di Francisco Soriano
Alfonsina Storni fu una poetessa carismatica e di successo, elzevirista, saggista, autrice di testi teatrali e regista, performer “ante litteram” nonostante il suo stile fosse, almeno ai suoi esordi, abbastanza lontano da quel modernismo che si andava diffondendo fra i poeti del secolo scorso. Infatti gli anni venti e trenta furono connotati, soprattutto nel mondo ispanofono e in sud America, da fermenti artistici straordinari con personaggi del calibro di Rubén Darìo, Victoria Ocampo fondatrice della rivista Sur, Jorge Luis Borges, Horacio Quiroga, José Enrique Camilo Rodó Piñeyro, Leopoldo Lugones, Juana de Ibarbourou, Adolfo Bioy Casares, Ernesto Sábato, Julio Cortázar, Gabriela Mistral, Amado Nervo, Pablo Neruda e Federico García Lorca. I suoi testi sono diretti e capaci di emozionare il lettore che ben si immedesima negli spazi lirici disseminati dalla poetessa in percorsi ricchi di visioni: non scadono mai in un romanticismo stucchevole e fine a se stesso. L’idea poetica di Alfonsina Storni ebbe, come riferimenti contenutistici e formali, una distinta libertà espressiva e una consapevole narrazione dell’eros e dell’amore mai concepiti come subalterni alla morale imposta dalla tradizione. La biografia della poetessa conferma l’orgogliosa interpretazione della sua breve vita, spesso in perfetta solitudine, talvolta coinvolta in dinamiche che testimoniavano quanto la sua relazione con il mondo maschile fosse di cosciente incontro o di pacifica lontananza, senza mai ricorrere alla retorica banale dell’abbandono e del predominio dei bisogni del maschio:
“Por veces te propuse viajes absurdos. – Vàmonos, // te dije, adonde estemos solos, el clima sea suave y // buenos los hombres. Te veré al despertarme y desayunaremos // juntos. Luego nos iremos descalzos a // buscar piedras curiosas y flores sin perfume”.
Alfonsina Storni nacque nel maggio del 1892 a Sala Capriasca, vicino Lugano nel Canton Ticino. La famiglia tuttavia emigrò ancora nella cittadina di Rosario, in Argentina. Era il 1906 quando il padre Alfonso Storni prima di ammalarsi gravemente e spegnersi di lì a poco, svolgeva l’attività di costruttore edile e fabbricante di birra, attività che in passato gli avevano consentito di ottenere ottimi profitti. In questa sfortunata deriva familiare le condizioni economiche si aggravarono e Alfonsina, con spirito di abnegazione, si diplomò maestra rurale nel 1910. Questa professione le diede la possibilità di vivere dignitosamente mentre, con il passare del tempo, cominciava a ottenere riconoscimenti e tributi per la sua opera di scrittrice. In realtà, giovanissima, prima della morte del padre Alfonsina lavorava già come sartina, operaia a cottimo e nel bar di famiglia a Rosario quando, nel 1907, iniziò un tour in tutta l’Argentina grazie al ruolo di attrice in una compagnia teatrale. La scrittrice aveva una personalità forgiata dalle difficoltà quotidiane in un mondo stratificatosi su equilibri maschilisti, dove per una donna trovare una posizione professionale di qualsiasi tipo era pressocché impossibile: immigrata e povera, attivista per i diritti delle donne e socialista, diventò madre di Alejandro nel 1912 senza che al bimbo venisse mai confessato chi fosse il padre. La poetessa e futura giornalista era ben cosciente delle sue attitudini alla lotta e non dimostrava alcun timore nell’affrontare le vicissitudini della vita:
“Yo soy como la loba. Ando sola y me río // Del rebaño. El sustento me lo gano y es mío // Donde quiera que sea, que yo tengo una mano // Que sabe trabajar y un cerebro que es sano. //La que pueda seguirme que se venga conmigo. // Pero yo estoy de pie, de frente al enemigo, // La vida, y no temo su arrebato fatal // Porque tengo en la mano siempre pronto un puñal. // El hijo y después yo y después… ¡lo que sea! // Aquello que me llame más pronto a la pelea. // A veces la ilusión de un capullo de amor // Que yo sé malograr antes que se haga flor.”
