di Harry Cleaver
[Uscito sul finire degli anni Settanta, Reading Capital Politically (1979) di Harry Cleaver propone una lettura politica dell’opera marxiana al servizio della lotta di classe. Tradotto in svariate lingue, il testo è stato diffuso in italiano nel corso degli anni Novanta dalla rivista vis-à-vis – Quaderni per l’autonomia di classe. Nonostante alcuni riferimenti al contesto politico-economico internazionale siano inevitabilmente dettati dal periodo in cui il testo è stato steso, l’analisi proposta dall’autore mantiene inalterata la sua efficacia politica ed è per tale motivo che si riproduce di seguito l’apertura del libro.
Harry Cleaver ha insegnato economia alla statunitense University of Texas di Austin, ha pubblicato numerosi articoli su riviste scientifiche e politiche sui temi dello sviluppo economico, sulle politiche economiche, sulle teorie della crisi, su Marx e sul marxismo, è stato redattore della rivista statunitense Zerowork ed ispiratore e curatore, insieme ad altri, del Texas Archive of Autonomist Marxism- ght]
Con questa pubblicazione si inaugura la sezione AltroQuando: spazio che intende ospitare recensioni di libri e testi ormai introvabili, film e serie televisive out of time, volantini e scritti politici d’antan, frammenti di memorie che rischiano altrimenti di essere dimenticate perché rimosse dal mercato o dal discorso ma tutt’altro che inattuali.
Introduzione
In questo libro vengono riesaminate le analisi sul valore condotte da Marx mediante uno studio dettagliato del Primo Capitolo del Volume I de Il Capitale. L’oggetto di questo studio si propone di trovare un’utilità politica all’analisi del valore situando i concetti astratti del Primo Capitolo all’interno dell’analisi globale fatta da Marx della lotta di classe nella società capitalista. Ci si propone di tornare a quello che si consida il proposito originario di Marx: Il Capitale è stato scritto come arma data nelle mani dei lavoratori. In quest’opera egli ha presentato una dettagliata analisi delle dinamiche fondamentali della lotta tra la classe capitalista e quella operaia1. Dalla lettura de Il Capitale come documento politico, i lavoratori potranno approfondire tanto le diverse forme con cui sono dominati dalla classe capitalista quanto le modalità con cui essi lottano contro tale dominio.
Durante l’ultimo mezzo secolo Il Capitale non solo è stato letto molto raramente in tal senso, ma è stato anche decisamente trascurato. Non è esagerato affermare che, a dispetto della reputazione mondiale de Il Capitale e della posizione quasi religiosa che ha assunto nel mondo socialista, il suo studio serio è stato un fenomeno raro ed isolato tanto ad Est quanto ad Ovest. Se molti hanno discusso di quest’opera, pochi però sembrano averla realmente studiata. Quando letta, il più delle volte è stata affrontata dai i marxisti di diversa impostazione come un’opera di economia politica, di storia economica, di sociologia o di filosofia. Di conseguenza Il Capitale è restato un oggetto di studio accademico piuttosto che uno strumento politico. Il lascito di tale tradizione marxista è stato quello di rimuovere il libro dal terreno di battaglia della lotta di classe.
Questa lacuna è stata recentemente colmata in gran parte del mondo da un revival di studi delle opere di Marx, soprattutto Il Capitale. Tale revival ha generato una proliferazione di scuole di pensiero marxista tra gruppi di accademici e di attivisti. Sfortunatamente gran parte di questi nuovi studi sta seguendo le orme delle interpretazioni precedenti che hanno ignorato o sottostimato l’utilità de Il Capitale come strumento politico nelle mani dei lavoratori. Quelli che hanno riscoperto Il Capitale come arma e lo hanno letto politicamente sono stati pochi e dispersi. Questa introduzione intende fare il punto sugli approcci a Marx e sulle letture politiche dell’opera sia tradizionali che attuali. Questo libro intende dunque leggere Il Capitale nella sua totalità traendone una lettura politica dell’analisi del valore di Marx.
Per fare il quadro dei vari approcci a Marx, si parte dalla discussione dalla natura generale del revival contemporaneo situandola all’interno di un evento più ampio di cui essa non è che un momento: la crisi globale del sistema capitalista. E’ stato l’inizio della crisi attuale a ricondurre a molte delle idee teoriche e politiche di Marx.
