Lastaria, Roma 2020, pagg. 242 € 15
di Maria Rosa Cutrufelli
Dire ‘romanzo’ non basta più. Tutti vogliono sapere a quale genere letterario appartiene. Dapprima gli editori, per metterlo in questa o in quest’altra collana. Poi i librai, per posizionarlo su questo o quest’altro scaffale. Infine il lettore, per capire se rientra nelle sue preferenze. Insomma, a quanto pare, non si può sfuggire alle catalogazioni. E allora mi adeguo e vi dirò che il libro di Pierluigi Sullo, Gli uccelli della tempesta, potrebbe essere classificato come un ‘romanzo del noi’. Sostanzialmente, un ‘autoritratto di gruppo’ (per citare un saggio importante di Luisa Passerini). In altre parole, un romanzo in cui la memoria di una generazione (quella che nasce alla politica nel ’68) si fa storia collettiva. Dunque romanzo politico e insieme generazionale.
Un abbinamento classico, per così dire. Ma tutt’altro che semplice da un punto di vista narrativo, perché richiede (fra l’altro) la capacità di misurarsi con le forme tradizionali del genere e di innovarle.
Qualche anno fa si cimentò in questa impresa Annie Ernaux, con un libro dichiaratamente autobiografico: Gli anni. Nel romanzo, storico e memoriale assieme, l’autrice ripercorre le svolte politiche, i cambiamenti avvenuti nelle nostre vite dal dopoguerra a oggi, affidandosi a una narrazione in prima persona plurale. Chi narra, nel testo, è un ‘noi’ che riassume tutti gli ‘io’. La critica parlò di una ‘pratica della memoria’ che fonde la voce personale con il ‘coro’ della Storia. Pierluigi Sullo fa un’operazione simile, ma, al contrario di Annie Ernaux, racconta in terza persona singolare, dando a ogni singolo personaggio il posto che gli spetta nella narrazione. Non è la voce di un ‘noi’ astratto a raccontare. Sono, viceversa, le biografie individuali che vanno a comporre il mosaico e che diventano, pur mantenendo le loro irriducibili e inevitabili differenze, coscienza e parola collettiva. Fino a formare un autoritratto di gruppo, per l’appunto. Dove è il ‘coro’ della Storia a fondersi con le tante storie personali, così che il ‘noi’ non faccia sparire ‘l’io’.
Ma per parlare di questo secondo romanzo di Pierluigi Sullo devo fare un passo indietro e tornare al primo (La rivoluzione dei piccoli pianeti). Intanto perché i due testi sono strettamente legati, anche se ognuno possiede un’autonomia narrativa che lo rende compiuto in sé. E’ vero che nel secondo romanzo ritroviamo i personaggi del primo (in particolare il giovane Enrico, figura centrale), ma ognuno può essere letto indipendentemente dall’altro. E tuttavia, per cogliere il senso pieno dell’operazione concettuale, storica e letteraria, compiuta dall’autore, è necessario metterli assieme (perciò vi invito a farlo).
Del resto è l’autore stesso a indirizzarci su questa strada. A ciascun romanzo infatti, oltre al titolo, dà un sottotitolo (cosa rara in letteratura) che li lega esplicitamente con un marchio temporale. Un romanzo nel 68, è il sottotitolo del primo. Un romanzo nel 74, il sottotitolo del secondo. Quasi fossero due capitoli di una stessa storia. Come in effetti sono. Due date che tuttavia segnano due svolte esistenziali. E ci rammentano, se mai ce ne fossimo dimenticati, che la vita procede per tappe e ogni tappa ha la sua rivoluzione. Così Enrico, il ragazzo che nel ’68 ha diciassette anni e vive la rivolta studentesca, la scoperta del sesso, la libertà dalla famiglia, nel ’74 non è più il ragazzo dai “pensieri sbilenchi”, che “non sa cosa cercare”. Il suo apprendistato è giunto al termine. Ora deve compiere scelte più responsabili, e anche più tormentate. Per farla breve, deve diventare adulto.
E’ stato detto e più volte ripetuto che il titolo rappresenta ‘la soglia’ di un libro, il varco che ci permette di entrare nel testo. E in effetti noi entriamo nel primo romanzo di Pierluigi Sullo, La rivoluzione dei piccoli pianeti, con la suggestione che ricaviamo da questa immagine. Enrico, con le sue timidezze e i suoi interrogativi su se stesso e sul mondo, è un piccolo pianeta. E piccoli pianeti sono (almeno nella mia interpretazione) i suoi compagni, che nell’anno scolastico ’67-’68 si misurano con le ipocrisie sociali e le tante ingiustizie nascoste che i loro occhi vedono improvvisamente. Il lavoro in fabbrica. L’emigrazione in Germania. Le guerre passate e le guerre presenti, ma lontane.
Poi anche i piccoli pianeti crescono e tutto cambia. Intorno a loro e dentro di loro. I sentimenti, il senso dell’amore e quello della politica. E’ il 1974, come preannunciato dal sottotitolo. L’anno terribile delle stragi (Brescia, l’Italicus). La politica è un campo di battaglia, dove si contano morti e feriti. E i ragazzi scoprono “che la vita inciampa, precipita, è vulnerabile, e il futuro può essere molto breve”. Ma ormai, come le procellarie, sanno affrontare la bufera. Sono diventati uccelli della tempesta.
Il dolore, il piacere, la crescita, i tradimenti, le esperienze felici e quelle infelici, tutto è raccontato con una sintassi larga, generosa. Con un flusso vitale di parole che corre assieme ai ragazzi, con la loro stessa irruenza e voglia di vivere. Una scelta stilistica che apre la prospettiva e permette al lettore di spingersi più in là, oltre il limite della pagina. Verso il futuro.
Non a caso forse, in entrambi i romanzi, l’ultima immagine è proiettata in avanti, verso una speranza di futuro che è quasi una promessa. Nel primo romanzo, c’è Enrico che torna da un viaggio e “cammina contento” verso la casa del suo amore, “convinto di essere già alle porte” della sua rivoluzione. Nel secondo, c’è sempre Enrico. Stavolta triste, pensieroso. Seduto davanti allo zio, un anarchico sposato a una miliziana della guerra civile spagnola, gli chiede com’è possibile essere ancora forti e combattivi dopo una simile sconfitta. E lo zio gli risponde: “La sconfitta non esiste”. Non esiste perché “la resistenza è vivere”.
Ma sapranno continuare a vivere e resistere quei piccoli pianeti che il tempo ha trasformato in uccelli della tempesta? Lo scopriremo a breve, si spera, quando uscirà l’annunciato terzo volume di questa ‘trilogia del noi’. Sarà un romanzo nel 2001, l’anno di Genova. L’anno, dice l’autore, Pierluigi Sullo, “che cambiò di nuovo tutto”.