Nonostante le numerose difficoltà esistenziali la sua produzione poetica raggiunse un ragguardevole numero di opere pubblicate, in considerazione anche della sua prematura scomparsa: dal 1916 vedono la luce La inquietud del rosal, El dulce da daño (1918), Irremediabilmente (1919), Languidez (1920), Ocre (1925), Poemas de amor (1926), Mundo de siete pozos (1934), fino al 1938 con la raccolta Mascarilla y trébol. Importantissime e talvolta precedenti alla pubblicazione dei suoi testi poetici furono le collaborazioni giornalistiche, soprattutto su riviste letterarie come Mundo Rosarino, Monos y Monada e Mundo argentino: quest’ultima ricopriva un ruolo particolarmente significativo nel mondo letterario sudamericano per aver dato spazio ai versi del messicano Amado Nervo e il nicaraguense Rubén Darìo. Dalle colonne di questa rivista Alfonsina ebbe la possibilità di esprimersi in versi e di farsi conoscere, rafforzando la consapevolezza di essere pronta per la sua prima opera in versi pubblicata nel 1916. Nei contenuti questi suoi primi versi rappresentavano il preludio di quel sistema valoriale su cui Alfonsina Storni insisterà anche nelle sue opere future: la donna mirava alla critica e alla demolizione di un sistema sociale e culturale maschilista basato su un’idea verticistica del potere. La poetessa argentina riteneva che alle donne dovessero essere riservate la libertà di pensiero, l’indipendenza nella vita quotidiana, l’eguaglianza dei diritti di voto e di partecipare alla vita civile e politica del proprio Paese non per mera concessione, ma perché il riscatto da questo stato di sudditanza era un irreversibile processo di crescita e autodeterminazione. Stupenda la Preghiera al Tradimento di questa prima raccolta poetica, La inquietud del rosal, dove la poetessa smaschera senza crollare nel disincanto, la contraddizione dell’amore che tradisce le aspettative sentimentali e, nello stesso tempo, canta delicatamente la gioia delle pasque del sole:
“¡Entra traidor! ¡Intenta algún milagro! // ¡Pase tu soplo vívido como una // Llama de vida donde el alma pueda // Despertar a la dulce Primavera // Y olvidar el invierno despiadado! // ¡Entra traditore! Y vénceme, sofócame // Hazme olvidar la tempestad pasada, // Arrúllame, adorméceme y procura //Que me muera en el sueño de tu engaño, // Mientras me cantas, suave, la alegría // De las pascuas del sol!”
Alfonsina Storni cominciò a frequentare circoli socialisti e concepì il ruolo di poetessa come fondamentale per la causa politica e sociale degli ultimi. Su questa strada l’incontro con due intellettuali dell’epoca fu fondamentale per la sua formazione: Baldomero Ugarte che si distinse grazie a una vastissima attività di scrittore, diplomatico e politico di area socialista e la poliedrica personalità del medico e filosofo italo-americano Josè Ingegnieros, che contribuì allo studio della storia e dello sviluppo del pensiero socialista, comunista e anarchico sia in Argentina che in tutto il sud America. Alfonsina interpretava il suo impegno sociale con serietà e dedizione in una città come Buenos Aires che diventerà la protagonista principale in molti dei suoi “racconti urbani”. Proprio a conferma di questa ispirazione politica e sociale la poetessa dedicava tutta se stessa alla recitazione di poesie nelle biblioteche popolari socialiste e di quartiere, contribuendo alla loro sussistenza e organizzazione. Nella raccolta El dulce daño del 1918 la scrittrice enuncia un suo presentimento che, qualche anno più tardi, diverrà realtà per la scelta di togliersi la vita dopo aver ricevuto la notizia di essere stata colpita da un male incurabile:
“Tengo el presentimiento que he de vivir muy poco. // Esta cabeza mía se parece al crisol, //
purifica y consume, // pero sin una queja, sin asomo de horror. // Para acabarme quiero que una tarde sin nubes, // bajo el límpio sol, // nazca de un gran jazmín una víbora blanca // que dulce, dulcemente, me pique el corazón”.