La crisi capitalista
L’attuale crisi del capitalismo ha iniziato ad emergere negli anni ’60 sotto forma di segnali disordinati non tra loro relazionati in diverse istituzioni sociali di base sottoposte a vari nuovi conflitti sociali. La richiesta di diritti civili dei neri negli Stati Uniti, il crescente disagio studentesco e delle donne in molte parti del mondo e la ripresa delle lotte contadine in Asia, Africa e America Latina, apparivano inizialmente come semplici atti di resistenza indipendenti dalla diffusione del capitalismo e dal dominio americano nel dopoguerra. Discriminazione razziale, irreggimentazione accademica, alienazione, sfruttamento, imperialismo, disumanizzazione, repressione sessuale, consumismo, distruzione ambientale: uno dopo l’altro questi mali della società moderna hanno iniziato ad emergere in una serie confusa di conflitti minaccianti la disintegrazione di questa società.
Quando tali conflitti sociali hanno incontrato un’espressione materiale, convertendosi in movimenti sociali, si è inziato a comprendere come l’indipendenza reciproca di tutti questi fenomeni fosse del tutto illusoria. Negli Stati Uniti la ribellione contro la discriminazione razziale si è sviluppata dal Sud rurale per poi esplodere nei ghetti del Nord in guerriglia urbana e in lotte per i diritti all’assistenza sociale. Quando gli imprenditori hanno tentato di togliere dalla strada i giovani neri, questi hanno portato la loro militanza all’interno delle fabbriche facendo della lotta contro la “niggermation” una componente critica della crescente rivolta contro il lavoro in ambito industriale. In un primo momento la ribellione nera si è diffusa nelle scuole e nell’esercito come elemento chiave nella lotta contro l’irregimentazione, contro l’università trasformata in fabbrica, poi la ribellione si è riversata contro la chiamata alla leva obbligatoria per la guerra in Vietnam. Il movimento contro la guerra ha unito molte di queste lotte ed il suo legame con i contadini del Sudest Asiatico si è palesato con slogan come “Vittoria per il FLN” e con lo sventolare delle bandiere dei vietcong negli edifici universitari occupati. Il collegamento tra queste agitazioni sociali non si è limitato alla relazione Stati Uniti-Sudest asiatico.
A Nord del Vietnam, la grande rivoluzione culturale cinese ha attratto l’attenzione mondiale quando ha issato il vessillo della rivolta popolare all’interno del campo socialista: un ricordo di Budapest e un presagio di Praga. Nell’Asia del Nord, il Giappone – il miracolo capitalista in Oriente – è stato scosso dalla crescente rivolta che legava studenti, lavoratori e contadini ponendo fine al mito della stabilità giapponese. In Europa sono scoppiate rivolte simili in aree di crisi. Le manifestazioni francesi di solidarietà alla causa vitenamita hanno contribuito all’incubazione del Maggio del 1968, quando milioni di studenti ed operai hanno issato le bandiere rosse e nere di rivolta sulle barricate parigine. Sono stati gli operai e gli studenti ad agitare l’Europa dell’Est contro la locale repressione e contro la dominazione sovietica, determinando prima riforme economiche e politiche, poi l’invasione dei carri armati sovietici. In Italia l’Autunno Caldo del 1969 ha rappresentato un’esplosione avvenuta in una situazione di sempre più evidente emergenza sociale cronica. In Portogallo l’esperienza americana è stata ripetuta ancor più drammaticamente quando il perdurare delle guerre coloniali in Africa ha finito con il lacerare sia la società che l’apparato militare generando una rivolta all’interno del paese in risposta a quella esterna.
All’interno del “movimento” americano, così come altrove, la rivolta delle donne è maturata ed esplosa contro la leadership maschilista, trasformando la richiesta di libertà sessuale del movimento hippie e della sinistra in una domanda autonoma per la liberazione della donna come momento irrinunciabile di tutte queste lotte. In effetti è stata la risolutezza autonoma delle donne, dei neri, dei meticci, degli indiani americani e delle diverse nazionalità a rendere possibile la complementarità delle lotte. Anche i movimenti internazionali sulle problematiche demografiche ed ecologiche, originariamente progettate dagli architetti del capitalismo per i suoi fini, si sono parzialmente trasformate in una volontà di cambiamento radicale di un ordine che prendeva di mira la gente anziché la povertà e che, mentre predicava la tutela ambientale, diffondeva erbicidi velenosi nel Sudest Asiatico2.
