di Peter Greenaway
Il titolo di questo progetto grande e ambizioso è Le valigie di Tulse Luper (“The Tulse Luper suitcases”). E’ per me l’occasione di ritornare a tutta una serie di personaggi mitologici privati che avevo inventato proprio agli inizi della mia carriera. E tra tutti i personaggi che avevo inventato c’era un uomo che si chiamava Tulse Luper, per me una specie di alter-ego. Ero un uomo molto timido allora, e mi era molto difficile dire “Peter Greenaway ha detto…”. Così caricavo di tutte le mie stravaganze, fantasticherie ed ossessioni quest’uomo, chiamato Tulse Luper. Le valigie di Tulse Luper è virtuamente una riflessione sulla vita dell’uomo. Credo di aver esplorato negli ultimi 10 anni una specie di linguaggio cinematografico, e ora voglio veramente essere sicuro di avere la possibilità di impegnare tutte le nuove forme di linguaggio che ho appreso. Ho iniziato la mia carriera come pittore e mi piacerebbe molto usare le modalità della pittura. Credo di dover ora recuperare saldamente tutto il vasto potenziale di questo enciclopedico processo del fare immagini.
Vorrei riuscire a recuperare il modo di manipolare il mondo che è proprio del pittore. Sento che ora il cinema si trova nella situazione migliore per cambiare il proprio carattere, per allontanarsi da tutte quelle caratteristiche realistiche che sono molto rigidamente fissate, nell’attività cinematografica tradizionale, in quella che definirei essenzialmente l’illustrazione del romanzo ottocentesco. In una certa maniera il prologo del cinema è finito, e noi possiamo ora veramente cominciare.
In Le valigie di Tulse Luper, la valigia è l’importante metafora della fine del XX secolo. La popolazione mondiale è molto mobile, tutti sono in movimento. Se attualmente si parla con nordmericani adulti, ci si rende conto che sono pochissimi quelli che vivono dove sono nati. Ciò ha a che fare largamente con un movimento volontario, ma se si considera l’Europa centrale o la Russia, con la caduta del Comunismo, ci sono masse di persone in movimento: si pensa che 25.000 giovani arrivino a Shangai e a Pechino ogni giorno per fermarvisi, per non parlare poi dell’Africa. Così l’idea della tua casa e dei tuoi beni tutti raccolti in una valigia è una buona metafora: porti il tuo bagaglio con te, anche nel senso di bagaglio culturale; porti il tuo bagaglio metaforico, simbolico, e ti mobiliti e diventi questa personalità mutevole, eclettica, che raccoglie l’informazione del mondo nell’era dell’informazione. Penso, cioè, che si tratti di una metafora efficace, alla fine del XX secolo.
L’intero progetto ha un sottotitolo, che è Storia dell’uranio nel XX secolo. Penso che gli storici futuri finiranno per considerare il XX secolo come il secolo dell’uranio. L’uranio, scoperto nei deserti del Colorado negli anni Venti, non fu sfruttato finché nella Seconda Guerra Mondiale si rese necessario creare l’arma letale, responsabile di grandi catastrofi come Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Poi comincia la lunga guerra fredda che corre parallela agli ultimi anni della mia infanzia e a tutto il tempo in cui sono stato uno studente. In un certo senso sono un bambino dell’era dell’uranio (uranium-baby). La storia dell’uranio in qualche modo ha un percorso politico e psicologico parallelo alla mia vita. L’uranio, che sostituisce il Giorno del Giudizio – la catastrofe finale – è stato responsabile di larga parte della storia della metà e della fine del secolo XX.
Ho spesso tentato nei miei numerosissimi film – ne ho fatti più di settanta, a oggi – di trovare altri modi di organizzare il materiale. Lo giuro, non ho alcun piacere cabalistico o mistico nella numerologia – non credo nella magia dei numeri, sono una convenzione utile che tutti capiscono. Così un conto da 1 a 100, o da 1 a 92, è compreso da qualsiasi civiltà del mondo senza mediazioni. Sono sistemi che unificano, possiamo parlarci l’un l’altro. Sono stato un grande ammiratore di Calvino, che dimostrava la stabilità in tutto il mondo conosciuto dei numeri atomici; essi sono fissati e consacrati, non cambieranno mai, fino ai confini dell’universo. Così essendo il significato del Giorno del Giudizio rappresentato da 92, è insieme una verità profonda e qualcosa con cui giocare. Così voglio strutturare tutto il progetto sulla nozione del numero 92: ci sono 92 personaggi, 92 eventi maggiori e, ciò che è più importante, 92 valigie.