L’attività di Alfonsina in questo periodo fu irrefrenabile, infatti pubblicò due opere poetiche nel 1919, Irrimediablemente e, nel 1920 Languidez, che le valsero riconoscimenti e premi. In questi scritti la poetessa cominciò un certo distanziamento dagli stilemi del periodo tardo-romantico e interpretò, in modo sempre più personale e libero, la propria scrittura connotata da accenti fortemente pessimistici e di maggiore sofferenza interiore. I versi infatti rappresentavano, con toni sempre meno ridondanti, una cosciente natura del dolore spesso dovuta dall’impossibilità del raggiungimento di un sentimento amoroso sublimante. Alfonsina Storni fu autobiografica nei versi delle sue poesie soprattutto nei momenti lirici in cui raccontava quell’intimità femminile, assolutamente impermeabile, a qualsiasi condizione di subalternità all’uomo. Al contrario la poetessa rappresentava un esempio davvero originale e simbolico nell’interpretazione del ruolo di una donna nuova, in un secolo e in un’area geografica, connotati da derive autoritarie e regressioni oscurantiste sul terreno dei diritti. In questo contesto si batté per l’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole e per il diritto al voto per le donne, méta raggiunta in Argentina solo nel 1946. Negli stessi anni in cui la poetessa cominciava la pubblicazione delle sue opere, dal 1919, ebbe l’incarico dal settimanale La Nota e dal quotidiano La Naciòn di raccontare una crònica, che rappresentò un esperimento letterario di successo basato su un genere di scrittura ibrido. In questi articoli la scrittrice si firmava con lo pseudonimo Tao Lao. Fu molto interessante questo contributo in veste di “giornalista d’introspezione” in una realtà urbana, come quella bonaerense, davvero intrigante per il vorticoso sviluppo urbanistico e sociale di cui era protagonista. Questa volta Alfonsina dimostrava le sue qualità anche in prosa, inaugurando uno stile di scrittura fra il satirico e il realistico, cogliendo aspetti nelle trasformazioni sociali soprattutto delle donne: quadri e affreschi che oggi ereditiamo anche come testimonianza storica e di costume. Nonostante l’attenzione per la realtà urbana soprattutto nei confronti della capitale argentina, la poetessa non distaccò la sua attenzione dalla contemplazione della natura nella sua immanenza. L’elemento naturale preferito era quello marino: uno spazio che, alla stregua di un ventre pacificatore, l’accoglierà nella morte come culmine di un gesto drammatico e definitivo. È a questo punto che la sua combattività sembra venir meno e, infatti, è solo un’apparenza: Alfonsina prima di darsi la morte nei vortici del mare da lei tanto amato scriverà un testamento in forma di poesia. I suoi versi sono tuttavia sublimi già nel temibile presagio vissuto nel 1919:
En el fondo del mar // hay una casa/de cristal. // A una avenida // de madréporas // da. // Un gran pez de oro, // a las cinco, // me viene a saludar. // Me trae // un rojo ramo // de flores de coral. (da: Yo en el fondo del mar)
Decid, oh muertos, ¿quién os puso un día // Así acostados junto al mar sonoro? // ¿Comprendía quien fuera que los muertos // Se hastían ya del canto de las aves // Y os han puesto muy cerca de las olas // Porque sintáis del mar azul, el ronco // Bramido que apavora? (da: Un cementerio que mira al mar)
La morte è un conforto e una scelta libera prima che la malattia possa determinare la sua opera devastatrice. Ancora una volta Alfonsina si pone come un essere consapevole che decide e sceglie per sé, anche nel momento più drammatico della sua vita. La scrittrice è stata testimone e cronista della marginalità sociale determinata dallo sviluppo di un capitalismo selvaggio, della violazione dei diritti umani e di genere in un mondo maschile artefice di un equilibrio di potere e di controllo che rende “sistematica la sfiducia delle donne dell’ambiente, quella tremenda e costante presenza del sesso in ogni cosa che la donna fa per il pubblico, tutto contribuisce a comprimerci”.
Alfonsina Storni con enormi sacrifici si era creata un suo “habitat letterario”, una dimensione che non era un avamposto solitario ma una poderosa posizione di lotta e di denuncia. Nei primi anni Venti cominciava l’insegnamento di Lettura e declamazione alla Escuela Normal de Lenguas Vivas. Nello stesso periodo non abbandonava il suo interesse per il teatro e componeva un dramma teatrale dal titolo El amo del mundo, insieme a una serie di altri racconti brevi. Nel 1925 una nuova opera poetica venne pubblicata da Alfonsina, la sua quinta raccolta dal titolo Ocre. Questa volta la poetessa si distingue per una maggiore maturità versificatrice, proprio nel momento in cui il suo stile poetico dipinge immagini che colpiscono per un connotante simbolismo mentre, nei contenuti, si evincono una delusione per la vita e gli affetti in una prospettiva più generale, allargata, addirittura disperata. Il tema del mare pervade sempre i suoi scritti: con la sua forza incontenibile non travolge ma la lascia sprofondare in una pacificazione irreale che prende il sopravvento su altri aspetti del suo intimo sentire, descritto con maggiore sarcasmo e una lucida follia. Il richiamo del mare è, in definitiva, il richiamo di morte che tutto cancella e lascia cadere nell’oblio. Ocre apre l’ellissi del cambiamento profondo di Alfonsina Storni nel suo poetare, con quella forza evocativa vorticosa che conduce al Mundo de sietes pozos dove il verso si rinnova dalla rima allo stile libero, rimanendo pur sempre musicale e ricco di colorazioni e tonalità di altissima intensità emotiva:
“Tristes calles derechas, agrisadas e iguales, // por donde asoma, a veces, un pedazo de cielo, // sus fachadas oscuras y el asfalto de suelo // me apagaron los tibios sueños primaverales. // Cuánto vagué por ellas, distraída, empapada // en el vaho grisáceo, lento, que las decora. //De su monotonía mi alma padece ahora. // -¡Alfonsina!- No llames. Ya no respondo a nada “.