Non appena questi conflitti – nella loro settorialità e nella loro diversità globale – hanno iniaizto a circolare ed a fondersi, si è determinata un’emorme marea di pericoli per il sistema capitalista internazionale. Si è venuto a formare un ciclo di lotte planetarie, una globalità complessa ma intrecciata che ha scosso l’intero ordine sociale capitalista alle sue radici cacciandolo in una crisi di proporzioni storiche3.
L’importanza di queste lotte e la profondità di questa crisi si sono però palesate soltanto negli anni ’70 con il susseguirsi di numerose crisi di dimensioni internazionali. Nel giugno del 1971, l’apertura di Richard Nixon alla Cina ha segnato la fine della lunga Guerra Fredda bipolare, così come l’inizio dei problemi diplomatici tra gli Stati Uniti ed il Giappone. In agosto l’abbandono di Nixon della convertibilità del dollaro in oro ha distrutto gli accordi monetari internazionali del secondo dopoguerra nel sistema capitalistico occidentale. Tale azione, insieme alla sovrapprezzo delle importazioni, ha creato una nuova crisi diplomatica stavolta con il Canada, l’Europa occidentale e il Giappone. Tutte queste azioni, insieme all’imposizione dell’austerità a livello interno, hanno annunciato la fine di un’ideologia di crescita, la fine della Grande Società, della Nuova Frontiera e della Decade dello Sviluppo.
A tali cambiamenti se ne sono rapidamente aggiunti altri. Primo, la crisi alimentare globale degli anni 1972-74 che ha condotto all’innalzamento vertiginoso dei prezzi in occidente ed alla fame di massa in Asia ed in Africa. In secondo luogo, la crisi energetica globale negli anni 1973-1974, che ha comportato il drammatico aumento del prezzo del petrolio che ha spostato il punto nevralgico dello sviluppo capitalistico verso i paesi dell’OPEC, mentre gli USA nordorientali, la Gran Bretagna e gran parte dell’Europa occidentale sono sprofondati nella recessione globale degli anni 1974-1975. Terzo ed ultimo punto, nel 1975 e nel 1976 queste crisi alimentari ed energetiche sono esplose nell’Europa orientale e nell’Unione Sovietica, quando anche i pianificatori socialisti hanno aumentato i prezzi di queste merci provocando così il diffondersi di lotte e ribellioni sociali. A quel punto il ciclo si è completato e la globalità e la profondità della crisi non potevano più essere messe in dubbio.
Il revival di Marx
E’ tra questi cicli di lotte sociali e di crisi mondiale che si è dato il revival d’interesse per Marx e lo studio de Il Capitale. L’interesse per Marx poteva costituire un importante momento di diffusione degli sforzi intrapresi per comprendere ed affrontare tutte queste crisi. Il ritorno a Marx, da parte di chi stava praticando lotte sociali in questo periodo, ha costituito sia un momento di autoriflessione che di ragionamento strategico nei confronti di una situazione senza precedenti. Con tali premsse gli studi su Marx si sono diffusi autonomamente nelle scuole, nelle fabbriche, nelle prigioni e tra gli attivisti di diverse organizzazioni sociali. Posti di fronte alla sterilità delle teorie e delle formulazioni strategiche delle organizzazioni della sinistra riformista e tradizionale, questi gruppi hanno nuovamente preso in esame le analisi della lotta di classe e della rivoluzione contro il capitalismo fatte da Marx.
