di Luca Cangianti
Adolfo Scotto di Luzio, Nel groviglio degli anni Ottanta: Politica e illusioni di una generazione nata troppo tardi, Einaudi, 2020, pp. 312, € 30,00.
Al liceo con il righello scrostavo l’intonaco bianco per far riemergere le scritte di quelli che erano venuti prima di noi. Erano gli anni Ottanta. Quando davamo i volantini contro i missili a Comiso o per protestare contro la chiusura dei cancelli della scuola durante le ore di lezione, loro, quelli più grandi, ci guardavano con sufficienza, forse persino con fastidio. Con noi non parlavano. Avevo sempre saputo che durante gli anni dell’infanzia era accaduto qualcosa d’importante al quale non avevo potuto prender parte: il Sessantotto, il Settantasette, milioni di giovani, di donne, di operai in tutto il mondo si erano ribellati a una società ingiusta. Lo avevo letto nei libri comprati sulle bancarelle, lo avevo visto in film come Fragole e sangue, Zabriskie Point e La classe operaia va in paradiso.
Qualche compagno più grande, prima di scomparire chissà dove, mi aveva indicato l’ambasciata spagnola in piazza Fontanella Borghese e di come fossero riusciti a rompere una finestra al secondo piano il giorno dell’uccisione dei cinque antifascisti spagnoli da parte del regime di Franco. Era il 27 settembre 1975. Probabilmente quel giorno ero sotto casa a giocare a pallone o con Big Jim. Eppure quando passo per quella piazza rivedo le immagini mitologiche che mi sono state raccontate, l’enorme bandiera rossa listata a lutto in testa al corteo che aveva sfilato da piazza Esedra a piazza del Popolo, gli slogan che rimbombavano cupi e potenti sui palazzi di via Cavour: “Compagni portoghesi, compagni spagnoli, per la rivoluzione non sarete soli!”
Non so cosa avrei dato per vivere dal vero quella sensazione adrenalinica, terribile ed euforica di chi sentiva il compito di portare avanti la battaglia di speranza di quei cinque giovani martiri, di chi si sente padrone di una agency rivoluzionaria, capace di opporsi al male e di cambiare il mondo.
Sono cresciuto con la sensazione di esser “nato troppo tardi”, di essermi “perso qualcosa di molto importante”, ma ho avuto sempre la convinzione che un giorno sarebbe toccato a me. Pensavo di dovermi preparare, perché alla fine sarebbe venuto il mio tempo e mi sarei ricongiunto con la mia essenza più profonda. Lo stupore è stato davvero grande quando ho ritrovato questi miei sentimenti intimi, esposti con le parole che avrei utilizzato io stesso, in un’opera di sociologia, Nel groviglio degli anni Ottanta di Adolfo Scotto di Luzio.
Con stile riflessivo, il libro ripercorre la storia di una nostalgia di luoghi mai abitati valorizzando aspetti educativi e di vita quotidiana. I giovani degli anni Ottanta – il loro ripiegamento su se stessi, “l’incapacità di pensare all’azione se non nelle forme dell’espressione di sé”, la perdita del valore dell’impresa eroica – sono infatti il frutto culturale di un mancato adempimento: il dovere di primogenitura delle sorelle e dei fratelli maggiori, quelli degli anni Settanta, quelli che avrebbero dovuto far da mentori, trasmettendo la memoria, passando il testimone. Questa generazione – o una sua parte preponderante – non volle, oppure non poté, ottemperare il patto intergenerazionale: veniva da una sconfitta epocale, grande quanto la rivolta che l’aveva preceduta. Le ristrutturazioni tecnologiche frammentarono il contropotere nella fabbrica e nella società, la militarizzazione del conflitto politico offrì un assist alla repressione dello stato, l’eroina dilagò nelle vene di una composizione di classe ormai devastata. Al tempo si parlò di riflusso, che tuttavia, secondo Scotto di Luzio, altro non è che “il modo con il quale la generazione maggiore descrive se stessa nell’atto di lasciare la propria giovinezza.” Il problema è che a “questa modalità pretenderà di inchiodare anche la generazione nuova che comincia a fare le sue prime prove nel mutato contesto del nuovo decennio.”
I principali movimenti degli anni Ottanta appariranno come “non ideologici”, pragmatici, focalizzati su singoli temi di cittadinanza attiva: la pace, gli armamenti nucleari, la mafia, la riforma scolastica dell’85, quella universitaria del ’90. Molti li guarderanno paternalisticamente dall’alto dell’“irripetibile” Sessantotto.
I sentimenti sono evanescenti, ingannevoli ed estremamente soggettivi. A trattarli con gli strumenti della storia e della sociologia si può rischiare qualche giudizio eccessivamente impressionistico, qualche generalizzazione non sufficientemente puntellata da evidenze empiriche. Scotto di Luzio, tuttavia, ha fatto bene a correre questo rischio, perché nessuna base economica, nessuna struttura sociale deprivata dalle mentalità e dai sentimenti collettivi potrà mai restituire la complessità di un tempo.
Nel groviglio degli anni Ottanta, infine, può aiutare quelli che hanno vissuto nell’attesa romantica del loro momento ad accorgersi che ogni momento è buono per la vita e la rivolta, che la ferita di un passato mai vissuto non ci deve impedire di dichiarare guerra oggi alle forze del male. Solo così riabbracceremo le nostre sorelle e i nostri fratelli maggiori, e gli diremo quanto ci sono mancati.