di Sandro Moiso

E’ uno dei migliori film francesi da anni a questa parte, ma è impattato nell’emergenza da Covid-19, che ne ha quasi impedito la distribuzione e la circolazione nelle sale italiane. I miserabili del regista, attore e sceneggiatore francese Ladj Ly ha vinto il premio della giuria per l’edizione del 2019 del Festival di Cannes, ma non è certo solo per questo motivo che sarà ricordato a lungo.

A quasi un quarto di secolo di distanza da La haine (L’odio) di Mathieu Kassovitz, che nel 1995 vide esplodere sugli schermi non solo l’eccezionale interpretazione di Vincent Cassel ma anche la rivolta delle banlieu parigine, che proprio a metà degli anni Novanta avevano cominciato a segnalare la non vivibilità delle condizioni sociali delle cosiddette città satellite che circondano la capitale francese e il germe dell’insurrezione spontanea tra i giovani immigrati di seconda e terza generazione, il film ispirato dal titolo dell’opera principale di Victor Hugo ci riporta in quegli spazi tracciandone una topografia socio-economica e politica aggiornata e severa.

Una topografia i cui confini di classe, etnici, religiosi e di appartenenza politica finiscono col determinare una stratificazione sociale complessa di cui le dicotomie francese-non francese, bianchi-neri, islamici-cristiani, ricchi-poveri, legge-fuorilegge costituiscono soltanto alcuni elementi del tutto e non risolvono di per sé la totalità dei problemi che derivano da una difficile convivenza ordinata secondo le leggi della società capitalistica e mercantile. In cui, troppo spesso, diritti aleatori sembrano sostituirsi a ben più concreti e mai pienamente soddifatti bisogni.

Quasi 25 anni, si diceva prima, e dieci anni di età separano i due film e i due registi (52 anni per Kassovitz e 42 per Ladj Ly), ma le condizioni denunciate all’epoca non sono affatto cambiate né, tanto meno, migliorate. L’impoverimento delle periferie e la disgregazione sociale della Francia non si sono fermate, mentre l’unico elemento coesivo sembra essere affidato soltanto ai risultati della nazionale di calcio. Ben poca e pallida cosa per tener insieme un paese in cui gli immigrati di prima, seconda e terza generazione costituiscono poco più di un quinto della popolazione su scala nazionale, ma una fetta ben più ragguardevole nella e intorno alla sua capitale, la cui area urbana conta oggi quasi 13 milioni di abitanti.

Mentre in tutte le altre regioni, come ha ben dimostrato il movimento dei Gilets Jaunes, buona parte della popolazione autoctona non riesce a coniugare le esigenze quotidiane di vita con il guadagno contenuto nella busta paga oppure del lavoro in proprio a fine mese.
Una realtà in cui lo Stato ha progressivamente smesso di intervenire come strumento di mediazione e contrattazione per assumere sempre di più la funzione di strumento della repressione, armata e violenta.

Ed è intorno ad una squadra della brigata anti-crimine della polizia di Stato di Montfermeil, in azione nella banlieu 93, che si articolano le vicende che si svolgono nel film.
La zona è proprio quella del quartiere di Cherbourg in cui già si svolgevano i fatti del romanzo di Hugo, con la differenza che oggi le Cosette e i Gavroche sono quasi tutti di pelle scura e di religione islamica.

Qui lo Stato centrale assume i volti duri o sfatti degli agenti che pattugliano incessantemente le vie, mentre il governo dei fermenti e delle contraddizioni, oltre che del crimine spicciolo, è condiviso da questi con le varie forme di organizzazione, politica o criminale, che si dividono e contendono il territorio: Fratelli mussulmani, mafie africane e turche e gang Rom. Un autentico caleidoscopio di interessi contrapposti che pacificano, a suon di violenze oppure di lusinghe, le fiamme della rivolta o dell’iniziativa autonoma che covano sotto la cenere, soprattutto tra i più giovani.

Più giovani che, nel film e nella realtà, sono ormai distanti per età anche dai protagonisti del film di Kassovitz e che sono perlopiù bambini e pre-adolescenti. I più grandi potranno avere, sì e no, quindici anni e si vedono costretti a muoversi tra repressione famigliare, religiosa e mafiosa anche solo per promuovere le attività più semplici della loro età: giocare, scherzare, sfidare la sorte in gruppo o individualmente. Maneggiare un drone per divertimento oppure compiere qualche piccolo furto che ha più le sembianze del dispetto o dello scherzo che non quello del piccolo crimine. Oppure, ancora, fumare uno spinello per strada.

L’occhio vigile della polizia però, alleato con quelli dei Fratelli mussulmani, della mafia locale e della malavita organizzata, è sempre in agguato. Pronto a individuare e a reprimere, talvolta con violenza estrema e altre volte con paternalismo, ogni iniziativa, ogni sprazzo di vitalità ribelle che possa venire dagli ultimi arrivati (soprattutto per età). In un’opera che, senza un briciolo di retorica o di sentimentalismo, oltre a rendere oggi quasi più ‘leggere’ le vicende narrate dal film di Kassovitz, sembra voler ampliare il discorso sulle nuove generazioni, magari emarginate ma non per questo marginali, cresciute in un clima di incertezza, noia e violenza condannato a produrre soltanto paura, rancore e vendetta, destinate a diventare, anche inconsapevolmente, le affossatrici di un ordine sociale ormai da lungo tempo caduto in pezzi. Come già aveva anticipato, pur in un differente contesto, James Ballard nel suo romanzo Un gioco da bambini (Running Wild) nel 1988.

E’ l’immagine di un conflitto, di una guerra strisciante che può però esplodere in guerra combattuta con tutti i mezzi possibili (dai flashball degli agenti, alle mazze delle gang fino alle pietre, i fucili ad acqua, i petardi e le molotov maneggiate dai ragazzini) in qualsiasi momento della giornata. Magari a partire da episodi futili e facilmente risolvibili. Se non fosse che ormai ognuno di quegli elementi costituisce indissolubilmente un anello di quella guerra civile in cui da anni siamo ormai tutti inconsapevolmente coinvolti. In un mondo in cui è la vita con le sue esigenze più scontate ad essere diventata impossibile e che ci trasforma tutti quanti, immigrati e non, agenti delle forze polizia e giovani ribelli senza causa, lavoratori e disoccupati, marginali e membri delle gang, nei nuovi miserabili.

Il magnifico film e e i suoi magnifici giovani e giovanissimi interpreti sono lì a dimostrarcelo, contribuendo così ad aprire gli occhi anche dei più ciechi.

N.B.
Vale la pena di segnalare ancora che nell’edizione in dvd del film, distribuita in Italia da Lucky Red, è allegato il breve e intenso cortometraggio dallo stesso titolo realizzato da Ladj Ly nel 2017 con gli stessi attori nei panni dei tre agenti.