Nello stesso tempo dentro le università, a seguito di una lunga serie di richieste, questa stessa domanda ha imposto la creazione di corsi ufficiali di marxismo4. I movimenti per i diritti civili hanno imposto studi etnografici. I movimenti contro la guerra hanno dato impulso alla revisione degli studi storici, alla nascente sociologia ed all’economia radicale, ed il movimento femminista ha imposto la creazione di programmi di studio femministi. Dentro a tali nuovi spazi radicali aperti nelle strutture educative tradizionali, lo studio di Marx ha occupato uno spazio sempre maggiore grazie all’insorgere di studenti radicali ed insegnanti, analogamente a quanto stava accadendo fuori dall’ambito accademico, contro i limiti della cultura della sinistra tradizionale, dando luogo ad una fusione di tutti questi diversi approcci al fine di spiegare l’attuale crisi sociale o per individuare utili strategie d’azione alternative.
Sarebbe un errore vedere il revival del marxismo solo limitatamente alle problematiche e alle necessità dei diversi individui e gruppi che hanno dato vita alle rivolte sociali degli anni ’60 e ’70. La crisi è stata soprattutto una crisi del sistema capitalista e una crisi della sua ideologia e della sua pianificazione. Di conseguenza, anche questo ha avuto interesse nella riprendere Marx. Per comprendere ciò è necessario capire come l’ultima grande crisi del sistema capitalista mondiale sia stata più profonda della stessa Grande Depressione degli anni Trenta. Quel periodo ha costituito un profondo punto di inflessione nella crescita storica capitalista perché ha mostrato come le relazioni di potere tra le classi e, in questo modo, le strutture sociali di base, si fossero alterate, tanto che la vecchia depressione economica ciclica non è stata più in grado di dare ancora a lungo risposte di fronte alle agitazioni sociali mediante il meccanismo classico dell’aumento della disoccupazione e del calo dei salari. L’intensificazione della lotta ed il potere operaio durante gli anni Venti e Trenta hanno reso impraticabile tale soluzione di riduzione salariale, a questo si è aggiunta la crescente domanda di maggiori servizi sociali allo stato inteso come capitalista collettivo. Per sopravvivere a questa crisi, il capitalismo, ha neccesitato di una nuova strategia e di una nuova ideologia in sostituzione al vecchio laissez faire. La soluzione è stata trovata in una politica di crescita e di pieno impiego basata su una strategia di controllo delle lotte operaie tramite l’aumento salariale legato alla produttività negoziata attraverso forme collettive. I salari ed i consumi richiesti non dovevano aumentare più della produttività e ciò veniva garantito dall’intervento statale attraverso una politica monetaria e fiscale. In altre parole, la risposta americana all’ultima crisi capitalista è stata il modello keynesiano come strategia e come ideologia5. La sconfitta del fascismo italiano e tedesco nella Seconda guerra mondiale e l’argine posto al socialismo sovietico hanno mostrato come la risposta americana sarebbe diventata la soluzione per tutto il modo occidentale capitalista. Tale soluzione è stata istituzionalizzata a livello internazionale mediante il sistema delle Nazioni Unite e del Fondo Monetario Internazionale, accordi siglati a Bretton Woods nel 1944.
Occorre comprendere come il ciclo internazionale di conflitti sociali della fine degli anni ’60 abbia segnato il collasso della strategia keynesiana all’interno dei singoli paesi e quello del sistema monetario internazionale nel 1971, mostrando come crisi abbia costituito il crollo mondiale del modello keynesiano. Trovandosi di fronte a tale tipo di crisi storica dell’intero sistema, i teorici e gli architetti dell’economia capitalista e delle politiche sociali hanno ripreso Marx. In un’epoca di rottura sistemica generale, in cui gli interventi degli economisti e dei tecnocrati keynesiani hanno via via dimostrano la loro inadeguatezza, non ci si deve sorprendere nel vedere interesse per tutte le teorie che affrontano globalmente la crisi e lo sviluppo della società6. Di fronte all’incapcità di trovare valide risposte al crollo globale ed alla crisi, i fautori delle politiche capitaliste sono disposti a ricorrere a qualsiasi teoria che possa aiutarli a trovare una soluzione. Il loro ricorso a Marx è stato pertanto finalizzato a trovarvi qualcosa di utile.
