacz rilasciata in occasione dell’uscita del volume qua.