A nove anni dalla pubblicazione di Ocre, intervallando questo tempo abbastanza lungo con la pubblicazione nel 1926 dei Poemas de amor, Storni darà alla luce nel 1934 la sua opera forse più significativa: Mundo de sietes pozos. I Poemas de amor rappresentano davvero un momento di riflessione esistenziale caratterizzata da testi semplici e piuttosto scarni come prova dell’evoluzione stilistica della poetessa verso quelle modalità di scrittura tracciate dalle avanguardie letterarie, così come dimostrato dal suo interesse per la dialettica sviluppatasi fra gli intellettuali del gruppo ispanico Generazione del ‘27. Questa novità innovativa nei testi di Alfonsina originava anche da un periodo di viaggi in Europa e in sud America che la donna intraprese a più riprese. I concetti espressi nelle sue poesie hanno una maggiore carica visionaria e la sua narrazione è pervasa di miraggi seppur immersi in una dolorosa quanto realistica consapevolezza della forza dirompente del destino, solitamente infausto:
“Se balancea, // arriba, // sobre el cuello, // el mundo de las siete puertas: // la humana cabeza … // Redonda, como dos planetas: // arde en su centro // el núcleo primero. // Osea la corteza; // sobre ella el limo dérmico // sembrado // del bosque espeso de la cabellera. // Desde el núcleo // en mareas // absolutas y azules, // asciende el agua de la mirada // y abre las suaves puertas // de los ojos como mares en la tierra // … tan quietas // esas mansas aguas de Dios // que sobre ellas // mariposas e insectos de oro // se balancean”.
Storni si trasferiva spesso a Montevideo e cominciava, negli anni Trenta, una serie di viaggi anche in Europa. Nel Vecchio continente Storni incontrò Pirandello e Marinetti e, a Buenos Aires, conobbe Federico García Lorca a cui dedicò Ritratto di García Lorca, poderoso contributo in stile postmodernista. A Montevideo, in particolare, stabilì sodalizi e relazioni di amicizia con scrittori uruguayani: soprattutto con l’elegante poetessa Juana de Ibarbourou e Horacio Quiroga, un personaggio davvero originale nel panorama degli intellettuali dell’America latina. Quiroga fu incontestabilmente il padre del racconto ispanoamericano moderno, famoso soprattutto per i suoi Cuentos de la selva. Nel 1939 lo scrittore decise di suicidarsi e Alfonsina visse dolorosamente questo evento tragico, dedicandogli una lirica dal titolo A Horacio Quiroga, già consapevole forse di quanto avrebbe deciso anche per se stessa:
“Morir como tú, Horacio, en tus cabales, // y así como siempre en tus cuentos, no está mal; // un rayo a tiempo y se acabó la feria … // Allá dirán. // No se vive en la selva impunemente, // ni cara al Paraná. // Bien por tu mano firme, gran Horacio … // Allá dirán. // “Nos hiere cada hora –queda escrito-, // nos mata la final.” // Unos minutos menos … ¿quién te acusa? // Allá dirán. // Más pudre el miedo, Horacio que la muerte // que a las espaldas va. // Bebiste bien, que luego sonreías … // Allá dirán. // Sé que la mano obrera te estrecharon, // mas no si Alguno o simplemente Pan, // que no es de fuertes renegar su obra … // (Más que tú mismo es fuerte quien dirá.)”
