di Francisco Soriano
“Moshkele nadorim”, non abbiamo problemi: è una delle rassicurazioni più incredibili nella conferenza stampa del Ministro della Salute iraniano tenutasi più di due mesi fa, il 25 febbraio, quando il Coronavirus cominciava la sua marcia inarrestabile fra la popolazione ancora ignara del contagio. Dal video delle dichiarazioni del Ministero della Salute iraniano si assiste a una scena drammatica nella sua cruda realtà: proprio il viceministro Iraj Harirchi si asciuga ripetutamente il sudore che gronda copioso sulla sua fronte e si muove con grande disagio, consapevole forse di aver già contratto la malattia. Verrà ricoverato subito dopo la fine delle trasmissioni televisive.
L’Iran è un Paese giovanissimo con una popolazione che si aggira intorno agli 83 milioni di abitanti. È divenuto uno dei focolai più vividi del terribile morbo che imperversa in tutto il mondo. Dopo le sanzioni e i vari strappi nelle relazioni con le varie potenze mondiali, in Iran sono arrivati uomini di affari, diplomatici, tecnici e specialisti di ogni settore del mondo produttivo e bellico proprio dalla Cina, che sembra essere stato il luogo da cui ha originato il contagio planetario mettendo in ginocchio, nel mondo, sistemi sanitari ed economici anche abbastanza strutturati e funzionanti. Ai tempi del Covid-19 tuttavia, nessuna novità sembra pervenire dai comportamenti della classe dirigente iraniana, preoccupata soltanto di celare ogni evidente realtà con una ipocrisia che rasenta dell’incredibile. I tassi di mortalità, nelle informazioni che trapelano dal Paese, sono addirittura peggiori di quelli ancora fluttuanti in Italia, in fase discendente, Cina ed Europa intera, senza tralasciare gli USA e altre nazioni dell’oriente estremo. Lo stesso vice-ministro Harirchi, finalmente in quarantena, mostrava il proprio volto rassicurante ai suoi cittadini, probabilmente dall’ospedale, dichiarando di “lavorare al telefono” e affermando che “tutto andrà bene”, tanto le malattie in Iran “sono democratiche” perché colpiscono davvero tutti.
Come dargli torto: dopo pochi mesi dalla sua spettacolare apparizione televisiva più del 10% del parlamento iraniano era già positivo al Coronavirus, fra alcuni suoi elementi figuravano anche personalità di spicco: la sua vice-presidente Masoumeh Ebtekar, distintasi in giovinezza per l’assalto all’Ambasciata americana nella Rivoluzione del 1979; l’ayatollah Seyyed Hadi Khosroshahi, già ambasciatore presso la Santa Sede a Roma; Akbar Velayati consigliere di fiducia della Guida Suprema Ali Khamenei; Hossein Sheikholeslam, ex ambasciatore in Siria e membro del gabinetto del ministro, nonché Mohammad Mirmohammadi, membro del potente Consiglio per il Discernimento. Sono gli esponenti di spicco colpiti dal virus e, alcuni, dalle nostre informazioni già deceduti: nomi che sono tuttavia emersi dalle strettissime maglie della censura che veicola tutte le informazioni all’esterno delle strutture politiche e civili del Paese.
L’inizio di tutto sembra essere stato localizzato nella città santa di Qom, l’avamposto degli ayatollah sciiti duodecimani, principali ispiratori della più grande teocrazia la mondo nonché modello rivoluzionario da esportare all’estero. Un commerciante cinese partito da Wuhan sembra essere stato il “contaminatore alfa” in Iran. Costui avrebbe diffuso il virus che si sarebbe insinuato rapidamente in 24 delle 31 province dell’Iran. Celare questa situazione però potrebbe costare molto caro agli ayatollah che sono sempre restii ad ammettere errori e debolezze all’esterno. Infatti, il tanto decantato sistema democratico iraniano, sommessamente accettato come sistema vigente in Iran anche da molti politologi e intellettuali occidentali, dimostra che in quel Paese la censura e la dittatura nel controllo delle informazioni e delle opinioni è regola più che consolidata. Ridimensionare, occultare, mistificare è una abilità molto articolata del clero sciita che, con ipocrisia e cinismo ha negato diverse evidenze: come l’uccisione barbara (ininterrottamente negli anni di potere islamico, a cui ho assistito in prima persona anche nel 2009 durante la rivolta denominata Moj sabz, Onda verde) di studenti, oppositori e manifestanti, con incarcerazioni e torture anche nei confronti di personaggi in vista della società civile. Inoltre ha sempre negato il finanziamento sistematico, nonostante il deficit economico di milioni di famiglie iraniane, dei cosiddetti movimenti di liberazione in tutto il Medioriente.
