di Cesare Battisti
Il giornale La Repubblica, del 10 settembre 2013, ha voluto riprodurre parte della mia “lettera ai compagni”, diffusa da Carmilla in primo luogo. Voglio ringraziare la redazione de La Repubblica per l’attenzione, alcuni passaggi riportati corrispondono essenzialmente al messaggio che volevo divulgare. Mi sento però in obbligo di contraddire alcune informazioni contenute specialmente nel “commento” firmato dal signor Carlo Bonini. Mi dispiace dirlo, perché suona a polemica e io avrei preferito dialogare in un clima di comprensione, ma pare che il signor Bonini abbia qualche difficoltà a trattare il caso con la distanza e la serenità dovuta da chi, come lui, ha l’autorevole responsabilità di informare il pubblico, quindi creare opinione.
Purtroppo, il signor Bonini non resiste alla tentazione di riprendere il “gioco al massacro” con l’uso dei soliti argomenti, frutto proprio di quelle distorsioni che hanno alimentato, durante tutti questi anni, la disinformazione a cui accennavo nella “lettera” e che lo ha fatto arrabbiare. Ora, è proprio di questo che si tratta nel commento da lui firmato.
Mentre il signor Bonini mi tratta da narcisista – che c’entra poi – e menzognero, commette varie disinformazioni. Vediamo quali.
- Lui parla di 37 anni di “latitanza”. Avrebbe dovuto però dire, questione di etica, che è latitante colui che si ricerca e non si sa dove sia. Cesare Battisti invece, durante tutto il suo esilio, aveva un indirizzo dichiarato alle autorità del paese ospitante e dalle stesse trasmesso all’ambasciata d’Italia; aveva documenti rilasciati dalle autorità competenti; aveva famiglia, lavoro dichiarato, pagava le tasse, aveva attività pubblica alla quale gli stessi giornalisti de La Repubblica avevano avuto accesso a volontà.
- Continua a chiamarmi “il terrorista”. Sarà che non gli viene la particella EX (ammesso che sia questo l’appellativo più appropriato alla mia militanza armata), oppure lo fa intenzionalmente, non potendo egli resistere alla tentazione di alimentare i dubbi?
- Scrive inoltre “giudizio di comodo e postumo sulla lotta armata”. Postumo sì, ma perché omettere di specificare che già dall’81 io mi pronunciai contro la lotta armata – lo sanno tutti meno lui? Criticai allora la scelta armata del Movimento e continuai a ribadirlo in seguito in numerose interviste, nonché nel contenuto dei miei libri. Quindi non è un tantino tendenzioso questo suo appunto di “comodo”?
- Scrive anche che io sarei stato “reso alieno e trasversalmente detestabile… anche ai pochi che avevano continuato a sostenerlo nella latitanza…”. Mi viene da dire che questo signore ha la coda di paglia. Sennò perché tanto sforzo (i pochi che lui dice sarebbero invece centinaia tra partiti, associazioni, ecc.) per tentare di ritorcermi contro la mia lettera? Come se ci fosse stato qualcuno, tra tutti coloro che mi hanno sostenuto durante l’esilio – e non latitanza, ripeto – che mi abbia ripudiato pubblicamente. Ma da dove gli vengono questi giudizi? Io, al contrario, posso citare centinaia di situazioni politiche e sociali che mi manifestano tuttora apertamente appoggio incondizionato. Ciò perché l’innocenza non era assolutamente l’argomento principale per coloro che mi hanno dato asilo, malgrado la “disinformazione”.
- Si dice anche, nell’articolo, che avrei confessato nella speranza di accedere ai benefici. È falso. Non ci vuole molto a verificare che nella condanna all’ergastolo, più sei mesi di isolamento diurno, non figura assolutamente l’ostativo, ossia l’articolo che impedirebbe l’accesso ai benefici. Perché all’epoca, semplicemente, questa misura non esisteva e la retroattività negativa, se non sbaglio, è incostituzionale. Una svista anche questa, o è intenzionale?
- “La legittima estradizione dalla Bolivia”, scrive ancora il signor Bonini, senza dire ai suoi lettori dov’è il mandato di estradizione che l’Italia avrebbe inoltrato alla Bolivia. In alternativa potrebbe citare la sentenza della Corte d’Assise di Milano emessa il 17 maggio dell’anno in corso, dove apparirebbe la formula “estradato dalla Bolivia”? Non può, perché non esiste mandato, così come non c’è stata estradizione perché, se le cose fossero andate in questo senso, ci sarebbe stato un legale processo di estradizione, la quale sarebbe stata rifiutata perché la legge boliviana non la consente per reati politici e quando incorre prescrizione, come è il caso delle mie condanne. Ecco perché è sequestro. Ecco perché è stata raffazzonata un’espulsione illegale (vedasi legge boliviana in merito), fattomi scendere dall’aereo brasiliano per imbarcarmi in tutta fretta in quello italiano. Questa è la realtà documentata, e non frutto delle solite illazioni, dei non detti tanto cari a coloro che si incomodano con la parola “disinformazione”.
Voglio concedere la buonafede ai giornalisti de La Repubblica, ai quali riconosco anche l’immediata denuncia dello squallido spettacolo all’aeroporto di Ciampino. Sicuramente questa volta non avevano le buone informazioni. Ma, perbacco, sono ben sei le “disinformazioni” contenute in un articolo che sta appena in una colonna!