La poesia di Alfonsina Storni assumeva sempre più valore anche oltre confine: nel 1938 il Ministero dell’Istruzione dell’Uruguay riconosceva il contributo culturale dell’opera poetica di donne originarie di tre diverse nazioni sudamericane e organizzava una cerimonia in loro onore. Vennero acclamate e insignite Juana de Ibarbourou, Gabriela Mistral futura vincitrice del Premio Nobel e Alfonsina Storni. Nello stesso anno la poetessa pubblicò la sua ultima opera Mascarilla y trébol, in cui è contenuta la famosa poesia Voy a dormir, atto finale di una vita brevissima ma vissuta con eroica passione poetica alla stregua di altre grandi poetesse, cadute nell’oblio, come María Eugenia Vaz Ferreira, Luisa Luisi e Delmira Agustini:
“Dientes de flores, cofia de rocío, // manos de hierbas, tú, nodriza fina, // tenme prestas las sábanas terrosas // y el edredón de musgos escardados. // Voy a dormir, nodriza mía, acuéstame. // Ponme una lámpara a la cabecera; // una constelación; la que te guste; // todas son buenas: bájala un poquito. // Déjame sola: oyes romper los brotes… // te acuna un pie celeste desde arriba // y un pájaro te traza unos compases // para que olvides… Gracias. Ah, un encargo: // si él llama nuevamente por teléfono // le dices que no insista, que he salido …”
Tuttavia Mundo de sietes pozos fu l’opera poetica che più destò interesse e non perché nella cronologia delle pubblicazioni di Storni rappresentò forse il vero epilogo drammatico della sua esistenza. La metafora del pozzo in cui ognuno si cala alla ricerca del proprio intimo sentire è il vero capolavoro di Alfonsina Storni, di rara bellezza nelle sue alchimie poetiche che pongono le parole su un piano di totale armonia musicale e lessicale. Senza contraddire il percorso stilistico verso forme poetiche moderne, Alfonsina Storni richiama molto frequentemente a uno stile piuttosto barocco in alcune sue descrizioni, quelle di un volto che accoglie con le sue parti la profondità dei segni e dell’anima di ognuno di noi.
“Se balancea, // arriba, // sobre el cuello, // el mundo de las siete puertas: // la humana cabeza … // Redonda, como dos planetas: // arde en su centro // el núcleo primero. // Osea la corteza; // sobre ella el limo dérmico // sembrado // del bosque espeso de la cabellera. // Desde el núcleo // en mareas // absolutas y azules, // asciende el agua de la mirada // y abre las suaves puertas // de los ojos como mares en la tierra // … tan quietas // esas mansas aguas de Dios // que sobre ellas // mariposas e insectos de oro // se balancean. // Y las otras dos puertas: // las antenas acurrucadas // en las catacumbas que inician las orejas; // pozos de sonidos, // caracoles de nácar donde resuena // la palabra expresada // y la no expresa: // tubos colocados a derecha e izquierda // para que el mar no calle nunca // y el ala mecánica de los mundos // rumorosa sea. // Y la montaña alzada // sobre la línea ecuatorial de la cabeza: // la nariz de batientes de cera // por donde comienza // a callarse el color de vida; // las dos puertas // por donde adelanta // — flores, ramas y frutas — // la serpentina olorosa de la primavera. // Y el cráter de la boca // de bordes ardidos // y paredes calcinadas y resecas; // el cráter que arroja // el azufre de las palabras violentas, // el humo denso que viene // del corazón y su tormenta; // la puerta // en corales labrada suntuosos // por donde engulle, la bestia, // y el ángel canta y sonríe // y el volcán humano desconcierta. // Se balancea, // arriba, // sobre el cuello, // el mundo de los siete pozos: // la humana cabeza. // Y se abren praderas rosadas // en sus valles de seda: // las mejillas musgosas, // Y riela // sobre la comba de la frente, // desierto blanco, // la luz lejana de una muerta … “.
La suggestione delle descrizioni con forme aggettivali davvero connesse in un mosaico di forti emozioni, rendono i componimenti crepuscolari, metafisici, simbolici e sinestetici.
Nell’ottobre del 1938, dopo tre anni dalla notizia di essere stata colpita da un tumore che non le lascerà scampo, Alfonsina Storni si mette alla ricerca di un revolver, inutilmente. È a questo punto che, nella stanza dell’albergo dove risiede, scrive una accorata lettera all’amato figlio Alejandro e una poesia commovente: decide di suicidarsi lanciandosi dalla spiaggia La Perla di Mar del Plata. Finalmente il mare ha compiuto la sua opera pacificatrice:
“Soy un alma desnuda en estos versos, // alma desnuda que angustiada y sola // va dejando sus pétalos dispersos”.