Nonostante ciò possa sembrare al principio come una forzatura, anche una radida disamina della tradizione marxista mostra come Marx sia stato usato a volte più per contrastare che non per sviluppare future rivoluzioni. I teorici del ciclo economico, gli specialisti della teoria di sviluppo, gli esperti di organizzazione industriale e altri economisti ortodossi, hanno spesso trascinato gli scritti di Marx nello sviluppo dei loro lavori7. Probabilmente uno degli esempi più celebri riguarda Wassily Leontief, il padre delle moderne tecniche dell’analisi “input-output” che sono alla base di molte pianificazioni capitaliste moderne. Le radici di queste sue idee, come ha egli stesso riconosciuto, vengono parzialmente dagli schemi di riproduzione di Marx presenti nel Volume II de Il Capitale. Forse risulta ancora più evidente il ricorso sovietico a molte interpretazioni ortodosse di Marx in giustificazione delle sue politiche di repressione e di controrivoluzione. Non dovrebbe risultare difficile comprendere i motivi dell’elargizione di fondi per gli studi marxisti e perché gli sono stati concessi spazi nei giornali nazionali e nelle riviste accademiche al fine di registrare e valutare il corso delle nuove ricerche marxiste8.
Approcci alternativi a Marx
In virtù della doppia fonte di interessi riguardante il revival del marxismo – quelli che intendevano utilizzare Marx per il cambiamento sociale e quelli che desideravano utilizzarlo per contenerlo – risulta importante essere chiari sui diversi approcci che hanno portato alla lettura delle opere di Marx e sulle implicazioni di tali approcci. Alla base del revival c’è stato il recupero e lo studio dei lavori di Marx e di quelli dei suoi principali discepoli e interpreti. Nei suoi diversi livelli, il revival del marxismo, ha incluso anche molti degli sforzi più utili allo studio della tradizione all’interno del suo contesto storico – di studio del “pensiero marxista” come parte dello svilupparsi della storia sociale. In tutti i casi, esistono diversi modi di classificare la letteratura del revival e la tradizione su cui si è basata nei termini di approccio alla lettura di Marx in generale e de Il Capitale in particolare.
Un approccio comune di tale classificazione differisce notevolmente in linea ideologica, soprattutto per ciò che riguarda la divisione all’interno del marxismo ortodosso – inteso normalmente come marxismo-leninismo di diverse varietà da quelle staliniste a quelle trotzkiste – e del marxismo non ortodosso – entro il quale si possono distinguere diversi tipi di tendenza revisionista che vanno dalla socialdemocrazia della Seconda Internazionale fino ai “Comunisti dei Consigli” ed ai cosiddetti “Marxismi occidentali” del periodo della guerra, alle diverse tendenze neo-marxiste della prima decade successiva alla Seconda guerra mondiale. Sfortunatamente tali analisi conducono più alla comparazione delle conclusioni politiche raggiunte che non a quella degli approcci usati nel leggere Marx.
Una seconda, e molto più utile, distinzione è quella tra le letture di Marx che sono essenzialmente ideologiche – indipendentemente dal diverso orientamento – e quelle letture che qua si propone di chiamare “strategiche”. Questa distinzione intende differenziare tra le letture di Marx che vedono la sua opera costituire fondamentalmente una critica ideologica o un’interpretazione critica del capitalismo da quelle letture che contemplano tale opera come una critica dell’ideologia e che ne traggono un insegnamento strategico per la lotta di classe.
Qui il concetto di lettura strategica ha veramente un senso militare perché vuole individuare nel pensiero di Marx soltanto delle armi da usare nella guerra di classe. E’ condivisibile vedere nell’ideologia un’arma. Però, per continuare con l’analogia militare, ci si riferisce qui alla differenza esistente tra un’arma come la propaganda, che è una tattica limitata, e un’arma strategica che si pone ad un livello decisamente diverso. Nei termini di Karl von Clausewitz, la strategia permette di intendere la forma basilare della guerra di classe, di situare le differenti lotte che la compongono, di individuare la tattica dei due schieramenti e di vedere come le diverse tattiche e le diverse lotte possono essere meglio collocate per raggiungere la vittoria9.
La distinzione che seguirà deve chiarire se la decifrazione strategica viene fatta dal punto di vista del capitale o da quello della classe operaia. Nel primo caso si incontra il tipo di lettura realizzata da Leontief, che aiuta lo sviluppo della strategia capitalista, mentre nel secondo caso si incontrano letture che aiutano la comprensione e lo sviluppo della lotta della classe operaia.
