di Cesare Battisti
Ha aperto tutti i finestrini. L’aria calda sferza nell’abitacolo. Le scompiglia le lunghe ciglia sintetiche e le spazza le perline di sudore sul cranio rasato. Dopo una mezzora di singhiozzi, il ronzio dell’aria condizionata si è spento definitivamente sul raccordo di Bordeaux. Vana getta uno sguardo apprensivo allo schermo a cristalli liquidi dell’autocomputer: 10 luglio, ore 11 e 30, 38°C. La temperatura è troppo alta per le ramificazioni nervose, se non trova un posto all’ombra le icone finiranno per fondere. Non può permetterselo. Solo il cyberspazio può aiutarla ad arrivare prima che il Lumacone diventi irreversibile.
” Kamo, me la stai facendo sudare, sei un vero un rompiballe! Aspettami tesoro.”
L’adrenalina continua a lievitare. La sente risalire a getti fin sulle vertebre cervicali. Deve avere esagerato la dose, ci vuole un colpo d’estintore. Le restano un paio di sigarette ai fiori di datura. Fruga nella borsetta platinata. La Beretta ingombra, la estrae e se la introduce tra le cosce nude. È fresca, eccitante, ma ora non ha tempo, deve prima fumare, ammortizzare, requilibrarsi.
Sullo schermo dell’autocomputer sfila la cronaca minuto per minuto del Lumacone. Kamo starà sicuramente gioiendo del risultato. Vana sogghigna, dovrebbe essere fiera di lui. Tutti i clan degli individualisti planetari hanno risposto all’appello: da Lisbona a Mosca e da Oslo a Atene migliaia di squadroni composti da centinaia di auto stanno bloccando tutti gli assi stradali più importanti. I percorsi secondari ancora liberi sono riservati a chi ha accesso al alternative spore. Può farcela.
Il fumo fa il suo dovere. Sul retrovisore spia il tic all’occhio destro che comincia a perdere colpi. Ma il caldo resta. Vana respira ruggine, è dappertutto. In bocca, i rari afflussi di saliva evaporano all’istante sulla spessa patina di ruggine. Rimpiange la pioggia acida ma fresca di Strasbourg e l’aria condizionata nella limousine del ministro degli affari sociali.
L’imbecille che credeva di poterle rifilare la ragione di Stato: Ingorgo gigantesco! l’Europa bloccata! i contadini si organizzeranno in gruppi armati per impedire agli automobilisti di riversarsi sui campi coltivati! la caccia ai viveri nelle grandi città! il Crash!
Le viene da ridere. Ci pensa continuamente al Crash, questo desiderio di morte, forse per finirla una volta per tutte con questo improbabile secolo. Ma non sta a lei decidere, e poi, quando sono in troppi ad uccidere che gusto c’è?
Vana accelera. È pronta, se lo sente dentro la mantice. La mano sudata scivola sulla pistola. Eccolo il potere! una bolla di sapone sulla canna di una calibro 9. Forse è proprio questa seduzione fatale ad aprire il passo alla trasgressione. “Battersi sempre contro il vincente”, parole di Kamo. Ma ora il vincente è lui.
I seni aggressivi sotto il tee-shirt che le lascia scoperto il ventre liscio e patinato di sudore, il rossetto color sangue, lo sguardo fisso sui mulinelli di sterco polverizzato. I gas di scarico che le fanno contrarre le mascelle e l’asfalto che fonde gonfiato dal caldo mortale del terzo millennio. Non vede altro Vana. Solo la velocità conta. Meno nella morte, l’atto di uccidere è zen. A lei piace così.
Fu durante una di queste impietose estati del Sud che a Kamo gli si aprì la terra sotto i piedi. Vana se lo ricorda e sorride. “Maledizione, proprio quando tutto sembrava andare per il meglio”, sibilava lui tenendosi saldamente aggrappato al bordo della voragine. L’apice della sua forsennata carriera era a due passi, poteva quasi sedercisi sopra. Quasi, ma ogni meccanismo perfetto ha il suo granello di sabbia. L’Ordine Europeo non sapeva più che farsene di lui. Ormai non gli rimaneva più che passare sul fronte opposto. E dietro lo schermo dei suoi computer Kamo cominciò a preparare l’avvento di un mondo d’anarchia informatica controllata e di democrazia diretta tribale.
E non scherzava lo stronzo. Dio che noia!
