di Ruggiero Capone
La mattina del primo ottobre 1978, il memoriale di Aldo Moro (in copia carbone) venne portato via dal capitano dei carabinieri Umberto Bonaventura (e senza essere stato neanche verbalizzato). Erano le 11.00, ma le carte tornarono nell’appartamento di via Montenevoso alle sei e mezzo di sera, incomplete. A rivelare questo retroscena è l’ex capitano dell’Arma Roberto Arlati, l’uomo che ha diretto il blitz nel covo delle Br a Milano, dove venne arrestato, tra gli altri, Lauro Azzolini (membro del comitato esecutivo delle Brigate Rosse). Quindi l’ex ufficiale dell’Arma ha smentito la versione che Bonaventura, oggi scomparso, fornì nel 2000 alla commissione Stragi, quando dichiarò che il memoriale gli venne consegnato in caserma. Non solo: in un libro scritto insieme al giornalista Renzo Magosso, Arlati racconta che il memoriale di Aldo Moro gli venne riportato in una versione incompleta. Un’altra rivelazione contenuta nel libro dal titolo Le carte di Moro, perché Tobagi (Ed. Franco Angeli, 12 euro) riguarda l’omicidio del giornalista del “Corriere della Sera”, ucciso dai terroristi di Prima Linea il 20 maggio 1980: un’informativa avvertì che il giornalista era nel mirino dei terroristi.
Secondo la ricostruzione fornita da Arlati, un ufficiale dell’Arma (nome in codice Ciondolo) consegnò a Bonaventura un’informativa riguardante il rischio di un agguato terroristico contro Tobagi.
“Quel rapporto – afferma Magosso (che ha raccolto le dichiarazioni dell’ex ufficiale dei Cc) – venne di fatto ignorata e neutralizzata”. Oggi un gruppo di parlamentari, tra i quali Giuliano Pisapia di Prc, Walter Bielli dei Ds, Marco Boato del gruppo Misto, Ugo Intini (Presidente dei deputati dello Sdi), avrebbero intenzione di chiedere, sulla scia di queste ultime rivelazioni, la riapertura dell’inchiesta da parte della magistratura sul blitz di via Montenevoso, e quindi sulla parte mancante del memoriale. Un altro capitolo del caso Moro, sul quale insistono tuttora molte ombre.
“Il vero sospetto – secondo Giovanni Pellegrino (ex presidente della commissione Stragi) – è che Bonaventura non fosse solo il referente di Dalla Chiesa, ma anche di altri ufficiali dell’Arma, come Massei. Non è infatti addebitabile a Dalla Chiesa l’iniziativa di neutralizzare un’informativa che avrebbe potuto salvare la vita a Tobagi. La valutazione che faccio – aggiunge Pellegrino – è che la magistratura dovrebbe sentire subito Arlati e tutti gli altri carabinieri. La sensazione è che la metà del memoriale manca, ma neanche Dalla Chiesa, probabilmente, ha avuto la documentazione completa. Ecco spiegato perché il generale si chiese, davanti alla commissione stragi, chi avesse recepito le carte di Moro, facendo riferimento anche alle borse dello statista.
E successivamente si reca nel carcere di Cuneo, dal maresciallo Incandela, – conclude Pellegrino – per vedere se una parte del memoriale fosse realmente nascosto all’interno del penitenziario”.
“Il capitano Bonaventura è stato l’artefice della scoperta del covo di via Montenevoso – spiega Enzo Fragalà (deputato di An e membro della commissione parlamentare Mitrokhin) -. A mio modesto parere tutta la storia sulle carte segrete di Moro che sarebbero state usate dai Carabinieri per ricattare Giulio Andreotti è solo una enorme invenzione. Perché se un investigatore scopre un dossier interessante ha la sola esigenza di renderlo pubblico: sia per motivi di carriera che prestigio.
E penso che qualsiasi agente di polizia giudiziaria se scoprisse, durante una perquisizione, una lettera segreta di Aldo Moro in cui si denuncia che dietro il suo sequestro c’era il Kgb od un personaggio della Dc legato allo spionaggio comunista, lo renderebbe pubblica. E questo sia per accrescere il proprio prestigio che, naturalmente, per un innato senso di rispetto della verità: in ogni uomo in divisa c’è questo sentimento. Poi va detto che le Br, quando sequestrarono Moro, avevano proclamato che avrebbero reso pubblico il processo a Moro.
Invece – precisa Fragalà – hanno nascosto tutte le rivelazioni: questo la dice lunga su cosa fosse il processo del popolo. Ciò dimostra che avevano interesse ad interrogare Moro solo per rivelare i segreti di Moro al Kgb, e dopo aver appreso ogni cosa su Gladio e Nato avrebbero comunque ucciso Moro, perché era negli accordi tra brigatisti e servizi sovietici. Del resto – conclude Fragalà – anche Andreotti aveva detto che Moro era l’unico politico italiano a conoscenza di particolari segretissimi della Nato e delle difese italiane anti-comuniste: ne deriva che le Br non agivano per conto proprio ma su ordini del Kgb”.
[dalla sezione di Rifondazione a Cinecittà]