Ha mentito sull’abbattimento di un aereo di linea durante le intangibili ritorsioni attuate dopo l’orribile attacco degli USA nei confronti del leader dei Pasdaran, Qassem Soleimani che, a sua volta, si era già distinto per aver brillantemente sedato con organizzate azioni di “bonifica” (anche con uccisioni e pratiche di tortura), elementi sabotatori e sovversivi, al soldo delle potenze straniere in patria, nelle rivolte dei mesi precedenti. Gli ayatollah hanno altresì mentito sull’affluenza alle urne (42,57%) nelle ultime elezioni parlamentari, servendosi questa volta proprio del Coronavirus per giustificare la più scarsa affluenza della storia delle elezioni del Paese tacendo, invece, il malcontento e la disillusione degli elettori di fede riformista: da non dimenticare inoltre, le “squalifiche” di candidati alla competizione elettorale, perché ritenuti non moralmente degni di parteciparvi, grazie alla decisione del Consiglio dei Guardiani di non ammetterli neppure nel “listone unico”. Da non trascurare, inoltre, il disagio di dover ammettere che l’origine del contagio fosse arrivato proprio dalla Cina, l’unico Paese attualmente in Iran che, con il suo contributo, consente di determinare una certa produzione industriale e commerciale, nonché di essere il principale fornitore, in termini di arricchimento bellico, dell’arsenale iraniano.
In tutto questo, c’è da aggiungere la crisi economica che attanaglia il Paese: la valuta locale ha una svalutazione epocale e la classe media rimpingua ormai sacche di povertà insostenibili. Il sistema basato su corruzioni e nepotismi imperversa sotto l’egida di un controllo asfissiante, grazie alla formazione di poteri più o meno legati a doppio filo alle elites dei pasdaran. Nel complesso scacchiere istituzionale iraniano è praticamente impossibile ribellarsi senza venir taciuti sul nascere, in qualsiasi modo e senza remore, fino all’assassinio. Il sistema “democratico” iraniano inoltre, è bloccato dal Velayati faghi della Guida Suprema Ali Khamenei, che consiste nel diritto di veto su qualsiasi atto istituzionale, formale o di altro genere che venga emanato senza il suo assenso-consenso.
La cecità degli analisti su questi argomenti, e ce ne sarebbero molti altri, desta stupore quanto sorpresa. Intanto, durante il Now Ruz iraniano, il capodanno che si è festeggiato dal 21 marzo per molti giorni successivi in ferie e vacanze, è stato vissuto dalla popolazione con una certa flessibilità, non curandosi della gravità di un contagio in atto. Lo stesso presidente Hassan Rouhani, il 16 marzo, ha dichiarato: non abbiamo quarantena, si dice che sia stata posta la quarantena a Teheran o ad alcune città, negozi o attività, ma non esiste niente del genere, la quarantena non è attiva, né oggi né durante i giorni di Nowruz, né poi, aggiungendo successivamente in piena contraddizione, di evitare in generale di effettuare viaggi non necessari. Quasi impossibile decretare la chiusura dei centri religiosi, ai quali gli iraniani sembrano essere particolarmente legati: l’imam del santuario di Qom, Seyyed Mohammad Saeedi sottolineava l’attaccamento di molte persone alla fede sciita, sulla quale si legittima il potere degli ayatollah. Per questo, gli stessi ayatollah si sentono autorizzati a non applicare strategie di contenimento ai religiosi e ai siti di culto in Iran.
Quanto il Covid-19 possa affliggere la già provata popolazione iraniana è dato solo immaginare. Le cifre in merito ai decessi e ai contagiati rimangono un mistero di difficile definizione. Il grigio quanto impenetrabile establishment ha dettato la linea, quella che ci è toccata ascoltare in qualche sermone della Guida Suprema nelle varie preghiere pubbliche del venerdì: non far sapere nessuna delle fragilità fuori dalle proprie mura, perché doshman dar kamin ast, il nemico è in agguato.