di Luca Cangianti
«Abbiamo osato l’assalto al cielo e siamo stati parte di un movimento di milioni di persone. La nostra storia è quella delle lotte operaie, per la casa, per le autoriduzioni, per i beni comuni, per la liberazione delle donne, contro l’imperialismo, il fascismo e il razzismo. Quando l’ultimo di noi se ne sarà andato che fine farà la memoria di quei tempi e di quelle esperienze?» Rubio fa una pausa passando velocemente lo sguardo sui libri, le raccolte di riviste, i faldoni pieni di volantini, e i manifesti serigrafati appesi ai muri. «Sarebbe come se tutto ciò non fosse mai esistito, e questo non possiamo permetterlo. Tutte quelle vite, quelle passioni e quell’intelligenza politica, che si sono espresse nelle lotte sociali di Roma a partire dagli anni sessanta, può essere ancora utile a chi verrà dopo di noi.»
È questa la motivazione che ha portato alla fondazione dell’Archivio dei Movimenti di Roma, inaugurato un anno fa in via Tor Pignattara 124 in quella che era la bottega di un fabbro. Siamo in un classico quartiere della vecchia periferia romana, disseminato di case costruite tra gli anni venti e quaranta dagli stessi abitanti: lavoratori e lavoratrici provenienti dalla provincia, pugliesi e romagnoli. I partigiani di Bandiera Rossa vi avevano la loro roccaforte e con un po’ di spavalderia la chiamavano “Repubblica autonoma di Tor Pignattara e la Certosa”. Oggi la zona continua a essere abitata da migranti, che però nel frattempo sono diventati principalmente bengalesi e cinesi.
Rubio mi mostra un documento ciclostilato che riporta la data del dicembre 1967: Tesi elettorali dei goliardi autonomi della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Roma. Parla di mafie accademiche, di nocività sul lavoro, di diritto allo studio, salario agli studenti e abolizione delle tasse universitarie. Ho la sensazione di trovarmi di fronte a una sorta di “1° cent” di zio Paperone, e non mi sbaglio di molto perché si tratta di una testimonianza aurorale di quella galassia di organismi che contribuiranno ad animare il movimento politico e sociale dell’autonomia operaia romana. L’archivio nasce per salvare i fondi dei Magazzini Rosa Luxemburg, del centro sociale Blitz, del Collettivo del Policlinico, del Comitato politico Enel e dei Comitati autonomi operai di via dei Volsci disciolti nel 1994. Si tratta di migliaia di manifesti introvabili, riviste di movimento, documenti, volantini (a volte persino scritti a mano), fotografie, filmati e registrazioni audio, ai quali si aggiungono quarant’anni di trasmissioni di Radio Onda Rossa – la famosa radio libera romana nata nel 1977.
Non mi concentro sugli anni gloriosi in cui il movimento si dispiegava e vinceva. Sono andato per consultare materiale dei primi anni ottanta, gli anni bui in cui chi faceva politica di base era schiacciato dagli effetti nefasti della repressione, della militarizzazione della lotta politica e dell’eroina. Sfoglio giornaletti ciclostilati che criticano i decreti delegati nelle scuole e la cultura nozionistica, volantini che invitano a concerti di autofinanziamento e a manifestazioni contro i massacri in Palestina. Lo stile è diretto, duro, a volte rabbioso. M’immagino quei militanti resilienti che dopo aver avuto la sensazione di toccare il comunismo con un dito, si sono ritrovati a continuare la lotta in pochi, in un contesto militarizzato, con il cuore ferito dai tanti compagni uccisi da un’overdose, da una pallottola o semplicemente rassegnati a rientrare nei ranghi di un’esistenza pacificata. Vedo quei ragazzi e quelle ragazze che si affacciavano all’azione politica manifestando contro i missili a Comiso nel 1983, contro la riforma scolastica nel 1985, con la Pantera nel 1990 e poi con i centri sociali. Alcuni di loro come scrive Giovanni Iozzoli sono ancora «lì nei fronti sparsi del conflitto, nelle linee di frattura, nelle faglie sociali, a tagliare e ricucire, con gli occhiali sul naso, come vecchi sarti di paese.»1 Altri parlano poco e guardano sfilare le manifestazioni dal marciapiede, ma la notte sognano di volare altissimi nel mezzo di uno stormo.
«Non vogliamo che per colpa di traslochi affrettati le testimonianze di cinquant’anni di lotta di classe vadano a finire in un cassonetto» conclude Rubio. «Sta arrivando già molto materiale e mi auguro che possano esser donati molti altri fondi provenienti da tutte quelle generazioni di militanti che hanno animato il panorama antagonista romano.» I protagonisti dei movimenti che verranno percorreranno strade inevitabilmente nuove, ma sarà loro di grande aiuto avere a disposizione le memorie di quel grande mentore collettivo che sono le passate generazioni di lottatrici e lottatori sociali.
Giovanni Iozzoli, “Cosa resterà”, Carmilla, 2.4.2019. ↩