Centimetro per centimetro di pelle, si applica a ricostruire il viso di suo marito. Sente un’attrazione improvvisa, violenta, calda come un shoot di adrenalina pura. Si sta bagnando. Vana adora l’odore del proprio sesso. I granuli di cantaride sono nella borsetta. Ne ingoia tre. Vuole inondare il sedile. Ha la bellezza del diavolo in quei momenti.
Ha fatto bene a sposarlo Kamo, è proprio l’uomo adatto a lei. E lo sarà fino alla fine. A modo suo, Vana ce l’ha certamente nel sangue, spaventandosene maggiormente, respingendo sempre più l’eventualità d’una pienezza, da lei percepita come un preludio all’inesorabile disfacimento del suo corpo. Corpo di modella.
ANDORRA. L’auto sfreccia oltre il posto di frontiera ormai invaso dalle ortiche sifilitiche. L’ultima volta che Vana era passata da lì aveva duecento grammi di crack nella vagina e nella borsetta mezzo chilo di marocchino per i gendarmi.
Merda! Lo schermo è morto, se lo aspettava. La strada è deserta. È ovvio. Torna a schiacciare l’acceleratore. È questione di minuti ormai.
Attraversa a gran velocità la periferia commerciale di Andorra La Vella, una volta bazar di tutti i contrabbandieri europei e ora un splendido deserto di ruggine. È eccitata Vana. Imbocca il piazzale dell’Ipermercato e frena davanti a un affollamento di extra comunitari arringati da un altoparlante. Balza fuori dalla MacLaren e si riaccomoda le tette nel tee-short incontinente, tendendo l’orecchio al viso pallido con l’aria da frocio che con un microfono in mano arringa il gruppo di africani : “Sia chiaro, noi non siamo immigrati clandestini, siamo operai e ne siamo fieri!”
Niente di più arcaico. Meglio allontanarsi subito. Tra l’altro ha finito le fiale d’adrenalina.
Cammina. Corre verso la scala antincendio. La porta metallica è chiusa. Non ha nemmeno il tempo di scalciare che una faccia orientale con un sorriso da cane morto le si fa sotto. Scende. Uno, due, tre, non li conta più i piani. Le gira la testa, ha bisogno di uno shoot.
Finalmente il viso sbarbato, profumato, di Kamo.
– Amore mio, lo sapevo, non potevi mancare proprio tu a questo appuntamento. Vieni, vieni tra le mie braccia tesoro.
Vana lo bacia sulla bocca, sul collo, dietro l’orecchio gli sussurra che ha bisogno di una fiala. Subito. Lui sorride, è estasiato, disponibile. In un battibaleno Vana prepara la siringa e se la inietta direttamente nell’arteria sotto la lingua. L’adrenalina sale di botto, le contorce il viso, poi ridiscende lenta e calda verso il bacino. Meraviglioso.
Lo segue nella sala madre. Proprio così se l’immaginava l’antro del suo uomo unico: una gigantesca matassa di microprocessori, una miriade di braccia tese sull’universo.
È bagnatissima, non ne può più. Ma il suo Kamo le sta spiegando il segreto del suo trionfo.
– Guarda, sta dicendo lui, tra qualche ora l’Unione intera, grazie a me, sarà ridotta a un ammasso di ferraglia. Nessuno potrà più spostarsi da una città all’altra. Non è meraviglioso? Il tutto concepito su un programma di animazione sonora di fractal e di vortex i cui effetti ipnotici si sono rivelati di una potenza estrema. È la vittoria, amore mio, è l’anarchia!
Vana vorrebbe mangiarselo cogli occhi. Sputa la sigaretta e gli intrufola la mano nella patta dei pantaloni. Lo vuole ora, subito, davanti ai milioni di pixel sugli schermi. Kamo si lascia fare, è eccitato e se lo merita in fondo. Lei lo spinge sulla poltrona. Gli si siede sopra a cavalcioni, scosta lo slip, guida il pene duro dentro di sé. Ansima.
La mano destra scivola nella borsetta platinata. Tira su il cane, gli appoggia la canna sul ventre e preme il grilletto, uno, due, tre volte. Incredibile, Kamo ce l’ha sempre duro. Il quarto glielo piazza nella tempia. Kamo si affloscia. Lentamente, Vana lo estrae dal suo corpo.
Sospira.
– Amore, amore mio, avresti dovuto saperlo che l’anarchia mi fa venire i foruncoli. Te la immagini una modella con i foruncoli?
(Da Blanco Movil n. 87, 2002, Città del Messico)