Fanucci Time Crime, Roma 2020 pagg. 247 euro 14,90
di Pierluigi Sullo
Se avete in mente di prendervi un sollievo (dalla clausura del virus, ad esempio), leggendo un romanzo, magari giallo, lasciate perdere per una volta i soliti. Voglio dire i classici Pepe Carvalho, il cui autore Vázquez Montalban era un esule galiziano in Catalogna, o la creatura di Camilleri, Montalbano, che nelle indagini ci inzertava sempre, o il commissario Charitos, uomo normale in un paese, la Grecia, che non lo era, tanto che decapitava gli inviati del Fondo monetario internazionale, o il roccioso commissario Adamsberg, che dai Pirenei era sbarcato a Parigi. Eccetera. Il romanzo in questione, Lo specialista, è l’esatto contrario.
Fabio Montani, l’investigatore di Jean-Claude Izzo, si aggirava nella fanghiglia tossica di Marsiglia essendo il prototipo del bene, del riscatto, lo Specialista è un assassino di professione, non addestrato ma naturalizzato nel ruolo: il suo corpo allenato in modo maniacale e la mente gelida, il cibo frugale, la cura nello stare discosto dalla vita di tutti, le sue origini misteriose e il nome che non viene mai citato. Un uomo che accetta incarichi estremamente rischiosi in ogni parte del mondo, dalle favelas di Rio de Janeiro alla vera capitale dell’impero, New York. E che uccide in ogni modo, con ogni mezzo, con calcolo di ogni dettaglio e senza alcun turbamento.
Lo Spacialista cerca di essere una macchina, si direbbe, cui si dà il comando ed essa esegue, senza sbavature, senza lasciare tracce. E poi si ritira, scompare nella sua casa-fortilizio nella peggiore delle banlieues parigine. Sole compagnie, ma nelle “missioni”, la sua socia-amante occasionale Eve, che fa pensare alla Eva di Diabolik, bionda e bellissima e micidiale, anche se quella del fumetto agiva in modo criminale per procurare il bene. Mentre lo Specialista è il male assoluto, tranne un’unica debolezza: Jeanne-Marie, giovane madre single che vive su un barcone nella Senna, cui l’assassino fa visita, ogni tanto, per respirare un affetto normale.
Quel che ci si chiede, leggendo delle imprese letali dello Specialista senza nome (in generale contro personaggi ricchi, odiosi o meritevoli di punizione) è se ci sarà, prima o poi, una svolta, un riscatto di qualche tipo, una crisi, nello stile di vita dell’assassino. E naturalmente sì, succede quando lui ha accumulato abbastanza tensioni, stress, da faticare a praticare la meditazione. E anche soldi, certo. Un vero e proprio tesoro, depositato in un paradiso fiscale. Così si ritira, o annuncia di volerlo fare. E da quel momento il cacciatore diventa preda. Perché, inconsapevolmente, sa cose che non dovrebbe sapere, anche se i committenti degli omicidi lui non sa chi siano. E però deve morire, sparire, non lasciare traccia. Così che lui si dilegua, o ci prova. Fugge, finisce a Tokyo, e così via.
Non dirò qui come va a finire, solo, visto che è annunciato nella presentazione del libro, che la sua traiettoria termina in un monastero shaolin. Lui diventa un monaco, e quindi…
L’ulteriore finzione consiste nel fatto che Mauro Baldrati si presenta, nelle copertine del libro, come il “curatore”, cioè uno che ha raccolto il racconto di Shi Heng Wu, monaco, e lo ha scritto senza che l’interessato, l’ex assassino di professione, abbia voluto metterci mano. E questo incontro, il primo, sarebbe avvenuto in una casa di Hare Krishna a Firenze. Tutto molto dettagliato e probabilmente falso, chissà. Anche se la quantità di dettagli sui luoghi, i viaggi, le abitudini alimentari di mezzo mondo sembrano davvero molte, anche per uno che, da fotografo professionista, ai suoi tempi deve aver viaggiato molto. Ricavandone, chissà, appunto la sensazione che un grande male incombe su tutto, che però a certe condizioni può rovesciarsi nel suo contrario; così che il monaco Shi Heng Wu finisce per assomigliare, in un certo senso, a Pepe Carvalho e a Salvo Montalbano, uomini complicati ma animati da una etica inossidabile.