A partire da questa divisione di lettura ideologica e strategica di Marx si ha una terza classificazione, di importanza primaria perché attraverso essa diviene possibile comprendere la situazione attuale degli studi marxisti. Questa è la distinzione che si stabilisce tra una lettura di Marx come filosofia, leggendolo, specialmente ne Il Capitale, come economia politica e la sua lettura politica. Leggere Marx filosoficamente è, nel migliore dei casi, un leggere i suoi lavori come interpretazioni critiche, come forma di ideologia. Leggere Marx come economia politica può includere elementi di ideologia – quando si tratta di fare una critica del capitalismo – però si possono avere anche, ed in maniera più importante, elementi utili ad una lettura strategica finalizzata agli interessi del capitale. Questo implica leggere Il Capitale come lavoro di teoria economica all’interno della struttura del materialismo storico. Al minimo, la debolezza e i pericoli della lettura di Marx come filosofia o come economia politica, sono quelli di tutte le letture ideologiche. Per quanto critiche siano le varie rappresentazioni del capitalismo, esse, in fondo, non vanno oltre un’interpretazione passiva della situazione sociale. A proposito di tali teorie critiche è meglio non dimenticare la giustamente famosa affermazione di Marx: “Il problema con i filosofi è che essi hanno soltanto interpretato il mondo, il punto è di cambiarlo”10. Non si tratta solo dell’inutiità di queste interpretazioni. Se corrette, tali interpretazioni, possono provvedere esattamente ad una delle necessità del capitale per aiutarlo a pianificare le sue strategie. Tali letture di economia politica che elaborano interpretazioni del pensiero di Marx in modo da ricavarne implicazioni strategiche potenzialmente utili per il capitale, in questo periodo non sono semplicemente innocue ma devono essere viste come potenzialmente pericolose per la classe operaia.
Rimane da definire cosa si intende qua per lettura politica di Marx. Tutte le letture sono politiche quando la loro esecuzione implica reali alternative politiche ed hanno implicazioni rispetto alle relazioni di classe. Qua il termine “politico” intende invece designare soltanto ciò che la lettura strategica di Marx è dal punto di vista della classe operaia. E’ una lettura che coscientemente e unilateralmente struttura il suo approccio per determinare il significato e la rilevanza in ogni concetto ai fini di uno sviluppo immediato delle lotte della classe operaia. E’ una lettura che evita tutte le interpretazioni obiettive e le teorizzazioni astratte in favore di un uso dei soli concetti totalmente interni alla realtà concreta della lotta di cui designa le determinazioni. Qua si sostiene che questo è l’unico tipo di lettura di Marx che può propriamente essere detto in favore della prospettiva della classe operaia perché è l’unico che parla direttamente di ciò di cui la classe ha bisogno per chiarire lo scopo e la struttura del proprio potere e della propria strategia.
Il diagramma illustra le distinzioni principali fatte tra i diversi approcci di lettura di Marx. Non si tratta certamente delle uniche distinzioni possibili tra i diversi approcci alla lettura di Marx, ma si ritiene qua che ciò possa essere di aiuto per selezionare gli intrecci del corrente revival di Marx e le tradizioni su cui si basano. Poiché si è cercato di realizzare questo libro come una lettura politica de Il Capitale, occorre ora chiarire ulteriormente queste distinzioni così come occorre situare il presente lavoro ed indicare perché il suo approccio incarni e rappresenti una forte rottura nei confronti degli altri. Abbozzando qualche elemento della storia, delle caratteristiche di base e debolezze delle letture tradizionali di Marx come economia politica e come filosofia, si elaborerà ciò che si intende con la lettura politica di Marx e si illustrerà come questo approccio permetta un utile reinterpretazione di molte delle intuizioni presenti negli altri approcci individuandone, allo stesso tempo, gli errori.