Il plot del film è la vita di Tulse Luper, da quando aveva 10 anni. E’ nato, come me, a Newport, nel Galles del sud, in Gran Bretagna. Le sue avventure si svolgono in tutto il mondo, così lo sviluppo del film segue cronologicamente la storia dell’uranio a partire dalla sua scoperta, credo, nel 1920, quando Tulse Luper è un ragazzo, ed una delle prime ambientazioni esotiche è il Colorado. Lui, questo ragazzo chiamato Tulse Luper, con il suo amico Martino Knockavelli, vuole fare l’archeologo; sono interessati a ritrovare cose, popoli dimenticati, città perdute, libri perduti, idee perdute. E vanno a Moab, una piccola comunità di Mormoni nel Colorado che è anche il centro della religione dei Mormoni, non lontano da Salt Lake City. Così il mio eroe Tulse Luper se ne va nel deserto e immediatamente la gente della comunità pensa che sia la rivelazione di antiche figure mormoniche, venute a rimettere a posto il mondo. I Mormoni erano affascinati dall’idea di ritrovare tesori sepolti, e l’ultimo tesoro sepolto americano è l’uranio. Esso rappresenta non solo oro e argento, ma un senso di potere.
Così Tulse comincia il suo viaggio in tutto il mondo, diviso in 16 episodi, ed ogni episodio rappresenta un imprigionamento. Non tutte queste prigioni sono con mura, sbarre, serrature e chiavi – per me è interessante l’idea che noi tutti siamo in qualche modo prigionieri di seduzioni, ossessioni, interessi, ambizioni, condizioni sociali, amore, denaro, fama e quant’altro. Certe volte queste prigioni sono molto importanti per noi perché ci consentono di mettere a fuoco, ci dicono dove siamo, ci danno un certo senso di disciplina, ma certe volte sono disastrose per la nostra evoluzione.
A un certo punto della storia, Tulse Luper sparisce e cominciamo a ricostruire la sua vita attraverso le sue valigie. Avremo sei ore di cinema, scandite in tre film veri e propri, tutti che raccontano in maniera narrativa e, spero, comprensibile, queste emozionanti avventure con queste centinaia di personaggi. E tutte queste valigie saranno introdotte in maniera narrativa e convenzionale nei film, ma non voglio che gli spettatori passino il tempo a fare e disfare queste valigie – possono farle e disfarle via Internet, è da qui che parte l’idea del mio progetto multimediale interattivo, parallelo a quello cinematografico. Queste valigie di per sé sono complicate: una di esse, ad esempio, è piena di 92 lingotti di oro dei nazisti, ciascun lingotto reca un marchio che indica la provenienza dell’oro. Possiamo fare e disfare questa valigia dell’oro nazista, lingotto per lingotto, ricostruendo da dove tutto questo oro proviene, dove fu confiscato, seguendo le proprietà degli Ebrei dell’Olocausto, a chi appartenevano un tempo. C’è una valigia di pornografia del Vaticano, che va esaminata; ci sono valigie piene semplicemente di scarpe, 92 scarpe, ed esaminiamo tutti i personaggi che portavano queste scarpe; c’è una valigia di rane di sughero che sono il simbolo di un gruppo di assassini europei; c’è una valigia di ossa di cane bruciate, vestiti intimi femminili che appartenevano a famose attrici americane.
Ad un certo punto della storia ci si incomincia a domandare se Tulse Luper è un personaggio reale oppure fittizio, se è un uomo che si manifesta solo attraverso queste valigie e non attraverso il sangue e la carne? Gradualmente ci rendiamo conto che sta per aver luogo un convegno nel Brooklyn Museum di New York – parliamo ora del 1998 – e stanno organizzando un intero convegno per discutere la questione “chi fu Tulse Luper?” Raccolgono le sue valigie, i suoi manoscritti, i suoi lavori stampati, i suoi film e li espongono in una grande mostra. Così in un certo senso l’ombrosa figura di Tulse Luper diventa sempre più oscura, ma le cose che si lascia dietro sempre più forti. Per tutto il tempo penseremo che Tulse Luper è troppo buono per essere vero. Ha troppe avventure – come ne I predatori dell’Arca Perduta!
Credo, confido in questo progetto: per comunicare al pubblico eccitazione, seduzione, ma anche per parlare molto seriamente delle mie idee sul linguaggio e delle immagini in movimento.