di Luca Cangianti
Vladimiro Giacché, Anschluss. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, Diarkos, 2019, pp. 329, € 18,00.
Sahariane ocra, elmetti tropicali, pantaloni alla zuava e fucili puntati che si fanno strada in una fitta vegetazione. Non è detto che sia necessariamente questa l’immagine di un colonialismo che avanza per sottomettere popoli, culture e modi di vita. Ce n’è per esempio un’altra, senza baionette sporche di sangue, apparentemente più pulita, aritmetica: quella del cambio alla pari tra due valute, di cui una ha un quarto del valore dell’altra. È quello che è successo nella Repubblica democratica tedesca (Rdt) il 1° luglio del 1990, a otto mesi dalla caduta del Muro di Berlino. Trent’anni dopo quegli avvenimenti torna in libreria Anschluss, un libro di Vladimiro Giacché che, uscito per la prima volta nel 2013, ha venduto oltre 10 mila copie ed è stato tradotto in tedesco, francese e spagnolo. Adesso il volume è stato ripubblicato dalla casa editrice Diarkos con nuovi aggiornamenti, integrazioni e un poscritto.
Anschluss si presenta come un piacevole e documentatissimo saggio di storia economica, ma in verità è qualcosa di più. Secondo l’autore, infatti, grazie al vincolo dell’unione monetaria fu progettata una potente macchina di esproprio che nella Germania unificata svolse una funzione sia di accumulazione originaria sia di creazione zone di sottosviluppo funzionalizzate alla valorizzazione del capitale. Qualcosa di simile a ciò che è avvenuto nel Mezzogiorno italiano e ora si ripete con l’attuale processo di unificazione europea. Insomma, pagina dopo pagina, vediamo prima scorrere i volti sorridenti dei giovani che, per andare a spendere i loro piccoli risparmi quadruplicati nei grandi magazzini dell’Ovest, attraversano su automobili-giocattolo le brecce aperte nel Muro; poi la potente onda d’urto della deindustrializzazione, della miseria e della depressione di un popolo reso straniero in terra propria. E così, tra i dati di un rapporto economico e un titolo di giornale di quei tempi ormai lontani, cominciano a trasparire gli sguardi più recenti degli sfrattati spagnoli, dei pensionati greci e delle centinaia di migliaia di giovani italiani emigrati che sgobbano nei ristoranti nordeuropei. «Una delle tesi più “forti” contenute in questo libro – scrive Giacché nel poscritto – è quella che ravvisa il riproporsi entro l’odierna Unione Europea (e in particolare all’interno dell’Eurozona) di dinamiche e modalità di relazione simili a quelle a suo tempo intercorse tra Germania Ovest e Germania Est.» Nel 1989 nella Rdt c’erano 3,2 milioni di lavoratori manifatturieri, nel 1994 erano diventati 664 mila con un crollo dell’80%. Il risultato è che ancora oggi il 44% della popolazione tedesco-orientale vive di sussidi, con un pil pro capite inferiore del 27% rispetto a quella dell’Ovest.
Dopo la riunificazione non c’è stata più nessuna convergenza tra Est e Ovest, la popolazione è stata privata dei servizi sociali, sono state applicate le leggi della Repubblica federale tedesca (Rft), i nomi delle vie sono cambiati, i monumenti e gli edifici legati alla storia della Rdt in gran parte distrutti: «non vi è dubbio che – continua Giacché -, dal punto di vista dei privatizzatori, l’economia dell’Est abbia offerto a imprenditori e faccendieri della Germania Ovest ottime opportunità, a prezzi di saldo impensabili ancora pochi mesi prima; così come l’apertura totale dell’economia dell’Est alle merci prodotte all’Ovest, senza alcuna possibilità per le imprese locali di esercitare la minima concorrenza (grazie alla politica monetaria prima e poi alla privatizzazione-liquidazione degli asset che tramite la politica monetaria erano stati svalorizzati), è stata senz’altro un grande regalo per le imprese dell’Ovest. Allo stesso modo, chi oggi acquista a saldo aeroporti e porti greci non ha nulla di cui dolersi.» Ecco quindi la legittimità di una parola che, gravida di storia dolente, in tedesco suona come un duro atto di accusa: Anschluss, annessione.
Il libro di Vladimiro Giacché non è tuttavia un saggio antitedesco, anzi dietro la cruda ricostruzione economica l’autore non nasconde il proprio movente etico: compiere un «atto di giustizia: nei confronti di coloro i quali, dopo essere stati privati di “ogni sostegno economico e sociale”… sono poi stati incolpati della loro stessa miseria (in quanto “incapaci di lavorare”, “corrotti dal comunismo” ecc.).» Non è inoltre un libro antieuropeo, perché mette in evidenza quali sono le condizioni affinché dietro una presunta neutrale unione economica non si celi invece un meccanismo di sfruttamento e di dominio, non tanto di nazioni, quanto di classi. Anschluss è uno dei migliori strumenti di comprensione dell’attuale dinamica d’integrazione europea, proprio perché parla di un caso storico in cui ebbe luogo un processo simile.