[Questa prima parte di Reading Capital Politically di Harry Cleaver è stata originariamente pubblicata dalla rivista vis-à-vis – Quaderni per l’autonomia di classe, n. 1, autunno 1993. Rispetto a quella versione cartacea sono state qua apportate lievi modifiche formali – ght]
Per Marx, e per molti marxisti che lo seguirono, il termine “classe operaia” si riferiva primariamente alla classe operaia dell’industria dei lavoratori salariati produttori di merci (fossero esse manufatti, prodotti agricoli o servizi). Per ragioni che si chiariranno nel corso del testo, viene qua utilizzato il termine “classe operaia” per designare non soltanto i lavoratori salariati dell’industria, ma anche la diverse tipologie di lavoratori non salariati. Vengono qua inclusi anche i lavoratori domestici, i bambini, gli studenti, i contadini che lavorano sotto il capitalismo consistente primariamente nella produzione e riproduzione della capacità e del desiderio di realizzare attività (compresi i lavoratori dell’industria) che contribuiscono al mantenimento del sistema. ↩
Steve Weissman, “Why the Popultation Bomb Is a Rockfeller Baby”, Ramparts 8, no. 11 (Maggio 1970): 42-47. ↩
Per un’analisi parziale di questo ciclo di lotte si veda Zerowork 1 (1975) e 2 (1977). ↩
Le lotte degli anni ’60 hanno trasformato la situazione degli anni ’50, che vedeva la presenza di un solo prestigioso insegnante di economia marxista in un’università americana (Paul Baran a Stanford), da uno si è presto passati a qualche dozzina di insegnanti marxisti nelle università di tutto il paese. Ci sono programmi condotti ad alto livello che arrivano fino al Ph.D in marxismo in diverse università, incluse l’Università del Massachusetts (Amherst), la New School for Social Research (New York) e l’American University (Washington, D.C.). In altri luoghi, come ad Stanford, University of Texas, Yale, ed Harvard, gli studenti possono ora scegliere tra diverse specializzazioni in economia marxista ed hanno la possibilità di affrontare dissertazioni di dottorato in ambito marxista. ↩
Questa analisi è stata sviluppata da Mario Tronti, “Workers and Capital” Telos 14 (Inverno 1972); Guido Baldi, “Theses on Mass Worker e Social Capital”, Radical America 6, no. 1 (Maggio-Giugno): 3-21 e Antonio Negri, “John M. Keynes e la teoria capitalistica dello stato nel ’29” in Operai e Stato. Per un’analisi più dettagliata si rinvia alla sezione in cui verrà affrontata la lettura politica de Il Capitale. ↩
Parallelamente al revival di Marx si è avuto il revival di Hegel, New York Review of Books, 29 Maggio, 1975, pp. 34-37; Mark Poster, “The Hegel Renaissance”, Telos 16 (Estate 1973): 109-127; e John Heckman, “Hyppolite and Hegel Revival in France”, Telos 16 (Estate 1973): 128-145. ↩
Un uso di Marx nelle teorie borghesi si trova in David Horovitz, Marx and Modern Economics. Si vedano soprattutto O. Lange, W. Leontief, J. Robinson, Fan-Hung, L.R. Klein e S.Tsuru. Altri che hanno untilizzato Marx nei loro lavori sono William Baumol nel suo Economic Dynamics ed Irma Adelman nel suo Theories of Economic Growth and Development. Il debito di molti economisti come Joseph Schumpeter a Marx è evidente. ↩
Alcuni esempi di tali indagini radicali nelle riviste professionali e nella stampa d’élite sono: Martin Bronfenbrenner, “Radical Economics in America: A 1970 Survey”, Journal of Economic Literature 8, no. 3 (Settembre 1970): 747-766; S.T. Worland, “Radical Political Economics as a ‘Scientific Revolution'”, Southern Economics Journal 39, no. 2 (Ottobre 1972): 274-248; e “The Marx Men”, Wall Street Journal, 5 Febbraio, 1975. Il New York Times ha sollecitato con domande l’economista radicale David Gordon della New York School affinchè esplicitasse il suo punto di vista sulla crisi corrente nel New York Times Magazine (“Recession Is Capitalism as Usual”), 27 Aprile, 1975. ↩
Le osservazioni di Clausewitz si formulano in questi termini: “La strategia forma il piano di guerra, proietta il corso proposto delle diverse campagne che compongono la guerra e regola le battaglie che si combattono in essa” (citato in B.H. Liddell Hart, Strategy, p.319. ↩
Undicesima Tesi su Feuerbach. ↩